Codice Civile art. 2112 - Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda (1).Mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento d'azienda (1). [I]. In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. [II]. Il cedente ed il cessionario sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione del cedente dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. [III]. Il cessionario è tenuto ad applicare i trattamenti economici e normativi previsti dai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali vigenti alla data del trasferimento, fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi applicabili all'impresa del cessionario. L'effetto di sostituzione si produce esclusivamente fra contratti collettivi del medesimo livello. [IV]. Ferma restando la facoltà di esercitare il recesso ai sensi della normativa in materia di licenziamenti, il trasferimento d'azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento. Il lavoratore, le cui condizioni di lavoro subiscono una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda, può rassegnare le proprie dimissioni con gli effetti di cui all'articolo 2119, primo comma. [V]. Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento (2). [VI]. Nel caso in cui l'alienante stipuli con l'acquirente un contratto di appalto la cui esecuzione avviene utilizzando il ramo d'azienda oggetto di cessione, tra appaltante e appaltatore opera un regime di solidarietà di cui all'articolo 29, comma 2, del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 (3). (1) Articolo dapprima modificato dall'art. 47 3 l. 29 dicembre 1990, n. 428 e poi così sostituito dall'art. 1 d.lg. 2 febbraio 2001, n. 18. Il testo recitava: «Trasferimento dell'azienda. [I] In caso di trasferimento d'azienda, il rapporto di lavoro continua con l'acquirente ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano. [II]. L'alienante e l'acquirente sono obbligati, in solido, per tutti i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento. Con le procedure di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile il lavoratore può consentire la liberazione dell'alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro». V. l'art. 47 l. 29 dicembre 1990, n. 428, modificato dall'art. 2 d.lg. n. 18, cit. (2) Comma così sostituito dall'art. 32 1 d.lg. 10 settembre 2003, n. 276, fermi restando i diritti dei prestatori di lavoro in caso di trasferimento d'azienda di cui alla normativa di recepimento delle direttive europee in materia. Il testo recitava: «Ai fini e per gli effetti di cui al presente articolo si intende per trasferimento d'azienda qualsiasi operazione che comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base dei quali il trasferimento è attuato, ivi compresi l'usufrutto o l'affitto d'azienda. Le disposizioni del presente articolo si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata ai sensi del presente comma, preesistente come tale al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità». (3) Comma aggiunto dall'art. 322 d.lg. n. 276, cit., e poi così modificato dalla novella introdotta dall'art. 9 d.lg. 6 ottobre 2004, n. 251 all'art. 322 d.lg. n. 276, cit. InquadramentoL'art. 2112 disciplina la fattispecie del trasferimento dell'azienda o di una sua parte, fattispecie che, determinando una modificazione soggettiva del rapporto di lavoro dal lato del datore, esige una tutela dei lavoratori e dei loro diritti. Tutela che la norma assicura con riferimento alla continuità del rapporto e rispetto ai diritti maturati dai lavoratori alla data del trasferimento (prevedendo, al riguardo, una responsabilità solidale di cedente e cessionario). Nozione di trasferimento d'aziendaA norma del comma 5 dell'art. 2112, per trasferimento d'azienda si intende qualsiasi operazione che, in seguito a cessione contrattuale o fusione, comporti il mutamento nella titolarità di un'attività economica organizzata, con o senza scopo di lucro, preesistente al trasferimento e che conserva nel trasferimento la propria identità a prescindere dalla tipologia negoziale o dal provvedimento sulla base del quale il trasferimento è attuato ivi compresi l'usufrutto o l'affitto di azienda. La norma aggiunge che le disposizioni dell'art. 2112 si applicano altresì al trasferimento di parte dell'azienda, intesa come articolazione funzionalmente autonoma di un'attività economica organizzata, identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. La