Decreto legislativo - 31/12/1992 - n. 546 art. 63 - Giudizio di rinvio 1 2 .

Annamaria Fasano

Giudizio di rinvio12.

1. Quando la Corte di cassazione rinvia la causa alla corte di giustizia tributaria di primo grado o regionale la riassunzione deve essere fatta nei confronti di tutte le parti personalmente entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza nelle forme rispettivamente previste per i giudizi di primo e di secondo grado in quanto applicabili 3.

2. Se la riassunzione non avviene entro il termine di cui al comma precedente o si avvera successivamente ad essa una causa di estinzione del giudizio di rinvio l'intero processo si estingue.

3. In sede di rinvio si osservano le norme stabilite per il procedimento davanti alla corte di giustizia tributaria di primo e secondo grado a cui il processo è stato rinviato. In ogni caso, a pena d'inammissibilità, deve essere prodotta copia autentica della sentenza di cassazione.

4. Le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata e non possono formulare richieste diverse da quelle prese in tale procedimento, salvi gli adeguamenti imposti dalla sentenza di cassazione.

5. Subito dopo il deposito dell'atto di riassunzione, la segreteria della commissione adita richiede alla cancelleria della Corte di cassazione la trasmissione del fascicolo del processo.

 

[1] Per l'abrogazione del presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 130, comma 1, lettera d), del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175. Vedi, anche, l'articolo 130, comma 3, del D.Lgs. 175/2024 medesimo.

[2] Per le nuove disposizioni legislative in materia di giustizia tributaria, di cui al presente articolo, a decorrere dal 1° gennaio 2026, vedi l'articolo 118 del D.Lgs. 14 novembre 2024, n. 175.

[3] Comma modificato dall'articolo 9, comma 1, lettera bb), del D.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

Inquadramento

La norma in commento regola il giudizio di rinvio, ossia quella fase processuale originata dalla pronuncia della Corte di cassazione, la quale, accogliendo il ricorso (giudizio rescindente), abbia cassato in tutto o in parte la sentenza impugnata e rimesso la causa ad altro giudice di merito per il nuovo giudizio sulle questioni oggetto della cassazione, scevro dai vizi che hanno portato all'annullamento della sentenza medesima (giudizio rescissorio) (Amoroso, 641).

Sebbene il giudizio di rinvio costituisca una fase processuale distinta ed autonoma rispetto al processo innanzi alla Corte di cassazione, le sue caratteristiche sono strettamente connesse ai poteri esercitati dalla Corte stessa. Infatti, il giudizio di rinvio si configura come una sorta di «continuazione» e di completamento del giudizio di cassazione e non rappresenta, invece, la ripetizione del giudizio di appello. È per questa ragione che il legislatore prevede, a tale riguardo, la «riassunzione della causa», cui può provvedere ciascuna delle parti, entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza emessa dalla Suprema corte (Di Paola, 707).

Più in particolare, in caso di rinvio della causa alla commissione tributaria provinciale o regionale da parte della Corte di cassazione, il termine per la riassunzione del giudizio, previsto al comma 1 dell'articolo 63, d.lgs. n. 546/1992, è stato ridotto da un anno a sei mesi, decorrenti dalla pubblicazione della sentenza, dall'art. 9, comma 1, lett. bb), d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156. Le altre disposizioni dell'articolo 63 cit. sono rimaste invariate. Il predetto termine di sei mesi coincide con quello già previsto dall'articolo 43 del decreto n. 546 per la riassunzione del giudizio interrotto o sospeso. Il termine ridotto si applica per le sentenze depositate dal 1° gennaio 2016 e risponde all'obiettivo di accelerare la definitiva conclusione del processo (Circ. Ag. Ent. n. 38/E del 29 dicembre 2015, par. 1.13.).

Il giudizio di rinvio, quindi, rappresenta una fase autonoma del processo originario che si svolge dinanzi al giudice al quale la Cassazione, con una scelta discrezionale, ha rimesso la causa. Tale giudizio si conclude con una nuova sentenza di merito, che sostituisce quella cassata dalla Corte e che sarà, a sua volta, impugnabile con i mezzi ordinari e, quindi, eventualmente anche con un nuovo ricorso per cassazione.

