Legge - 27/07/2000 - n. 212 art. 3 - Efficacia temporale delle norme tributarie 1 .Efficacia temporale delle norme tributarie1. 1. Salvo quanto previsto dall'art. 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Le presunzioni legali non si applicano retroattivamente. Relativamente ai tributi dovuti, determinati o liquidati periodicamente le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono23. 2. In ogni caso, le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione in esse espressamente previsti. 3. I termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati 4. [1] Per una deroga alle disposizioni di cui al presente articolo, vedi l’articolo 38, comma 13-quater, del D.L. 31 maggio 2010, n. 78, l’articolo 1, comma 16, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, l’articolo 23, comma 6, del D.L. 6 luglio 2011, n. 98, l'articolo 88, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, l'articolo 2, comma 2, del D.L. 30 novembre 2013, n. 133 e l'articolo 33, comma 2, del D.L. 22 giugno 2023, n. 75, convertito con modificazioni dalla Legge 10 agosto 2023, n. 112. [2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera c), del D.Lgs. 30 dicembre 2023, n. 219. [3] In deroga alle disposizioni di cui al presente comma, vedi l’articolo 18, comma 4, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, l’articolo 27, comma 9, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, l’articolo 10, comma 1, della legge 27 dicembre 2002, n. 289, come modificato dall’articolo 5-bis, comma 1, lettera e), del D.L. 24 dicembre 2002, n. 282, l’articolo 1, comma 2-octies, del D.L. 24 giugno 2003, n. 143, l’articolo 2, comma 33, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, l’articolo 1, commi 67, 424 e 464 della legge 30 dicembre 2004, n. 311, l’articolo 1-quater, comma 1, del D.L. 30 dicembre 2004, n. 314; l’articolo 1, comma 264, della legge 24 dicembre 2007, n. 244; l'articolo 1, comma 624, della Legge 23 dicembre 2014, n. 190 e l'articolo 157, comma 1, del del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77. [4] Vedi quanto disposto dall'articolo 12 del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 159. In deroga a quanto disposto al presente comma vedi l'articolo 160, comma 1, del del D.L. 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla Legge 17 luglio 2020, n. 77, come modificato dall'articolo 1, comma 1, lettera a) del D.L. 15 gennaio 2021, n. 3. Il citato D.L. 3/2021 è stato abrogato dall'articolo 1, comma 2, della legge 26 febbraio 2021, n. 21. Per un'ulteriore deroga al presente articolo vedi l'articolo 5, comma 8, del D.L. 22 marzo 2021, n. 41, convertito, con modificazioni, in Legge 21 maggio 2021, n. 69, l'articolo 5, comma 12, del D.L. 21 ottobre 2021, n. 146, convertito, con modificazioni dalla Legge 17 dicembre 2021, n. 215, come modificato dall'articolo 19, comma 7, del D.L. 14 marzo 2025, n. 25, non ancora convertito in Legge, l'articolo 42, comma 4, del DL 9 agosto 2022, n. 115 , convertito con modificazione dalla Legge 21 settembre 2022, n. 142 e da ultimo l'articolo 3, comma 6, del D.L. 30 dicembre 2023, n.215, convertito, con modificazioni dalla Legge 23 febbraio 2024, n. 18, come modificato dall'articolo 1, comma 6, del D.L. 15 maggio 2024, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla Legge 12 luglio 2024, n. 101. InquadramentoImponente e per certi versi imbarazzante l'elenco di deroghe ai principi sanciti dall'art. 3, che sono: a) la irretroattività delle disposizioni tributarie; b) l'inapplicabilità di adempimenti a carico del contribuente prima di sessanta giorni dall'entrata in vigore delle norme tributarie; c) l'improrogabilità dei termini di prescrizione e decadenza negli accertamenti di imposta. Si tratta di un catalogo di disposizioni che palesemente tende a rispettare il principio di parità fra erario e contribuente, ponendo come presupposte una serie di regole che favoriscono la possibilità per il contribuente di conoscere preventivamente rispetto alla loro applicazione le norme tributarie e — similmente ai principi generali sull'efficacia delle leggi nel tempo, ormai consolidata in sede penale e in sede civile – impedire che si applichino degli oneri di natura tributaria per condotte già compiutesi sotto il profilo non solo naturalistico, ma anche economico. Purtroppo le deroghe a tali principi, contenute in decine e decine di disposizioni tributarie, che abbiamo riportate nell'epigrafe, ci consentono una piena cognizione del preoccupante fenomeno di disapplicazione, che