giurisprudenza interpreta la definizione legislativa nel senso che costituisce trasferimento d'azienda ai sensi dell'art. 2112, qualsiasi operazione che comporti il mutamento della titolarità di un'attività economica qualora l'entità oggetto del trasferimento conservi, successivamente allo stesso, la propria identità, da accertarsi in base al complesso delle circostanze di fatto che caratterizzano la specifica operazione (tra cui, il tipo d'impresa, la cessione o meno di elementi materiali, la riassunzione o meno del personale, il trasferimento della clientela, il grado di analogia tra le attività esercitate) e che non osta, alla configurabilità del trasferimento, la mancanza di un fine di lucro, purché sussista un'organizzazione di mezzi produttivi idonei a fornire un prodotto o un servizio obiettivamente caratterizzati ed economicamente valutabili quanto meno sotto il profilo dei mezzi di produzione e delle prestazioni lavorative necessari per il loro conseguimento, dovendosi ritenere irrilevante, alla luce della giurisprudenza comunitaria, che, ai fini dell'applicabilità della direttiva CE 77/187, l'attività sia esercitata non a fini di lucro e nell'interesse pubblico (Cass. n. 29422/2017). Non integra gli estremi del trasferimento di azienda il trasferimento del pacchetto azionario di maggioranza di una società di capitali, evento che non determina la sostituzione di un soggetto giuridico ad un altro nella titolarità dei rapporti pregressi (Cass. n. 4425/2019). Quanto al trasferimento del ramo d'azienda, secondo la giurisprudenza deve intendersi ogni entità economica organizzata in maniera stabile, la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, il che presuppone, comunque, una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (vale a dire la capacità di svolgere, autonomamente dal cedente e senza integrazioni di rilievo da parte del cessionario, il servizio o la funzione cui risultava finalizzato nell'ambito dell'impresa cedente: Cass. n. 22249/2021; situazione ravvisabile anche rispetto ad un complesso stabile organizzato composto solamente da persone: Cass n. 7364/2021; Cass. n. 13279/2007), e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, dovendosi ritenere preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici ovvero di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (Cass. n. 19141/2015; Cass. n. 8757/2014; Cass. n. 21697/2009; ad avviso della prima delle sentenze ora menzionate, una simile interpretazione troverebbe conferma anche nella sentenza della Corte di Giustizia del 6 marzo 2014, in C-458/12, che ha ribadito, ai fini dell'applicazione della direttiva 2001/23/CE del 12 marzo 2001, la necessità, anteriormente al trasferimento, di una sufficiente autonomia funzionale della quota d'impresa ceduta, fermo restando che, in forza dell'art. 1, § 1, lett. a) e b), della dir. n. 2001/23/CE, la normativa nazionale può anche estendere l'obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti pure nell'ipotesi di non preesistenza del ramo d'azienda). Non è tuttavia necessaria anche la completezza materiale e l'autosufficienza del gruppo (Cass. n. 5932/2008). Non osta alla configurabilità della fattispecie di cui all'art. 2112 il collegamento societario esistente tra cedente e cessionario (Cass. n. 37291/2021). Neppure il fatto che il motivo del trasferimento consista nell'intento di superare uno stato di difficoltà economica (Cass. n. 13171/2009; tuttavia, per l'inapplicabilità dell'art. 2112 alle imprese assoggettate a procedura concorsuale, v. l'art. 47, comma 5, l. n. 428/1990 e Cass. n. 31946/2019). La stessa giurisprudenza ha affermato che il frazionamento e la cessione di parte di uno specifico settore aziendale, destinato a fornire il supporto logistico sia al ramo ceduto che all'attività della società cessionaria, rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 2112, purché presenti, all'interno della più ampia struttura aziendale oggetto della cessione, una propria organizzazione di beni e persone al fine della fornitura di particolari servizi per il conseguimento di obiettive finalità produttive (Cass. n. 9461/2014). Rientrano nell'area di operatività della norma in commento anche il caso di restituzione dell'azienda dal cessionario al cedente per scadenza del contratto d'affitto (Cass. n. 23765/2018) o per cessazione dell'appalto di un servizio (quando però la