Il giudizio di rinvio dinanzi alla commissione tributaria si caratterizza in modo diverso a seconda del motivo di rinvio. Quando la Cassazione rinvia avendo riscontrato nella sentenza impugnata i vizi dell'art. 360, n. 3, il giudizio di rinvio rappresenta una prosecuzione del giudizio della Cassazione, che deve essere completato applicando al caso concreto il principio di diritto enunciato dalla Corte (c.d. rinvio proprio). Negli altri casi, il rinvio ha carattere restitutorio. Quando il rinvio avviene per effetto del rilievo di un error in procedendo, il processo regredisce là dove si è verificato il vizio e riprende senza essere vincolato da principi di diritto enunciati dalla Cassazione (Tesauro, 264).

Il giudizio di rinvio costituisce fase autonoma dell'originario processo, che si svolge davanti al giudice al quale la Suprema corte, con una scelta discrezionale, ha rimesso la causa. Trattasi, in particolare, di un giudice di pari grado a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, ma diverso, nel senso della diversità delle persone fisiche di ciascuno dei giudici. In applicazione di tale principio, la Cassazione ha sostenuto che il principio dell'alterità del giudice di rinvio, sancito dall'art. 383 c.p.c., è rispettato sia quando, dopo la cassazione la causa venga rinviata ad altro ufficio giudiziario, sia quando il rinvio avvenga allo stesso ufficio in diversa composizione, ovvero ad altro giudice monocratico dello stesso ufficio, purché non sussista identità personale tra il giudice del rinvio e quello che pronunziò la sentenza cassata. È, pertanto, onere della parte che, ricorrendo per cassazione avverso la sentenza pronunciata in sede di rinvio, ne invochi la nullità per violazione dell'art. 383 c.p.c., allegare e provare che la pronuncia di rinvio sia stata decisa dalle stesse persone fisiche che pronunciarono la sentenza cassata con rinvio (Cass. n. 8723/2012).

Nelle ipotesi di rinvio c.d. proprio il giudice deve soltanto uniformarsiex art. 384, comma 1, c.p.c., al principio di diritto enunciato dalla sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti acquisiti al processo (Cass. III, n. 6707/2004; Cass. I, n. 17790/2014). 

I limiti dei poteri attribuiti al giudice di rinvio sono diversi a seconda che la pronuncia di annullamento abbia accolto il ricorso per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ovvero per vizi di motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, ovvero per entrambe le ragioni: nella prima ipotesi, il giudice come abbiano detto deve solo uniformarsi, mentre nella seconda, non solo può valutare liberamente i fatti già accertati, ma anche indagare su altri fatti, ai fini di un apprezzamento complessivo in funzione della statuizione da rendere in sostituzione di quella cassata, ferme restando le preclusioni e decadenze pregresse, sia consentita in base alle direttive impartite dalla decisione di legittimità (Cass. n. 448/2020).

E' stato, infatti, più volte affermato che nelle ipotesi di rinvio cosiddetto improprio o restitutorio da parte della Corte di cassazione, che ricorre quando, per qualsiasi ragione di carattere processuale, il giudizio a quo si sia concluso senza una pronuncia nel merito della controversia, il giudice di rinvio può esaminare tutte le questioni ritualmente proposte che non incidono sul suo obbligo di conformarsi al principio di diritto enunciato e sugli effetti che questo ha sulla decisione della causa (Cass. n. 4290/2015; conf. Cass. n. 27337/2019).

Il procedimento di rinvio

Ai sensi dell'art. 392, comma 1, c.p.c., l'introduzione di questa fase del giudizio avviene attraverso la riassunzione della causa. Per effetto della modifica apportata all'articolo 392, comma 1, c.p.c., nell'ipotesi in cui la Corte di cassazione abbia accolto il ricorso rinviando la causa ad altro giudice di grado pari a quello che ha pronunciato la sentenza cassata, il termine previsto per la riassunzione del giudizio non è più di un anno, bensì di tre mesi, decorrenti dalla data di deposito della sentenza della Corte di cassazione. Al riguardo si evidenzia che il novellato articolo 392, comma 1, c.p.c. non si applica al processo tributario in quanto prevale la norma speciale contenuta nell'articolo 63 del d.lgs. n. 546 del 1992. Ne consegue che nel processo tributario, ai sensi del comma primo dell'art. 63, la riassunzione deve avvenire, a pena di estinzione dell'intero processo, entro sei mesi dalla data di pubblicazione della sentenza di cassazione con rinvio, a cui possono aggiungersi i 31 giorni di sospensione feriale (1-31 agosto).