sembrerebbe giustificare se non un'interpretazione abrogante della disposizione quanto meno la presa d'atto che vi è stato una preoccupante deminutio dei principi contenuti nell'art. 3, che peraltro sarebbero tutt'altro che insignificanti. Tuttavia la norma può, in bonam partem, considerarsi un argine verso prassi più corrive, anche alla luce dell'inquadramento generale che ha dato della problematica la Corte Costituzionale abbastanza recentemente. L'Ordinanza Corte cost. n. 43/2014, dovendo decidere sulla legittimità costituzionale dell'interpretazione di una legge regionale come retroattiva, il cui merito qui non interessa, ha affermato: «.....tale interpretazione della norma censurata in chiave di irretroattività appare conforme anche ai princípi della l. 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente), in quanto essi, sebbene non costituiscano — neppure come norme interposte — parametro idoneo a fondare il giudizio di legittimità costituzionale di leggi statali, forniscono tuttavia i criteri guida per il giudice nell'interpretazione delle norme tributarie, anche laddove le stesse promanino dalle Regioni ad autonomia differenziata (sentenze n. 216 e n. 41 del 2008); infatti, poiché l'art. 3 della legge n. 212 del 2000 ha codificato nella materia fiscale il principio generale di irretroattività delle leggi, già stabilito dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, anche sotto questo profilo occorre escludere l'applicabilità della norma regionale censurata agli anni di imposta precedenti alla sua entrata in vigore». Una norma interpretativa generale, dunque, a cui l'interprete può e deve sottoporre l'interpretazione, anche ai fini dell'autonomo parametro di costituzionalità, tracciato sulla base dei principi generali dell'ordinamento tributario che rifluiscono nelle disposizioni statutarie, in riferimento alla ipotesi di retroattività, come specificamente nel caso di specie, di una disposizione di legge. Efficacia temporale e irretroattività delle norme tributarieIn passato si riteneva che il precetto della non retroattività si riferisse soltanto alle norme tributarie penali, che sono ritenute una categoria speciale del diritto penale più che afferenti direttamente ed esclusivamente al diritto tributario. Vi è poi un'eccezione alla regola, contenuta nell'art. 1 comma 2 dello statuto, in quanto le norme interpretative sfuggono per la loro intrinseca natura al divieto di retroattività, anche se va rammentato quanto per il legislatore dovrebbe essere circoscritta questa deroga al principio generale. Molti commentatori richiamano nel commento a questa disposizione il comma 1 dell'art. 11 delle preleggi, cioè delle disposizioni sulla legge in generale che precedono il codice civile, secondo cui «la legge non dispone che per l'avvenire; essa non ha effetto retroattivo». Molto significativo è (era) inoltre il riferimento espresso ai tributi periodici, quali le imposte sui redditi, l'imposta sul valore aggiunto, l'imposta regionale per le attività produttive, per i quali le modifiche introdotte si applicano a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono (art. 3, comma 1). Per effetto dall'art. 1, comma 1, lett. c), d.lgs. 30 dicembre 2023, n. 219 (attuativo della riforma fiscale), che ha modificato il comma 1, è stato chiarito che le norme tributarie, ove si tratti di norme modificative a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono, non si applicano più in relazione ai cosiddetti tributi periodici, bensì ai tributi dovuti, determinati o liquidati periodicamente. La novella di fatto amplia la portata di tale principio, consentendo di estenderlo anche in relazione a tributi che, oltre alla debenza e alla determinazione periodica, sono periodicamente liquidati. La modifica, pertanto, sostituisce alla generica indicazione della categoria dei tributi periodici, una definizione di tale nozione che fa leva sul carattere della ricorrenza, secondo intervalli appunto periodici e consecutivi, di momenti di determinazione della base imponibile e di liquidazione della somma dovuta a titolo di tributo. Ciò ovviamente a prescindere dal fatto che la determinazione della base imponibile o la liquidazione della somma dovuta trovi espressione formale nella presentazione di dichiarazione (circostanza che, ad esempio, non si verifica in taluni tributi locali che, pure, sono da considerare periodici) ovvero che le ricorrenti e consecutive applicazioni del tributo dipendano da un'unica causa debendi. Una recente pronuncia