Legge - 1/12/1970 - n. 898 art. 6
1. L'obbligo, ai sensi degli articoli 315-bis e 316-bis del codice civile, di mantenere, educare ed istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio di cui sia stato pronunciato lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili, permane anche nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori 1. 2. Il Tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio applica, riguardo ai figli, le disposizioni contenute nel capo II, del titolo IX, del libro primo, del codice civile 2. [ 3. In particolare il tribunale stabilisce la misura ed il modo con cui il genitore non affidatario deve contribuire al mantenimento, all'istruzione e all'educazione dei figli, nonché le modalità di esercizio dei suoi diritti nei rapporti con essi. ] 3 [ 4. Il genitore cui sono affidati i figli, salva diversa disposizione del tribunale, ha l'esercizio esclusivo della potestà su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal tribunale. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non siano affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al tribunale quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. ] 4 [ 5. Qualora il genitore affidatario non si attenga alle condizioni dettate, il tribunale valuterà detto comportamento al fine del cambio di affidamento. ]5 6. L'abitazione nella casa familiare spetta di preferenza al genitore cui vengono affidati i figli o con il quale i figli convivono oltre la maggiore età. In ogni caso ai fini dell'assegnazione il giudice dovrà valutare le condizioni economiche dei coniugi e le ragioni della decisione e favorire il coniuge più debole. L'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 del codice civile. 7. Il tribunale dà inoltre disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi in cui l'esercizio della responsabilita' genitoriale sia affidato ad entrambi i genitori, circa il concorso degli stessi al godimento dell'usufrutto legale 6. [ 8. In caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, il tribunale procede all'affidamento familiare di cui all'art. 2 della legge 4 maggio 1983, n. 184. ]7 [ 9. Nell'emanare i provvedimenti relativi all'affidamento dei figli e al contributo per il loro mantenimento, il giudice deve tener conto dell'accordo fra le parti: i provvedimenti possono essere diversi rispetto alle domande delle parti o al loro accordo, ed emessi dopo l'assunzione di mezzi di prova dedotti dalle parti o disposti d'ufficio dal giudice, ivi compresa, qualora sia strettamente necessario anche in considerazione della loro età, l'audizione dei figli minori. ] 8 [ 10. All'attuazione dei provvedimenti relativi all'affidamento della prole provvede il giudice del merito, e, nel caso previsto dal comma 8, anche d'ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare. ] 9 [ 11. Nel fissare la misura dell'assegno di mantenimento relativo ai figli il tribunale determina anche un criterio di adeguamento automatico dello stesso, almeno con riferimento agli indici di svalutazione monetaria. ] 10 [12. In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto.] 11 12 [1] Comma modificato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [2] Comma sostituito dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [3] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [4] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [5] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [6] Comma modificato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [7] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [8] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [9] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [10] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [11] Comma abrogato dall'articolo 98, comma 1, lettera b), del Dlgs. 28 dicembre 2013 n. 154. [12] Articolo sostituito dall'articolo 11, comma 1, della Legge 6 marzo 1987, n. 74. InquadramentoL'art. 6 della legge sul divorzio rivestiva notevole importanza nel contesto della disciplina in allora dettata da quel provvedimento in quanto conteneva la disciplina sostanziale degli effetti della sentenza di divorzio riguardo la prole, e in particolare, indicava le regole da seguire per l'affidamento, la frequentazione e il mantenimento dei figli. Tutta la materia riguardante la prole non è più regolata in via autonoma dalla legge sul divorzio ma è regolata dalle norme codicistiche, essendo confluita nella disciplina generale della filiazione — sia per i genitori separati che divorziati che, anche, non coniugati - contenuta nel capo II, del titolo IX, del libro primo, del codice civile (art. da 337-bis a 337-octies c.c.), a cui la norma in commento —a seguito delle modifiche apportate con il d.lgs. 28 dicembre 2013 n. 154 - fa espresso rinvio. L'intervento di trasposizione di normativa ha determinato l'abrogazione di gran parte delle disposizioni originariamente contenute nell'art. 6. Nel testo residuo rimane la norma riguardante l'assegnazione della casa familiare e rimangono le norme aventi funzione di coordinamento tra la normativa specifica al divorzio e quella più generale riguardante il rapporto con i figli: gli obblighi di mantenere, educare e istruire i figli nati o adottati durante il matrimonio permangono dopo lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio ed anche nel caso di passaggio a nuove nozze; spetta al tribunale che pronuncia lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio dettare i provvedimenti relativi all'esercizio della responsabilità genitoriale di cui agli artt. 337-bis e seguenti c.p.c.; e compete allo stesso tribunale di dare con la medesima pronuncia le disposizioni circa l'amministrazione dei beni dei figli e, nell'ipotesi di esercizio comune della