Ai sensi del primo comma della norma in esame, la riassunzione deve avvenire nei confronti delle parti personalmente (Tesauro, 263; Consolo, 219 rileva che ciò si riannoderebbe alla concezione del rinvio come giudizio ex novo): secondo alcuni autori ciò deve essere inteso nel limitato senso della notifica effettuata alla parte nel domicilio eletto ex art. 17. d.lgs. n. 546/1992, Bafile, 173); al contrario, ciò viene inteso da altri nel senso di notifica non al domicilio eletto ex art. 17. d.lgs. n. 546/1992, bensì alla residenza o sede reale (Glendi, 1085).

Peraltro, la riassunzione deve avvenire nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato alle precedenti fasi processuali. Al riguardo, è stato rilevato che se la riassunzione viene effettuata nei confronti di una sola delle parti, il giudice non dichiara l'inammissibilità dell'atto di riassunzione, bensì ordina l'integrazione del contraddittorio (Cissello, Il giudizio di rinvio, in Il Fisco, n. 2/2011, 206; Bafile, Il nuovo processo tributario, Padova, 1994, 173).

L'atto di riassunzione deve essere proposto nelle forme previste per i giudizi di primo e secondo grado, in quanto applicabili. Detto altrimenti, l'atto di riassunzione deve essere redatto, a seconda dei casi, nelle forme previste per il ricorso introduttivo (se il rinvio opera nei confronti della Commissione tributaria provinciale), oppure mediante appello (se la causa è rinviata alla Commissione tributaria regionale). Come anticipato, generalmente, il rinvio opera nei confronti del giudice di secondo grado (c.d. rinvio proprio), ma è ravvisabile l'ipotesi del c.d. rinvio improprio alla Commissione provinciale laddove la Suprema corte ravvisi il caso in cui il giudice di appello avrebbe dovuto rimettere il giudizio in primo grado.

Entro 30 giorni dalla notifica dell'atto di riassunzione, il riassumente deve provvedere alla sua costituzione in giudizio, ai sensi degli artt. 22 e 53 del d.lgs. n. 546/1992, depositando altresì copia autentica della sentenza di cassazione. L'inosservanza di tale prescrizione comporta l'inammissibilità dell'atto di riassunzione (art. 63, comma 3, d.lgs. n. 546/1992).

Inoltre, ai sensi del comma quarto della disposizione in esame, le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza cassata; ciò comporta che, ai fini della validità ed efficacia dell'atto di riassunzione, non è necessario che esso indichi specificatamente il petitum, in quanto si intende riproposta la domanda originaria e solo su di essa il giudice di rinvio è chiamato a pronunciarsi. Allo stesso modo, le parti conservano ogni richiesta effettuata nei precedenti gradi di giudizio (Di Paola, 711 ss.).

Il procedimento si svolge in sede di rinvio con l'osservanza delle disposizioni previste per il giudizio dinnanzi al giudice di cui si tratta (appello o primo grado) con l'esplicita previsione della necessità, a pena di inammissibilità, di produzione di copia autentica della sentenza della Corte. Poiché il giudizio di rinvio costituisce una prosecuzione (o ripresa) del processo di merito, non è necessaria autonoma procura al difensore (Cass. n. 7983/2010).

La parte che riassume la causa davanti al giudice di rinvio non è tenuta a rilasciare una nuova procura al difensore che la ha assistita nel giudizio di merito posto che il giudizio di rinvio costituisce prosecuzione del giudizio di primo o di secondo grado conclusosi con la sentenza cassata, restando assolutamente irrilevante la circostanza che la parte nel giudizio di legittimità sia stata assistita da altro difensore o sia rimasta contumace, atteso che il difensore nel giudizio di merito potrebbe non avere i requisiti per patrocinare in Cassazione e, in ogni caso, per farlo, avrebbe bisogno di una pro- cura speciale, mentre la procura conferita in primo (o secondo) grado deve ritenersi sempre operativa nel giudizio di rinvio, indipendentemente dalle vicende relative alla difesa (o mancata difesa) della parte nel giudizio di legittimità.

