Regio decreto - 16/03/1942 - n. 267 art. 232 - Domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso col fallito.

Roberto Amatore

Domande di ammissione di crediti simulati o distrazioni senza concorso col fallito.

 

È punito con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 51 a euro 516, chiunque, fuori dei casi di concorso in bancarotta, anche per interposta persona presenta domanda di ammissione al passivo del fallimento per un credito fraudolentemente simulato1.

Se la domanda è ritirata prima della verificazione dello stato passivo, la pena è ridotta alla metà.

È punito con la reclusione da uno a cinque anni chiunque:

1) dopo la dichiarazione di fallimento, fuori dei casi di concorso in bancarotta o di favoreggiamento, sottrae, distrae, ricetta ovvero in pubbliche o private dichiarazioni dissimula beni del fallito;

2) essendo consapevole dello stato di dissesto dell'imprenditore distrae o ricetta merci o altri beni dello stesso o li acquista a prezzo notevolmente inferiore al valore corrente, se il fallimento si verifica.

La pena, nei casi previsti ai numeri 1 e 2, è aumentata se l'acquirente è un imprenditore che esercita un'attività commerciale.

[1] L'importo di cui al presente comma è stato elevato dall'articolo 3 della legge 12 luglio 1961, n. 603 e successivamente dall'articolo 113, comma 1 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

Inquadramento

In tema di distrazione senza concorso col fallito (art. 232 l.fall.), la condotta consiste essenzialmente nello stornare beni dal patrimonio tutelato, impedendone l'apprensione da parte degli organi fallimentari e presuppone, quindi, che i beni siano già entrati in tale patrimonio, mentre la riscossione di somma in virtù di un mandato irrevocabile «in rem propriam» dà luogo a un credito del fallimento e a un correlativo debito del mandatario, sicché l'eventuale inadempimento di questi dovuto a contestazioni sull'esistenza dell'obbligazione va contrastato con i rimedi civili e non può costituire il reato suddetto. (Fattispecie nella quale il Presidente del Consiglio di amministrazione della Banca Popolare di Verona aveva trattenuto la somma incassata quale mandatario delle Cartiere Trentine S.p.A., poi dichiarata fallita, a parziale copertura di debiti contratti con l'Istituto rappresentato dalla suddetta S.p.A.) (Cass. pen. V, n. 7891/1995).

La domanda di ammissione al passivo di crediti simulati

Il comma 1 dell'art. 232 tutela l'interesse alla veridicità ed effettività dei crediti insinuati, al fine di impedire che l'ammissione di crediti simulati annulli o diminuisca la possibilità di soddisfacimento dei crediti reali (Antolisei, 205).

Si tratta di una ipotesi di truffa ai danni della massa e pertanto non vi è dubbio che soggetto passivo del reato sia la procedura fallimentare (Balestrino, 537).

Il reato presuppone necessariamente l'intervenuta dichiarazione di fallimento e si consuma esclusivamente con la presentazione di domande di ammissione al passivo e non anche con quella di istanze di fallimento (Conti, 387).

Il momento consumativo del reato coincide con la presentazione della domanda di ammissione al passivo, anche tardiva, alla cancelleria del tribunale fallimentare, senza che abbia rilievo l'ammissione o meno del credito al passivo (Conti, 387).

Soggetto attivo del reato è chiunque, trattandosi di reato comune.

La condotta attiva è integrata dalla presentazione della domanda di ammissione al passivo, accompagnata o preceduta dalla fraudolenta simulazione del credito, ossia dalla predisposizione di elementi di prova caratterizzati da artifizi, raggiri, da documenti falsificati o altro, idonei a far apparire come reale un credito fittizio (Pajardi – Paluchowscki, 1044).

L'elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico, consistente nella volontà di presentare la domanda di ammissione al passivo con la consapevolezza che trattasi di credito simulato, ma senza che la lesione della garanzia debba rappresentare lo scopo dell'agente (Antolisei, 207).

Il comma due introduce una circostanza attenuante ad effetto speciale finalizzata ad ottenere un recesso operoso dell'autore del reato.