responsabilità genitoriale, circa il concorso dei genitori al godimento dell'usufrutto legale. Obblighi genitorialiIl primo comma della norma in commento ribadisce la permanenza di tutti i doveri genitoriali anche a seguito della pronuncia di divorzio e nel caso di passaggio a nuove nozze di uno o di entrambi i genitori. Lo scioglimento del matrimonio, infatti, non incide sugli obblighi degli ex coniugi in quanto genitori, dal momento che i doveri connessi alla procreazione prescindono dallo stato coniugale. L'affermazione della loro permanenza anche nel caso di nuovo matrimonio del genitore ha la funzione di specificare che la formazione di una nuova famiglia da parte dell'ex coniuge non deve pregiudicare la posizione del figlio e i rapporti tra genitore e figlio e, in particolare, che il nuovo coniuge del genitore divorziato non può opporsi al suo inserimento nel nuovo nucleo familiare. Parimenti, non è inciso l'obbligo patrimoniale del genitore di contribuire al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza (Cass. I, n. 367/2011). Gli obblighi normativi connessi alla procreazione hanno, infatti, carattere inderogabile, in quanto posti a tutela del superiore interesse della prole, e non sono suscettibili di elusione nemmeno mediante l'accordo dei coniugi, raggiunto nell'ambito di un giudizio di divorzio (Trib. Milano, 11 marzo 2016, Foro it. 2016, 7-8, 2616). Lo scioglimento del matrimonio non incide sugli obblighi genitoriali nemmeno se consegue a dichiarazione di nullità del matrimonio concordatario, effettuata dall'autorità giudiziaria ecclesiastica e dotata di dichiarazione di efficacia nello Stato italiano, che non priva il giudice adito del potere-dovere di adottare le disposizioni concernenti l'affidamento, il mantenimento e l'educazione della prole (Cass. I, n. 15558/2011). In questa ipotesi trovano, infatti, applicazione le norme dettate in tema di matrimonio putativo (art. 128, 2° c., c.c.art. 129 c.c.); anche per quanto concerne l'assegnazione della casa coniugale (Cass. I, n. 13428/2002). Il potere-dovere di vigilare sull'educazione e l'istruzione della prole sussiste anche in caso di affidamento esclusivo all'altro genitore (art. 337-quater, comma 3, c.c.), e il genitore divorziato può ricorrere al giudice quando ritiene che sono state assunte decisioni pregiudizievoli all'interesse dei figli; in linea di principio è competente il giudice tutelare, mentre la competenza spetta al tribunale in caso di controversie sull'esercizio della responsabilità genitoriale o in tema di scelte ostacolanti l'affidamento o dannose per i minori. Affidamento, frequentazione e mantenimento prole: rinvioPer quanto riguarda i figli il secondo comma della norma in commento effettua integrale rinvio alle disposizioni contenute nel capo II, del titolo IX, del libro primo, del codice civile (artt. 337-bis e seguenti). Al detto rinvio si collega l'espressa abrogazione del terzo, quarto e quinto comma, che regolavano il mantenimento e l'affidamento dei figli dopo il divorzio dei genitori. Casa familiareIl sesto comma della norma in commento è dedicato alla casa familiare. La normativa non fornisce in proposito una definizione e ne affida il concetto ad elementi intuitivi e di esperienza. Ogni nucleo familiare, per quanto di ridotte dimensioni possa essere, ha come riferimento un luogo nel quale svolge le proprie attività ordinarie e quotidiane e che considera come il proprio luogo di abitazione domestica. L'occasione che porta a dare rilevanza alla sorte di questa abitazione familiare sorge in primis nel momento in cui devono essere adottati i provvedimenti conseguenti alla cessazione della convivenza. Uno dei coniugi lascia o deve lasciare il luogo nel quale sino ad allora ha convissuto; ed è in genere all'atto della formalizzazione della separazione che deve risolversi il problema di chi potrà conservare l'abitazione. L'ordinamento considera questo problema sotto il profilo della tutela dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, cui si riconosce il prevalente interesse a non mutare ambiente di vita. L'assegnazione della casa coniugale assolve alla funzione di preservare la continuità delle abitudini e delle relazioni domestiche dei figli nell'ambiente nel quale durante il matrimonio esse si sviluppavano. Quando poi si giunge al divorzio la questione è in genere risolta: il giudice ha già provveduto con la sentenza di separazione giudiziale contestualmente alla scelta della tipologia di affidamento cui ricorrere, come dispone l'art. 337-sexies c.c.; oppure i coniugi si sono accordati con una clausola del divorzio a domanda congiunta. La normativa dettata dal comma sesto dell'art. 6 l. n. 898/1970 conserva per il dopo divorzio la regola imperniata sull'interesse prevalente dei figli e il collegamento tra affidamento dei figli e assegnazione della casa familiare. Aggiunge: l'assegnazione della casa familiare può protrarsi dopo il compimento della maggiore età dei figli se ancora conviventi; l'assegnazione deve favorire il coniuge più debole; l'assegnazione quando è trascritta è opponibile ai terzi ai sensi dell'art. 1599 c.c. Per le modifiche ai provvedimenti sull’assegnazione della casa familiare si veda il commento sub art. 9. Il contenuto dell'assegnazione è l'attribuzione del diritto di continuare a vivere nell'abitazione familiare. L'oggetto del diritto all'assegnazione viene inteso sia in senso oggettivo, come immobile identificato dalle mura domestiche, nel quale il nucleo familiare ha concretamente vissuto, insieme con i mobili che l'arredano, sia in senso soggettivo come habitat, quale centro di affetti, interessi e consuetudini nei quali si è espressa la vita familiare. La natura del diritto è individuata dall'opinione prevalente, anche in giurisprudenza (Cass. II, n. 8361/2011), in un diritto personale di godimento, da considerare sui generis, e dunque avente una precisa collocazione sistematica ed un'autonoma regolamentazione, inquadrabile nell'ambito dei rapporti familiari in crisi. L'esplicito richiamo dell'art. 1599 c.c., contenuto nell'ultima parte del sesto comma, è considerato un dato sistematico di univoca lettura per l'inquadramento della situazione giuridica spettante all'assegnatario nell'alveo dei diritti personali. D'altro canto, nell'art. 337-sexies, comma 1, c.c. si richiama espressamente l'art. 2643 c.c., ai fini della trascrivibilità ed opponibilità ai terzi del provvedimento di assegnazione della casa familiare, e anche tale riferimento non è emblematico della natura reale del diritto costituito dall'assegnazione, perché nell'elencazione di cui all'art. 2643 c.c. sono inclusi anche diritti personali che hanno la propria fonte nei contratti di locazione di beni immobili con durata ultranovennale, nei contratti di anticresi, nei contratti di società con cui si conferisce il godimento di beni immobili. La tutela del diritto che sorge dall'assegnazione ad opera del giudice ha condotto ad affermare che il provvedimento di assegnazione determina una cessione ex lege del relativo contratto di locazione a favore del coniuge assegnatario e l'estinzione del rapporto in capo al coniuge che ne era originariamente conduttore e ciò anche nell'ipotesi in cui i coniugi abbiano sottoscritto il contratto di locazione (Cass. III, n. 28615/2019). E in questo ordine di idee si è affermato che il coniuge assegnatario della casa familiare succede ex lege e alle stesse condizioni nel rapporto di godimento dell'alloggio adibito a residenza di famiglia, già assegnato al socio di cooperativa edilizia con finalità mutualistica (Cass. III, ord. n. 12114/2020). Assegnazione: presuppostiL'assegnazione della casa coniugale, così come nella separazione, è regolata essenzialmente dal criterio dell'utilizzo da parte della prole, minorenne o maggiorenne non autosufficiente senza colpa. L'assegnazione al genitore collocatario del figlio minorenne della casa familiare è dettata dall'esclusivo interesse della prole e risponde all'esigenza di conservare l'”habitat” domestico, inteso come centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime la vita familiare (così Cass. I, ord. n. 33610/2021). Se la prole maggiorenne non è economicamente autosufficiente, è irrilevante l'età raggiunta dai figli Cass. n. 23591/2010), anche se in dottrina si rileva che, quando i figli hanno raggiunto la maggiore età da molti anni, pare dubbio che l'assegnazione possa giustificarsi con l'esigenza dei figli stessi a permanere nel loro habitat domestico. Nei casi di crisi familiare ai sensi dell'art. 337 bis c.c., nel regolare il godimento della casa familiare il giudice deve tener conto esclusivamente del primario interesse del figlio minore, con la conseguenza che l'abitazione in cui quest'ultimo ha vissuto quando la famiglia era unita deve essere, di regola, assegnata al genitore presso cui il minore è collocato con prevalenza, a meno che non venga esplicitata una diversa soluzione (anche concordata dai genitori) che meglio tuteli il menzionato interesse del minore Cass. I, ord. n. 23501/2023). Il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole non rientra nell'ambito delle disposizioni in materia di minori, responsabilità genitoriale e mantenimento, cui si applica la convenzione dell'Aja, richiamata dall'art. 42 della l. n. 218 del 1995, e l'art. 5, n. 2, lett. c), della convenzione di Lugano del 30 ottobre 2007, trattandosi di un provvedimento estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all'interesse superiore dei figli a conservare il proprio habitat domestico (Cass. I, ord. n. 25353/2024). Il presupposto dell'affidamento dei figli minori o della convivenza con figli maggiorenni ma economicamente non autosufficienti trova fondamento costituzionale, atteso che diversamente dovrebbe porsi in discussione la legittimità costituzionale del provvedimento di assegnazione, il quale, non risultando modificabile a seguito del raggiungimento della maggiore età e dell'indipendenza economica da parte dei figli, si tradurrebbe in una sostanziale espropriazione del diritto di proprietà, tendenzialmente per tutta la vita del coniuge assegnatario, in danno del contitolare (Cass. II, n. 4735/2011; Cass. I n. 2184/2009). Pertanto, in mancanza di figli ovvero qualora i figli siano economicamente autosufficienti e indipendenti sul piano abitativo, non ricorrono i presupposti per l'assegnazione. In tal caso non deve essere disposta alcuna assegnazione, nonostante l'eventuale squilibrio economico e reddituale tra le parti. L'espressione «di preferenza» viene letta nel senso che l'assegnazione spetta preferibilmente al genitore affidatario o convivente, salvo che non richieda l'assegnazione della casa familiare poiché dispone di altri immobili in cui intende vivere con i figli; in questo caso non viene disposta assegnazione e la casa familiare seguirà l'ordinario regime dominicale. La locuzione è equivalente alla formula utilizzata nell'art. 337-sexies c.c., ove si prevede che il godimento della casa familiare è attribuito tenendo «prioritariamente conto» dell'interesse dei figli. Nel senso che l'interesse dei figli minorenni e dei figli maggiorenni non autosufficienti a permanere nell'ambiente domestico in cui sono cresciuti costituisce criterio prioritario di valutazione si veda Cass. I, ord. n. 25604/2018). In assenza del predetto presupposto il giudice non ha il potere di disporre l'assegnazione a favore dell'ex coniuge (Cass. I, n. 18992/2011), e la casa —anche se in comproprietà- non può essere assegnata dal giudice in sostituzione o