In analogia con quanto previsto per il processo civile ordinario, è da ritenere che debba applicarsi la regola della alterità del giudice del rinvio (art. 383 c.p.c.), da ritenersi soddisfatta se non vi è identità delle persone dei giudicanti (Cass. n. 731/1999).

La riassunzione della causa dinanzi al giudice di rinvio, ai sensi dell'art. 392 c.p.c., ha la funzione di riattivare il giudizio (Cass. n. 7243/2006). La riassunzione, quindi, si configura non già come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale volta alla prosecuzione del giudizio conclusosi con la sentenza cassata e, come tale, instaura un processo chiuso, nel quale, da un lato, è alle parti preclusa ogni possibilità di proporre nuove domande, eccezioni, prove [...] nonché conclusioni diverse — salvo che queste, intese nell'ampio senso di qualsiasi attività assertiva o probatoria, siano rese necessarie da statuizioni della sentenza di cassazione — e, dall'altro, al giudice di rinvio competono gli stessi poteri del giudice di merito che ha pronunciato la sentenza cassata. Nel caso in cui — come nella specie — la sentenza sia stata cassata per soli vizi di motivazione, il giudice del rinvio conserva tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento, anche se, nel rinnovare il giudizio, egli è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza logica del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass. n. 4018/2006).

Costituiscono elementi essenziali dell'atto di riassunzione il riferimento esplicito alla precedente fase processuale e la manifesta volontà di riattivare il giudizio attraverso il ricongiungimento delle due fasi in un unico processo, per cui non devono essere riproposte tutte le pretese in precedenza avanzate dalla parte, dovendosi presumere, in difetto di elementi contrari, che le stesse siano mantenute ferme, ancorché non trascritte (Cass. n. 6679/2006).

Nel giudizio di rinvio, le parti conservano la stessa posizione processuale che avevano nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza cassata e ogni riferimento — da loro fatto — a domande ed eccezioni pregresse e, in genere, alle difese svolte ha l'effetto di richiamare univocamente e integralmente domande, eccezioni e difese assunte e spiegate nel giudizio. Infatti, l'atto di riassunzione è, di per sé, sufficiente a ricollocare le parti nella posizione che avevano assunto nel giudizio conclusosi con la sentenza annullata e, essendo escluso che — ex art. 125 disp. att. e 392, 394 e 414 c.p.c. — ai fini della validità dell'atto, sia richiesta una specifica indicazione del petitum, la domanda originaria si intende riproposta e su questa deve provvedere il giudice di rinvio, indipendentemente dall'assunzione di specifiche conclusioni in tal senso. (Nel formulare il principio anzidetto in relazione ad una controversia tributaria, la Corte ha anche sottolineato che i profili di specialità della norma processuale tributaria — art. 63 d.lgs. n. 546 del 1992 — rispetto a quella comune — art. 392 c.p.c. — impediscono di estendere le ipotesi di inammissibilità oltre i casi espressamente previsti in esso art. 63) (Cass. n. 14616/2003; conf.Cass. n. 10844/2015).

Nel giudizio tributario, a norma dell'art. 392 c.p.c., alla riassunzione della causa avanti al giudice di rinvio può provvedere disgiuntamente ciascuna delle parti, configurandosi essa non come atto di impugnazione, ma come attività di impulso processuale, che coinvolge gli stessi soggetti che sono stati parte nel giudizio di legittimità; ne consegue che, ove nessuna delle parti si sia attivata per la riassunzione, il processo si estingue, determinando, con riguardo al giudizio tributario, la definitività dell'avviso di accertamento, che ne costituiva l'oggetto (Cass. n. 16689/2013; in senso conforme, Cass. n. 23049/2015; Cass. n. 23049/2015).

Omessa riassunzione ed estinzione del giudizio di rinvio

La mancata o l'intempestiva riassunzione della causa — nel termine anzidetto e salvo chiaramente il computo della sospensione dei termini per il periodo feriale — determinano, ai sensi del comma 2 dell'art. 63 appena citato, l'estinzione dell'intero processo, nonché la conseguente caducazione di tutte le pronunce emesse nel corso dello stesso, eccettuate quelle già passate in giudicato e con salvezza dell'atto originariamente impugnato in primo grado; sia esso un avviso di accertamento o di impugnazione o comunque ogni altro atto autonomamente impugnabile ai sensi dell'art. 19 del d.lgs. n. 546/1992. La stessa conseguenza si verifica laddove, iniziato il giudizio di rinvio, questo si estingua (circ. Ag. Ent. Dir. Aff.legali e contenzioso, 31 marzo 2010, n. 17/E, par. 3.1.).

