Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 6 - Astensione e ricusazione dei componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado.Astensione e ricusazione dei componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado12. 1. L'astensione e la ricusazione dei componenti delle corti di giustizia tributaria di primo e secondo grado sono disciplinate dalle disposizioni del codice di procedura civile in quanto applicabili. 2. Il giudice tributario ha l'obbligo di astenersi e può essere ricusato anche nel caso di cui all'art. 13, comma 3, e in ogni caso in cui abbia o abbia avuto rapporti di lavoro autonomo ovvero di collaborazione con una delle parti. 3. Sulla ricusazione decide il collegio al quale appartiene il componente della corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado ricusato, senza la sua partecipazione e con l'integrazione di altro membro della stessa commissione designato dal suo presidente. [1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo. [2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 51 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. InquadramentoL'astensione, cioè la volontaria declinazione dalla funzione giurisdizionale, o la ricusazione, cioè la contestazione della omessa considerazione della sussistenza di una causa di astensione, sono istituti processuali tipici anche dei riti comuni, che fondano la loro ratio nei principi costituzionali di terzietà, imparzialità ed indipendenza del giudice. Il giudice tributario non sfugge a disposizioni di tal natura, ed anzi in gran parte si fa riferimento alle disposizioni di cui agli artt. 51 e — per quanto applicabili — 52 e 53 del codice ordinario di rito, a cui la norma speciale fa espresso rinvio (comma 1). Dalla disposizione di cui al comma 1 si ricava che operano tutte le cause di astensione di cui all'art. 51, ovviamente in alcuni casi per quanto possibile nel processo tributario (ad esempio, non esiste la possibilità di essere stato teste nel procedimento) con la bipartizione generale fra astensione obbligatoria ed astensione facoltativa (art. 51 comma 2, sussistenza di gravi ragioni di convenienza). Scatta inoltre, come nel rito civile, la possibilità di ricusazione, prevista dall'art. 52, nei casi in cui ci si troverebbe nella fattispecie di astensione obbligatoria. La norma contiene altresì, al comma 2, casi che potremmo definire speciali di astensione, l'uno legato alla partecipazione alle commissioni per il gratuito patrocinio, ora normativamente rivisitata ma sempre esistente, e l'altro legata alla peculiarità del giudice tributario, giudice onorario per il quale possono ricorrere le ipotesi affacciate dalla norma, cioè rapporti di collaborazione o di lavoro autonomo con una delle parti. Anche il procedimento di presa d'atto dell'astensione e quello di ricusazione sono mutuati dal rito civile, non esistendo norme speciali in materia. Il rinvio agli istituti del diritto processuale civileIl sistema complessivo che si evidenzia dagli istituti dell'astensione e della ricusazione nel rito tributario si collega in generale a quello delle incompatibilità funzionali, che nel processo tributario, a cagione della speciale composizione del Giudice, hanno rilievo particolarmente significativo, dovendosi coniugare auspicabilmente non solo l'imparzialità e la terzietà del Giudicante, ma anche la sua condivisa apparenza rispetto alle parti processuali. Non a caso l'incompatibilità a giudicare il caso specifico è stata collegata dalla dottrina (Gobbi, cit. 43) a quella di cui all'art. 8 del d.lgs. «gemello» n. 545/1992, che in realtà indica tuttavia le cause di incompatibilità generale all'assunzione dell'incarico di giudice tributario, non quelle a giudicare nel singolo caso da parte di giudici in possesso dei requisiti generali per lo svolgimento della funzione giudicante. Il combinato disposto dell'art. 6 in commento e dell'art. 51 c.p.c. consente di ritenere incontrovertibile l'esistenza anche per il giudice tributario di cause di astensione obbligatoria (quelle previste dal comma 1 dell'art. 51 richiamate implicitamente dal comma 1 dell'art. 6) e di cause di astensione facoltativa (quella di cui al comma 2 dell'art. 51, quando sussistano gravi ragioni di convenienza che suggeriscano allo stesso giudice di indicare l'inopportunità di una sua partecipazione al giudizio). Le cause di astensione obbligatoria sono quelle indicate dalla norma e sono insuscettibili di interpretazione estensiva o analogica, in quanto si tratta di disposizioni aventi già natura eccezionale rispetto al principio del giudice naturale. Il primo motivo di astensione obbligatoria è quello relativo all'interesse del giudice alla causa. In tale caso si tratta di un interesse diretto, la cui conseguenza è la nullità della sentenza, anzi la sua inesistenza, in quanto «nemo iudex in causa propria» e quindi la pronuncia che fosse resa in violazione dell'obbligo di astensione sarebbe in sostanza pronunciata da «non giudice». Negli altri casi, quelli in cui lo abbia in altra causa vertente su identica questione di diritto, l'interesse si definisce indiretto e, stante la genericità certamente non casuale della definizione adotta dalla norma, per conferire ampiezza alle fattispecie possibili, è impossibile tracciarne un catalogo sebbene si possa argomentare almeno che deve trattarsi di un interesse — ancorché indiretto — peculiare e significativo, non potendosi ritenere che tale interesse debba fare ad esempio riferimento non al giudice nel caso specifico, ma ad una indistinta categoria di contribuenti o all'intero collegio giudicante, tenendo conto che «...il giudice tributario è pur sempre un contribuente per cui può sovente verificarsi che egli abbia con l'Amministrazione Finanziaria rapporti che implicano questioni di diritto identiche a quelle che viene chiamato a decidere» (C.t.p. Molise Campobasso I, 11 novembre 2013). In sostanza il profilo dell'incompatibilità da cui dovrebbe nascere l'astensione, ancor più che nei riti ordinari in cui il magistrato è un funzionario pubblico si configura anche come elemento di garanzia dell'affidamento che nella giurisdizione deve poter fare il comune cittadino secondo il principio che l'indipendenza e la terzietà debbono non solo esistere, ma anche essere percepiti all'esterno. Errata, in questa prospettiva, appare l'affermazione, in verità non frequente, (Cfr. Cons. St. n. 2235/2011, Cass. n. 2512/1994, ricordate con giusto spirito critico da Gobbi, cit. 48 s.) che le funzioni di domiciliatario non costituirebbero causa di astensione, essendo da un lato vero che il domiciliatario, per la sua peculiare posizione processuale, non ha un interesse in senso proprio al corso del giudizio, ma essendo evidente che ai terzi appare quanto meno singolare che vi possa essere una tale situazione di oggettiva discrasia fra posizione del soggetto come parte processuale, anche solo possibile o potenziale, incarico nel processo ed esercizio del potere giurisdizionale. In generale va condiviso l'assunto dottrinale di dare adeguata ampiezza alle ipotesi di astensione obbligatoria anche nel caso di conflitto di interesse. Meno problematici i motivi di astensione di cui ai nn. 2) e 3 dell'art. 51 (il giudice o la moglie parente fino al quarto grado o legato da vincoli di affiliazione, o convivente o commensale abituale di una delle parti o di alcuno dei difensori; il giudice o la moglie ha causa pendente o grave inimicizia o rapporti di credito o debito con una delle parti o alcuno dei suoi difensori), anche se sul tema della abituale commensalità si è costruita una opinione restrittiva, non bastando ad integrare l'ipotesi amicalità generica estrinsecata da saltuarie frequentazioni, facendo la norma riferimento evidente al sodalizio amicale, come viceversa la grave inimicizia deve avere un riscontro comportamentale oggettivo e non certo un malanimo soggettivamente valutato senza elementi di certezza. Non può di regola qualificarsi inimicizia tuttavia quella desumibile solo da precedenti provvedimenti negativi in danno del