quale componente dell'assegno per il coniuge, allo scopo di sopperire alle esigenze economiche del coniuge più debole, e resta soggetta alle norme sulla comunione, in ordine all'uso e all'eventuale divisione (Cass. I, n. 387/2012). Parimenti, non ne può essere disposta l'assegnazione a favore del coniuge proprietario esclusivo, neppure qualora l'eccessivo costo di gestione ne renda opportuna la vendita (Cass. I, n. 23591/2010). Il principio che la presenza di figli minori o maggiorenni ancora economicamente non autosufficienti è un presupposto indefettibile per l'assegnazione della casa al coniuge non titolare del diritto di proprietà o di altro diritto reale, non significa, però, che non si possa effettuare una valutazione sulle conseguenze di carattere economico dell'utilizzo dell'immobile, che possono essere bilanciate tenendone presente l'incidenza in sede di determinazione dell'assegno divorzile (Cass. VI, n. 25420/2015; Cass. I, n. 10222/2010). La finalità pressoché esclusiva, infatti, di tutela delle esigenze abitative della prole, non cancella il vantaggio economico conseguito dal beneficiario dell'assegnazione, in termini di risparmio di spesa. Questo principio di elaborazione giurisprudenziale trova ora riscontro normativo nell'art. 337-sexies c.c., per il quale il giudice tiene conto dell'assegnazione nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori. Non si applica, tuttavia, il principio di diritto secondo cui occorre tenere conto dell'intera consistenza patrimoniale di ciascun coniuge, nel caso di immobile occupato di fatto dal coniuge beneficiario dell'assegno divorziale, cioè a titolo precario (Cass. VI, n. 223/2016). In mancanza di figli, a fronte di una domanda di assegnazione della casa familiare, non vi è luogo a provvedere, e ogni questione relativa al diritto di proprietà o al diritto personale di godimento sulla abitazione esula dalla competenza funzionale del giudice del divorzio. Convivenza con la prolePer ritenere integrato il requisito della coabitazione tra il figlio maggiorenne non economicamente autosufficiente e il genitore, basta che il figlio maggiorenne —pur in assenza di una quotidiana coabitazione, che può essere impedita dalla necessità di assentarsi con frequenza, anche per non brevi periodi, per motivi, ad esempio, di studio- mantenga comunque un collegamento stabile con l'abitazione del genitore, facendovi ritorno ogniqualvolta gli impegni glielo consentano, in modo che permanga la concreta possibilità per il genitore di provvedere alle esigenze del figlio (Cass. I, n. 18075/2013; Cass. I, n. 4555/2012). A configurare convivenza sono rilevanti e sufficienti anche dei rientri periodici presso il genitore da parte del figlio che lavora stabilmente e studia in altra città (Cass. n. 4555/ 2012). La fattispecie dei rientri periodici va distinta da quella dei saltuari ritorni, per alcuni brevi periodi, del figlio, che tuttavia risiede ormai stabilmente altrove: in tale ipotesi si configura solo un rapporto di ospitalità, inidoneo a dar luogo ad assegnazione. In proposito si è affermato che la nozione di convivenza ai fini dell'assegnazione della casa familiare comporta la stabile dimora del figlio maggiorenne presso di essa, sia pure con eventuali sporadici allontanamenti per brevi periodi e con esclusione dell'ipotesi di rarità dei ritorni, configurandosi in tal caso un rapporto di mera ospitalità (Cass. VI, ord. n. 16134/2019). Sul piano probatorio, il genitore che invoca a suo favore il criterio preferenziale previsto dalla norma può limitarsi a provare la convivenza con il figlio maggiorenne, il che fa presumere anche la non autosufficienza economica incolpevole, mentre l'altro genitore deve provare l'indipendenza economica del figlio, o la colpevole mancanza di autosufficienza; a livello istruttorio i due temi —dell'indipendenza e dell'assegnazione- si intersecano. Al riguardo è diffusa l'opinione che l'esigenza di preservare la prole dal distacco dall'abitazione familiare si attenua progressivamente con il passare del tempo, con lo sviluppo della personalità, e in particolare con il raggiungimento della maturità; nella prassi l'esigenza di conservazione dell'habitat domestico è avvertita come sempre meno rilevante nel trascorrere del tempole subentra la considerazione dell'assegnazione della casa come forma di contribuzione al mantenimento della prole maggiorenne non ancora autosufficiente. Talora questi aspetti emergono in fase di revisione delle condizioni di divorzio (cfr. sub. art. 9 l. n. 898 del 1970), quando viene disposta la revoca dell'assegnazione: in tal caso si afferma che deve essere comunque salvaguardato l'interesse della prole maggiorenne priva di reddito, legittimata a richiedere il mantenimento ai genitori (Cass. VI, n. 14727/15). Cessazione dell'utilizzo. RinvioLa revoca dell'assegnazione della casa coniugale non è autonomamente regolata nella legge sul divorzio, e al riguardo occorre rinviare l'interprete alla disciplina generale della filiazione e, per quanto riguarda le materie trattate nel presente volume, al commento all'art. 337-sexies c.c. Qualche cenno è riportato infra, nel commento sub art. 9. La decisione volontaria del coniuge assegnatario della casa familiare di trasferirsi dal momento della pronuncia di divorzio comporta la revoca della pronuncia di assegnazione per la stessa cessazione dell'utilizzo dell'immobile (Cass. I, n. 2952/2014). La costituzione di una nuova famiglia, anche di fatto, da parte del coniuge divorziato, determina una situazione completamente nuova che, oltre a determinare la perdita definitiva dell'assegno divorzile (Cass. I, n. 6855/2015), può essere idonea a far venir meno l'assegnazione della casa familiare. Il figlio maggiorenne che assume di non essere