Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 36 - Reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori 1

Alessandro Farolfi

Reclamo contro gli atti del curatore e del comitato dei creditori 1

 

Contro gli atti di amministrazione del curatore, contro le autorizzazioni o i dinieghi del comitato dei creditori e i relativi comportamenti omissivi, il fallito e ogni altro interessato possono proporre reclamo al giudice delegato per violazione di legge, entro otto giorni dalla conoscenza dell'atto o, in caso di omissione, dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere. Il giudice delegato, sentite le parti, decide con decreto motivato, omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio.

Contro il decreto del giudice delegato è ammesso ricorso al tribunale entro otto giorni dalla data della comunicazione del decreto medesimo. Il tribunale decide entro trenta giorni, sentito il curatore e il reclamante, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, con decreto motivato non soggetto a gravame.

Se è accolto il reclamo concernente un comportamento omissivo del curatore, questi è tenuto a dare esecuzione al provvedimento della autorità giudiziaria. Se è accolto il reclamo concernente un comportamento omissivo del comitato dei creditori, il giudice delegato provvede in sostituzione di quest'ultimo con l'accoglimento del reclamo.

[1] Articolo sostituito dall'articolo 32 del D.Lgs. 9 gennaio 2006, n. 5.

Inquadramento

La norma di cui all'art. 36 l.fall. è stata profondamente incisa dalla riforma sotto almeno tre profili: a) in primo luogo estendendo il termine per proporre questa tipologia di impugnazione, passata da tre ad otto giorni, al fine di rendere in concreto possibile questa forma di controllo e non impedirne di fatto la stessa proponibilità; b) in secondo luogo, alla luce del nuovo sistema degli organi deputati allo svolgimento della procedura fallimentare, prevedendo la reclamabilità anche delle autorizzazioni e dei dinieghi espressi dal comitato dei creditori; c) infine, rimodellando l'oggetto del controllo, che da un lato ha visto l'espressa inclusione dei comportamenti omissivi del curatore ed i dinieghi, appunto, del comitato dei creditori, dall'altro si è visto inciso di una parte della materia della valutazioni che è possibile esprimere in sede di questo reclamo, nel senso che – a differenza del reclamo avvero gli atti del g.d. ex art. 26 l.fall., che è possibile censurare anche sotto il profilo dell'opportunità – in questa sede è unicamente possibile dolersi delle violazioni di legittimità. Si tratta certamente di una innovazione rilevante, che vale a rafforzare il ruolo di autonomia spettante al curatore, i cui atti od omissioni possono così essere censurati unicamente sotto l'aspetto (non della convenienza economica ma) della distonia rispetto al modello legale di riferimento dell'atto reclamato, ossia per i soli vizi di legittimità.

Si è ritenuto che il decreto col quale il tribunale fallimentare provvede, ai sensi dell'art. 36 l.fall., sul reclamo avverso il decreto del giudice delegato adito contro gli atti di amministrazione del curatore (nella specie, lo scioglimento dal contratto preliminare) non ha natura decisoria, in quanto non risolve una controversia su diritti soggettivi, rientrando viceversa tra i provvedimenti di controllo sull'esercizio del potere amministrativo del curatore. Ne consegue che esso non è impugnabile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., potendo i terzi interessati contestare gli effetti dell'attività nelle sedi ordinarie (nella specie, innanzitutto, nella sede naturale del giudizio ex art. 2932 c.c. o endoconcorsuali ex art. 93 e 103 l.fall.) (Cass. n. 8870/2012). Peraltro, secondo la giurisprudenza (argomento che vale rispetto al reclamo su atti che incidono su diritti soggettivi), il decreto confermativo della legittimità dell'operato del curatore (nella specie scioltosi, ex art. 72 l.fall., da un contratto di licenza per l'uso di tecnologia software, stipulato dalla società fallita quando era in bonis), reso dal collegio adito dall'altro contraente ex art. 36, secondo comma, legge fall., ove non impugnato per cassazione, è definitivo, rendendo così successivamente inoppugnabile la giurisdizione italiana sulla domanda concernente la sussistenza del suddetto potere del curatore, nonché su quelle dipendenti o connesse (Cass. n. 17866/2013). Si è ritenuto che proprio la possibilità di reclamo ex art. 36 l.fall. escluda il requisito della sussidiarietà e quindi l'ammissibilità di una richiesta cautelare ex art. 700 c.p.c.: è inammissibile il ricorso cautelare avverso un fallimento per chiedere l'inibitoria dall'uso della denominazione sociale, in quanto il sistema endoconcorsuale offre strumenti adeguati a garantire il puntuale rispetto di obblighi di legge gravanti sul curatore (nella specie il reclamo al giudice delegato ai sensi dell'art. 36 l.fall.) (Trib. Milano, 3 ottobre 2011).

