Legge - 19/02/2004 - n. 40 art. 12 - (Divieti generali e sanzioni).(Divieti generali e sanzioni).
1. Chiunque a qualsiasi titolo utilizza a fini procreativi gameti di soggetti estranei alla coppia richiedente, in violazione di quanto previsto dall'articolo 4, comma 3, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 300.000 a 600.000 euro1. 2. Chiunque a qualsiasi titolo, in violazione dell'articolo 5, applica tecniche di procreazione medicalmente assistita a coppie i cui componenti non siano entrambi viventi o uno dei cui componenti sia minorenne ovvero che siano composte da soggetti dello stesso sesso o non coniugati o non conviventi è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 200.000 a 400.000 euro. 3. Per l'accertamento dei requisiti di cui al comma 2 il medico si avvale di una dichiarazione sottoscritta dai soggetti richiedenti. In caso di dichiarazioni mendaci si applica l'articolo 76, commi 1 e 2, del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445. 4. Chiunque applica tecniche di procreazione medicalmente assistita senza avere raccolto il consenso secondo le modalità di cui all'articolo 6 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro. 5. Chiunque a qualsiasi titolo applica tecniche di procreazione medicalmente assistita in strutture diverse da quelle di cui all'articolo 10 è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 100.000 a 300.000 euro. 6. Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla surrogazione di maternità, sono commessi all'estero, il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana2. 7. Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un'unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto, è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro. Il medico è punito, altresì, con l'interdizione perpetua dall'esercizio della professione. 8. Non sono punibili l'uomo o la donna ai quali sono applicate le tecniche nei casi di cui ai commi 1, 2, 4 e 5. 9. È disposta la sospensione da uno a tre anni dall'esercizio professionale nei confronti dell'esercente una professione sanitaria condannato per uno degli illeciti di cui al presente articolo, salvo quanto previsto dal comma 7. 10. L'autorizzazione concessa ai sensi dell'articolo 10 alla struttura al cui interno è eseguita una delle pratiche vietate ai sensi del presente articolo è sospesa per un anno. Nell'ipotesi di più violazioni dei divieti di cui al presente articolo o di recidiva l'autorizzazione può essere revocata. [1] La Corte Costituzionale, con sentenza 10 giugno 2014, n. 162 (in Gazz.Uff., 18 giugno, n. 26), ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale del presente comma, nei limiti di cui in motivazione. [2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della legge 4 novembre 2024, n. 169. InquadramentoPer giungere alla formulazione attuale della norma in materia di sanzioni è stato affrontato un inter molto complesso ed articolato. Ad esito del percorso di confronto parlamentare si è giunti a prevedere sia sanzioni amministrative che sanzioni penali, a seconda della ritenuta maggiore gravità della condotta in violazione posta in essere. Non sono punibili l'uomo e la donna ai quali viene applicata la tecnologia scientifica in campo di procreazione medicalmente assistita in violazione delle previsioni e finalità della legge (in considerazione evidentemente della particolare situazione emotiva e personale in cui si trovano). Fattispecie delittuose (clonazione, commercio di embrioni e di gameti, surrogazione di maternità)L'art. 12 non richiama esclusivamente i divieti già presenti negli articoli precedenti, ma prevede anche autonome ipotesi di divieto ai commi 6 e 7 (divieto di commercializzazione di gameti ed embrioni; illiceità del procedimento volto ad ottenere un essere umano discendente da un'unica cellula di partenza; divieto della surrogazione di maternità). La legge 4 novembre 2024, n. 169, ha ampliato la previsione degli illeciti previsti e puniti dalla disposizione citata, con la configurazione di quello che la prassi ha subito denominato “delitto universale”. Normalmente i divieti cui si riferisce l'art. 12 sono stati ritenuti divieti a carattere generale, considerata invece la portata speciale e particolare dei divieti previsti negli altri articoli del medesimo provvedimento normativo (Salanitro). Sono disciplinati quali delitti esclusivamente la clonazione, il commercio di embrioni e il divieto di maternità surrogata, mentre tutte le altre condotte considerate dalla norma citata rientrano in un sistema sanzionatorio di tipo amministrativo. Quanto alla commercializzazione di gameti ed embrioni certamente un ruolo di particolare rilevanza è attribuito dal legislatore a coloro che svolgono attività di intermediazione in questo campo, sfuggendo sostanzialmente alle regole organizzative ed autorizzative delle singole strutture nel procedimento di fecondazione omologa ed eterologa. Vengono coinvolte nella previsione sanzionatoria anche le strutture che sostanzialmente si pongano in posizione di supporto e appoggio per tali attività. La prospettiva tendenziale del legislatore, nel sanzionare tale condotta, è dunque quella relativa allo svolgimento di attività complesse, e non per singoli comportamenti eventualmente accertati. Occorre dunque al fine dell'effettiva rilevanza del divieto e della conseguente sanzione una continuità e sistematicità della condotta d'intermediazione. Deve inoltre emergere una particolare intenzionalità nel commettere tale condotta, certamente caratterizzata dalla volontà di perseguire un consistente e ragguardevole vantaggio economico, tale da snaturare qualsiasi avvicinamento con le finalità di cura della PMA per come evidenziate dallo stesso legislatore. Tale finalità estende il suo riflesso anche nel campo di rimedi di tipo civilistico, poiché certamente un contratto concluso per tale scopo a titolo oneroso si caratterizza per una causa evidentemente illecita perché contraria all'ordine pubblico, con conseguente nullità dello stesso. Tra i delitti particolari problemi interpretativi sono riferibili alla surrogazione di maternità o alla c.d. gestazione per altri. Questo argomento coinvolge diverse visioni e prospettive a carattere bioetico ed in particolare una riflessione volta ad arginare qualsiasi forma di sfruttamento del corpo della donna (principio personalistico). Tuttavia è emersa in molti casi una tendenza a valutare diversamente, tanto da non ritenerli compresi nel divieto, i casi in cui la disponibilità della donna a portare a termine una gravidanza nell'interesse di altri abbia una finalità meramente solidaristica e sia a titolo gratuito (Consorte, 1 s., Gattuso, 691 s.). Alcuni autori hanno evidenziato però come a questa interpretazione si contrapponga l'esplicita previsione derogatoria, rispetto alla disciplina ordinaria del c.c., nel caso di filiazione derivante da maternità surrogata, che non consente la possibilità per la donna di non essere nominata, così attribuendo un rilievo fondamentale nella instaurazione del rapporto di genitorialità alla derivazione fisica tra madre e figlio (Salanitro, 1 s.). In generale si è dunque ritenuto esteso il divieto di surrogazione di maternità a qualunque forma di fecondazione nel caso di gestazione per altri (sia in vivo che in vitro), quindi anche nel caso in cui si voglia impiantare l'embrione della coppia in utero di donna portante. Tale divieto comprende come destinatari della sanzione tutti i soggetti coinvolti, la coppia committente, la donna gestante. La struttura sanitaria presso la quale si realizza il trasferimento in utero e gli intermediari (ovviamente i casi che si sono posti sono relativi a paesi stranieri nei quali tale pratica è ammessa). Emerge dunque una concezione personalistica dell'essere umano, secondo la