 Ai fini della consumazione del delitto di cui all'art. 232, comma 1, legge fall., è necessaria la presentazione di una domanda di ammissione al passivo fallimentare che abbia i requisiti di ammissibilità previsti dall'art. 93, legge fall. e che sia altresì corredata dalla documentazione giustificativa del credito vantato, idonea a perfezionare l'inganno, mentre rimane penalmente irrilevante la mera presentazione di una domanda di insinuazione contenente una semplice "dichiarazione", sprovvista di qualsivoglia documentazione del credito preteso (Cass. V, n. 27165/2018).

Le ipotesi delittuose previste dal comma 3, n. 1

La ricettazione postfallimentare ricomprende, innanzitutto, la sottrazione, ossia l'apprensione di un bene senza il consenso (Conti, 3931).

Il concetto di distrazione presuppone, invece, che il soggetto abbia già disponibilità del bene che dovrebbe essere appreso dalla massa fallimentare, e lo detenga dunque illegittimamente.

Al termine ricettazione deve essere attribuito non tanto un significato tecnico del fatto previsto dall'art. 648 c.p., bensì quello di dar ricetto, ricevere, occultare, intromettersi nell'acquisto dei beni, tenere presso di sé, acquistare a qualsisia titolo diverso dalla compravendita, indipendentemente dal fatto che si tratti di cose provenienti da un delitto fallimentare o meno (Antolisei, 214).

Non vale ad integrare la dissumulazione che consiste nell'occultamento e nascondimento, attuato mediante pubbliche o private dichiarazioni, il solo silenzio dell'agente (Antolisei, 214).

Tutte le ipotesi previste concretizzano reati formali di pericolo e la loro consumazione coincide con la realizzazione, dopo la dichiarazione di fallimento, della condotta criminosa (Conti, 393).

L'elemento soggettivo è il dolo generico, consistente nella scienza dell'intervenuta dichiarazione di fallimento accompagnata dalla consapevolezza che l'azione offende gli interessi dei creditori (Antolisei, 215).

Integra gli estremi del delitto di cui all'art. 232, comma terzo, n. 1, legge fallimentare (ricettazione post-fallimentare), la condotta consistita in distrazione di merci e danaro, di una società dichiarata fallita, dei quali si abbia la disponibilità per avere stipulato con il curatore fallimentare un contratto di affitto di azienda e un contratto estimatorio per la vendita delle merci in magazzino; né tale ipotesi può essere ricondotta al mero inadempimento contrattuale, posto che nel contratto estimatorio la proprietà delle cose resta al tradens fino a che non ne sia stato corrisposto il prezzo, sicché la condotta distrattiva ha per oggetto beni di proprietà del fallito (Cass. pen. V n. 21081/2004)

Le ipotesi delittuose previste dal comma 3, n. 2

Nell'oggetto materiale del reato di ricettazione prefallimentare rientra anche il denaro dell'imprenditore in dissesto (Cass. pen. V, n. 8383/2013).

Il delitto di ricettazione prefallimentare (art. 232, comma terzo, n. 2, l.fall.), si configura solo in mancanza di un accordo con l'imprenditore dichiarato fallito. Pertanto, il fatto del terzo non fallito che distragga beni prima del fallimento, in accordo con l'imprenditore, è punibile a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta patrimoniale, ex art. 216, comma primo e 223, comma primo, l.fall., e non a norma del predetto art. 232 l.fall. (Cass. pen. V, n. 16062/2012).

Non sussiste il «fumus delicti» dell'art. 648-ter cp. qualora la condotta di reimpiego di beni e somme provenienti da una società in decozione sia posta in essere prima della dichiarazione di fallimento, potendo, in tal caso, sussistere la diversa fattispecie di cui all'art. 232, comma terzo, n. 2 l.fall. (ricettazione fallimentare); mentre ai fini della configurabilità del reato di cui all'art. 648-ter c.p. è necessario che la detta condotta di reimpiego sia posta in essere in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento (Cass. pen. V, n. 135/2011).

