Codice Civile art. 1176 - Diligenza nell'adempimento.

Trapuzzano Cesare
aggiornato da Nicola Rumìne

Diligenza nell'adempimento.

[I]. Nell'adempiere l'obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia [382, 703 4, 1001 2, 1587, 1710 1, 1768 1, 1800 3, 1804 1, 2030, 2148 2, 2167 2, 2392, 2407].

[II]. Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell'attività esercitata [1838 4, 2104 1, 2145 2, 2174 2, 2224, 2236].

Inquadramento

Con riferimento all'adempimento in generale, la norma prescrive che il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia, specificando che la diligenza deve essere parametrata alla natura dell'attività esercitata ove le obbligazioni da adempiere ineriscano all'esercizio di un'attività professionale. Secondo la dottrina, la diligenza è specificamente riferita, non già alla condotta di entrambe le parti del rapporto obbligatorio, così come accade per la buona fede oggettiva, bensì esclusivamente al contegno del debitore, nella precipua fase di adempimento dell'obbligazione. Il quomodo dell'attuazione del rapporto ex lato debitoris deve essere connotato dall'impiego della diligenza del buon padre di famiglia. Pertanto, la diligenza individua una regola di valutazione del comportamento del debitore, in relazione alla condotta dovuta, nonché un criterio di responsabilità (Rodotà, 542), astratto e oggettivo, ma anche elastico e relativo, quando sia commisurato alla fattispecie in esame. Si distingue, all'uopo, tra diligenza in astratto e diligenza in concreto (Di Majo, in Com. S.B., 1988, 425).

Il ruolo della diligenza nella struttura dell'obbligazione è evidentemente connesso al significato attribuito all'art. 1218, quale norma regolatrice della responsabilità del debitore in generale. Ove si operi un coordinamento tra le due previsioni, la misura della diligenza di cui alla norma in commento deve intendersi come indicazione dei mezzi e degli accorgimenti che il debitore deve porre in essere per conseguire il risultato od attuare il tipo di attività in cui è ravvisabile la soddisfazione del predetto interesse creditorio, consentendo così di distinguere tra inadempimento non dovuto a colpa e inadempimento imputabile a colpa (Rodotà, 543).

Per la giurisprudenza, infatti, nelle obbligazioni di risultato, la prova liberatoria che il debitore deve fornire non si sostanzia esclusivamente in quella positiva del caso fortuito o della forza maggiore, ma può considerarsi raggiunta ogniqualvolta si provi che l'esatto adempimento è mancato nonostante il debitore abbia seguito le regole dell'ordinaria diligenza. Sicché il rispetto della prescrizione di normale diligenza integra la causa di non imputabilità della responsabilità dell'inadempimento. In questo senso si è espressa la giurisprudenza di legittimità con riguardo ad un contratto atipico di parcheggio, cui si applicano le norme relative al contratto di deposito, con l'effetto che il depositario assume verso il depositante l'obbligo di restituzione della cosa nello stato in cui è stata consegnata, nonché, in caso di sottrazione, quello di risarcimento del danno, salvo che provi l'imprevedibilità e l'inevitabilità della perdita, nonostante l'uso della diligenza del buon padre di famiglia, e dunque la non imputabilità dell'inadempimento (Cass. n. 22807/2014).

Nel caso delle obbligazioni di mezzi, invece, una autorevole dottrina ritiene che la diligenza funge, al contempo, da metro di valutazione della condotta del debitore e oggetto stesso dell'obbligazione, nel senso che il suo difetto implica di per sé inadempimento (Rescigno, 191). Resta fermo, comunque, che la diligenza assume rilievo sia nelle obbligazioni di risultato sia nelle obbligazioni di mezzi.

Accanto al parametro generale della diligenza media o normale, cioè raffrontata allo sforzo astrattamente e fisiologicamente richiesto per il raggiungimento del fine, si pone la diligenza qualificata, che deve essere invece commisurata alla concreta e specifica attività esercitata.

Natura dell'adempimento

Il legislatore esige espressamente l'impiego della diligenza nel momento in cui si adempie l'obbligazione. Occorre chiedersi, al riguardo, quale sia la natura giuridica di tale adempimento.

Sull'argomento, in dottrina, si confrontano due orientamenti contrapposti, che ritengono rispettivamente la natura negoziale ovvero non negoziale dell'adempimento. Il punto dibattuto concerne conseguentemente la verifica della sufficienza dell'attuazione della prestazione ai fini della determinazione dell'effetto estintivo dell'obbligazione per adempimento o se essa debba essere accompagnata da un apposito negozio che manifesti la volontà di produrre quell'effetto o, quantomeno, da un negozio diretto a qualificare la prestazione eseguita come adempimento di un certo obbligo, pena la non maturazione dell'estinzione.

Secondo la teoria contrattuale, indipendentemente dalla natura dell'attività dovuta per realizzare l'adempimento, sarebbe sempre necessario, accanto all'attuazione della prestazione, anche un accordo tra debitore e creditore, diretto al conseguimento dell'effetto estintivo dell'obbligazione in ragione di quell'attuazione.