quale nessuna donna può essere ritenuta strumento idoneo ed adeguato per la nascita di un figlio di altra coppia. In generale dunque nel disciplinare tali delitti emerge come la finalità del legislatore sia da individuare nella tutela della dignità dell'essere umano (in considerazione della c.d. irripetibilità del genoma). La considerazione di questa disciplina e la sua costante sottoposizione alla attenzione della Corte cost. implica una riflessione anche in ordine al concetto di ordine pubblico, inteso in senso più completo e ampio non solo come ordine pubblico interno, ma bensì come ordine pubblico internazionale. La formulazione del concetto di ordine pubblico trova un proprio riferimento normativo nell'art. 16 della legge di diritto internazionale privato, mentre il riconoscimento di una decisione resa all'estero negli art. 64 e 64 della stessa legge, che richiede che tale decisione, per essere riconosciuta, non realizzi degli effetti che possano essere ritenuti contrari al nostro ordinamento. (MINUTILLO TURTUR, 1 e ss.). La valutazione del giudice deve dunque concentrarsi non sui principi e sulle leggi applicate dallo Stato estero, ma bensì sulla portata dei loro effetti nel nostro ordinamento con un giudizio che si caratterizza come prognostico ed astratto. Quanto alla portata del concetto di ordine pubblico occorre considerare come anche la giurisprudenza di legittimità lo abbia identificato in passato non in relazione a qualsiasi norma imperativa dell'ordinamento interno, ma, proprio quale ordine pubblico internazionale, con riferimento “solo” ai principi fondamentali e caratterizzanti l'atteggiamento etico e giuridico di un determinato periodo storico (Cass. Sez. 1, n. 17349 del 2002, Rv. 559033). Proprio la particolare rilevanza di questo limite, in un'ottica sempre più orientata alla condivisione a livello comunitario ed internazionale di principi comuni, ha portato a far sì che molte formulazioni legislative recenti richiedano, al fine di ritenere la ricorrenza di una violazione dell'ordine pubblico, il carattere “manifesto” della incompatibilità del provvedimento del quale si richiede il riconoscimento. Si è osservato che è anche imprescindibile tenere conto del carattere di relatività nel tempo e nello spazio del concetto di ordine pubblico, proprio perché condizionato dai mutamenti sociali, culturali e storici sottesi ai diversi momenti storici, sui quali una influenza certamente determinante, anche quanto all'argomento oggetto di rimessione, hanno anche i progressi scientifici a supporto dei più diversi progetti genitoriali. In una prospettiva evolutiva si è dunque ritenuto che questo limite vada inteso nel più ampio rispetto delle diverse sensibilità culturali purché ricorra un oggettivo riscontro del rispetto dei diritti fondamentali dell'uomo. È in questo senso che appare fortemente sostenuta l'idea che si debbano ritenere principi di ordine pubblico principi realmente internazionali e propri della comunità degli stati (in questo senso tra le molte decisioni appare particolarmente significativa Cass. Sez. 3 n. 19405 del 2013, Rv. 628070, che richiama le esigenze di garanzia comuni ai diversi ordinamenti e di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo e Cass. Sez. 1, n.15343 del 2016, Rv. 641023, che evidenzia come il controllo del giudice non possa estendersi sino alla considerazione contenutistica della legislazione straniera, dovendosi aver riguardo in sede di delibazione esclusivamente alla portata degli effetti della decisione da riconoscere). Ci si è interrogati se tra questi principi fondamentali rientrino o meno il principio di uguaglianza e di non discriminazione (perché legato al sesso, alla religione o all'orientamento sessuale delle persone) quanto a due genitori di uguale sesso, che hanno legittimamente perseguito un progetto di genitorialità nel paese estero, con particolare attenzione al fatto che ciò che in questo caso viene effettivamente e direttamente in considerazione non è la legittima aspirazione dei due padri sposati ad avere dei figli, ma bensì lo status dei minori nati da questa unione nell'ambito del nostro ordinamento. Una delle prime pronunce da segnalare, in materia di surrogazione di maternità, riferibile ad epoca precedente all'entrata in vigore della l. n. 40/2004 è la sentenza del Trib. Monza 27 ottobre 1989, che ha rappresentato il primo caso giurisprudenziale di madre su commissione. In particolare a seguito della sottoscrizione di un contratto di surrogazione e della corresponsione del corrispettivo pattuito la madre gestante rifiutava di consegnare il bambino ai committenti. In mancanza di un'esplicita disciplina, il Tribunale — in applicazione delle regole generali in materia di diritto di famiglia, secondo le quali la nascita trova il suo presupposto nell'effettiva ricorrenza di un rapporto sessuale tra un uomo e una donna e considerato il disposto di cui agli art. 2 e 30 della Cost. — ha affermato l'infungibilità dei doveri morali ed economici dei genitori di sangue, con conseguente diritto del minore di vivere appunto solo in questa famiglia, senza alcun diritto per una eventuale famiglia sostitutiva. La sentenza afferma anche come non si possa ritenere la ricorrenza di un diritto alla procreazione come aspetto particolare del più generico diritto della persona, così come di un diritto alla genitorialità, anche perché un contratto quale quello di surrogazione di maternità dovrebbe essere considerato realizzato in evidente violazione dell'art. 5 c.c. Cass. III penale n. 5198/2020 ha precisato che il divieto di realizzare, in qualsiasi forma, la surrogazione di maternità comprende le condotte antecedenti ed eziologicamente collegate e funzionali alla maternità surrogata; il reato si perfeziona con la nascita, a gestazione terminata (la Corte ha escluso la configurazione del reato in forza di soli contatti prodromici intrattenuti via “e-mail” al fine di valutare le possibili soluzioni, in quanto non ancora dimostrativi della decisione di ricorrere alla pratica vietata). A sua volta Cass. III penale, n. 36221/2019 ha affermato che l'art. 12, comma 6, della l. 40/2004 punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza l'acquisizione di gameti umani in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione (fattispecie relativa all'acquisto di gameti umani in cliniche estere da donatrici remunerate e alla successiva rivendita degli stessi in occasione dell'esercizio di tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo). Caratterizzata da particolare innovatività nell'approccio interpretativo è certamente l'ordinanza del Trib. Roma 17 febbraio 2000, secondo la quale il negozio atipico di maternità surrogata a titolo gratuito — in quanto diretto a realizzare un interesse (l'aspirazione della coppia infeconda alla realizzazione come genitori) meritevole di tutela secondo l'ordinamento giuridico, e non in contrasto con la disciplina relativa agli status familiari, né con il divieto di atti di disposizione del proprio corpo — è pienamente lecito. Il caso concreto era caratterizzato dalla conclusione di un contratto di surrogazione di maternità al quale si era opposto il ginecologo della coppia ritenendolo contrario al codice deontologico di categoria. I coniugi ricorrevano quindi in via di urgenza al Tribunale chiedendo che venisse effettuato l'impianto in presenza di pregiudizio imminente ed irreparabile rappresentato dal possibile deperimento degli embrioni. Il Tribunale richiama la lacuna legislativa presente all'epoca in materia ed evidenzia come l'errore fondamentale potrebbe essere quello di utilizzare modelli normativi inadeguati e superati rispetto all'evoluzione in campo genetico e medico. Emerge dunque la necessaria considerazione di situazioni nuove e diverse, proprio quale conseguenza