ricusante. (Cfr. Cass. n. 18976/2015: In tema di ricusazione del giudice, la «inimicizia» del ricusato, ai sensi dell'art. 51, comma 1, n. 3, c.p.c., non può essere desunta dal contenuto di provvedimenti da lui emessi in altri processi concernenti il ricusante, tranne che le «anomalie» denunciate siano tali da non consentire neppure di identificare l'atto come provvedimento giurisdizionale; tuttavia, qualora ricorra tale ipotesi, il giudice della ricusazione deve anche accertare se quelle anomalie, in ipotesi ascrivibili ad altre cause, siano state determinate proprio da grave inimicizia nei confronti del ricusante, su cui incombe il correlato onere di allegare fatti e circostanze rivelatrici dell'esistenza di ragioni di avversione o di rancore estranei alla realtà processuale.) Causa di astensione obbligatoria è anche aver dato consiglio o prestato patrocinio nella causa, o averne conosciuto come magistrato in altro grado del processo o come arbitro o avervi prestato assistenza come consulente tecnico. Chiaramente inapplicabile al rito tributario l'avervi avuto ufficio di testimone, che non esiste. Quanto alla nozione di consiglio dato, se ne suggerisce un criterio interpretativo ampio, non legato né alla retribuzione né alla natura scritta o meramente orale del parere espresso, mentre il patrocinio è nozione tecnica di non difficile individuazione. La regola vale ovviamente anche per il funzionario pubblico che, assunta la veste di giudice tributario, si trovi a dover giudicare di un atto tributario emesso con il suo attivo concorso professionale. La ratio dell'obbligo di astensione in riferimento invece all'aver giudicato in altro grado del processo, che tende a salvaguardare il principio dell'assoluta terzietà del giudice e della assoluta libertà, nei limiti della legge, del giudice del gravame, rende compatibile a pronunciarsi il giudice che abbia avuto parte solo alla fase istruttoria del giudizio, mentre è pacifico che ogni volta che vi sia identità della causa e diversità di grado rispetto al processo in corso ricorre la causa di astensione. Diverso il discorso per il giudizio di ottemperanza, nel quale anzi l'art. 70, comma 6, prescrive che il Presidente assegni il ricorso proprio alla sezione che ha pronunciato la sentenza a cui occorre dare esecuzione, mentre si distingue, nel caso di giudizio di revocazione il cui esito sia stato l'annullamento con rinvio, fra rinvio prosecutorio, nel quale il giudice che abbia pronunciato la sentenza impugnata dovrà astenersi e rinvio restitutorio ai sensi dell'art. 383 c.p.c. e 59 del d.lgs. n. 546, che non da vita ad un giudizio autonomo e diverso da quello precedente nel grado, non producendo pertanto una causa di astensione obbligatoria. In verità si tratta di fattispecie che meriterebbero una verifica de iure condendo rispetto alla nozione di assoluta terzietà, specie se raffrontate a quella prevista dall'art. 6 comma 2, in riferimento alle ipotesi di partecipazione pregressa alla commissione che ammette al gratuito patrocinio. Occorre prima di tutto praticare un'interpretazione conservativa della norma, non esistendo più l'art. 13 citato sull'assistenza tecnica gratuita innanzi alle commissioni tributarie, che è stato sostituito dall'art. 139 del d.P.R. n. 115/2005, cioè dall'Ordinamento Giudiziario, il quale, al comma 2, ripropone la norma contenuta nell'art. 6, con ciò confermandola: «2. I giudici tributari che fanno parte della commissione hanno l'obbligo di astenersi nei processi riguardanti controversie da loro esaminate quali componenti della commissione.” La ratio del provvedimento appare fragile, specie se raffrontata ad altre ipotesi in cui, nonostante un'ampia cognizione istruttoria nel procedimento, non si ritiene si versi in obbligo di astensione, in quanto il giudizio sul gratuito patrocinio è un giudizio di mera prognosi della praticabilità astratta della tutela giudiziale, ma non si spinge, né lo potrebbe fino ad emettere una prognosi certa simile alla cognizione di merito del giudizio. In ogni caso, trattasi di