Procedimento

L'art. 36 comma 1 dedica al procedimento poche indicazioni. Si prevede infatti che il giudice, sentite le parti, decide con decreto motivato, omessa ogni formalità non indispensabile al contraddittorio». Tale scarna disciplina indubbiamente rimanda alla nozione di procedimenti camerali, i quali, come nel caso di specie, possono anche riguardare situazioni nella quali vi sia un conflitto fra le parti, ed anche in ordine a diritti soggettivi delle stesse. Questo spiega l'esigenza necessaria del contraddittorio e l'assenza di formalità. Fra le norme che è quindi possibile richiamare analogicamente rientra l'art. 738 ult. comma c.p.c., secondo cui «il giudice può assumere informazioni». Si deve perciò ritenere che il g.d. adito con questo reclamo possa compiere un'attività istruttoria deformalizzata, potendo quindi procedere all'assunzione di informazioni da parte di terzi, disporre che il curatore relazioni, sentire il comitato dei creditori ed, eventualmente, compiere delle verifiche che in caso certo rari, ma non impossibili da verificarsi, potrebbero riguardare anche la nomina di esperti o periti. Quello che appare evidente dal disposto dell'art. 36 è che il g.d. potrà assumere queste informazioni anche senza seguire pedissequamente il corrispondente modello probatorio previsto per il processo civile ordinario di cognizione e, quindi, potendo anche superare le condizioni di ammissibilità di talune prove previste dalle disposizioni codicistiche. La possibilità di convocare il curatore o il comitato dei creditori e chiedere agli stessi relazioni o informazioni si ricollega, altresì, alla più generale disposizione contenuta nell'art. 25 comma 1, n. 3. La legittimazione a proporre il reclamo spetta, in primo luogo, al fallito, ma è estesa anche ad ogni altro interessato, espressione quest'ultima da intendere correttamente come quel soggetto che possa risentire dall'atto o dall'autorizzazione un pregiudizio diretto, e non la semplice compromissione di una mera aspettativa, dovendo perciò la legittimazione attiva valutarsi con un certo rigore allorché la stessa riguardi soggetti terzi rispetto alla procedura fallimentare.