del progresso medico e genetico, per cui l'evento nascita deve essere necessariamente scisso dalla ricorrenza di un rapporto fisico tra uomo e donna, sicché a fronte di una nascita svincolata dall'atto sessuale appare improprio il mero rinvio a principi generali ed alle norme dettate in materia di filiazione. Richiama il Tribunale l'opportunità di inserire il processo interpretativo e le forme di tutela in un'ottica che concepisce la società come organismo in continua evoluzione, con attenzione e rispetto del principio di auto realizzazione individuale, quale principio fondamentale della persona nel desiderio di raggiungere la genitorialità, con la precisazione che lo status genitoriale può trovare fondamento e completezza anche nella trasmissione del proprio patrimonio genetico. In conclusione si rileva come le funzioni tradizionalmente svolte da una sola donna possano essere svolte anche da donne diverse, la madre genetica che mette a disposizione l'ovocita e la madre gestante che accoglie l'embrione, intaccando dunque il principio della certezza della derivazione materna, con conseguente inadeguatezza delle norme fondate su tale certezza. Secondo il Tribunale il parto finisce per perdere la sua funzione rivelatrice rappresentando l'evento terminale di una complessa sequenza, nell'ambito di una più generale prospettiva di solidarietà familiare. Nell'ambito di tale sequenza dunque la riferibilità del concetto di maternità trova una sua fondamentale soluzione nel concetto di maternità responsabile, nell'ambito di un più ampio progetto familiare. Si afferma infatti che i figli devono venire al mondo solo se desiderati, con conseguente affermazione dell'esistenza di un vero e proprio diritto a procreare. La possibilità quindi di cedere il proprio utero a supporto di un tale progetto genitoriale viene dunque letta escludendo qualsiasi violazione dell'art. 5 c.c., senza che tale potere di disposizione possa essere in alcun modo considerato come espressione del diritto di proprietà, ma come strumento di sviluppo della personalità. Nessuna violazione dunque del concetto di ordine pubblico e buon costume secondo il Tribunale, ciò considerata la formulazione ampia scelta dal legislatore proprio allo scopo di consentire il loro continuo modificarsi ed evolversi in relazione al mutamento della coscienza sociale. Certamente da segnalare, ancora una volta, sul tema della surrogazione di maternità il provvedimento della Corte di Appello di Bari del 25 febbraio 2009 che ha ammesso il riconoscimento nell'ambito del nostro ordinamento del «parental order» emesso dal giudice inglese relativamente alla richiesta inoltrata da genitori di minori nati per surrogazione di maternità. Dalla motivazione della sentenza emerge chiaramente che ai fini del riconoscimento nello Stato Italiano dei «parental order» resi nel Regno Unito in forza dei quali è riconosciuta ad una donna la maternità c.d. surrogata su un bambino, deve farsi riferimento alla nozione di ordine pubblico internazionale; a tal fine, il solo fatto che la legislazione italiana vieta, oggi (ma non all'epoca in cui i minori sono nati), la tecnica della maternità surrogata, ed il sol fatto che essa è ispirata al principio (tra l'altro, tendenziale, e, in taluni casi, derogabile), della prevalenza della maternità «biologica» su quella «sociale», non sono, di per sé, indici di contrarietà all'ordine pubblico internazionale, a fronte di legislazioni (come quella inglese, e quella greca) che prevedono deroghe a tale principio. Inoltre, ai fini del riconoscimento, o del mancato riconoscimento, dei provvedimenti giurisdizionali stranieri citati, deve aversi prioritario riguardo all'interesse superiore del minore (v. art. 3 della l. 27 maggio 1991, n. 176, di ratifica ed esecuzione della convenzione sui diritti del fanciullo, in New York 20 novembre 1989), costituente anch'esso parametro di valutazione della contrarietà o meno all'ordine pubblico internazionale, principio ribadito in ambito comunitario, con particolare riferimento al riconoscimento delle sentenze straniere nella materia dei rapporti tra i genitori e i figli, dall'art. 23 del Reg. CE n. 2201/2003, che espressamente stabilisce che la valutazione della «non contrarietà all'ordine pubblico» debba essere effettuata «tenendo conto dell'interesse superiore del figlio». Nel caso in questione, a causa di una grave malattia della moglie, i coniugi decidevano di accedere in Inghilterra ad un contratto di maternità surrogata eterologa, nel senso che avrebbero avuto figli geneticamente riferibili al solo marito. Dopo la nascita i figli furono subito portati in Italia quali figli naturali del padre, con conseguente richiesta di riconoscimento del parental order nell'ambito del quale la moglie del padre genetico veniva riconosciuta legalmente come madre del bambino pur non avendolo partorito. La Corte richiama in modo approfondito impostazioni e interpretazioni in ordine alla portata, liceità e consistenza del contratto di gestazione per altri, evidenziando una prima teoria — secondo la quale dovrebbe sempre prevalere il rapporto di parentela derivante dal parto del bambino, a prescindere da chi abbia fornito il materiale genetico, in considerazione della ritenuta maggiore intensità del rapporto che si instaura tra la madre e il nascituro durante la gestazione in applicazione del disposto di cui all'art. 269 c.c. — contrastata da altre e più recenti impostazioni secondo la quale l'interpretazione e valutazione deve tenere conto dell'evoluzione tecnica e scientifica che ha portato alla emersione e al riconoscimento del concetto di genitorialità sociale, con necessaria considerazione e valutazione prioritaria dell'interesse del minore. Richiama nelle proprie conclusioni la disciplina ex art. 33 della l. 31 maggio 1995 n. 218 in correlazione con il concetto di ordine pubblico internazionale, da interpretarsi in relazione al prevalente interesse del minore. Cass. n. 15234/2013 affronta il concetto di ordine pubblico, richiamando la previsione di cui all'art. 33 l. 31 maggio 1995 n. 218, e dunque il necessario riferirsi nell'ambito di tali valutazioni ai provvedimenti accertativi ed alle statuizioni giurisdizionali dello stato estero di nascita, senza possibilità per il giudice italiano di sovrapporre a quegli accertamenti fonti di informazione estranee o nazionali. Il Trib. Milano 15 ottobre 2013 ha precisato sempre in materia di surrogazione di maternità come il delitto di alterazione di stato ex art. 567 c.p. si consumi esclusivamente al momento genetico di formazione dell'atto, sicché si deve escludere la consumazione del delitto ove l'atto sia da ritenere in tutto conforme alla lex loci, né rileva l'eventuale contrarietà all'ordinamento italiano della successiva trascrizione dell'atto, correttamente perfezionatosi nell'ordinamento straniero, non potendo il divieto di diventare madre per fecondazione eterologa con gestazione per altri rientrare tra i principi fondanti dell'ordine pubblico internazionale. La rilevanza del concetto di genitorialità sociale su cui si basa nel caso concreto il riconoscimento da parte dello Stato ucraino dello status filiationis deve per la sentenza in esame essere ritenuto patrimonio anche del nostro ordinamento in considerazione della preminenza del principio di auto responsabilità su quello di derivazione biologica come criterio di attribuzione della paternità. In senso del tutto opposto alle interpretazioni e considerazioni che precedono si è invece pronunziata Cass. n. 24001/2014 , secondo la quale l'art. 12, comma 6, della l. n. 40/2004 ha escluso la conformità all'ordine pubblico del contratto di surrogazione di maternità, in ragione della tutela costituzionalmente garantita alla dignità umana della gestante e considerato che, nell'interesse superiore