vicenda comporti un passaggio di beni di non trascurabile entità: Cass. n. 6770/2017) e quello del subentro di un'azienda ad un'altra nei contratti di «franchising» e di locazione commerciale dell'immobile sede dell'attività (Cass. n. 2200/1998) e quello della successione di contratti di affitto della medesima azienda a due diversi affittuari (Cass. n. 26808/2018). Nel caso di successione in un appalto di servizi, occorre accertare in concreto che vi sia stato un trasferimento di azienda mediante il passaggio di beni idonei a conferire autonomia operativa ad un gruppo di dipendenti, altrimenti ostandovi il disposto dell'art. 29, comma 3, d.lgs. n. 276/2003 (Cass. n. 8922/2019; Cass. n. 6770/2017; Cass. n. 12720/2017 ha ritenuto sufficiente, al riguardo, anche il fatto che il nuovo imprenditore abbia riassunto una parte essenziale, in termini di numero e di competenze, del personale). Ad avviso della giurisprudenza, l'art. 2112 si applica in caso di trasformazione della società da un tipo all'altro (Cass. n. 2697/1986; Cass. n. 4813/1985) e, secondo l'orientamento prevalente, anche in ipotesi di fusione o incorporazione (Cass. n. 6428/1998; Cass. n. 4951/1996; Cass. n. 2205/1992). In senso contrario, invece, la dottrina: Grandi, 348; Magrini, 104; Romei, 64. Una risalente pronuncia vi ha fatto rientrare anche la continuazione dell'impresa a seguito di successione ereditaria (Cass. n. 4585/1984). Ad avviso della giurisprudenza, le disposizioni dell'art. 2112 trovano applicazione anche in presenza di interventi legislativi diretti a disciplinare cessioni di aziende o di loro rami, a meno che la loro inapplicabilità sia espressamente prevista o dall'intero contesto dell'intervento legislativo si ricavi con certezza una volontà disapplicatrice, ovvero, infine, sia ravvisabile una oggettiva e totale incompatibilità tra la nuova legge e la disciplina codicistica (Cass. n. 15820/2009). In dottrina, nel senso che l'art. 2112 si applica anche ai casi di trasferimento coattivo, Magrini, 122; contra, Romei, 44, e Grandi, 305. La continuazione del rapporto di lavoroL'art. 2112 sancisce la continuità del rapporto di lavoro, ovvero l'assoluta ininfluenza del mutamento di titolarità ai fini della continuità dei rapporti di lavoro (secondo la giurisprudenza, il lavoratore subentra nel sinallagma del rapporto di lavoro con tutti i relativi obblighi e diritti: Cass. n. 2697/1987). Ad avviso della dottrina, la prosecuzione del rapporto di lavoro in capo ad un nuovo soggetto a seguito del trasferimento è espressione del principio di spersonalizzazione della posizione del datore di lavoro e dell'insensibilità del rapporto stesso alle vicende che coinvolgono la sfera giuridica dell'impresa (Romei, 91; Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 139). Presupposto di fatto dell'applicabilità dell'art. 2112, comma 1, è che lo stesso sia stato assunto in un momento antecedente il trasferimento (Cass. n. 2417/1995; Cass. n. 11409/1993). È stato affermato dalla giurisprudenza che, poiché il cessionario dell'azienda subentra in tutti i rapporti dell'azienda ceduta nello stato in cui si trovano, ivi compreso il rapporto caratterizzato da un licenziamento intimato dal cedente, sussiste, per il lavoratore, l'onere di impugnare il recesso nei sessanta giorni per evitare di incorrere nella decadenza di cui all'art. 6 l. n. 604/1966 (Cass. n. 2747/2016). Invece, poiché la dichiarazione di recesso ad nutum ha efficacia non già nel momento in cui viene emessa, bensì nel momento in cui viene a scadere il termine di preavviso, nell'ipotesi di cessione d'azienda intervenuta dopo il licenziamento di un lavoratore, ma prima del decorso del termine di preavviso, la giurisprudenza ritiene che il rapporto di lavoro sia proseguito ope legis con il cessionario per il periodo compreso entro la scadenza del suddetto termine, con la conseguente sussistenza dell'obbligo di solidarietà fra cedente e cessionario, ai sensi dell'art. 2112, per il soddisfacimento dei crediti del lavoratore già maturati all'atto della cessione (Cass. n. 2245/1995). Sempre in tema di licenziamento, la giurisprudenza sostiene che il rapporto di lavoro del lavoratore, illegittimamente licenziato prima del trasferimento di azienda, continua con il cessionario dell'azienda qualora, per effetto della sentenza intervenuta tra le parti originarie del rapporto, il recesso sia stato annullato, salva la possibilità per il