della Cass. n. 13430/2022 ha al contrario ritenuto che l'IRPEF non potrebbe essere considerata un'imposta periodica in quanto “come questa Corte ha già precisato (Cass. n. 17695/2019, cit.; Cass. n. 29343/2020, cit.), la nozione di “tributi periodici” cui fa riferimento il disposto dell'articolo 3, comma 1, secondo periodo, della legge n. 212 del 2000 (Statuto dei diritti del contribuente), per il quale «relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono», attiene ai tributi che connotino le prestazioni periodiche come basate su un'unica causa debendi continuativa (così, ad esempio, tra i tributi locali, la tassa sui rifiuti, su cui, nel vigore della c.d. Tarsu., cfr. Cass. n. 4823/2010), mentre essa non sarebbe riferibile all'Irpef in cui la prestazione tributaria, sebbene dovuta di anno in anno (donde l'obbligo di dichiarazione che si rinnova “periodicamente”), stante l'autonomia dei singoli periodi d'imposta ed in relazione all'autonoma valutazione dei presupposti impositivi, non può definirsi “periodica” secondo l'accezione sopra illustrata”. L'intervento normativo in questione intende quindi ripristinare l'originaria funzione della norma per ricomprendere i principali tributi del nostro ordinamento tributario che sono caratterizzati dalla periodicità e ciò indipendentemente dalla circostanza che ciò si rifletta nell'obbligo dichiarativo, lasciando immutata l'autonomia dei singoli periodi d'imposta. Con una disposizione aggiuntiva, il d.lgs. n. 219/2023 ha introdotto poi il divieto di applicazione retroattiva delle presunzioni legali. Secondo quanto riporta la relazione illustrativa tale intervento recepisce la più recente giurisprudenza di legittimità che prevede che le presunzioni legali si applichino ai soli fatti successivi alla loro entrata in vigore. Nel caso, invece, in cui disposizioni tributarie pongano nuovi adempimenti a carico dei contribuenti, questi potranno essere pretesi solo dopo il sessantesimo giorno dall'entrata in vigore delle disposizioni stesse. Tale periodo (che corrisponde, ad esempio, al termine impugnatorio ordinario degli atti tributari) è ritenuto dal legislatore necessario a consentire una piena conoscenza al contribuente delle novità legislative, esaminarle e studiarle anche con l'ausilio di tecnici e di conformare a diritto (nuovo) le proprie scelte e la propria condotta. Lo Statuto del contribuente afferma inoltre, nel comma 3 dell'art. 3, che: «i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati». Nell'interpretazione corrente, che del resto corrisponde a principi ermeneutici logici, il principio dovrebbe applicarsi anche ai termini già scaduti, in quanto operando sui medesimi addirittura si dovrebbe consentire che situazioni già compiutamente definite nell'ordinamento vigente diventino nuovamente oggetto di possibili accertamenti e riderterminazioni, in violazione del generale principio della certezza delle situazioni giuridiche soggettive che è uno dei pilastri dell'ordinamento giuridico, non solo nella sua specialistica declinazione tributaria. La disposizione in commento non può non essere letta in combinato con il 3° comma dell'art. 8, secondo cui «le disposizioni tributarie non possono stabilire né prorogare termini di prescrizione oltre il limite ordinario stabilito dal codice civile». La giurisprudenza si è molto occupata dell'art. 3 dello Statuto, in verità con esiti non univoci, registrandosi un perdurante contrasto fra corti di merito, che hanno di regola utilizzato come norma inderogabile almeno il divieto di retroattività, e Corte di Cassazione, sovente attenta anche agli aspetti più controversi della disciplina, in riferimento ad esempio alla natura interpretativa, con conseguente possibile retroattività, di talune disposizioni. Ad esempio, Cass. V, ord. n. 20812/2017 dispone che le disposizioni dello statuto del contribuente, che costituiscono meri criteri guida per il giudice, in sede di applicazione ed interpretazione delle norme tributarie, anche anteriormente vigenti, per risolvere eventuali dubbi ermeneutici, non hanno, nella gerarchia delle fonti, rango superiore alla legge ordinaria, con la conseguenza che esse non possono fungere da norme parametro di costituzionalità, né consentire la disapplicazione della norma tributaria in asserito contrasto con le stesse. (Nella specie, la S.C. ha cassato con rinvio la decisione di C.t.r., che aveva affermato l'illegittimità del diniego opposto dall'Amministrazione in ordine all'istanza di nulla osta alla fruizione del credito