causa di astensione obbligatoria, sulla quale al momento è possibile solo una discussione critica, ma a cui nella pratica sarà necessario attenersi. Nel processo tributario, come si ricordava sopra, esiste anche una ulteriore ipotesi di astensione obbligatoria «speciale», che fa riferimento ad esistenti o pregressi rapporti di lavoro autonomo o collaborazione fra il giudice ed una delle parti. Si tratta di una conseguenza della natura onoraria del giudice, che rende necessaria una previsione più ampia di quella di cui al n. 5 dell'art. 51 (il datore di lavoro, o altre qualificate figure di relazione aventi rilievo economico); si discute sulla necessità di una attualità di tale condizione, ma l'esistenza di rapporti anche pregressi appare ricompresa nella norma, che non casualmente usa la locuzione «abbia o abbia avuto» cosicché, pur nei limiti indicati di una interpretazione non estensiva delle cause di astensione, qui pare proprio ricompresa nella fattispecie l'esistenza di pregressi rapporti. Quanto alla «collaborazione» si tratta certamente di una fattispecie non tipica, ma appare anche qui evidente che il legislatore ha voluto non circoscrivere, ma anzi rendere sostanzialistico ed ampio il ventaglio delle ipotesi. Anche il rito tributario conosce la fattispecie di sospensione c.d. discrezionale, quella prevista dal comma 2, dell'art. 51 e che dipende da una valutazione del giudice, il quale solleva la questione sottoponendola ai soggetti via via individuabili secondo una sorta di «scala gerarchica», dal presidente di sezione fino al presidente del consiglio di presidenza della giustizia tributaria ove l'astensione sia invocata dal presidente di una commissione regionale. Sempre nello spirito di concisione che regola le disposizioni in materia, la norma si limita a fare ancor più stringato richiamo alla ricusazione (art. 52 c.p.c.), cioè alla facoltà della parte di presentare istanza per impedire al giudice di deliberare la controversia ove ritenga sussistere una delle cause di astensione obbligatoria sopra richiamate. Si è posto il problema della «ricusazione del Collegio giudicante», particolarmente pregnante nel rito tributario contraddistinto da un giudice ontologicamente collegiale. La giurisprudenza univoca e la dottrina ne escludono l'ammissibilità, sul presupposto che si tratta di vizi della costituzione del giudice che attengono alla persona – sotto il profilo giuridico istituzionale, beninteso, e non certo naturalisticamente – e non all'organo in quanto tale. Nulla vieta, tuttavia che si possano evidenziare delle cause di astensione (e simmetricamente dei motivi di ricusazione) valide per tutti i membri del collegio, che pertanto dovranno essere destinatari della ricusazione uti singuli, e non certo collettivamente come Collegio. Gli articoli 52 e 53 del codice di rito ordinario, nel silenzio totale delle norme tributarie speciali, sono quelli cogenti per la celebrazione del procedimento. Gli effetti dell'astensione e ricusazioneMentre il procedimento di astensione è improntato alla massima speditezza, (l'unica norma a cui fare riferimento è l'art. 78 delle disposizioni di attuazione del codice di rito, che suggerisce, ma non sembra neppure imporre, la forma scritta e motivata della dichiarazione di astensione) non produce alcuna sospensione incidentale e prevede che sia l'interessato a sollevare la questione relativa alla propria astensione anche successivamente all'inizio del giudizio, quando dovesse presentarsi successivamente, (anche se in via di mero fatto non è da escludersi che anche una parte processuale possa rammentare al giudice l'esistenza putativa di una causa di astensione), quello di ricusazione, ancorché anch'esso assai snello, è più rigidamente procedimentalizzato. Rilevando una causa di astensione, il giudice solleva la questione relativa alla sua incompatibilità, residuando tuttavia al presidente la funzione terza di valutare se ricorra effettivamente detta causa; ma è evidente che di regola – a meno che il presidente non rilevi sussistere