Si è ritenuto in giurisprudenza che l'art. 110, comma 3, l.fall., prevedendo che, nei confronti del progetto di riparto dell'attivo fallimentare, i creditori possono proporre reclamo al giudice delegato ai sensi dell'art. 36 l.fall., rinvia integralmente alla disciplina processuale ivi contenuta, compreso il termine di otto giorni per ricorrere al tribunale nei confronti del decreto pronunciato dal giudice delegato (Cass. n. 17948/2016). Ancora, si è osservato che il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso l'atto del curatore di scelta dell'affittuario va dichiarato inammissibile se proposto quando il giudice delegato aveva già autorizzato l'affitto dell'azienda in favore del soggetto preventivamente scelto dal curatore. In casi in cui l'impugnazione è proposta successivamente all'autorizzazione del giudice delegato all'affitto (successiva a sua volta alla scelta dell'affittuario già operata dal curatore), l'interpretazione della norma di cui all'art. 104-bis l.fall. che appare preferibile impone di ritenere che l'unico reclamo esperibile è quello di cui all'art. 26 l.fall. avverso il provvedimento del giudice delegato., che, autorizzando l'affitto dell'azienda al soggetto prescelto, necessariamente conferma la correttezza della scelta operata dal curatore (Trib. Brescia, 11 giugno 2015; in senso contrario, esclude il reclamo ex art. 26 per ammettere quello ex art. 36 Trib. Milano, 23 luglio 2014). Sia pure con riferimento al reclamo ex art. 26, ma con un principio mutatis mutandis esportabile al caso in esame, si è affermato che l'elenco dei soggetti legittimati a proporre reclamo avverso i decreti del giudice delegato e del tribunale contiene l'indicazione di chiusura «chiunque vi abbia interesse». In tal modo la legittimazione attiva viene ampliata, con una formulazione che riecheggia quella dell'art. 1421 c.c., ricomprendendo anche terzi rimasti estranei al provvedimento impugnato. L'interesse a reclamare, peraltro, deve essere qualificato, ai sensi dell'art. 100 c.p.c. Ove, per l'effetto, non riguardi il fallito, o il curatore o il comitato dei creditori (cui sempre compete la legittimazione attiva) deve consistere nella minaccia di un pregiudizio scaturente direttamente dal provvedimento emesso. Deriva da quanto precede, pertanto, che qualora sia stata negata la sospensione della vendita coattiva del complesso aziendale (invocata ai sensi dell'art. 20 l. n. 44 del 1999, in tema di usura) la legittimazione al reclamo non può essere riconosciuta ai soci della società di capitali fallita, portatori di un mero interesse di fatto alla conservazione della consistenza economica del patrimonio sociale (Cass. n. 8434/2012).

Termine

Si è detto che il termine oggi previsto per proporre reclamo avvero atti o comportamenti omissivi del curatore od autorizzazioni o dinieghi del comitato dei creditori è di otto giorni. Il termine decorre, per gli atti commissivi, dalla conoscenza dell'atto (o dell'autorizzazione o del diniego). La conoscenza decorre dalla comunicazione o notificazione del provvedimento o, come può trarsi dalla disciplina pure innovativa dell'art. 26 l.fall., dal compimento della pubblicità relativa all'atto stesso o, nel caso di atto del curatore od autorizzazione del comitato di contenuto procedimentale, dell'atto cui lo stesso si collega (potrebbe darsi, ad esempio, che l'autorizzazione del comitato dei creditori venga a conoscenza del soggetto interessato attraverso la comunicazione o notifica di altro atto cui è allegata l'autorizzazione che si vuole contestare). Per i comportamenti omissivi o inerti appare persuasiva la tesi che distingue fra atti del curatore e atti del comitato dei creditori. Per i primi il termine per l'impugnazione decorre dalla scadenza del termine indicato nella diffida a provvedere (si pensi, ad esempio alla fissazione di un termine per decidere se subentrare o sciogliersi da un rapporto pendente, ex art. 72 comma 2 l.fall.). Ma si ritiene che la diffida ad adempiere non sempre sia necessaria, potendo l'impugnativa anche proporsi dalla conoscenza del comportamento inerte. Si ritiene invece che per le omissioni del comitato dei creditori l'impugnazione formale neppure sia necessaria quando il curatore solleciti lo stesso g.d. a provvedere in luogo dell'organo inerte, ai sensi dell'art. 41 comma 4 l.fall.