Nel caso di omessa riassunzione nel termine perentorio o di causa di estinzione del giudizio di rinvio si verifica, ai sensi del comma secondo della norma in esame, l'estinzione dell'intero processo, con la conseguenza, necessitata, della definitività del provvedimento impugnato, ed il travolgimento delle sentenze medio tempore pronunciate nei vari gradi di giudizio, salvo soltanto l'eventuale giudicato sceso sulle parti delle sentenze di merito non investite dalle impugnazioni (Cass. III, n. 1680/2012). Di recente la Corte di Cassazione ha precisato che il giudizio di rinvio conseguente alla cassazione della pronuncia di secondo grado per motivi di merito (giudizio di rinvio proprio) non costituisce, come desumibile dall'art. 393 c.p.c., a mente del quale alla mancata, tempestiva riassunzione del giudizio, non consegue il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, bensì la sua inefficacia, salvi gli effetti della sentenza della Corte di cassazione ed eventualmente l'effetto della cosa giudicata acquisito dalle pronunce emanate nel corso del giudizio – la prosecuzione della pregressa fase di merito, né è destinato a confermare o riformare la sentenza di primo grado; esso integra, piuttosto, una nuova ed autonoma fase che, pur soggetta, per ragioni di rito, alla disciplina riguardante il corrispondente procedimento di primo e secondo grado, ha natura rescissoria (nei limiti posti dalla pronuncia rescindente) ed è funzionale all'emanazione di una sentenza che, senza sostituirsi ad alcuna precedente pronuncia, riformandola o modificandola, statuisce direttamente sulle domande proposte dalle parti (Cass. n. 15143/2021).

Poiché l'estinzione del processo per mancata riassunzione della causa a seguito del giudizio di cassazione comporta la definitività dell'avviso di accertamento (Cass. n. 4574/2015), la riscossione deve avvenire entro il termine di decadenza stabilito dall'art. 25, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 602 del 1973. La prescrizione ordinaria, invece, opera quando la riscossione della pretesa tributaria avvenga in forza di una sentenza passata in giudicato (Cass. n. 4574/2015; Cass. ord. n. 27265/2016). La Corte di Cassazione ha precisato che in caso di estinzione del processo tributario dovuta della causa davanti al giudice di rinvio, la regola generale dell'art. 2945, comma 3, c.c., non trova applicazione e il termine di prescrizione della pretesa fiscale decorre dalla data di scadenza del termine utile per la (non attuata) riassunzione. Le ragioni della mancata applicazione della predetta regola generale sono le seguenti: a) la natura impugnatoria  del processo tributario e la natura amministrativa, e non processuale, dell'atto impositivo, con la conseguente definitività di questo per effetto dell'estinzione del giudizio di impugnazione di esso proposto dal contribuente; b) l'irrazionalità della soluzione opposta, atteso che essa farebbe decorrere la prescrizione a carico dell'amministrazione finanziaria da una data (l'introduzione del giudizio) antecedente alla definitività dell'atto impositivo, con la paradossale conseguenza che il titolo dell'imposizione potrebbe risultare ineseguibile (perché estinto per prescrizione) ancor prima di essere divenuto definitivo; c) l'insussistenza, nel processo tributario, della ‘ratio' dell'art. 2945, comma 3, c.c., atteso che, data la natura impugnatoria di tale processo, e per la definitività che assume l'atto impositivo per effetto dell'estinzione nel caso di mancata riassunzione, è il solo contribuente ad avere interesse alla riassunzione, con la conseguenza che, qualora si applicasse la regola generale dell'art. 2945, comma 3, c.c., l'eliminazione dell'effetto sospensivo della prescrizione in pendenza del processo tributario, che poi si estingua per la mancata riassunzione, opererebbe a favore della parte processuale (il contribuente) che, mostrando disinteresse per la coltivazione del giudizio, ha consentito che l'atto impugnato divenisse definitivo. Né a tale soluzione può opporsi il regime della riscossione frazionata in pendenza di giudizio, a norma dell'art. 68 del d.lgs. n. 546 del 1992, atteso che: se è prevista (sentenze intermedie favorevoli all'amministrazione finanziaria), essa non realizza in via definitiva la pretesa tributaria, ma opera sul piano meramente anticipatorio e interinale degli effetti di un accertamento giudiziale ancora ‘in itinere'; se non è prevista (sentenza intermedie favorevoli al contribuente), sussiste un impedimento di diritto alla realizzazione della pretesa tributaria, con il conseguente mancato decorso, per la regola generale, del termine prescrizionale (Cass. n. 25014/2021).