economicamente sufficiente è ammesso a effettuare intervento per sostenere le ragioni del genitore assegnatario della casa coniugale ma tale intervento ha natura adesiva dipendente in quanto il genitore acquista un diritto personale di godimento (Cass. n. 2344/2023). Assegnazione e divisioneLa sentenza di divorzio mette fine alla regolamentazione dei rapporti adottata in sede di separazione. Quindi, se è venuta meno l'esigenza di tutela dei figli, o in presenza di altro motivo di revoca dell'assegnazione, l'ex coniuge assegnatario, anche se comproprietario, della casa coniugale non ha più diritto all'uso esclusivo, anche quando la pronuncia di divorzio non contiene disposizioni sull'immobile. A quel punto, i rapporti fra gli ex coniugi comproprietari della casa coniugale sono regolati dalle norme sulla comunione (art. 1100 e ss. c.c.), finché non interviene una divisione, consensuale o giudiziale (Cass. I, n. 2210/2009). Le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno assunto una decisa posizione in questa materia. Esse hanno affermato che In tema di scioglimento della comunione legale, in caso di attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che non era assegnatario dello stesso quale casa coniugale, né affidatario della prole, si realizza una situazione comparabile a quella del terzo acquirente dell'intero, sicché, posto che continua a sussistere il diritto di godimento in capo all'altro coniuge, il coniuge non assegnatario diventerà titolare di un diritto di proprietà il cui valore dovrà essere decurtato dalla limitazione delle facoltà di godimento da correlare all'assegnazione dell'immobile al coniuge affidatario della prole, permanendo il relativo vincolo sullo stesso, con i relativi effetti pregiudizievoli derivanti anche dalla sua trascrizione ed opponibilità ai terzi ai sensi dell'art. 2643 c.c. Inoltre, l'attribuzione, in sede di divisione, dell'immobile adibito a casa familiare in proprietà esclusiva al coniuge che ne era già assegnatario, comportando la concentrazione, in capo a quest'ultimo, del diritto personale di godimento scaturito dall'assegnazione giudiziale e di quello dominicale sull'intero immobile, che permane privo di vincoli, configura una causa automatica di estinzione del primo, che, pertanto, non potrà avere alcuna incidenza sulla valutazione economica del bene in comunione a fini divisori, o sulla determinazione del conguaglio dovuto al coniuge comproprietario non assegnatario, dovendosi conferire all'immobile un valore economico pieno, corrispondente a quello venale di mercato; né, a tal fine, rileva che nell'immobile stesso continuino a vivere i figli minori, o non ancora autosufficienti, affidati al coniuge divenutone proprietario esclusivo, rientrando tale aspetto nell'ambito dei complessivi e reciproci obblighi di mantenimento della prole, da regolamentare nella sede propria, anche con la eventuale modificazione dell'assegno di mantenimento (Cass. S.U. n. 18641/2022). L' assegnazione debitamente trascritta, sin dal momento della proposizione della domanda, è opponibile all'altra parte che successivamente richieda la divisione della casa in comproprietà. Nella permanenza dei presupposti per l'assegnazione, quand'anche si pervenga all'attribuzione di due porzioni in natura in favore delle due parti, l'assegnatario permane titolare del godimento della casa nella sua interezza, e ciò non può non incidere sulla determinazione del valore di mercato dell'immobile da dividere ovvero da alienare a terzi, atteso che l'esistenza dell'assegnazione pregiudica il godimento e l'utilità economica del bene rispetto al terzo acquirente (Cass. II, n. 9310/2009). Peraltro, l'assegnazione del godimento della casa familiare non può essere presa in considerazione al fine di determinare il valore di mercato, quando l'immobile venga attribuito, in sede di divisione, al coniuge che sia titolare del diritto al godimento stesso (Cass. II, n. 17843/2016). Quindi, nell'ambito dello scioglimento della comunione sull'ex casa coniugale è irrilevante la circostanza che il diritto personale di abitazione sia stato concesso ad uno dei coniugi (Cass. II, n. 19110/15). Diversa è l'ipotesi della divisione chiesta dall'assegnatario, che intende lasciare la casa per ricavare una somma di denaro, quando l'immobile è indivisibile in natura, e nessuna delle parti vuole l'attribuzione per intero con relativo conguaglio: in questo caso la soluzione è la vendita all'incanto del bene; il genitore non più assegnatario non può impedire la domanda di divisione, che è un diritto potestativo dei comunisti, per cui, se vuole assicurare la permanenza dei figli nella casa familiare, può chiedere al giudice una congrua dilazione, non superiore a cinque anni, ai sensi dell'art. 1111, comma 1, c.c., perché l'immediato scioglimento della comunione sarebbe suscettibile di arrecare in tal caso grave pregiudizio all'interesse della prole. Nell'ambito del processo di divorzio, peraltro, non può essere proposta la domanda di divisione, che è improponibile, ed insuscettibile di trattazione unitaria con quella di divorzio, trattandosi di controversie soggette a riti differenti: la struttura camerale del procedimento divorzile è inconciliabile con una richiesta di divisione dell'abitazione familiare (Trib. Monza IV, 26 febbraio 2008, n. 537, Guida dir. 2008, 27, 81); per ottenere la divisione occorre, l'instaurazione di un autonomo procedimento civile. In sede autonoma, infatti, la domanda di divisione dei beni in comunione legale tra i coniugi è ammissibile anche in presenza di un provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare ad uno di essi non trascritto, perché anche in questo caso il diritto di abitazione del coniuge assegnatario è opponibile ai terzi, ai sensi