Si è ritenuto in giurisprudenza che l'art. 110, comma 3, l.fall., prevedendo che, nei confronti del progetto di riparto dell'attivo fallimentare, i creditori possono proporre reclamo al giudice delegato ai sensi dell'art. 36 l.fall., rinvia integralmente alla disciplina processuale ivi contenuta, compreso il termine di otto giorni per ricorrere al tribunale nei confronti del decreto pronunciato dal giudice delegato (Cass. n. 17948/2016). Quanto al contraddittorio si è osservato che nel procedimento introdotto dal creditore con il reclamo avverso il progetto di riparto reso esecutivo dal giudice delegato sono contraddittori necessari solo il curatore e quei creditori la cui quota di ripartizione subisca variazioni per effetto dell'accoglimento del reclamo, non già il fallito e il comitato dei creditori (Cass. n. 17270/2014).

Violazione di legge e sindacato

Il gravame in esame si differenzia in modo fondamentale dal reclamo avverso i provvedimenti del g.d. in quanto, diversamente da ques'tultimo, è consentito solamente per «violazione di legge». Secondo la dottrina assolutamente prevalente, tale concetto va ricondotto ai classici vizi dell'atto amministrativo, incompetenza, illegittimità ed eccesso di potere. Mentre l'incompetenza riguarda l'emissione di un atto o comportamento da parte di un soggetto diverso da quello investito del relativo potere e funzione, si discute dell'estensione da dare al concetto di illegittimità. Secondo l'opinione maggioritaria (Vassalli, 265; Fabiani, 266) non viene qui in considerazione una qualunque distonia dell'atto rispetto alla disciplina del medesimo, ma soltanto la violazione di regole e norme che attengono la disciplina propria del procedimento fallimentare. In altri termini, ove si tratti di un atto negoziale compiuto dal curatore, non sarebbe possibile avvalersi di questa forma di reclamo per contestare una violazione delle norme che disciplinano il contenuto contrattuale, in quanto in tal caso si dovrebbe procedere con un giudizio ordinario. Tale conclusione, come si vedrà al paragrafo successivo, viene tuttavia messa in dubbio da una nuova forma di reclamo recentemente introdotta dal d.l. n. 83/2015 convertito con modifiche dalla l. n. 132/2015. Si discute inoltre se la violazione di legge possa consistere unicamente nella presunta violazione del precetto di cui all'art. 38 comma 2 l.fall., secondo cui il curatore adempie ai doveri del proprio ufficio, imposti dalla legge o derivanti dal piano di liquidazione approvato, con la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico». È evidente che ove si ritenga di ammettere il reclamo per violazione del livello di diligenza necessaria al compimento dell'atto, si finisce giocoforza per reintrodurre nel reclamo in parola una sia pur minima sindacabilità del merito e della convenienza dell'atto impugnato, peraltro in violazione del dato testuale di cui all'art. 31 comma 1 l.fall. Possono costituire oggetto di sindacato tutti gli atti di amministrazione attiva spettanti al curatore, siano essi di ordinaria quanto di straordinaria amministrazione. La circostanza che l'atto richieda una preventiva autorizzazione non esclude la reclamabilità dell'atto gestorio (anzi, si potrà discutere dell'autonoma reclamabilità della stessa autorizzazione, ex art. 36 l.fall. se la stessa promana dal c.d.c., oppure ex art. 26 l.fall. se di competenza del curatore). Rientrano fra gli atti reclamabili anche quelli di contenuto processuale, come l'esercizio di un'azione, l'abbandono della stessa, la transazione su di una lite pendente, etc.

In tema di fallimento, il reclamo ex art. 36 l.fall. avverso gli atti del comitato dei creditori e del curatore deve essere limitato alle ipotesi in cui gli stessi rivestono efficacia esterna ed abbiano natura provvedimentale o decisoria e, come tali, siano idonei ad incidere sulle posizioni dei soggetti interessati (Trib. Monza, 10 dicembre 2015). In realtà deve ritenersi che ciò valga soltanto in linea di principio, posto che da un lato il reclamo è ammesso anche nei confronti delle omissioni del curatore e, dall'altro, pure espressamente è prevista la sindacabilità di autorizzazioni o dinieghi del comitato dei creditori che, in alcuni casi, hanno una valenza procedimentale meramente interna.

