Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 5 - Incompetenza.1. La competenza delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado è inderogabile. 2. L'incompetenza della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado è rilevabile, anche d'ufficio, soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce. 3. La sentenza della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado che dichiara la propria incompetenza rende incontestabile l'incompetenza dichiarata e la competenza della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado in essa indicata, se il processo viene riassunto a norma del comma 5. 4. Non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza. 5. La riassunzione del processo davanti alla corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado dichiarata competente deve essere effettuata a istanza di parte nel termine fissato nella sentenza o in mancanza nel termine di sei mesi dalla comunicazione della sentenza stessa. Se la riassunzione avviene nei termini suindicati il processo continua davanti alla nuova commissione, altrimenti si estingue. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 50 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Inquadramento.L'incompetenza nel diritto processuale civile comune è regolata dall'art. 38 c.p.c. In virtù dell'evidente carattere di norma speciale dell'art. 5 qui in commento, tali disposizioni non sono applicabili al rito tributario, il quale in verità conosce solo la competenza per territorio, essendo le altre questioni tutte inquadrabili nell'individuazione della giurisdizione e non esistendo questioni relative al valore e alla materia. Sebbene la competenza sia ovviamente oggetto di possibile censura il legislatore ha ritenuto che nel processo tributario fosse di rilevante interesse garantire una adeguata stabilità della competenza, alla quale ha provveduto limitando la rilevabilità del vizio al solo grado a cui il vizio si riferisce e sostanzialmente eliminando il regolamento di competenza, spesso causa di complessi conflitti e ritardi nella decisione del merito. Anche il meccanismo di accertamento della competenza e di delibazione delle eccezioni di incompetenza è improntato alla massima concisione, in quanto la Commissione officiata di pronunciarsi sulla questione può determinare la propria competenza o incompetenza irretrattabilmente, per cui la pronuncia che dichiara la competenza sarà impugnabile secondo le regole ordinarie, mentre nel caso di declinazione di competenza ad altra commissione non può sorgere alcuna ipotesi di conflitto, restando alla parte il solo potere di riassumere o meno il giudizio innanzi alla Corte dichiarata competente, a pena di estinzione. La nozione di competenza del Giudice TributarioNel processo tributario la competenza è inderogabile, quindi non ne è possibile alcuna modifica pattizia, ed è determinata dall'art. 4 del d.lgs. n. 456/1992. Anche in ordine alla competenza si applica il principio della c.d. perpetuatio jiurisdictionis di cui all'art. 5 c.p.c, che si determina pertanto con riferimento alla legge vigente al momento della presentazione della domanda ed allo stato di fatto esistente al medesimo momento, senza dunque che modifiche successive abbiano effetti sulla competenza, che resta incardinata secondo tale regola. (Glendi, cit., 1990, 87 ss., Gobbi, cit. 38). L'eccezione di incompetenza deve essere proposta, o la questione rilevata d'ufficio, esclusivamente nel grado a cui la ipotizzata incompetenza si riferisce, essendo perciò acquisito che, in mancanza di idonea contestazione, la competenza resta stabilita con la conseguenza che la sentenza emessa ancorché da giudice incompetente non è affetta da alcuna nullità né è impugnabile innanzi al giudice del gravame d'appello o ricorribile in Cassazione per tale preteso vizio, sanato dalla mancata tempestiva evocazione. (Cfr. Cass. n. 6791/2009, secondo cui «in forza di quanto previsto dall'art. 5, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, non può essere sollevata per la prima volta in sede di ricorso per Cassazione la questione dell'incompetenza della sezione staccata della Commissione Tributaria Regionale adita dall'appellante.», ma anche Cass. V, n. 9392/2007: «Nel processo tributario, il disposto dell'art. 5, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui «l'incompetenza della commissione tributaria è rilevabile, anche d'ufficio, soltanto nel grado al quale il vizio si riferisce», comporta che l'incompetenza