dell'art. 1599, comma 3, c.c., nei limiti del novennio dalla sua costituzione e, pertanto, non subisce pregiudizi dalla divisione (Trib. Roma, 29 maggio 2000, Giust. civ. 2001, I, 819). L'accordo con cui si prevede che l'immobile sia assegnato a uno dei coniugi, collocatario della prole, con impegno a non vendere l'immobile fino al raggiungimento della maggiore età della prole stessa, non osta all'esercizio del diritto di chiederne la divisione, se vengono meno i presupposti di fatto sottostanti all'accordo (Trib. Bologna, 29 marzo 2012, Foro it. 2013, 3, 864). Così pure per il caso di accordo tra gli ex coniugi di assegnazione della casa coniugale a uno dei due, ma in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, che non è opponibile al coniuge non assegnatario che voglia domandare la divisione (Cass. II, n. 4735/2011; Cass. II, n. 8361/2011; Cass. I n. 15367/2015). Per l'utilizzo del bene in via esclusiva, il comproprietario non è tenuto a corrispondere alcunché al comproprietario che rimanga inerte, mentre è tenuto al pagamento della corrispondente quota di frutti civili detraibili dal godimento indiretto del bene, laddove l'altro comproprietario abbia manifestato l'intenzione di utilizzare anch'egli il bene in maniera diretta; però i coniugi comproprietari si possono accordare sul godimento in via esclusiva dell'immobile da parte di uno solo di essi; in tal caso il coniuge estromesso non può chiedere al coniuge che utilizza il bene la corresponsione dei frutti civili detraibili (Trib. Roma, VIII, 23 gennaio 2012, n. 1241, Dir. fam. e pers. 2013, 3, 937). Opponibilità al terzo acquirenteL'ultima parte del sesto comma della norma in commento dispone che l'assegnazione, in quanto trascritta, è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell'art. 1599 c.c. La dottrina si era posto il quesito di stabilire se potesse essere trascritta la domanda di divorzio con cui si chiede l'assegnazione, in modo da anticipare già al momento dell'introduzione del giudizio la tutela fornita dalla priorità della trascrizione. La risposta positiva si fonda su un'interpretazione sistematica degli artt. 2652 e 2653 c.c., in relazione al principio di favore per gli interessi della prole ricavabile dagli artt. 3,24,29,30 e 31 Cost., e anche ed ha trovato conferma nell’attuale disposto dell'art. 337-sexies c.c. Trattandosi di provvedimenti giudiziali aventi ad oggetto beni immobili, di cui è specificata la possibilità di trascrizione, è coerente con la ratio del sistema che anche la relativa domanda sia suscettibile dello stesso adempimento pubblicitario. Al riguardo, la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 2652 e 2653 c.c., nella parte in cui non prevedono anche la trascrizione della domanda di assegnazione, è stata dichiarata manifestamente inammissibile (Corte cost. 27 aprile 2007, n. 142). Inoltre, sia il provvedimento provvisorio presidenziale (art. 4, comma 8, l. 1 dicembre 1970, n. 898) che l'assegnazione pronunciata in sentenza hanno per definizione data certa, per cui sono opponibili al terzo acquirente del bene in epoca successiva al provvedimento medesimo, nel termine di nove anni, ed anche oltre se il provvedimento sia stato trascritto (Cass. II, ord. n. 12611/2022; Cass. I, n. 28229/2013; Cass. III, n. 12466/2012; Cass. VI, 22593/2014). Così Cass. n. 772/2018 ha sintetizzato i principi in questa materia: il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario della prole, immediatamente trascritto, è opponibile al terzo successivo acquirente del bene, atteggiandosi a vincolo di destinazione, estraneo alla categoria degli obblighi di mantenimento e collegato all'interesse superiore dei figli a conservare il proprio “habitat” domestico. Da questa affermazione deriva che il diritto di abitazione non può ritenersi venuto meno per effetto della morte del coniuge, trattandosi di diritto di godimento sui generis, suscettibile di estinguersi soltanto per il venir meno dei presupposti che hanno giustificato il relativo provvedimento o a seguito dell'accertamento delle circostanze di cui all'art.337-sexies c.c., legittimanti una sua revoca giudiziale (nella specie la S.C. ha confermato la pronuncia di merito che aveva rigettato la domanda di rilascio della casa familiare, avanzata nei confronti del coniuge assegnatario da un terzo, il quale, avendo acquistato l'intero immobile dopo il provvedimento di assegnazione, sosteneva il travolgimento di quest'ultimo in virtù del sopravvenuto decesso dell'altro coniuge, suo dante causa). Cass. II, ord. n. 12611/2022 ha poi precisato che il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è' opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente soltanto a condizione che sia stato adottato anteriormente all'atto di acquisto da parte del terzo, ivi compreso il creditore ipotecario che abbia acquistato il suo diritto sull'immobile in base a un atto iscritto anteriormente al provvedimento di assegnazione. In senso contrario si è espressa Cass. III, n. 12387/2022, per la quale l'assegnazione della casa familiare, disposta in sede di separazione personale o divorzio ai sensi dell'abrogato art. 155-quater c.c. è opponibile ai terzi solo se trascritta anteriormente alla trascrizione del titolo del diritto del terzo sull'immobile, così come previsto dalla norma citata (trasposta, senza modifiche, nel vigente art. 337- sexies c.c.), e non anche nei limiti del novennio ove non trascritta, ai sensi del combinato disposto di cui all'art. 6, comma 6, legge 1 dicembre 1970, n. 898, e all'art. 1599, comma 3, c.c., perché a seguito dell'introduzione dell'art. 155-quater c.c. l'assegnazione della casa coniugale è trascrivibile come tale, e non più agli effetti, non più previsti, dell'art. 1599 c.c., non potendo trarsi argomento