una evocazione di elementi non previsti dalla norma o la mancanza assoluta di una delle ipotesi previste dalla legge — si procederà alla sostituzione del giudice nel collegio giudicante. Completamente diversa è invece la procedimentalità della ricusazione, che secondo la dottrina da vita ad un procedimento incidentale di natura non amministrativa, come consentirebbero tuttavia di argomentare le finalità e modalità del procedimento, ma ad un vero e proprio procedimento di natura giurisdizionale; la prevalente giurisprudenza si orienta tuttavia a dare un valore amministrativo al procedimento incidentale di ricusazione (Cass. n. 1285/2002). Stante la peculiarità del rito, non è parte il giudice ricusando, anche se può fornire elementi di valutazione alla corte che deve statuire sul ricorso. La legittimazione attiva alla proposizione dell'istanza di ricusazione, il cui presupposto è una condizione di astensione obbligatoria a cui il giudice non abbia ottemperato, è delle parti, con ciò potendosi escludere che, nonostante la natura officiosa del procedimento, altri soggetti possano aver titolo a proporla. La ricusazione si propone con ricorso formale, che può essere sottoscritto dalla parte o dal difensore, anche senza una procura speciale, che è tuttavia preferibile acquisire anche per evitare l'ipotesi che l'istanza sia dichiarata improcedibile per difetto di valida presentazione di chi vi abbia titolo e deve contenere i motivi specifici e i mezzi di prova, richiamando dunque la fattispecie che si assume accaduta e rispetto alla quale si debba registrare la mancata risposta da parte del giudice. Il ricorso deve essere depositato in cancelleria due giorni prima dell'udienza, se al ricusante è noto il nome dei giudici che sono chiamati a trattare o decidere la causa, e prima dell'inizio della trattazione o discussione di questa nel caso contrario Nonostante divergenti opinioni dottrinali (su cui si v. Gobbi, cit. 61) detti termini sono ritenuti compatibili con il rito tributario, a cui certamente non era intenzione del legislatore di riferirsi. La ricusazione sospende il processo. Sulla ricusazione decide il collegio, ovviamente senza la partecipazione del giudice della cui ricusazione si discute. La decisione è pronunciata con ordinanza non impugnabile, udito il giudice ricusato e assunte, quando occorre, le prove offerte. L'ordinanza che accoglie il ricorso designa il giudice che deve sostituire quello ricusato. La ricusazione è dichiarata inammissibilità o rigetto della ricusazione si provvede anche sulle spese e si può condannare la parte che l'ha proposta ad una pena pecuniaria non superiore a euro 250. Dell'ordinanza è data notizia dalla cancelleria al giudice e alle parti, le quali debbono provvedere alla riassunzione della causa nel termine perentorio di sei mesi. Mentre gli effetti dell'astensione, come abbiamo visto, sono facilmente prevedibili e non suscitano alcuna necessità di regolazione, molto più complessa è la questione degli effetti del procedimento di ricusazione. In primo luogo, atteso che — fatta salva l'ipotesi sopra trattata della decisione a non judice – l'eventuale partecipazione al giudizio del giudice che non si è astenuto non fa ricorrere un'ipotesi di nullità insanabile del giudizio, nel caso di mancata presentazione dell'istanza formale non è possibile, fra i motivi di impugnazione, siano essi di gravame di merito o di legittimità, addurre l'omessa astensione del giudice, cosicché almeno sul punto la parte interessata deve sapere che la proposizione dei ricorso, e nei termini e modi voluti dalla legge, è l'unico rimedio alla situazione di incompatibilità per cause di astensione obbligatoria di cui dispone. [(Cfr. Cass. V, n. 5930/2007: «.....L'inosservanza da parte del giudice dell'obbligo di astensione, nelle ipotesi previste dall'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 49, tra le quali rientra l'ipotesi in cui il giudice abbia, della stessa causa, «conosciuto come magistrato in altro grado di giudizio», non può determinare nullità