cessionario di opporre le eccezioni relative al rapporto di lavoro, alle modalità della sua cessazione o alla tutela applicabile al cedente avverso il licenziamento, a prescindere dall’eventuale formazione del giudicato nei confronti di quest’ultimo (Cass. n. 4130/2014). Invece, in caso di nullità della cessione d’azienda, le vicende risolutive del rapporto di lavoro con il cessionario, in quanto instaurato in via di mero fatto, non sono idonee ad incidere sul rapporto con il cedente ancora in essere, sebbene quiescente fino alla declaratoria di nullità della cessione (Cass. n. 5998/2019). I diritti dei lavoratoriIl lavoratore nel passaggio da un'azienda ad un'altra conserva la totalità dei diritti e non solo quelli relativi all'anzianità raggiunta. Quindi, ogni situazione soggettiva relativa alla posizione attiva nel rapporto di lavoro: conservazione delle mansioni, delle qualifiche e dei livelli retributivi in atto al momento del trasferimento dell'azienda Ad avviso della dottrina, questi diritti sono diversi da quelli maturati, cioè già entrati nel patrimonio del prestatore e che per questo motivo non possono essere coinvolti nella vicenda traslativa relativa all'azienda, per i quali opera invece il regime della responsabilità solidale tra cedente e cessionario (Romei, 157). Ad avviso della giurisprudenza, anche i contratti di assicurazione contro gli infortuni e il rischio morte dei dipendenti si trasferiscono in capo al cessionario (Cass. n. 1278/2003). La stessa giurisprudenza afferma che, in conformità a quanto previsto nella normativa comunitaria (direttive del Consiglio Cee n. 77/187 e 2001/23), il trasferimento d'azienda, così come non comporta l'interruzione dei rapporti dei dipendenti ceduti, neanche comporta di per sé l'automatica caducazione delle competenze e degli status sindacali preesistenti, i quali sono funzionali, per loro natura, alla tutela degli stessi lavoratori trasferiti (Cass. n. 6723/2003). La giurisprudenza precisa, inoltre, che la garanzia apprestata dall'art. 2112 ai diritti derivanti dal rapporto di lavoro non implica anche la parificazione a tutti gli effetti con i dipendenti già in servizio presso l'impresa cessionaria, cosicché non è precluso alla disciplina contrattuale operante presso quest'ultima di accordare vantaggi ai soli lavoratori dell'impresa cessionaria (Cass. n. 29291/2019; Cass. n. 7202/2009). Nella stessa prospettiva, v. Cass. n. 2491/1994, secondo la quale ai lavoratori dell'impresa ceduta non possono spettare vantaggi già conseguiti dai lavoratori dell'impresa cessionaria per specifiche cause verificatesi prima della cessione. La responsabilità solidale per i crediti del lavoratoreRispetto alla disciplina posta dal comma 2 dell'art. 2112, che prevede la solidarietà tra cedente e cessionario per i crediti vantati dal lavoratore al momento del trasferimento d'azienda a prescindere dalla conoscenza o conoscibilità degli stessi da parte del cessionario, la giurisprudenza è consolidata nel senso che essa presuppone — al pari di quella prevista dai comma 1 e 3 della medesima disposizione quanto alla garanzia della continuazione del rapporto e dei trattamenti economici e normativi applicabili — la vigenza del rapporto di lavoro al momento del trasferimento d'azienda, con la conseguenza che non è applicabile ai crediti relativi ai rapporti di lavoro esauritisi o non ancora costituitisi a tale momento, salva in ogni caso l'applicabilità dell'art. 2560 che contempla, in generale la responsabilità dell'acquirente per i debiti dell'azienda ceduta, ove risultino dai libri contabili obbligatori (Cass. n. 10858/2018; Cass. n. 4598/2015; Cass. n. 7517/2010). Con riferimento al trattamento di fine rapporto, la giurisprudenza afferma che il datore di lavoro cessionario è obbligato nei confronti del lavoratore, il cui rapporto sia con lui proseguito, quanto alla quota maturata nel periodo anteriore alla cessione, in ragione del vincolo di solidarietà e resta l'unico obbligato quanto alla quota maturata nel periodo successivo alla cessione; il datore di lavoro cedente rimane obbligato nei confronti del lavoratore suo dipendente per la quota di trattamento di fine rapporto maturata durante il periodo di lavoro svolto fino al trasferimento aziendale (Cass. n. 164/2016). Invece i debiti contratti dall'alienante nei confronti degli istituti previdenziali per l'omesso versamento dei contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento, costituiscono debiti inerenti all'esercizio dell'azienda e restano soggetti alla disciplina dettata dall'art. 2560, senza che possa operare l'automatica estensione di responsabilità all'acquirente ex art. 2112, neanche in virtù di un'interpretazione a contrario della previsione di cui all'art. 3, § 4, lett. a), della Dir. n. 2001/23/CE, stante l'autonomia del rapporto contributivo, intercorrente tra datore di lavoro ed ente previdenziale, dal rapporto di lavoro (Cass. n. 3646/2016; Cass. n. 8179/2001) Il contratto collettivo applicabileAi lavoratori che passano alle dipendenze dell'impresa incorporante si applica il contratto collettivo che regolava il rapporto di lavoro presso l'azienda cedente solamente nel caso in cui l'impresa cessionaria non applichi alcun contratto collettivo, mentre, in caso contrario, la contrattazione collettiva dell'impresa cedente è sostituita immediatamente ed in tutto da quella applicata nell'impresa cessionaria anche se più sfavorevole (giurisprudenza unanime: Cass. n. 37291/2021; Cass. n. 10614/2011; Cass. n. 5882/2010). Peraltro va segnalato che l'art. 2112, comma 4, ultimo periodo, attribuisce al lavoratore le cui condizioni di lavoro subiscano una sostanziale modifica nei tre mesi successivi al trasferimento d'azienda la facoltà di dimissioni con gli effetti dell'art. 2119, comma 1. Come ha sottolineato la dottrina, in sostanza il lavoratore potrà dimettersi senza dare il preavviso e ricevendo l'indennità sostitutiva del preavviso, anche se non si sia verificata alcuna circostanza qualificabile come giusta causa (Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 145). Gli obblighi di informazione e consultazione con le rappresentanze sindacaliL'art. 47 l. n. 428/1990, prevede una particolare tutela di tipo procedurale quando l'azienda nel suo complesso occupa più di quindici dipendenti. Cedente e cessionario debbono inviare un'informativa preventiva alle rappresentanze sindacali costituite nelle unità produttive interessate, nonché alle rispettive associazioni di categoria e, su richiesta di queste, sono tenute ad avviare un esame congiunto. Ad avviso della giurisprudenza, la norma, nel prevedere l'obbligo del cedente e del cessionario di comunicare, tempestivamente e per iscritto, alle organizzazioni sindacali - oltre alla data del trasferimento, alle conseguenze per i lavoratori e alle eventuali misure nei confronti degli stessi - i motivi della cessione, non impone anche di indicare, nell'atto, le ragioni giustificatrici della decisione (Cass. n. 3537/2013). La violazione di tali oneri procedurali costituisce, ai sensi dell'art. 47, comma 3, condotta antisindacale. La giurisprudenza sostiene che ogni contestazione attinente al comportamento del cedente o del cessionario, che non sia improntato ai principi di correttezza e di buona fede può essere sollevata soltanto dalle organizzazioni sindacali contraenti, attesa la ratio, sottesa alla norma, di tutela sociale del lavoro dipendente affidata alle organizzazioni sindacali, non rilevando che gli accordi siano stati presi nell'interesse e per la tutela dei diritti e delle aspettative del lavoratori, né ricorrendo, nella specie, un contratto a favore di terzi (Cass. n. 24093/2009). Ne consegue che i lavoratori, avendo un interesse di fatto al rispetto degli obblighi di comunicazione, non sono legittimati a far valere la carenza o la falsità delle informazioni (Cass. n. 17072/2005). Ma la questione maggiormente rilevante attiene alla possibile incidenza della violazione della procedura di confronto sindacale prevista dall'art. 47, sulla validità del negozio traslativo dell'azienda. La giurisprudenza appare orientata a negare tale influenza, sostenendo che l'inadempimento in questione configura un comportamento che viola l'interesse del destinatario delle informazioni, ossia il sindacato, e che, sussistendone i presupposti, costituisce condotta antisindacale, ma non incide sulla validità del negozio di trasferimento (Cass. n. 9130/2003), non potendosi configurare l'osservanza delle suddette procedure sindacali alla stregua di un presupposto di legittimità (e quindi di un requisito di validità) del predetto negozio (Cass. n. 23/2009). Conforme la dottrina (Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, 145). Il trasferimento dell'azienda in crisiL’art. 47 l. n. 428/1990 prevede, poi, una disciplina particolare in caso di