Nell'ipotesi di estinzione di un processo che, per inattività delle parti, non sia stato più riassunto, la riproposizione della medesima azione in un secondo giudizio, fondandosi sull'ammesso riconoscimento della già verificatasi estinzione del primo, comporta l'implicita richiesta di accertamento incidentale dell'estinzione, senza che sia necessaria — in mancanza di apposita prescrizione normativa — la specifica formulazione del- l'eccezione di estinzione (Cass. n. 21772/2012).

La pronuncia di estinzione del giudizio comporta, ex art. 393 c.p.c., il venir meno dell'intero processo e, in forza dei principi in materia di impugnazione dell'atto tributario, la definitività dell'avviso di accertamento con il conseguente integrale accoglimento delle ragioni erariali; ciò in quanto la pretesta tributaria vive di forza propria in virtù dell'atto impositivo in cui è stata formalizzata e l'estinzione del processo travolge la sentenza di primo grado, ma non l'atto amministrativo che non è un atto processuale bensì l'oggetto dell'impugnazione (pertanto, l'Amministrazione difetta di interesse ad impugnare la sentenza che dichiari l'estinzione del giudizio, ancorché tale estinzione sia dichiarata a causa di un errore della Amministrazione nella riassunzione del giudizio di merito) (Cass. n. 3040/2008; Cass. ord. n. 21143/2015).

I poteri del giudice di rinvio e le facoltà processuali delle parti

In linea di principio il carattere «chiuso» del giudizio di rinvio non consente la produzione di nuovi documenti, ad eccezione del caso in cui la parte dimostri di non aver potuto produrre i documenti nei precedenti gradi di giudizio per causa di forza maggiore. In tale ipotesi, quindi, la parte è legittimata a produrli nel giudizio di rinvio.

Il suddetto carattere chiuso del giudizio di rinvio comporta altresì che il giudice debba attenersi al principio di diritto enunciato dalla Suprema corte. Ci si è interrogati, quindi, in merito alla possibilità di sollevare questioni rilevabili d'ufficio. Sul punto non si registrano orientamenti giurisprudenziali recenti. Al contrario, con riguardo al processo tributario disciplinato dal previgente d.P.R. n. 636/1972, si riteneva che fossero improponibili nel giudizio di rinvio le eccezioni rilevabili d'ufficio, se non già dedotte o rilevate nei precedenti gradi di giudizio (Cissello, I211).

Diversamente, nel caso in cui nelle more della riassunzione, sia intervenuto un mutamento di legge o una dichiarazione di incostituzionalità della norma, le parti possono far valere tali sopravvenienze anche nel giudizio di rinvio (Fazzalari, 1998, 670 ss.).

Al contrario, non può essere eccepito il mutamento di orientamento giurisprudenziale. In tale ultimo caso, quindi, il giudice del merito deve attenersi al principio di diritto enunciato dalla Corte di Cassazione anche quando nelle more della riassunzione, sia venuta meno l'interpretazione giurisprudenziale della norma applicata (cfr. C.t.r. Roma, n. 121/1998).

Come già specificato sopra, la sentenza emessa dal giudice di rinvio può essere impugnata con gli ordinari mezzi di impugnazione, compreso il ricorso per cassazione.

Nel contenzioso tributario (così come nel processo di cognizione ordinaria), il giudizio di rinvio è un «processo chiuso», in cui le parti non possono avanzare richieste diverse da quelle già prese né formulare difese, che, per la loro novità, alterino completamente il tema di decisione o evidenzino un fatto ex lege ostativo all'accoglimento dell'avversa pretesa, la cui affermazione sia in contrasto con il giudicato implicito ed interno, sì da porre nel nulla gli effetti intangibili della sentenza di cassazione ed il principio di diritto che in essa viene enunciato non in via astratta ma agli effetti della decisione finale (Cass. n. 26200/2014; Cass. ord. n. 18600/2015). Il divieto per le parti di formulare nuove richieste nel giudizio di rinvio non si estende alle «tesi difensive» che non siano tali da alterare completamente il tema di decisione (Cass. n. 15330/2014).