Nuovo reclamo sulla trascrizione della sentenza di fallimento

Fra le novità introdotte dalla riforma estiva del 2015 (operata con il d.l. n. 83/2015 convertito con modd. dalla l. n. 132/2015) rientra anche la modifica dell'art. 64 l.fall. che, da questo punto di vista, rappresenta una sorta di trasposizione in sede fallimentare della nuova revocatoria semplificata degli atti gratuiti, contestualmente introdotta dalla riforma attraverso il nuovo art. 2929-bis c.c. Sotto la rubrica «Espropriazione di beni oggetto di vincoli di indisponibilità o di alienazioni a titolo gratuito», infatti, quest'ultima disposizione consente di agire esecutivamente senza dover previamente attendere l'esito dell'azione revocatoria rivolta a rimuovere l'efficacia del vincolo o dell'atto di disposizione a titolo gratuito, se compiuto successivamente al sorgere del debito e avente ad oggetto beni immobili o mobili registrati. L'azione è esperibile a condizione che, alla data del pignoramento, non sia decorso un anno dalla data di trascrizione dell'atto, cioè dall'adempimento formale che lo rende conoscibile e opponibile ai terzi. Quest'ultima disposizione civilistica (come modificata nel 2016 dal d.l. 59/2016 convertito con modd. dalla l. n. 119/2016) ha infatti cura di precisare che: «I. Il creditore che sia pregiudicato da un atto del debitore, di costituzione di vincolo di indisponibilità o di alienazione, che ha per oggetto beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, compiuto a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, può procedere, munito di titolo esecutivo, a esecuzione forzata, ancorché non abbia preventivamente ottenuto sentenza dichiarativa di inefficacia, se trascrive il pignoramento nel termine di un anno dalla data in cui l'atto è stato trascritto. La disposizione di cui al presente comma si applica anche al creditore anteriore che, entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole, interviene nell'esecuzione da altri promossa. II. Quando il bene, per effetto o in conseguenza dell'atto, è stato trasferito a un terzo, il creditore promuove l'azione esecutiva nelle forme dell'espropriazione contro il terzo proprietario ed è preferito ai creditori personali di costui nella distribuzione del ricavato. Se con l'atto è stato riservato o costituito alcuno dei diritti di cui al primo comma dell'art. 2812, il creditore pignora la cosa come libera nei confronti del proprietario. Tali diritti si estinguono con la vendita del bene e i terzi titolari sono ammessi a far valere le loro ragioni sul ricavato, con preferenza rispetto ai creditori cui i diritti sono opponibili. III. Il debitore, il terzo assoggettato a espropriazione e ogni altro interessato alla conservazione del vincolo possono proporre le opposizioni all'esecuzione di cui al titolo V del libro terzo del codice di procedura civile quando contestano la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma o che l'atto abbia arrecato pregiudizio alle ragioni del creditore o che il debitore abbia avuto conoscenza del pregiudizio arrecato. IV. L'azione esecutiva di cui al presente articolo non può esercitarsi in pregiudizio dei diritti acquistati a titolo oneroso dall'avente causa del contraente immediato, salvi gli effetti della trascrizione del pignoramento». Si legge nella relazione di accompagnamento che «il beneficio per il ceto creditorio consiste in una riduzione di tempi e costi necessari al realizzo coattivo del credito, in considerazione del fatto che la revocatoria è azione costitutiva e i relativi effetti si ritengono quindi subordinati, secondo stabile giurisprudenza, al passaggio in giudicato della sentenza. Il beneficio per l'amministrazione della giustizia consiste nella possibile riduzione di contenzioso, in ragione dell'eventualità che il debitore o terzo assoggettato a esecuzione non proponga opposizione». Tale opposizione, inoltre, non ha effetto sospensivo automaticomma La nuova «revocatoria implicita» semplificata pertanto richiede: a) l'anteriorità del credito la cui garanzia viene intaccata dall'atto gratuito o dal vincolo; b) la sussistenza di un titolo esecutivo in capo al creditore; c) la tempestività dell'iniziativa, posto che il pignoramento (contenente l'implicita revoca dell'atto dispositivo o del vincolo) deve intervenire entro un anno dalla trascrizione dell'atto pregiudizievole. Si deve osservare che la modifica dell'art. 64 l.fall. si muove nello stesso senso. Come noto, tale disposizione prevedeva già l'inefficacia degli atti a titolo gratuito (esclusi regali d'uso e liberalità proporzionate al patrimonio del debitore donante) compiuti nei due anni antecedenti la dichiarazione di fallimento. Trattasi di un termine a ritroso che, per inciso, può aumentare considerevolmente in relazione a quanto previsto dall'art. 69-bis l.fall., in caso di consecuzione della procedura fallimentare rispetto a quella concordataria (a sua volta quasi sempre precedura dalla fase «prenotativa» del concordato «in bianco»). Tuttavia, anche in questo caso si doveva pur sempre attendere che il curatore ottenesse un preventivo provvedimento giudiziale che dichiarasse tale inefficacia, con tutti i ritardi che questo poteva comportare in caso di difesa dilatoria. La nuova norma perciò precisa che «i beni oggetto degli atti di cui al primo comma sono acquisiti al patrimonio del fallimento mediante trascrizione della sentenza dichiarativa di fallimento. Nel caso di cui al presente articolo ogni interessato può proporre reclamo avverso la trascrizione a norma dell'articolo 36». Anche qui la potenziale limitazione dei diritti di difesa, persino per il terzo, è evidente ed il meccanismo di possibile reazione è affidato ad uno strumento oppositivo successivo e soltanto eventuale. Con l'aggravante che il termine per proporre reclamo di cui all'art. 36 l.fall. è soltanto di 8 giorni. Al fine di offrire una interpretazione costituzionale della norma, ritengo che tale brevissimo termine non possa farsi decorrere dalla data di trascrizione della sentenza di fallimento, ma da altro successivo adempimento che abbia l'effetto di rendere conosciuta al terzo e non semplicemente conoscibile in astratto la volontà del curatore di apprendere il bene all'attivo fallimentare (ad esempio il termine potrà decorrere dalla convocazione che il curatore invierà al fine di consentire la presenza in sede di redazione dell'inventario del terzo acquirente a titolo gratuito del bene del fallito o, al più tardi, dalla stessa inventariazione che resta comunque adempimento necessario ex art. 87 per l'apprensione materiale dei beni all'attivo della procedura). Ovviamente anche così interpretata, la «tensione» operata dalla norma sui diritti di difesa tanto del fallito quanto, soprattutto, del terzo avente causa, appare evidente, posta la natura prevalente sommaria del procedimento ex art. 36 l.fall., destinato a chiudersi con un decreto motivato del g.d. reclamabile avanti al Tribunale (il cui ultimo provvedimento dovrà ritenersi soggetto a ricorso straordinario per Cassazione ex art. 111 Cost. in quanto incidente su diritti).