d'imposta avanzata dal contribuente, e ciò a causa del fatto che l'art. 2, comma 1, lett. a), del d.l. n. 97/2008, convertito con modifiche in l. n. 129/2008, prevedeva termini inferiori a quelli di cui all'art. 3, comma 2, St. Contr.). Di regola, dell'art. 3 si da una lettura sistematica, in collegamento con il principio di affidamento del contribuente di cui all'art. 10, nonché ai principi di uguaglianza e al divieto di disparità di trattamento tra i contribuenti che sono diretti portati dei principi costituzionali. La dottrina e la giurisprudenza interpretano come specificazioni del principio generale di irretroattività le ricordate clausole normative del comma 2 (le disposizioni tributarie non possono prevedere adempimenti a carico dei contribuenti la cui scadenza sia fissata anteriormente al sessantesimo giorno dalla data della loro entrata in vigore o dell'adozione dei provvedimenti di attuazione previsti) e del comma 3 (i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti d'imposta non possono essere prorogati (comma 3). Come si diceva la giurisprudenza di merito è molto attenta a presidiare questi principi (a mero esempio, C.t.p. Roma, XIV, 10 aprile 2008, n. 47, in tema di credito d'imposta di cui all'art. 8 della l. 23 dicembre 2000, n. 388, per i nuovi investimenti nelle aree svantaggiate, che dapprima era stato attribuito in via automatica, poi eliminato dall'art. 10 del d.l. 8 luglio 2002, n. 138 e infine «procedimentalizzato» dall'art. 1 del d.l. 12 novembre 2002, n. 253, non convertito, con la fissazione a pena di decadenza del termine del 31 gennaio 2003, successivamente prorogato dall'art. 62 della l. 27 dicembre 2002, n. 289, fino al 28 febbraio 2003, per comunicare i dati occorrenti per la ricognizione degli investimenti realizzati al fine di prevenire comportamenti elusivi). La Suprema Corte non ha invece mai dato — come già sopra visto — una valenza assoluta alla disposizione «antiretroattiva» dell'art. 3, variamente motivando (cfr. Cass., sez. trib., n. 5324/2012: «la disposizione che fissa il termine minimo di sessanta giorni per l'effettuazione degli adempimenti da parte del contribuente non ha uno specifico fondamento costituzionale, né il termine da essa stabilito attiene all'esercizio del diritto di difesa. Ne consegue che il rapido susseguirsi di disposizioni aventi forza di legge non rispettose del termine indicato determina il verificarsi di una normale vicenda di successione di leggi nel tempo»; Cass. sez. trib., n. 19692/2012, pronuncia nella quale, duplicemente si ritiene derogabile l'art. 3, comma 2 e si motiva anche sulla conoscibilità nel merito, da parte del contribuente, dell'adempimento. Agendo sul delicato tema della natura interpretativa delle norme si vedano le determinazioni di Cass. VI, ord. n. 11543/2016: “Il principio di presunzione di corrispondenza del prezzo incassato a quello coincidente con il valore di mercato accertato in via definitiva in sede di applicazione dell'imposta di registro (salvo dimostrazione incombente sulla parte contribuente di avere in concreto venduto o acquistato ad un prezzo inferiore) deve ritenersi ormai superato alla stregua dello ius superveniens di cui all'art. 5, comma 3, del d.lgs. 14 settembre 2015, n. 147 che cosi testualmente recita: «Gli articoli 58, 68, 85 e 86 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e gli artt. 5, 5-bis, 6 e 7 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, si interpretano nel senso che per le cessioni di immobili e di aziende nonché per la costituzione e il trasferimento di diritti reali sugli stessi, l'esistenza di un maggior corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, ovvero delle imposte ipotecaria e catastale di cui al d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 347». Quest'ultima norma, ponendosi espressamente quale norma d'interpretazione autentica, ai sensi dell'art. 1 della l. n. 212/2000, è applicabile retroattivamente. Da qui la conclusione che «la presunzione di cui sopra non può essere più legittimata, secondo il disposto del succitato art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147/2015, solo sulla base del valore, anche se dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro», neppure per le controversie già iniziate sotto il vigore della disciplina previgente.” Come si vede la Corte Suprema rimane sempre ancorata al principio che la irretroattività non è la regola, ma una sorta di eccezione una volta consumate le ipotesi interpretative con cui la retroattività della