del minore, l'ordinamento giuridico affida la realizzazione di un progetto di genitorialità privo di legame biologico con il nato esclusivamente all'istituto dell'adozione e non al mero accordo tra le parti. Tuttavia occorre considerare come il caso affrontato dalla Corte si presentasse alquanto particolare non ricorrendo alcun tipo di legame genetico tra il minore e i committenti ed essendo stati dichiarati i committenti più volte inidonei all'adozione. La sentenza richiama in motivazione la decisione della CEDU, quinta sezione, del 26 giugno 2014 (Mennenson/Francia) e la motivazione gemella (Labassee/Francia). Con queste decisioni la Corte europea ha riconosciuto la violazione dell'art. 8 della Convenzione, diritto al rispetto della vita privata e familiare, nel caso di rifiuto delle autorità nazionali di riconoscere valore legale alla relazione tra un padre e i suoi figli biologici, nati all'estero a seguito di accordo per surrogazione di maternità. Anche in questo caso le autorità francesi, nonostante la legittimità e regolarità della pratica di surrogazione negli Stati Uniti, avevano rifiutato di procedere alla trascrizione degli atti di nascita nel registro dello stato civile, rilevando una contrarietà all'ordine pubblico. La violazione dell'art. 8 è stata riferita in particolare non tanto al diritto alla vita privata dei ricorrenti, ma bensì in relazione al diritto dei minori, venendo in rilievo una serie di obblighi negativi, ricadenti in capo ai diversi stati ex art. 8 della Convenzione. I minori sostanzialmente si troverebbero in una situazione d'incertezza giuridica a causa del mancato riconoscimento del loro status di figli della coppia committente la surrogazione di maternità, mentre si deve sempre considerare che la cittadinanza è un importante elemento che definisce l'identità di ciascuna persona. Ugualmente la Corte richiama la circostanza che una tale ingerenza da parte dello Stato, consistente nel mancato riconoscimento e trascrizione dell'atto di nascita, inciderebbe irrimediabilmente su diritti successori dei minori, modificando il diritto degli stessi alla definizione della loro rispettiva identità, ivi compresi i rapporti di parentela. Questo insieme di considerazioni assume poi ancor maggiore pregnanza nel caso in cui uno dei due committenti sia anche legato biologicamente ai minori. Un diverso contesto è invece quello affrontato da Cass. n. 12962/2016, dove si considera il caso di una applicazione di tecniche di Pma eterologa in ambito di coppia omossessuale, dalla quale tuttavia emergono alcune riflessioni rilevanti in tema di assunzione consapevole della responsabilità genitoriale. Infatti tale consapevole assunzione di responsabilità troverebbe fondamento nel consenso manifestato all' accesso a pratiche di procreazione assistita non consentite ex art. 9 l. n. 40/2004. L'esclusione di qualsiasi possibile azione per il disconoscimento di paternità evidenzia la rilevanza anche giuridica di una scelta di procreazione alternativa, sebbene vietata. Ciò anche in considerazione del principio di salvaguardia della continuità affettiva, che costituisce anche la ratio d'ispirazione della l. 19 ottobre 2015 n. 173. Con il decreto della Corte di appello di Milano 28 dicembre 2016 è stata ordinata la trascrizione dell'atto di nascita formato in California, relativo a due minori nati tramite gestazione per altri con parto gemellare mediante uso di donatrice per i due ovociti fecondati rispettivamente dai due diversi padri, regolarmente conviventi tra loro. Il decreto in questione riforma la decisione del Tribunale di Milano che aveva rifiutato la trascrizione in considerazione della diversa paternità genetica dei due gemelli in correlazione con il parto gemellare degli stessi faceva supporre il ricorso alla maternità surrogata (in realtà mai negato dai ricorrenti), con conseguente contrarietà dell'atto all'ordine pubblico ai sensi dell'art. 12 della legge sulla PMA. Anche in questo caso la Corte di appello, richiamando principi già espressi a livello europeo, ha chiarito come l'eventuale ricorso alla maternità surrogata non può incidere su diritti fondamentali del minore all'identità personale e sociale, proteggendo così il suo superiore interesse ad un corretto collocamento nel progetto genitoriale inizialmente intrapreso dai due padri. Questa pronunzia si pone in linea di continuità applicativa con la sentenza della Cass. n. 19599/2016. Cass. n. 19599/2016 , con una motivazione ampia e diffusa, ha confermato l'ordine di trascrizione dell'atto di nascita relativo a due madri unite all'estero in matrimonio omosessuale (minore partorito da una delle due donne a seguito di ovodonazione da parte della moglie) ed ha evidenziato un concetto di ordine pubblico a carattere più ampio, ed integrato evidentemente a livello eurounitario, secondo un giudizio che non deve risolversi in una verifica mera della conformità dell'atto al diritto interno, ma bensì deve giungere ad un controllo di compatibilità con l'ordine pubblico internazionale, come complesso di principi derivanti da esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo desumibili dalla carta costituzionale, dai trattati fondativi e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, nonché dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo. Emerge dunque un nuovo e contrapposto concetto di ordine pubblico rispetto alle precedenti pronunzie della Corte, secondo un concetto qualificato da consistenti interazioni tra diversi ordinamenti giuridici e livelli di tutela. Dunque non più ordine pubblico inteso come limite in senso prettamente difensivo, ma quale metodo di interazione tra ordinamento interno e ordinamento internazionale sulla base di principi condivisi, che non necessariamente debbono essere formalizzati in norme interne. Il principio di diritto enunciato nella sentenza chiarisce dunque come il giudice italiano chiamato a valutare la compatibilità predetta deve verificare non già se l'atto straniero applichi una disciplina della materia conforme o difforme rispetto a norme interne, bensì se esso contrasti o meno con le esigenze di tutela dei diritti fondamentali dell'uomo. Anche in questo caso si richiama la particolare rilevanza della protezione del superiore interesse del minore (ad essere figlio di entrambe le madri, in applicazione del principio ex art. 24 della Carta dei diritti UE che afferma la ricorrenza di un diritto a mantenere rapporti significativi con entrambi i genitori a prescindere dal loro sesso o orientamento sessuale). Qui come nella decisione della Corte di appello di Milano si afferma l'irrilevanza del modo in cui il minore sia venuto al mondo, rispetto all'esigenza di tutelare il minore stesso quanto alla certezza dei rapporti giuridici che lo riguardano e alla piena protezione della sua identità personale e sociale. Lo status di figlio dunque permane, e così il diritto alla conservazione dello stesso inalterato, a prescindere dall'eventuale condotta illecita posta in essere da terzi, che ha determinato la nascita del minore. Emerge dunque una sostanziale irrilevanza della modalità di nascita rispetto alla possibile trascrizione dell'atto di nascita conseguente a surrogazione di maternità lecitamente praticata in altro stato. Nello stesso senso si è espresso a suo tempo anche il Trib. Varese 8 ottobre 2014. In conclusione le decisioni evidenziano come la l. n. 40/2004, nella valutazione e bilanciamento di interessi da realizzare, non rappresenti un valore di livello costituzionale primario al quale debba essere garantita una prevalente applicazione, ed anzi al contrario si afferma come l'atto di nascita straniero non contrasti con l'ordine pubblico per il solo fatto che la tecnica procreativa non sia riconosciuta in Italia della legge n. 40. I principi enunciati nella