Una recentissima pronuncia ha affrontato il problema delle modalità con le quali procedere ai nuovi adempimento, stabilendo che le trascrizioni nei registri immobiliari ai sensi dell'art. 64 comma II L. Fall. vanno effettuate presentando due note: la prima avrà «codice 617 – sentenza dichiarativa di fallimento» e sarà eseguita a favore della massa dei creditori e contro il fallito; la seconda avrà «codice 600 – atto generico», riporterà nell'indicazione dell'oggetto «apprensione dei beni al fallimento ex art. 64 comma II L. Fall.» e sarà effettuata sempre a favore della massa dei creditori ma contro sia il fallito sia il terzo avente causa (Trib. Reggio Emilia, 13 ottobre 2016). Che il termine biennale previsto per la revocabilità (oggi acquisibilità mediante trascrizione) degli atti gratuiti sia destinato a prolungarsi a ritroso in forza dell'eventuale consecuzione del fallimento rispetto a procedure concorsuali minori, è stato affermato da una pure recente pronuncia di legittimità, secondo cui il principio della consecuzione delle procedure concorsuali è preesistente alla introduzione (ad opera del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134) del secondo comma dell'art. 69-bis l.fall., norma, questa, che non ha fatto che altro che precisare che i termini di cui agli artt. 64, 65, 67, commi 1, 2, e 69 decorrono dalla pubblicazione della domanda di concordato nel registro delle imprese e ciò al fine di ricomprendere anche l'ipotesi della domanda di concordato con riserva introdotta dalla medesima modifica legislativa (Cass. 14 dicembre 2016, n. 25728).