contrario dalla circostanza della mancata abrogazione dell'art. 6, comma 6 l. n. 898 del 1970, in considerazione dei limiti della delega legislativa di cui all'art. 2 della l. n. 219 del 2012. Anche l'accordo tra i coniugi che dispone l'assegnazione della casa familiare, in favore del coniuge affidatario dei figli, costituisce in capo allo stesso un diritto personale di godimento, opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente (Cass. II, n. 8361/2011). Invece, l'accordo tra gli ex coniugi di assegnazione della casa coniugale a uno dei due, ma in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti, non è opponibile ai terzi acquirenti (Cass. I, n. 15367/2015; Cass. II, n. 4735/2011; Cass. II, n. 8361/2011). La Corte di cassazione (ord. n. 9990/2019) ha affermato che in caso di cessione al terzo effettuata in costanza di matrimonio dal coniuge esclusivo proprietario dell'immobile precedentemente utilizzato per le esigenze della famiglia, il provvedimento di assegnazione della casa familiare all'altro coniuge – non titolare di diritti reali sul bene – collocatario della prole, emesso in data successiva a quella dell'atto di acquisto compiuto dal terzo, è a questi opponibile ai sensi dell'art. 155 quater c.c. - applicabile ratione temporis, e dell'art. 6, comma della l. n. 898/1970, in quanto analogicamente applicabile al regime di separazione, soltanto se – a seguito di accertamento in fatto da compiersi alla stregua delle risultanze acquisite – il giudice di merito ravvisi l'instaurazione di un persistente rapporto, in corso di esecuzione, tra il terzo e il predetto coniuge dal quale quest'ultimo derivi il diritto di godimento funzionale alle esigenze della famiglia, sul contenuto del quale viene a conformarsi il successivo vincolo disposto dal provvedimento di assegnazione. Tale ipotesi ricorre nel caso in cui il terzo abbia acquistato la proprietà con clausola di rispetto del titolo di detenzione qualificata derivante al coniuge dal negozio familiare ovvero nel caso in cui il terzo abbia inteso concludere un contratto di comodato, in funzione delle esigenze del residuo nucleo familiare, con il coniuge occupante l'immobile, non essendo sufficiente a tal fine la mera consapevolezza, da parte del terzo, al momento dell'acquisto, della pregressa situazione di fatto di utilizzo del bene immobile da parte della famiglia. Tutela del diritto all'assegnazioneCi si chiede poi quali siano gli strumenti conservativi a disposizione del coniuge assegnatario per tutelare il proprio diritto all'assegnazione. Nel caso di alienazione dell'immobile in favore di un terzo, avvenuta in costanza di crisi familiare e con scopo inibitorio dell'assegnazione a cura del genitore proprietario –eventualmente anche prima dell'instaurazione del giudizio- occorre verificare la ricorrenza dei presupposti della simulazione (art. 1414 e ss. c.c.) ovvero di un contratto in frode alla legge, ai sensi dell'art. 1344 c.c. Non è consentito il ricorso allo strumento cautelare del sequestro giudiziario (art. 670, n. 1, c.p.c.) ovvero del provvedimento innominato d'urgenza (art. 700 c.p.c.) in ragione della natura costitutiva (art. 2908 c.c.) del provvedimento che dispone l'assegnazione, con efficacia ex nunc, e che rende inammissibili gli strumenti anticipatori degli effetti dell'assegnazione ad una fase antecedente alla stessa domanda giudiziale (Trib. Salerno, 8 maggio 2007). Non è, neppure, consentito, il ricorso all'azione revocatoria (art. 2901 c.c.), a tutela dell'esecuzione specifica del diritto di abitazione, che non è un diritto di credito ma un diritto ad un facere infungibile (Cass. II, n. 11830/2007; Cass. S.U., n. 11096/2002). Secondo altra opinione, prevalentemente dottrinale, la prestazione oggetto dell'assegnazione configura un'obbligazione di dare infungibile e, dunque, suscettibile di azione pauliana. Casa coniugale e comodatoProblemi particolarmente rilevanti si pongono nel caso, frequente nella prassi, in cui la famiglia vive in un immobile concesso a titolo di comodato dai genitori di uno dei coniugi. Una pronuncia delle Sezioni unite della Corte di cassazione (Cass. S.U. , n. 20448/2014) ha in proposito differenziato due forme di comodato. Uno Una fattispecie è regolata dagli artt. 1803 e 1809 c.c., quale «comodato propriamente detto», realizzato con la consegna della cosa per un tempo determinato o per un uso che consente di stabilire la scadenza contrattuale e per il quale è possibile chiedere la restituzione immediata solo in ipotesi di bisogno urgente ed imprevisto; con la conseguenza che tale comodato, nel quale si individua un termine implicito di restituzione della casa coincidente con il venir meno della destinazione convenuta, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà, cioè «ad nutum» (art. 1810, comma 1, c.c.), dovendo ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari (Cass. III, n. 24618/2015; Cass. III, n. 1666/2016; Cass. II, n. 3553/2017); La seconda fattispecie è disciplinata dall'art. 1810 c.c., quale «comodato senza determinazione di durata» caratterizzato dall'essere senza prefissione di termine e dall'impossibilità di desumerlo dall'uso a cui è destinata la cosa, la cui richiesta di rilascio al comodatario è possibile «ad nutum». In qualunque momento. La sopra citata decisione delle Sezioni Unite è così massimata: “Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di un provvedimento di assegnazione, pronunciato in un giudizio di separazione o divorzio, solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi (salva la concentrazione del rapporto in capo all'assegnatario, ancorché diverso) il contratto in precedenza insorto abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. Ne consegue che, in tale evenienza, il