l.n.40/2004 non esprimono dunque un valore costituzionalmente superiore ed inderogabile, tale da poter essere considerato un principio di ordine pubblico. Conseguentemente e nello stesso senso, dopo aver evidenziato la particolare rilevanza della genitorialità sociale nelle sue diverse declinazioni, la Corte afferma come il principio di cui all'art. 269 c.c., secondo il quale è madre colei che partorisce non costituisce un principio fondamentale di rango costituzionale, con conseguente salvaguardia di un progetto di omogenitorialità, sicché la diversità di sesso tra i genitori, tipica del matrimonio, non può rappresentare un elemento di discrimine, né giustificare una condizione deteriore per i figli incidendo sul loro status. La nozione di vita familiare deve dunque secondo la Corte essere declinata in concreto, considerati rapporti per come instaurati nell'ambito della comunità familiare, con particolare attenzione alla tutela del minore a prescindere dalla discendenza biologica dei figli, non più considerata quale elemento essenziale della filiazione, come già evidenziato in tema di PMA eterologa. Sul tema deve inoltre essere segnalato il parere reso dalla Corte EDU, grande Camera, in data 9 aprile del 2019. Il parere, sollecitato dalla magistratura francese proprio in tema di maternità surrogata e trascrizione del conseguente atto di nascita in favore della madre sociale, apre ad una serie di riflessioni assai interessanti, evidenziando il processo di continua costruzione di nuovi diritti in favore di minori nati da gestazione per altri. Nel caso concreto, quanto ad un minore nato all'estero da gestazione per altri con materiale biologico del solo padre, era stata riconosciuta dallo Stato francese la possibilità di trascrizione dell'atto di nascita in favore del padre, senza tuttavia consentire analoga tutela alla madre di intenzione. Il quesito pone quindi la questione se tale limite alla trascrizione dell'atto di nascita nei confronti della madre sociale determini un superamento da parte dello Stato del margine di apprezzamento a sua disposizione ex art. 8 della CEDU, e se comunque occorra sempre distinguere se il bambino sia stato procreato con i gameti della madre o meno. Nel fornire la propria articolata risposta la Corte ha comunque e sempre evidenziato in via prioritaria il principio della necessaria realizzazione del migliore interesse del minore, sottolineando tutti quelli che potrebbero essere gli effetti negativi derivanti dal mancato riconoscimento per il minore del suo rapporto con la madre di intenzione, con conseguente rilevanza anche dell'interesse del minore alla stabilità della relazione ambientale con la madre sociale. Il parere ha dunque affermato che in applicazione dell'art. 8 della CEDU si deve ritenere che lo Stato contraente sia tenuto a fornire riconoscimento alla relazione tra il minore e la madre sociale o d'intenzione, una tutela questa che deve essere riconosciuta a maggior ragione quando sia stato generato mediante gestazione per altri realizzata anche con materiale biologico della madre di intenzione. È dunque obbligo dello Stato contraente, secondo il parere richiamato, considerare la particolare posizione del minore che richiede necessariamente l'adozione di una serie di strumenti di protezione della sua condizione di vulnerabilità. Devono essere apprestati dei mezzi di tutela, che tuttavia non necessariamente coincidono con la trascrizione dell'atto di nascita in favore della madre sociale, potendo lo strumento di tutela anche essere rappresentato dal procedimento di adozione, purché gli effetti che saranno prodotti dalla adozione possano essere effettivamente considerati analoghi o simili a quelli del riconoscimento legale nell'atto di nascita, mediante attribuzione in tempi rapidi di un effettivo status volto ad eliminare lo stato di incertezza quanto alla condizione del minore. Dunque, tenendo conto dell'ampio margine di apprezzamento attribuito sul punto ai singoli Stati quanto all'apprestare effettiva tutela alla relazione figlio e madre di intenzione, la Corte Edu ha chiarito come lo strumento della registrazione dell'atto di nascita possa non essere l'unico strumento predisposto dall'ordinamento, potendosi ad esso aggiungere la procedura di adozione, purché la protezione apprestata sia immediata ed efficace considerato il superiore interesse del minore. Spetterà sempre e comunque al giudice nazionale verificare la portata del superiore interesse del minore in relazione al singolo caso concreto. Sempre sul tema della valutazione del superiore interesse del minore e della portata del concetto di ordine pubblico in tema di gestazione per altri occorre segnalare la decisione della Cass. S.U. n. 12193/2019 secondo la quale: “I l riconoscimento dell'efficacia del provvedimento giurisdizionale straniero con cui sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla maternità surrogata ed il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana trova ostacolo nel divieto della surrogazione di maternità previsto dall'art. 12, comma sesto, della legge n. 40 del 2004, qualificabile come principio di ordine pubblico, in quanto posto a tutela di valori fondamentali, quali la dignità umana della gestante e l'istituto dell'adozione; la tutela di tali valori, non irragionevolmente ritenuti prevalenti sull'interesse del minore, nell'ambito di un bilanciamento effettuato direttamente dal legislatore, al quale il giudice non può sostituire la propria valutazione, non esclude peraltro la possibilità di conferire rilievo al rapporto genitoriale, mediante il ricorso ad altri strumenti giuridici, quali l'adozione in casi particolari, prevista dall'art. 44, comma primo, lett. d), della legge n. 184 del 1983.” Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno inoltre espresso il seguente principio secondo il quale: “In tema di riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, la compatibilità con l'ordine pubblico, ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. g), della l. n. 218 del 1995, deve essere valutata non solo alla stregua dei princìpi fondamentali della Costituzione e di quelli consacrati nelle fonti internazionali e sovranazionali, ma anche del modo in cui detti princìpi si sono incarnati nella disciplina ordinaria dei singoli istituti e dell'interpretazione fornitane dalla giurisprudenza costituzionale e ordinaria, la cui opera di sintesi e ricomposizione dà forma a quel diritto vivente, dal quale non può prescindersi nella ricostruzione della nozione di ordine pubblico, quale insieme dei valori fondanti dell'ordinamento in un determinato momento storico”. Investita di questione ritenute di massima particolare importanza la Corte ha affrontato il caso di una coppia omossessuale che aveva fatto ricorso alla gestazione per altri, alla quale era seguita la nascità di due genelli, con attribuzione della paternità anche al genitore di intenzione non legato biologicamente ai due minori, ma stabilmente legato al padre biologico. L'ufficiale dello Stato civile italiano aveva immediatamente trascritto l'atto di nascita con riferimento al genitore biologico, mentre aveva rigettato la richiesta per il padre d'intenzione ritenendolo contrario all'ordine pubblico, considerato che secondo la normativa statale interna i genitori devono essere di sesso diverso. La decisione, per quanto rileva in questa sede, ha realizzato una approfondita analisi e ricostruzione del concetto di ordine pubblico internazionale, sottolineando la necessaria distinzione di tale concetto da quello di ordine pubblico interno, considerato il coinvolgimento di valori giuridici condivisi dalla comunità internazionale per la tutela di diritti fondamentali e condivisi. Nel giungere ad una definizione di ordine pubblico internazionale la Corte ha richiamato