del giudice adito, se non rilevata d'ufficio o dedotta nel grado cui si riferisce, resta incontestabile ancorata dinanzi al giudice adito.)». Dottrina e giurisprudenza hanno ormai concordemente convenuto che il termine per la rilevazione processualmente idonea dell'eccezione è collegato all'effettiva possibilità dello svolgimento di attività processuale, per cui la parte ricorrente potrà proporre l'eccezione fino alla scadenza delle memorie di replica nel caso di giudizio camerale (cinque giorni liberi prima della camera di consiglio), mentre in caso di udienza pubblica l'eccezione potrà essere articolata fino al momento della chiusura della discussione. Conseguenza solo apparentemente singolare frutto della natura inderogabile della competenza è (Cass. V, n. 20671/2014) che nel processo tributario sia ammissibile l'eccezione dello stesso ricorrente di incompetenza territoriale per violazione dell'art. 4 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 poiché, sostiene la Corte, «è irrilevante che essa provenga dalla stessa parte cui era rimessa l'individuazione dell'autorità giurisdizionale adita, attesa la natura «inderogabile» della competenza territoriale del giudice tributario, in relazione alla quale possono sempre essere sollecitati i poteri officiosi del giudice, rispondendo la relativa disciplina processuale — che prevede il radicamento della competenza in relazione al luogo della sede dell'ufficio, dell'ente o del concessionario che ha emesso l'atto impugnato — ad esigenze di tutela di interessi pubblici di efficienza e tempestività dell'accertamento sulla pretesa impositiva.” Con una serie di rilevanti pronunce la Suprema Corte ha inteso chiarire i limiti ed il senso del divieto di utilizzazione del regolamento di competenza del rito civile ordinario nel processo tributario, chiarendo da un lato (Cass. V, ord. n. 999/2016) che «....il processo tributario non può essere sospeso in attesa della definizione di una questione sottoposta, nell'ambito di una diversa controversia, alla Corte di Giustizia, né ai sensi dell'art. 39 del d.lgs. n. 546 del 1992, che regola i rapporti tra processo tributario e processi non tributari (cd. pregiudizialità esterna) e prevede la sospensione solo ove sia stata presentata querela di falso o debba essere risolta una questione sullo stato o sulla capacità delle persone diversa dalla capacità di stare in giudizio, né ai sensi dell'art. 295 c.p.c., che regola esclusivamente i rapporti tra processi tributari (cd. pregiudizialità interna)» e d'altro canto che «....in tema di contenzioso tributario, l'art. 5, quarto comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui «non si applicano le disposizioni del codice di procedura civile sui regolamenti di competenza», è inserito in un complesso normativo, integrante microsistema, contenuto negli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 546 cit., che riguarda la disciplina della competenza, essenzialmente per territorio, delle commissioni tributarie, e si riferisce soltanto alle questioni che queste possono essere chiamate a rendere in ordine a tale competenza. Pertanto, in conformità all'esigenza di tutelare i diritti fondamentali garantiti dagli artt. 24, primo comma, 111, secondo comma, della Costituzione e 6, primo comma, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, deve ritenersi che la norma sopra citata non esclude la proposizione del regolamento di competenza avverso i provvedimenti di sospensione del processo ex art. 295 c.p.c., impugnazione senz'altro ammissibile alla stregua del combinato disposto degli artt. 1, secondo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992 e 42 c.p.c. (Cass. VI ord., n. 18100/2013; sostanzialmente conformeCass. V, ord., n. 18104/2013). Parimenti nel senso indicato si erano pronunciate Cass. V, n. 8129/2007, e Cass. V, ord. n. 11140/2005. Altro principio di rilievo è quello contenuto nel comma 3 dell'art. 5, che rafforza ed irrigidisce – in materia di competenza – il principio forte dello stare decisis che ispira tutta la normativa processuale tributaria in tema di competenza. Infatti «..la sentenza della commissione tributaria che dichiara la propria incompetenza rende incontestabile, ex art. 5, comma 3, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, tale incompetenza, nonché la competenza della commissione tributaria in essa indicata, qualora il processo venga riassunto dinanzi a quest'ultima ai sensi del successivo comma 5, rimanendo irrilevante, ai fini