della sentenza per vizio attinente alla costituzione del giudice, ma può configurare solo ipotesi di astensione obbligatoria, che non incide sulla validità della sentenza medesima ove non dedotta dalla parte interessata con tempestiva istanza di ricusazione, a norma dell'art. 52 c.p.c., con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede di impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento (nel caso di specie il giudice si era astenuto in relazione ad uno solo dei due processi chiamati alla stessa udienza ed entrambi relativi ad un'unica impresa con cui il giudice stesso si era occupato come magistrato).» e Cass. V, n. 5930/2007 (ud. 26 ottobre 2006)«.... ritenuto che il motivo è manifestamente infondato avendo questa Corte reiteratamente (ex multis Cass.S.U.16615/2005) affermato che l'inosservanza da parte del giudice dell'obbligo di astensione, nelle ipotesi previste dall'art. 51 c.p.c., comma 1, n. 4 — tra cui rientra l'ipotesi in cui il giudice abbia, della stessa causa, «conosciuto come magistrato in altro grado di giudizio» non può determinare nullità della sentenza per vizio attinente alla costituzione del giudice, ma può configurare solo ipotesi di astensione obbligatoria, che non incide sulla validità della sentenza medesima ove non dedotta dalla parte interessata con tempestiva istanza di ricusazione, a norma dell'art. 52 c.p.c. con la conseguenza che la mancata proposizione di detta istanza nei termini e con le modalità di legge preclude la possibilità di far valere tale vizio in sede d'impugnazione, quale motivo di nullità del provvedimento; d'altro canto nessuna violazione del diritto alla difesa o al contraddittorio è ravvisabile per non aver la società appellante chiesto la discussione orale in detta causa avendola richiesta nell'altra, fissata per il 28 giugno 1999 e rinviata a nuovo ruolo per astensione del giudice, non sussistendo nessuna preclusione all'adempimento del suo onere di proporre tempestiva istanza di trattazione in pubblica udienza l'averla già proposta nell'altra causa...»)]. Inoltre altra questione di rilievo è quella degli effetti della pronuncia sulla ricusazione, che espressamente la norma (art. 53 comma 2) dichiara non impugnabile. Si è a lungo discusso sulla inoppugnabilità della pronuncia (questo uno degli argomenti a favore della natura non giurisdizionale del procedimento incidentale di ricusazione) anche perché la giurisprudenza si è incaricata (Cass. n. 155/2000) di dichiarare il provvedimento sottratto anche al rimedio residuale, straordinario e generalissimo di cui all'art. 111 comma, Cost. La dottrina (Gobbi, cit. 67 e s. con ampia rassegna ivi di dottrina e giurisprudenza ulteriore) e la prevalente giurisprudenza ritengono che trattandosi di provvedimento decisorio non definitivo si debba ricorrere alla stessa regola con cui si trattano le c.d. «sentenze parziali», o più in generale i provvedimenti che, ancorché di natura decisoria intrinseca, qual è certamente quello in discorso, non definiscano il giudizio. La questione oggetto del sindacato di ricusazione sarà dunque possibile oggetto di impugnazione del provvedimento principale con cui il giudizio verrà deciso unitamente alla sentenza che abbia statuito nel merito, trattandosi di un vizio evocato dalla parte che attiene sia alla retta costituzione del giudice sia alla nullità consequenziale degli atti compiuti dal medesimo, su cui è d'uopo pronunciarsi secondo le garanzie costituzionali del pieno contraddittorio (che, in verità, non comprendono automaticamente un secondo grado di giurisdizione, ma certamente non possono ipotizzare l'espunzione — ad esempio — del sindacato di legittimità per violazione di legge). BibliografiaAliberti – Mastrogregori – Ruffini, Codice annotato del Contenzioso Tributario, Milano, 2007; Giovannini, Il Diritto Tributario per princìpi, Milano, 2014; Gobbi, Il processo tributario, Milano, 2017, 43 ss.; Mandrioli, Corso di Diritto processuale civile, Torino, 2000; Mazzocchi, Lineamenti di diritto Tributario, Milano, 2015. |