Decisione e impugnabilità

Una volta acquisite le informazioni necessarie il ricorso «passa» in decisione senza particolari formalità e senza particolari preclusioni per le parti sino al momento in cui, appunto, il g.d. si riservi di provvedere (ovvero provveda contestualmente in udienza). Non è previsto un termine per la decisione. Si propone di colmare tale lacuna applicando analogicamente il termine di 30 gg. previsto sia dall'art. 26 l.fall. che dall'art. 36, comma 2 per il Tribunale in sede di ulteriore reclamo. Diverso è il contenuto della decisione favorevole a seconda che essa riguardi un atto del curatore oppure un'autorizzazione del c.d.c. Nel caso di accoglimento del reclamo nei confronti di un atto del curatore, infatti, il g.d. non può semplicemente sostituirsi al Curatore: egli annullerà l'atto (sola fase rescindente) ed il Curatore dovrà rivalutare la situazione e, salva l'insorgenza di questioni o situazioni sopravvenute, sarà tenuto a dare seguito al pronunciamento del g.d. Nel caso invece di accoglimento del reclamo nei confronti dell'autorizzazione del comitato questa deve intendersi rimossa e la decisione del g.d. vale essa stessa come diniego di autorizzazione, ai sensi dell'art. 41 comma 4 l.fall. Analogamente, nel caso in cui sia accolto un reclamo avvero una omissione del curatore, è il curatore ad essere tenuto ad adottare l'atto in conformità con la statuizione del giudice, mentre nel caso di accoglimento del reclamo avverso un comportamento omissivo del c.d.c. il g.d. può senz'altro pronunciare nel merito sostituendosi al comitato stesso, ex art. 41 comma 4 l.fall. Nel caso di contrasto e di soccombenza il g.d. dovrà altresì provvedere sulle spese, ritenendosi applicabile a questo procedimento la difesa tecnica necessaria (il curatore potrà però in certi casi opportunamente non costituirsi, evitando spese per la procedura, quando sia impugnato un proprio atto, mentre nel caso in cui sia egli a ricorrere non necessita dell'autorizzazione a stare in giudizio del g.d.). Il decreto del g.d. è a sua volta reclamabile nel termine di otto giorni dalla comunicazione del suo decreto. Il reclamo avviene al Tribunale, che decide in composizione collegiale, entro un termine acceleratorio (pur se non perentorio) di 30 giorni ed il reclamo si deve ritenere non sospenda l'efficacia del decreto del g.d. Si ritiene in genere che il decreto motivato del Tribunale non sia a sua volta ricorribile per Cassazione, ex art. 111 Cost., ma si tratta di conclusione che va comparata e valutata rispetto alla situazione in concreto dedotta in giudizio, posto che vi sono casi in cui la decisione potrebbe assumere un contenuto di definitività con carattere decisorio su diritti (è il caso, ad es. proprio del reclamo ex art. 36 introdotto dall'art. 64 l.fall. di cui si è appena parlato).

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