trasferimento di imprese in crisi. Ciò al fine di agevolarne il rilevamento ed il salvataggio da parte del nuovo titolare. La norma, oggetto di modifiche da parte del d.lgs. n. 14/2019 entrate in vigore il 15 luglio 2022, prevede che, nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’art. 2112 trova applicazione nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo qualora il trasferimento riguardi aziende: a) per le quali vi sia stata la dichiarazione di apertura della procedura di concordato preventivo in regime di continuità indiretta, ai sensi dell'articolo 84, comma 2, dello stesso d.lgs. n. 14/2019, con trasferimento di azienda successivo all'apertura del concordato stesso; b) per le quali vi sia stata l'omologazione degli accordi di ristrutturazione dei debiti, quando gli accordi non hanno carattere liquidatorio; c) per le quali è stata disposta l'amministrazione straordinaria, ai sensi del d.lgs. n. 270/1999, in caso di continuazione o di mancata cessazione dell'attività Si aggiunge che, qualora il trasferimento riguardi o imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata, i rapporti di lavoro continuano con il cessionario. Tuttavia, in tali ipotesi possono stipularsi, con finalità di salvaguardia dell'occupazione, contratti collettivi ai sensi dell'art. 51 d.lgs. n. 81/2015, in deroga all'articolo 2112, commi 1, 3 e 4. La norma fa poi salva la possibilità di accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all'articolo 2113, ultimo comma. In tali ipotesi non si applica l'articolo 2112, comma 2, e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell'azienda. Infine, qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata sottoposizione all'amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell'attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell'occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l'acquirente non trova applicazione l'art. 2112, salvo che dall'accordo risultino condizioni di miglior favore; il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest'ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell'alienante. Nel vigore della precedente versione dell’art. 47 l. n. 428/1990, la giurisprudenza ha affermato che, per ritenersi efficaci modificazioni peggiorative del trattamento dei lavoratori, in deroga all’art. 2112, allo scopo di conservare i livelli occupazionali, quando venga trasferita l’azienda di un’impresa insolvente, è necessario che l’accordo collettivo idoneo a costituire norma derogatoria della fattispecie risulti essere stato concluso, altrimenti restando applicabile la disciplina legale non derogata (Cass. n. 19282/2011) ed è necessario, non un generico accordo sul mantenimento parziale dell’occupazione, ma un accordo con questo contenuto che sia intervenuto espressamente all’interno delle trattative con le organizzazioni sindacali effettuate ai sensi del primo e secondo comma del medesimo art. 47, e secondo la procedura dettagliatamente disciplinata da questi ultimi (Cass. n. 8292/2006). In tema occorre ricordare, poi, che l’art. 63, comma 4, d.lgs. n. 270/1999, prevede che, nell’ipotesi di vendita di aziende o rami di aziende in esercizio nell’ambito della procedura di amministrazione straordinaria, nella sede delle consultazioni relative al trasferimento d’azienda previste dall’art. 47 l. n. 428/1990, il commissario straordinario, l’acquirente e i rappresentanti dei lavoratori possono convenire il trasferimento solo parziale dei lavoratori alle dipendenze dell’acquirente e ulteriori modifiche delle condizioni di lavoro consentite dalle norme vigenti in materia. La giurisprudenza ritiene che gli accordi così stipulati possano prevedere anche la rinuncia alla solidarietà del cessionario per le obbligazioni anteriori al trasferimento, quale condizione per la prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass. 23473/2014; in dottrina, nel senso che il regime di solidarietà sia applicabile anche in questa fattispecie e possa essere escluso solamente in virtù dell’accordo sindacale, Marazza-Garofalo, 78) BibliografiaAmendola, La disciplina delle mansioni nel d.lgs. n. 81 del 2015, in Dir. lav. merc. 2015489; Angiello, La retribuzione, Milano, 1990, 2003; Brollo, Lo jus variandi, in Carinci (a cura di), Jobs Act: un primo bilancio, Modena, 2016, 226; Carinci-De Luca Tamajo-Tosi-Treu, Diritto del lavoro. 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