la sentenza n. 16601/2017 in tema di danni punitivi, giungendo ad una lettura integrata a tal fine anche dei principi ivi enunciati, considerato che proprio quella decisione evidenziava la necessità di tenere conto nell'individuazione dei principi di ordine pubblico del modo in cui i predetti valori su sono concretamente incarnati nella disciplina dei singoli istituti. È dunque stato affermato che nella determinazione del contenuto del concetto di ordine pubblico occorre riferirsi non solo ai principi contenuti nelle carte, ma anche alla disciplina ordinaria e all'interpretazione che della stessa viene data dal diritto vivente, dalla cui valutazione non si può prescindere nell'individuazione di quell'insieme di valori fondanti dell'ordinamento in un dato momento storico. Nell'affermare questi principi le Sezioni Unite della Corte hanno richiamato il divieto, sanzionato penalmente, di cui all'art. 12, comma 6, della l. n. 40/2004. In concreto tale divieto è stato ritenuto di stringente attualità ed espressione di valori fondanti dell'ordinamento interno, proprio a causa della oggettiva necessità di distinguere la maternità surrogata dalla fecondazione eterologa. Tale divieto penale è stato dunque ritenuto espressione di un principio generale di ordine pubblico, come chiarito anche dalla decisione Corte cost. n. 272/2017, considerato che tale pratica offenderebbe in modo intollerabile la dignità umana e fa dunque riferimento a valori superiori e fondanti. Ne consegue l'impossibilità di trascrivere un provvedimento straniero che di fatto riconosca la pratica della maternità surrogata, attribuendo la paternità anche al genitore d'intenzione privo di legami biologici con il minore. In tale contesto secondo le Sezioni Unite della Corte il principio di ordine pubblico emergente dalla previsione di cui all'art. 12 non si pone in contrasto con il superiore interesse del minore, sia perché tale interesse è stato ritenuto di valore non assoluto, con conseguente possibilità di affievolimento rispetto ad altri valori, sia perché un tale bilanciamento di interessi rientra nella piena discrezionalità de legislatore anche secondo i canoni della CEDU, nonché in considerazione del fatto che l'interesse del minore a restare parte del nucleo familiare in piena relazione con il genitore di intenzione, anche omosessuale, è pur sempre tutelabile attraverso l'adozione in casi particolari di cui all'art. 44, comma 1, lett. d) della l.n. 184 del 1983 ( in tal senso Cass. I, n. 12962/2016). Le Sezioni Unite hanno dunque concluso che gli effetti del riconoscimento del provvedimento straniero, di cui è stata chiesta la trascrizione, si pongono in contrasto con l'ordine pubblico ai sensi dell'art. 64, comma 1, lett. g) della l. n. 218 del 1995. La Prima sezione civile, con ordinanza n. 8325 del 29 aprile 2020, ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, dell'art. 18 del d.P.R. n. 396 del 2000 e dell'art. 65, comma 1, lett. g), della legge n. 218 del 1995, nella parte in cui non consentono, per contrasto con l'ordine pubblico italiano, che possa essere riconosciuto e dichiarato esecutivo il provvedimento giudiziario straniero relativo all'inserimento nell'atto di stato civile di un minore procreato con le modalità della gestazione per altri del genitore d'intenzione non biologico, per contrasto con gli art. 2,3,30,31,117, comma 1, della Costituzione, in relazione all'art. 8 CEDU, agli art. 2,3,7,8,9, e 18 della Convenzione 20 novembre 1989 delle Nazioni Unite sui diritti dei minori e dell'art. 24 della Carta di Nizza. L'ordinanza richiama come necessario punto di riferimento la tutela multilivello e, dunque, la proficua integrazione tra fonti e giurisdizioni nazionali e sovranazionali. In sostanza, tenendo conto della pronuncia delle Sezioni unite n. 12193/2019, con cui il giudice di legittimità ha tracciato la considerazione del rapporto tra maternità surrogata e ordine pubblico internazionale, l'ordinanza di rimessione ha evidenziato come sia nel frattempo sopraggiunto il parere preventivo della Corte Edu del 10 aprile 2019, che ha determinato un sostanziale mutamento del quadro di riferimento. Considerando le interpretazioni prima richiamate, sia quanto alla portata della disciplina della gestazione per altri, che quanto alla portata dell' art. 12, comma 6, della legge n. 40/2004, e richiamata la tesi secondo la quale la previsione esprima un principio di ordine pubblico, ne conseguirebbe, per la disciplina interna, la nullità gli accordi di gestazione (anche gratuiti), mentre per il diritto internazionale privato, il rifiuto della trascrizione di atti amministrativi e provvedimenti giudiziari stranieri che comportino l'attribuzione della genitorialità sulla base di pratiche di maternità surrogata realizzate all'estero. Ne consegue, secondo le linee ermeneutiche tracciate dalle Sezioni Unite, che la tutela dei nati da maternità surrogata sarebbe offerta soltanto dall'istituto dell'adozione, peraltro nelle forme dell'adozione non legittimante (art. 44 della legge n. 184 del 1983). Tale impostazione è stata criticata, poiché determinerebbe un sostanziale passo indietro nella considerazione della nozione di ordine pubblico internazionale, che aveva invece trovato un elaborato spunto interpretativo nella giurisprudenza di legittimità sopra citata anche in tema di filiazione, mentre appare del tutto svalutato il tema della genitorialità sociale, rappresentando di fatto l'adozione un ripiego certamente utile, ma solo ove garantisca effettivamente tutti gli interessi in gioco, tra i quali posizione primaria, proprio rispetto alla tutela da apprestare, spetta a quello del minore. Con l'ordinanza della Prima Sezione si è dunque messa in discussione l'elaborazione del diritto vivente fornita dalle Sezioni Unite, evidenziando che la Corte di Strasburgo, nel rispondere alle perplessità della giurisprudenza francese successiva ai casi Mennesson e Labassee , ha chiarito che, seppure lo strumento dell'adozione possa apparire in generale idoneo a garantire i diritti del nato, in concreto la sua efficacia è correlata all'effettiva produzione di effetti simili a quelli del diretto riconoscimento dell'atto di nascita straniero, e pur tuttavia si caratterizza per un procedimento di attribuzione dello status non così celere e idoneo a eliminare la condizione di incertezza sulla condizione giuridica del minore. L'adozione in casi particolari dell'art. 44 è difficilmente compatibile con l'idea della Corte EDU, poiché i tempi che la caratterizzano sono normalmente lunghi, il mantenimento del cognome di origine e la non instaurazione di legami di parentela con i genitori adottivi, con tutte le conseguenze che ne scaturiscono sul piano patrimoniale e non, possono realisticamente considerarsi un vero e proprio limite rispetto al modello di riconoscimento dello status richiesto dalla CEDU. Secondo la Corte, poi, il dubbio di legittimità costituzionale è alimentato da molti altri parametri sovranazionali (dalla CEDU alla Carta di Nizza fino alla convenzione ONU di New York sui diritti del fanciullo) tramite l'art. 117 della Costituzione, oltre alle norme della stessa Carta costituzionale (art. 2, 3, 30, 31) in materia di diritti della persona. Il punto centrale della riflessione è, dunque, rappresentato dalla considerazione in senso restrittivo da parte della giurisprudenza di legittimità sia del concetto di ordine pubblico internazionale ed interno, che del concetto di genitorialità sociale; in tal senso alcune decisioni successive alle Sezioni Unite si pongono in linea di continuità con l'orientamento restrittivo, vuoi delle Sezioni unite che della Corte costituzionale ( vedi in tal senso Corte cost. n. 272/2017, che, individua nel divieto esplicito dell'art. 12, comma 6, un ostacolo quanto alla possibilità di