Integra il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale (art. 216 l.fall.) e non la cosiddetta ricettazione prefallimentare (art. 232, comma terzo, n. 2, l.fall.) — che si configura in mancanza di un accordo con l'imprenditore fallito da parte dell'extraneus — l'ipotesi in cui la condotta di distrazione dei beni prima del fallimento sia posta in essere dal socio di fatto di una società di persone e, pertanto, illimitatamente responsabile, che non è un extraneus (Cass. pen. V, n. 24327/2005).

Il delitto di ricettazione prefallimentare, previsto dall'art. 232, terzo comma, n. 2 l.fall., si configura solo in mancanza di un accordo con l'imprenditore dichiarato fallito. Pertanto, il fatto del terzo non fallito che distragga beni prima del fallimento, d'accordo con l'imprenditore, è punibile a titolo di concorso in bancarotta fraudolenta, e non a norma del predetto art. 232 l.fall. (Fattispecie nella quale la Suprema Corte ha escluso il ricorrere del meno grave delitto di ricettazione prefallimentare, avendo il giudice di merito ritenuto la sussistenza dell'accordo fra il terzo e l'imprenditore fallito, sulla scorta di una serie di elementi enucleati dal contesto probatorio) (Cass. pen. V n. 2056/1993).

Non può essere oggetto di sequestro a norma dell'art. 253 nuovo c.p.p. il bene venduto da società in stato di dissesto e poi fallita, a prezzo notevolmente inferiore a quello di mercato, in quanto non si tratta di bene confiscabile quale corpo del reato, giacché mai destinato, anche in caso di condanna irrevocabile dell'indagato, ad essere appreso dall'Erario, sibbene solo dalla massa fallimentare a ristoro delle ragioni dei terzi creditori mediante l'azione revocatoria ordinaria o speciale (Cass. pen. V, n. 1326/1992).

Il delitto di ricettazione prefallimentare previsto dal terzo comma n. 2 dell'art. 232 l.fall. è configurabile anche nella ipotesi in cui oggetto della ricettazione sia un bene acquistato dal fallito con il patto di riservato dominio (Cass. pen. V, n. 863/1991).

Ai fini della valutazione del prezzo come «notevolmente inferiore al valore corrente», di cui all'art. 232, 3 comma n. 2 l.fall. (Ricettazione prefallimentare), non vi è alcuna norma che imponga al giudice di ricorrere al criterio della lesione «ultra dimidium» cui fa riferimento l'art. 1448 c.c. per l'azione generale di rescissione per lesione. Anzi, proprio dal confronto delle due norme è desumibile che il legislatore non ha inteso vincolare il giudice a criteri predeterminati, lasciando al libero convincimento dello stesso la valutazione di tutte le circostanze di fatto idonee a stabilire quando il prezzo pagato dal «ricettatore» è notevolmente inferiore al «valore corrente» del bene comprato (Cass. pen. V, n. 863/1991).

Il delitto di ricettazione prefallimentare, di cui all'art. 232, comma terzo n. 2, l.fall., è configurabile soltanto quando manchi un accordo con l'imprenditore fallito. Pertanto, il fatto del terzo non fallito che commetta distrazioni di beni prima del fallimento, in accordo con l'imprenditore, è punibile a titolo di concorso in bancarotta e non a norma del predetto art. 232 legge fallimentare (Cass. pen. I, n. 8131/1991).

La circostanza aggravante di cui al comma 4

Trattasi di una circostanza aggravante speciale, applicabile sia alle ipotesi di cui al n. 1 che a quelle di cui al n. 2 della comma 3. Ha osservato criticamente Antolisei, a proposito della formulazione normativa, che il riferimento esclusivo all'acquirente imprenditore che esercita attività commerciale rende inapplicabile, per il divieto di analogia in malam partem, la circostanza alle ipotesi ben più numerose diverse dall'acquisto (Antolisei, 216).

Bibliografia

Antolisei, Manuale di diritto penale. Leggi complementari, Milano, 2001, 216; Conti, Diritto penale commerciale. I reati fallimentari, Torino, 1991, 387; Balestrino, La bancarotta e gli altri reati concorsuali, Milano, 2006, 537.

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