della determinazione della competenza territoriale, nell'ipotesi (ricorrente nella specie) di impugnazione del silenzio rifiuto su istanza di rimborso, la questione, attinente al merito, circa la competenza, sul rapporto tributario, dell'ufficio cui l'istanza era stata presentata e la sua legittimazione a disporre il rimborso.» (Cass. V, n. 4605/2014) Solo apparente eccezione al principio di inderogabilità di cui all'art. 5 è quello ipotizzato nel caso di giudizi legati da litisconsorzio necessario da Cass. S.U., n. 14815/2008. Secondo la S.C., infatti, «...quando ricorra un'ipotesi di litisconsorzio necessario originario, il giudice tributario deve attenersi alle seguenti regole: a) se tutte le parti hanno proposto autonomamente ricorso, il giudice deve disporne la riunione ai sensi dell'art. 29 d.lgs. n. 546/1992, se sono tutti pendenti dinanzi alla stessa commissione (la facoltà di disporre la riunione si trasforma in obbligo in considerazione del vincolo del litisconsorzio necessario). Altrimenti, la riunione va disposta dinanzi al giudice preventivamente adito, in forza del criterio stabilito dall'art. 39, c.p.c., anche perché con la proposizione del primo ricorso sorge la necessità di integrare il contraddittorio e quindi si radica la competenza territoriale, senza che possa opporsi la inderogabilità della stessa, sancita dall'art. 5, comma 1, d.lgs. n. 546/1992. b) Se, invece, una o più parti non abbiano ricevuto la notifica dell'avviso di accertamento, o avendola ricevuta, non l'abbiano impugnato, il giudice adito per primo deve disporre l'integrazione del contraddittorio, mediante la loro chiamata in causa entro un termine stabilito a pena di decadenza (art. 14, comma 2, d.lgs. n. 546/1992).” Dunque in tal caso il problema non è la inderogabilità della competenza, ma l'applicazione della previa regola della priorità del giudice preventivamente adito. La riassunzione del giudizio innanzi al giudice competenteIl comma 5 della norma in commento sancisce l'obbligo della riassunzione del giudizio innanzi al giudice dichiarato competente. La dottrina afferma correttamente (Gobbi, 41) che si tratta di caso tipico di traslatio iudicii, per cui nella nuova fase del giudizio, anche a cagione della precisa letteralità della norma (cfr.: il processo continua) sono fatti salvi tutti gli elementi del processo originario riassunto, ivi compresi gli eventuali atti istruttori e ogni altra acquisizione che si sia già verificata. Ne consegue, per converso, che non vi è alcun automatismo della riassunzione, poiché l'istanza di parte è dichiarata dalla norma necessaria (Cfr. C.t.c. XXVII, 21 febbraio 2003, n. 1355: «Partendo dal presupposto che ogni giudice è, in primo luogo, giudice della propria competenza, ne discende la logica conseguenza secondo cui, poiché la pronuncia di incompetenza definisce, in ogni caso, la lite pendente dinanzi ad un determinato giudice, in mancanza di specifica norma in tal senso, il processo non può incardinarsi ex se dinanzi al giudice indicato quale competente, vincolando questi, poi, a pronunciarsi nel merito. Per arrivare a ciò è infatti necessario l'impulso di parte, costituito da un formale atto di riassunzione».). La decisione che assegna il processo al giudice ritenuto competente è irretrattabile e anche se sia stata la commissione di primo grado ad indicare come competente il giudice di secondo grado (Cfr. Cass. V, n. 16081/2000, nella specie si trattava di un giudizio di ottemperanza) quest'ultimo deve decidere nel merito non potendo più essere posta in discussione la sua competenza a delibare il merito del giudizio. Nel silenzio della norma, il termine semestrale (massimo, salvo quello diverso stabilito dal giudice con sentenza) entro il qual deve essere riassunto il giudizio non può essere ritenuto superato dalle nuove disposizioni di cui alla legge 18 giugno 2009 n. 69, che prevede la declaratoria di incompetenza nel rito civile con ordinanza e la riassunzione nel più breve termine di tre mesi (Gobbi, cit., 42) e, sempre silente il legislatore, appare evidente che la riassunzione seguirà le forme di cui all'art. 125 delle disposizioni di attuazione del codice di rito ordinario, mancando una norma speciale prevalente. BibliografiaGiuliani - Guzzanti - Aliberti – Chiarizia - Ruffini - Mastrogregori, Codice annotato del Contenzioso Tributario, Milano, 2007, 35 ss.; Gobbi, Il processo tributario, Milano, 2017, 38 ss.; Miccinesi, Commento sub art. 1-6 in Il Nuovo Processo Tributario, 2004, 3-80 |