ammettere la maternità surrogata nell'ordinamento nazionale, sebbene avesse evidenziato alcune aperture verso le nuove forme di genitorialità, abbandonando l'idea di una preminenza del favor veritatis ; nonché Corte cost. n. 221/2019, che ha negato l'illegittimità della legge n. 40/2004 nella parte in cui limita l'accesso alla p.m.a. alle sole coppie di sesso diverso, enucleando la piena legittimità del margine di apprezzamento dell'ordinamento nazionale rispetto all'interpretazione giurisprudenziale della Corte di Strasburgo; quanto alla giurisprudenza di legittimità sono da considerare Cass. n. 7668/2020 e n. 8029/2020). La Corte cost. n. 33 del 2021 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale poste dalla Prima sezione della Corte di cassazione. La Corte ha premesso che le questioni di legittimità proposte riguardano lo stato civile dei nati attraverso la pratica della maternità surrogata, vietata dall'art. 12, comma 4, della l. n. 40 del 2004, con possibilità di dare effetto nell'ordinamento italiano a provvedimenti giudiziari stranieri che riconoscano come genitore non solo chi abbia fornito i propri gameti, ma anche il genitore d'intenzione che abbia condiviso consapevolmente il progetto genitoriale, anche senza fornire il proprio apporto genetico. La Corte ha ritenuto infondate le eccezioni proposte dall'Avvocatura dello Stato quanto al carattere non vincolante del Parere consultivo reso dalla Corte EDU il 10 aprile 2019, ampiamente citato dall'ordinanza di rimessione, ma non invocato come parametro interposto, al contrario individuato nell'art.8 della Conv. EDU, che riconosce il diritto alla vita privata e familiare del minore. In tale contesto la Corte ha osservato che non vi è dubbio sul fatto che tale parere non sia vincolante, già per il paese a cui appartiene la giurisdizione richiedente, e, dunque, a maggior ragione per i paesi che non hanno ratificato il Protocollo 16 come l'Italia, sebbene sia confluito in diverse decisioni della Corte EDU (sentenza 16 luglio 2020, D. contro Francia). Ugualmente è stata ritenuta infondata l'ulteriore eccezione relativa all'omessa sperimentazione da parte del Collegio rimettente di un'interpretazione conforme alla Conv. EDU alla luce del parere consultivo citato, osservando che la Sezione remittente ha plausibilmente motivato quanto all'impraticabilità di un'interpretazione conforme. È stata invece dichiarata di ufficio l'inammissibilità della questione formulata con riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. e 24 CDFUE, mancando la motivazione circa la sua riconducibilità all'ambito di applicazione del diritto dell Unione Europea ai sensi dell'art. 51 CDFUE. Anche le restanti questioni poste sono state dichiarate inammissibili. La Corte, premesso che il diritto vivente censurato si riferisce alla qualificazione operata dalle Sezioni Unite civili del divieto penalmente sanzionato di surrogazione di maternità, di cui all'art. 12, comma 4, della l. n. 40 del 2004, come principio di ordine pubblico in quanto posto a tutela di valori fondamentali, tra i quali la dignità umana della gestante, ha osservato come sia già stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale che la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane (Corte cost. n. 272 del 2017), considerazione alla quale si deve aggiungere la possibilità di accordi di maternità surrogata che potrebbero portare allo sfruttamento di persone vulnerabili e in situazioni di disagio economico e sociale. Ciò in linea di continuità con quanto affermato dalla risoluzione del 13 dicembre 2016 del Parlamento europeo, con la quale è stata condannata qualsiasi forma di maternità surrogata a fini commerciali. Ci si è quindi interrogati sull'effettiva compatibilità del diritto vivente delle Sezioni Unite con il diritto del minore a vedere riconosciuta la propria vita familiare e la propria identità personale, inteso sempre nell'ottica della ricerca di una situazione ottimale in concreto per l'interesse del minore. Nell'affrontare la conseguente analisi, la Corte ha affermato che non vi è dubbio che ricorra l'interesse di un bambino accudito sin dalla sua nascita da una coppia, anche omosessuale, che ha condiviso la decisione di procrearlo, ad ottenere un riconoscimento dei suoi legami affettivi, che rappresentano senza dubbio parte integrante dell'identità del bambino, un riconoscimento, non solo sociale, ma anche giuridico, per poter rientrare a pieno titolo in una comunità familiare e non solo di affetti, anche nel caso di coppie dello stesso sesso, atteso che l'orientamento sessuale della coppia non incide di per sé sulla assunzione di responsabilità genitoriale. Il centro della riflessione è rappresentato dall'interesse del minore a che sia affermata in capo ai soggetti che lo accudiscono la titolarità giuridica di un insieme di doveri funzionali agli interessi del minore, inscindibilmente legati all'esercizio di responsabilità genitoriali. Non si discute di diritto alla genitorialità, per il genitore di intenzione, ma solo ed esclusivamente del miglior interesse del minore. In tale ambito la stessa Corte EDU con la sua giurisprudenza ha riconosciuto, ai sensi dell'art. 8 della Conv. EDU che i bambini nati mediante maternità surrogata, anche negli Stati che vietino il ricorso a tali pratiche, hanno diritto ad ottenere un riconoscimento giuridico del legame di filiazione, nell'impossibilità di ritenere sufficiente a tal fine il riconoscimento del rapporto di filiazione con il solo genitore biologico. Tuttavia la Corte ha sottolineato come l'interesse del bambino non può essere automaticamente considerato prevalente rispetto ad ogni altro contro interesse in gioco, mentre occorre giungere ad una valutazione di bilanciamento ispirata al criterio di proporzionalità in considerazione dello scopo legittimo perseguito dall'ordinamento di disincentivare il ricorso alla maternità surrogata. Si riconosce in tal senso la portata della decisione delle Sezioni Unite civili nel negare la trascrivibilità di un provvedimento giudiziario straniero nella parte in cui attribuisce lo status di genitore anche al componente della coppia che nel percorso procreativo non abbia fornito i propri gameti. Tenendo conto di questo necessario bilanciamento, sostanzialmente condivisa la soluzione fornita dalle Sezioni Unite civili, anche alla luce delle stesse decisioni della Corte EDU che hanno ritenuto necessario che ciascun ordinamento garantisca la concreta possibilità di riconoscimento giuridico tra il bambino e il genitore di intenzione, si è richiamata l'indicazione relativa alla discrezionalità di ciascuno Stato dei mezzi con cui pervenire a tale risultato, tra i quali si annovera anche il ricorso all'adozione del minore, ritenuta, tuttavia, sufficiente dalla Corte EDU a condizione che le modalità previste dal diritto interno garantiscano l'effettività e la celerità del procedimento per realizzare effettivamente e proficuamente l'interesse del bambino. Ne consegue per la Corte, riconosciuta la discrezionalità del legislatore su questo tema, la necessità di tenere conto delle particolarità e dei limiti che ineriscono alla disciplina dell'adozione legittimante di cui all'art. 44 , comma 1, lett. d) della l. n. 184 del 1983, non del tutto adeguata agli interessi del minore così come recepiti nei principi costituzionali e convenzionali (mancata attribuzione della genitorialità, ambiguità in ordine al reale riconoscimento di vincoli parentali con il nucleo di riferimento del genitore di intenzione, richiesta del necessario assenso del genitore biologico, che potrebbe essere assente in caso di crisi della coppia nonostante anni cure e attenzione al minore). La Corte richiama in conclusione, con una specifica indicazione per il legislatore, la necessità di una disciplina adeguata e innovativa della materia dell'adozione, che dovrebbe essere considerata in modo più aderente alle peculiarità tipiche di queste situazioni, assai distanti dai casi oggetto di disciplina ai sensi dell'art. 44, comma 1, lett. d) della legge n. 184 del 1983, sicché il compito di adeguare il diritto vigente alle esigenze di tutela dei bambini nati da maternità surrogata non può che spettare in prima battuta al legislatore, al quale “deve essere riconosciuto un significativo margine di manovra nell'individuare una soluzione che si faccia carico di tutti i diritti e i principi in gioco”. Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno avuto ulteriori occasioni di intervenire a proposito della surrogazione di maternità. Con sentenza n. 9006/2021 esse hanno affermato che In tema di efficacia nell'ordinamento interno di atti adottati all'estero, non contrasta con i principi di ordine pubblico internazionale il riconoscimento degli effetti del provvedimento giurisdizionale straniero di adozione di minore da parte di coppia omoaffettiva maschile che attribuisca lo "status" genitoriale secondo il modello dell'adozione piena, non costituendo elemento ostativo il fatto che il nucleo familiare sia omogenitoriale, ove sia esclusa la preesistenza di un accordo di surrogazione di maternità a fondamento della filiazione. Con sentenza n. 38162/2022 le stesse hanno aggiunto che il riconoscimento dell'efficacia di un provvedimento giurisdizionale straniero, con il quale sia stato accertato il rapporto di filiazione tra un minore nato all'estero mediante il ricorso alla gestazione per altri e il genitore d'intenzione munito della cittadinanza italiana, trova ostacolo nel divieto assoluto di surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, della l. n. 40 del 2004, volto a tutelare la dignità della persona umana nella sua dimensione non solo soggettiva, ma anche oggettiva; ne consegue che, in presenza di una scelta legislativa dettata a presidio di valori fondamentali, non è consentito al giudice, mediante una valutazione caso per caso, escludere in via interpretativa la lesività della dignità della persona umana e, con essa il contrasto con l'ordine pubblico internazionale, anche laddove la pratica della surrogazione di maternità sia il frutto di una scelta libera e consapevole della donna, indipendente da contropartite economiche e revocabile sino alla nascita del bambino. Sotto il profilo penale la Corte di cassazione, sez. III, sent. n. 5198/2020 ha affermato che il divieto di realizzare, in qualsiasi forma, la surrogazione di maternità, previsto dall'art. 12, comma 6, legge 19 febbraio 2004, n. 40, comprende le condotte antecedenti ed eziologicamente collegate e funzionali alla maternità surrogata, che si perfeziona con la nascita a gestazione terminata (fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione di improcedibilità emessa dal giudice di merito in assenza di richiesta del Ministro della Giustizia, trattandosi di condotta integralmente realizzata da cittadini italiani in Ucraina - Paese che ammette la maternità surrogata eterologa - e non essendo avvenuta in Italia anche solo una parte dell'azione significativa ai sensi dell'art. 6, comma secondo, c. p., non rilevando i contatti prodromici intrattenuti via "e-mail" al fine di valutare le possibili soluzioni, in quanto non ancora dimostrativi della decisione di ricorrere alla pratica vietata). Cass.pen. sez. III, sent. n. 36221/2019aveva ribadito che l'art. 12, comma 6, della legge 19 febbraio 2004, n. 40, all'esito della pronuncia della Corte costituzionale n. 162 del 2014, punisce chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza l'acquisizione di gameti umani in violazione dei principi di volontarietà e gratuità della donazione (Fattispecie relativa all'acquisto di gameti umani in cliniche estere da donatrici remunerate e alla successiva rivendita degli stessi in occasione dell'esecuzione di tecniche di fecondazione medicalmente assistita di tipo eterologo, con prezzo pagato mediante un aumento del costo delle prestazioni sanitarie). Un ritorno a concezioni che sembravano superate si è concretato nella punizione della surrogazione di maternità anche quando realizzata all'estero. La punibilità è riferita al cittadino italiano, posto che una norma interna allo Stato non potrebbe sovrapporsi alla condizione di liceità di comportamenti assicurata in Stati diversi. L'innovazione ha come conseguenza immediata l'impossibilità giuridica di registrare in Italia un bambino nato tramite gestazione per altri: la richiesta si risolverebbe in una autodenuncia, con il rischio, sia per il genitore biologico che per quello intenzionato all'adozione, alla pena della reclusione della multa. Le prime reazioni si sono manifestate con raccolte di firme per chiedere al Parlamento una legge sulla gravidanza solidale; e in proposte legislative per una normativa che regoli in modo sicuro e certo la gravidanza solidale. In teoria la nuova fattispecie rientra nella previsione di cui all'art. 7, primo comma, n. 5), codice penale, secondo cui è punito a norma della legge italiana il cittadino che commette all'estero un reato per il quale la legge interna stabilisce l'applicazione della legge italiana. Molte sono tuttavia le questioni che il frettoloso intervento normativo è suscettibile di far sorgere. Uno dei problemi riguarda la “doppia incriminazione”: per la quale un certo atto, per essere punibile in Italia, deve essere considerato reato anche nel luogo in cui viene compiuto. Quello della doppia incriminazione è un principio giuridico implicito, che è stato in varie occasioni affermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, che tra le altre cose garantisce un'interpretazione uniforme e corretta del diritto nel nostro ordinamento. Per l'orientamento costante della nostra giurisprudenza non è possibile punire qualcuno per aver fatto ricorso a una pratica legale in un altro Stato, per di più usando norme che riguardano reati completamente diversi dalla gestazione per altri. Secondo autorevoli penalisti, questo principio vale anche per i due articoli del nostro codice penale che prevedono la punizione di reati compiuti all'estero, l'articolo 7 e l'articolo 9. Del tutto dimenticati sono gli insegnamenti autorevoli della giurisprudenza non soltanto nazionale riguardanti l'interesse preminente del minore che, concepito legalmente all'estero, diventa da noi frutto di un reato, in nessun modo legalizzabile. Le sanzioni amministrative in materia di PMALe residue sanzioni, relative ai divieti di cui ai commi da 1 a 4 dell'art. 12, si caratterizzano tutte per la loro natura amministrativa. Rispetto alla formulazione iniziale della norma molte di queste sanzioni risultano allo stato superate, poiché si riferivano al caso in cui il medico, o la struttura autorizzata, realizzassero forme di PMA eterologa ormai ammessa. Vi sono poi casi di condotta riferibili al procedimento e agli adempimenti che il medico deve porre in essere che sono considerati del tutto irrilevanti, come ad esempio nel caso i cui si ometta l'attestazione relativa alla sterilità o infertilità della coppia per accedere ai relativi trattamenti (Salanitro, 1 s., Sesta, 756), potendo eventualmente rilevare il divieto in relazione alla corretta procedura per l'acquisizione del consenso da parte del medico. Diversi autori hanno valutato il caso in cui il contratto concluso in violazione di un divieto possa essere fonte o meno di responsabilità per la struttura sanitaria. Questi contratti, generalmente ritenuti contratti atipici a prestazioni corrispettive con effetti di protezione nei confronti del terzo nascituro, vengono generalmente considerati sottoposti alla previsione di cui all'art. 1418 c.c. 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