Nel giudizio di rinvio le parti conservano la stessa posizione processuale assunta nel procedimento in cui fu pronunciata la sentenza annullata, ed ogni riferimento a domande ed eccezioni pregresse, nonché, in genere, alle difese svolte, ha l'effetto di richiamare univocamente ed integralmente domande, eccezioni e difese già spiegate nel giudizio originario, sicché, per la validità dell'atto riassuntivo, non è indispensabile che in esso siano riprodotte tutte le domande della parte in modo specifico, ma è sufficiente che sia richiamato — senza necessità di integrale e testuale riproduzione — l'atto introduttivo in base al quale sia determinabile «per relationem» il contenuto dell'atto di riassunzione, nonché il provvedimento in forza del quale è avvenuta la riassunzione medesima. Ne consegue, inoltre, che il giudice innanzi al quale sia stato riassunto il processo non incorre nel vizio di ultrapetizione quando abbia pronunciato su tutta la domanda proposta nel giudizio in cui fu emessa la sentenza annullata, e non sulle sole diverse conclusioni formulate con l'atto di riassunzione, atteso che, a seguito della riassunzione, prosegue il processo originario (Cass. n. 23073/2014).

Il giudizio di appello tributario, riassunto a seguito di rinvio della Corte di Cassazione, è inammissibile la produzione di nuovi documenti, fatta eccezione per quelli che non si siano potuti depositare in precedenza per causa di forza maggiore, stante la natura di «giudizio chiuso» riconosciuta al grado di rinvio (Cass. ord. n. 20535/2014; Cass. n. 12633/2014).

Nel caso di cassazione per violazione o falsa applicazione di legge e di formulazione del principio di diritto, il giudice di rinvio non può reinterpretare le norme in senso difforme da quanto affermato dalla Corte, e neanche qualificare i fatti in modo giuridico difforme dalla Corte (Cass. n. 5381/2011) neppure in caso di manifesto errore o di sopravvenienza di ulteriori orientamenti difformi della medesima Corte, ancorché a Sezioni Unite (Cass. IV, n. 8225/2013), in ciò consistendo il proprium del vincolo (Cass. n. 188/1994).

Nelle ipotesi di rinvio cosiddetto improprio o restitutorio da parte della Corte di cassazione, che ricorre quando, per qualsiasi ragione di carattere processuale, il giudizio a quo si sia concluso senza una pronuncia nel merito della controversia, il giudice di rinvio può esaminare tutte le questioni ritualmente proposte che non incidono sul suo obbligo di conformarsi al principio di diritto enunciato e sugli effetti che questo ha sulla decisione della causa (Cass. n. 4290/2015).

Tale vincolo sussiste anche per la interpretazione che la Corte abbia dato di norme processuali, come ad esempio quelle sulle notifiche e le impugnazioni, se hanno costituito l'oggetto della pronuncia (Cass. S.U., n. 15602/2009).

Diverso è il caso in cui, dopo la sentenza che formula il principio di diritto, intervenga un mutamento normativo (c.d. jus superveniens), la pronuncia di illegittimità costituzionale di una norma decisiva del giudizio, ovvero pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea (Cass. S.U., n. 15602/2009 cit.).

In realtà, con specifico riguardo alle pronunce della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, tale soluzione non sembra convincente atteso il carattere meramente interpretativo, e non costitutivo delle stesse (per la natura innovativa delle decisioni della Corte di Giustizia dell'UE si veda tuttavia anche Cass. n. 15032/2014).

Pertanto, qualora il giudice di rinvio accerti la sopravvenienza di una norma, incidente sul giudizio in corso ed entrata in vigore prima della pubblicazione della sentenza rescindente, ma dopo la sua deliberazione, deve dare puntuale applicazione al principio di diritto espresso dalla S.C., nulla rilevando che il collegio abbia omesso di valutarla o la abbia implicitamente disapplicata, non sussistendo, in concreto, l'ipotesi eccezionale di derogabilità all'effetto cogente del suddetto principio della sopravvenienza normativa al momento in cui quel principio venne pubblicamente statuito (Cass. n. 4176/2001; Cass. n. 12669/2004; Cass. ord. n. 24066/2011).