rapporto, riconducibile al tipo regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c. sorge per un uso determinato ed ha - in assenza di una espressa indicazione della scadenza - una durata determinabile "per relationem", con applicazione delle regole che disciplinano la destinazione della casa familiare, indipendentemente, dunque, dall'insorgere di una crisi coniugale, ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari (nella specie, relative a figli minori) che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile”. Ne consegue che, se risulta che il rapporto di comodato è sorto per esigenze familiari, esso resiste sino al loro perdurare: infatti il coniuge assegnatario della casa familiare, benché affidatario dei figli minori, oppure maggiorenni ma non autosufficienti, può opporre il provvedimento di assegnazione al comodante, il quale pretenda il rilascio dell'immobile, nel caso in cui il contratto sorto tra il comodante stesso ed almeno uno dei due coniugi abbia previsto la destinazione del bene a casa familiare (Cass. III, n. 2506/2016). Il comodato di un bene immobile, stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, ha un carattere vincolato alle esigenze abitative familiari, sicché il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento anche oltre l'eventuale crisi coniugale, salva l'ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed imprevisto bisogno ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., ferma, in tal caso, la necessità che il giudice eserciti con massima attenzione il controllo di proporzionalità e adeguatezza nel comparare le particolari esigenze di tutela della prole e il contrapposto bisogno del comodante ( Cass. III, ord. n. 27634/2023: in una fattispecie relativa al comodato di una porzione di mansarda, inizialmente concessa al figlio dei proprietari e da questi destinata a casa familiare dopo il matrimonio e la nascita dei figli, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva negato la restituzione del bene - motivata dalla necessità di destinarlo ad abitazione di una badante e della sua famiglia -, sul presupposto, da un lato, che i genitori avevano agito dopo dieci anni e solo a seguito del divorzio del figlio, e, dall'altro, che la loro abitazione, contando 23 stanze, era in ogni caso idonea a soddisfare il bisogno dedotto). La magistratura di merito afferma, con riguardo al caso di comodato di un bene immobile stipulato senza limiti di durata in favore di un nucleo familiare, che esso va ritenuto non già come precario bensì come avente una durata implicita nella destinazione impressa al bene concesso in godimento, per cui la sua durata, sebbene non individuabile con esattezza in via preventiva, è ricollegabile al protrarsi delle esigenze della prole minorenne e al suo interesse a continuare a vivere nel proprio habitat domestico. Ne consegue che il provvedimento, pronunciato dal giudice della separazione o del divorzio, di assegnazione della casa coniugale in favore del coniuge affidatario dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento dell'immobile già concesso in comodato dal terzo per la destinazione a casa familiare. Così il Tribunale di Ragusa, 29 novembre 2019, n. 291, per il quale in questi casi i proprietari comodanti possono rientrare nel possesso del loro immobile soltanto nell'ipotesi di sopravvenienza di un bisogno urgente e imprevisto, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c. Opposizione a precettoLa revoca dell'assegnazione della casa familiare costituisce titolo idoneo per il rilascio, senza necessità che, con la pronuncia, sia esplicitato altresì un apposito comando, rivolto al coniuge, o ex coniuge, già assegnatario, e diretto al suo allontanamento dall'immobile (Cass. III, n. 1367/2012). Il principio è stato affermato con riguardo all'opposizione, esperita dalla coniuge già assegnataria della casa familiare, al precetto notificatole dall'altro coniuge per il rilascio dell'immobile, sulla base della sola sentenza del tribunale contenente la pronuncia di separazione e la revoca dell'attribuzione, ma è applicabile ad ogni provvedimento che dispone la revoca. In assenza di una statuizione espressa di assegnazione dell'immobile in favore di uno degli ex coniugi, si esclude l'esistenza di un titolo dotato del requisito della certezza che legittima a procedere ad esecuzione forzata. Dopo la revoca dell'assegnazione della casa coniugale, il bene segue il normale regime civilistico, e tale situazione va intesa nel senso che la casa torna nel godimento esclusivo dell'ex coniuge che ne sia unico proprietario (Cass. III, n. 15373/2016), ovvero che torna nel godimento di entrambi gli ex coniugi in regime di comunione ordinaria nel caso che ne siano comproprietari. Diversa l'ipotesi di immobile in proprietà di un terzo: deve essere rigettata l'opposizione di terzo (art. 619 c.p.c.) proposta dal coniuge del debitore esecutato, assegnatario dell'alloggio oggetto di esecuzione, perché il diritto vantato dall'assegnatario non paralizza quello del creditore di procedere in via esecutiva sul bene oggetto dell'assegnazione, pignorandolo e facendolo vendere coattivamente (Cass. III, n. 12466/2012). BibliografiaAmadio, Macario, Diritto di famiglia, Torino, 2016; Arceri, L’affidamento condiviso. Nuovi diritti e nuove responsabilità nella famiglia in crisi, Trento, 2007, 171; Bianca, Diritto civile, 2, Milano, 2005; F. Bartolini, M. Bartolini, Commentario sistematico del diritto di famiglia, Piacenza, 2016, 98 s.s.: Bartolini, La riforma del processo civile, Piacenza, 2023, p. 94 s.s.; Bonilini, Manuale del diritto di famiglia, 10° ediz. Torino, 2022; Carratta, Il processo civile dopo i correttivi alla riforma Cartabia. 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