norma può essere salvaguardata. Secondo Cass., sez. trib., n. 27883/2011, ma anche Cass. sez. trib., n. 22157/2013 la norma nuova può espressamente riferirsi alla deroga al principio di irretroattività e del resto la natura di legge ordinaria dello statuto non consente almeno per tale versante di ritenere errata la posizione della Suprema Corte. Prescrizione e decadenzaAnche sul tema dell'improrogabilità dei termini di prescrizione e decadenza la S.C. si è riportata al principio che prevale l'ordinaria successione di leggi nel tempo rispetto alla ipotizzabile signoria delle disposizioni statutarie (Cfr. Cass. sez. trib., n. 1248/2014). Quanto alle leggi anteriormente vigenti, Cass., sez. trib., n. 17953/2013 afferma che «in tema di efficacia nel tempo delle norme tributarie, le disposizioni della legge 27 luglio 2000, n. 212, non hanno efficacia retroattiva, in base al principio di cui all'art. 11 disp. prel. c.c., ad eccezione di quelle costituenti attuazione degli artt. 3,23,53 e 97 Cost., in quanto espressione di principi costituzionali vigenti. Ne consegue che anche l'art. 3 della medesima legge, che ha codificato il principio di irretroattività nella materia fiscale, non trova applicazione con riferimento alle leggi anteriormente vigenti». (conforme, Cass., sez. trib., n. 4815/2014). Ancorchè la dizione letterale del comma 3 dell'art. 3 dell'articolo non appaia suscettibile di equivoco, poiché statuisce il principio che i termini di prescrizione e decadenza per gli accertamenti d'imposta non possono essere prorogati, anche Cass. V, n. 10474/2016 ha stabilito che «...L'art. 3, comma 3 della legge n. 212 del 2000, secondo cui i termini di decadenza per l'accertamento delle imposte non possono più essere prorogati, ha natura di legge ordinaria, passibile di deroga ad opera di una norma di pari rango, come avvenuto per l'art. 10 della legge n. 289 del 2002 che espressamente prevede statuisce la proroga dei termini di decadenza, derogando alla previsione dell'art. 3, comma 3 della legge n. 212 del 2000». Stesso principio in C.t.r. Emilia-Romagna Bologna IV, 16 febbraio 2009, n. 19 ed anche in Cass. V, n. 17953/2013, con riferimento alle norme previgenti. Mentre esprime un maggior rigore conservativo dei principi dell'art. 3 una ulteriore pronuncia di merito, C.t.r. Puglia Bari, VII, 20 maggio 2013, secondo cui «La proroga dei termini per la rettifica o la liquidazione della maggiore imposta di registro nei confronti dei soggetti che non abbiano aderito ai condoni di cui all'art. 11, comma 1, l. n. 289 del 2002, è applicabile non a tutti gli atti condonabili, ma soltanto in quelli in esso indicati. La pretesa di usufruire della proroga dei termini anche nel caso di violazione alle agevolazioni tributarie di cui al comma 1-bis è, in tal senso, illegittima, in quanto non espressamente prevista, come richiede l'art. 3, comma 3, l. n. 212 del 2000, il quale esclude che la proroga possa essere estesa per interpretazione logico-sistematica e teleologica». Sebbene non sia relativa alle questioni specificamente relative all'interpretazione dell'art. 3 non si dimentichi che in tema di intepretazione de futuro, si è pronunciata la Cass. VI, ord., n. 15530/2016: «In linea generale e, dunque, anche in materia tributaria, affinché si possa parlare di «prospective overrulling», devono ricorrere cumulativamente i seguenti presupposti: che si verta in materia di mutamento della giurisprudenza su di una regola del processo; che tale mutamento sia stato imprevedibile in ragione del carattere lungamente consolidato nel tempo del precedente indirizzo, tale, cioè, da indurre la parte ad un ragionevole affidamento su di esso; che il suddetto overruling comporti un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte». In sostanza la Suprema Corte mette solidi paletti all'uso dell'interpretazione creativa in materia tributaria, ancorandosi al solido canone ermeneutico di salvaguardia, fin quando possibile, del dato normativo testuale; si rischia, non lo si può nascondere, una interpretazione riduttiva della disposizione in commento, ma allo stato è opportuno che l'interprete e chi deve verificare la legittimità di atti impugnabili alla luce dei principi dell'art. 3 accerti se i principi invocati non sono neutralizzati dalle eccezioni che la Suprema Corte ha in qualche misura codificato, come l'espressa previsione normativa o la previgenza della norma. BibliografiaAiello, Lo statuto dei diritti del contribuente. 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