Il punto deciso dalla Corte di cassazione con sentenza di annullamento con rinvio fondato sulla violazione o falsa applicazione di una norma di diritto, con enunciazione del principio di diritto, non è suscettibile, stante la definitività della relativa pronuncia di nuova impugnazione o comunque di riesame, neppure sotto il profilo della legittimità costituzionale della norma considerata dalla Corte, a meno che non si possa far valere, anche se in forza di una sentenza della Corte cost., uno ius superveniens. (Nella specie era stata riproposta in cassazione la questione di costituzionalità già prospettata al giudice di rinvio e da questo disattesa sulla base del rilievo che la norma era suscettibile di interpretazione diversa da quella contestata, come dimostrato dal sopravvenuto mutamento di giurisprudenza della S.C.) (Cass. n. 207/2001; Cass. n. 13839/2001).

La sentenza del giudice di rinvio è assoggettata alle impugnazioni previste per le sentenze dell'organo giudiziario che l'ha emessa. Per verificare l'avvenuto rispetto dei limiti cui era vincolato il giudizio di rinvio la Corte di cassazione deve ovviamente fare riferimento alla sentenza che cassava con rinvio, cui può e deve accedere direttamente (Cass. n. 6461/2005; Cass. n. 15647/2005; Cass. n. 19417/2015).

In caso di ricorso per cassazione avverso la sentenza del giudice del rinvio, fondato sulla deduzione dell'infedele esecuzione dei compiti affidatigli con la precedente pronuncia di annullamento, il sindacato della Suprema Corte si risolve nel controllo dei propri poteri del suddetto giudice di rinvio, per effetto di tale affidamento e dell'osservanza dei relativi limiti, la cui estensione varia a seconda che l'annullamento stesso sia avvenuto per violazione di norme di diritto ovvero per vizi della motivazione in ordine a punti decisivi della controversia, in quanto, nella prima ipotesi, egli è tenuto soltanto a uniformarsi al principio di diritto enunciato nella sentenza di cassazione, senza possibilità di modificare l'accertamento e la valutazione dei fatti, mentre nel secondo caso, la sentenza rescindente, indicando i punti specifici di carenza o di contraddittorietà della motivazione, non limita il potere del giudice del rinvio all'esame dei soli punti indicati, da considerarsi come isolati dal restante materiale probatorio, ma conserva al giudice stesso tutte le facoltà che gli competevano originariamente quale giudice di merito, relative ai poteri di indagine e di valutazione della prova, nell'ambito dello specifico capo della sentenza di annullamento; in quest'ultima ipotesi il giudice di rinvio, nel rinnovare il giudizio, è tenuto a giustificare il proprio convincimento secondo lo schema esplicitamente o implicitamente enunciato nella sentenza di annullamento, in sede di esame della coerenza del discorso giustificativo, evitando di fondare la decisione sugli stessi elementi del provvedimento annullato, ritenuti illogici, e con necessità, a seconda dei casi, di eliminare le contraddizioni e sopperire ai difetti argomentativi riscontrati (Cass. n. 29819/2008).

Il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione in caso di annullamento con rinvio, a norma dell'art. 384 c.p.c., mentre può essere disatteso — non costituendo giudicato il vincolo che ne deriva — allorché la norma da applicare in aderenza ad esso sia stata successivamente abrogata, modificata o sostituita per effetto di ius superveniens, comprensivo sia dell'emanazione di una norma di interpretazione autentica che della dichiarazione di illegittimità costituzionale, non può, invece, essere riesaminato sotto il profilo della legittimità costituzionale della norma di legge che ne costituisce la base, a causa della definitività del principio stesso in relazione a tutte le questioni costituenti il presupposto logico ed inderogabile della pronuncia di annullamento, sia prospettate dalle parti che rilevabili d'ufficio. La relativa questione, pertanto, non può essere sollevata in sede di ricorso per cassazione contro la sentenza del giudice di rinvio (Principio espresso in un caso nel quale la sentenza rescindente si era già pronunciata, nel senso della manifesta infondatezza, sulla q.l.c. eccepita dalla parte, e questa era stata riproposta dal ricorrente, benché non fosse intervenuta alcuna innovazione in sede legislativa o nella giurisprudenza della Corte costituzionale) (Cass. n. 13839/2001).

Bibliografia

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