Secondo la teoria contrattuale limitata, l'accordo non è necessario quando la natura della prestazione in sé non richieda un atto negoziale di adempimento o una dichiarazione di accettazione del creditore, così come accade nelle prestazioni di opere o di servizi o ancora nelle omissioni.

In forza della teoria del contratto reale, pur richiedendo l'adempimento con efficacia satisfattiva l'elemento oggettivo dell'attribuzione del dovuto e l'elemento soggettivo dell'accordo, quest'ultimo è funzionale soltanto ad attribuire all'atto di prestazione, che in sé è neutro, il significato di atto di adempimento di quel determinato debito.

Infine, in base alla teoria dell'attuazione reale della prestazione, l'effetto solutorio si produce per il semplice compimento della prestazione, anche quando tale adempimento consista in un'attività negoziale, in quanto essa sarebbe comunque da considerare come parte dell'azione di adempimento e non come contratto che ad essa si aggiunge (Schlesinger, 27). Siffatta teoria, che appare la più plausibile, ha dei precisi risvolti: a) la corrispondenza tra il dovuto e l'eseguito deve essere verificata in ragione di criteri obiettivi; b) l'effetto estintivo discende ex lege dall'attuazione dell'adempimento; c) piuttosto, l'atto negoziale unilaterale può escludere il carattere di adempimento ad un'azione che in sé abbia questo significato; d) la dichiarazione del creditore, in ordine al ricevimento della prestazione a titolo di adempimento, ha un esclusivo rilievo probatorio. A favore della conclusione in ordine alla natura dell'adempimento quale mero atto giuridico militano le norme sull'imputazione ex lege del pagamento, non già per volontà delle parti, e quelle sulla capacità del creditore e del debitore: la capacità non è richiesta su un piano generale poiché tali soggetti non stipulano un accordo con effetti solutori. Sicché l'adempimento deve essere inteso come comportamento del debitore accompagnato da una previsione di scopo, volta a riferire il comportamento alla soddisfazione di un certo debito. È la volontà del comportamento, non già dell'effetto che esso è destinato a produrre, a determinare l'estinzione dell'obbligazione.

La giurisprudenza di legittimità più risalente ha riconosciuto all'adempimento natura negoziale (Cass. n. 2611/1971) mentre più recentemente si è ritenuto che si tratti di un mero atto giuridico. In tal senso si è affermato che l'adempimento del debitore costituisce un comportamento dovuto, preso in considerazione dal legislatore per la sua idoneità obiettiva a soddisfare l'interesse del creditore, prescindendo dall'elemento intenzionale dal quale tale atto sia eventualmente accompagnato, atteso che sia l'estinzione dell'obbligo che la realizzazione del diritto del creditore non sono disposti dalla legge in considerazione di una conforme volontà del solvens e che, proprio per questo, tale elemento, anche quando sia rilevabile in concreto, non assume alcun rilievo ai fini della qualificazione dell'atto in questione (Cass. n. 7357/1998).

Riferimento al buon padre di famiglia

Il collegamento della diligenza al parametro del buon padre di famiglia è significativo del riferimento a colui che, tendendo alla realizzazione di interessi altrui, è guidato da una speciale sollecitudine che, pur non dovendo essere eccezionale, deve comunque esplicarsi in maniera notevole, ovverosia buona (Giorgianni, 597). Sicché la diligenza media, ovvero il canone di normalità a cui la norma allude, va intesa come diligenza normalmente adeguata al fine perseguito, perciò variabile (Bianca, 91). L'argomento era chiaramente collegato alla teoria della graduazione della colpa, poiché tra i tre gradi di colpa la diligenza del buon padre di famiglia figurava al centro.

Anche secondo la giurisprudenza di legittimità, la norma che fa riferimento alla figura media del buon padre di famiglia detta un criterio di carattere generale che sta ad indicare la misura in astratto dell'attenzione, della cura e dello sforzo psicologico che il debitore deve adoperare per attuare esattamente la prestazione pattuita (Cass. n. 13351/2006), ossia quella diligenza che è lecito attendersi da qualunque soggetto di media avvedutezza e accortezza, memore dei propri impegni, cosciente delle relative responsabilità (Cass. n. 19778/2003).

Perizia

Nel concetto di diligenza è compresa anche la perizia, che deve essere intesa come conoscenza, ed attuazione, delle regole tecniche proprie di una determinata arte o professione.

È prevalente l'opinione secondo cui non si debba tenere conto delle eventuali incapacità psicofisiche di un determinato debitore ad attuare gli accorgimenti che sarebbero necessari in base al metro di diligenza di cui trattasi. Si è così ritenuto che debba aversi riguardo ad un criterio oggettivo, e non soggettivo, nella valutazione della colpa. Si è comunque anche evidenziato (Bianca, 95) che l'adeguamento della perizia dovuta alle concrete capacità del debitore può essere ammesso quando in sede di contrattazione il creditore sia a conoscenza della scarsa idoneità del primo alla prestazione dovuta. Si realizzerebbe in questa fattispecie una sostanziale inettitudine ab origine del debitore alla prestazione.

La giurisprudenza elabora il concetto di perizia come osservanza delle regole tecniche da adeguare alla contingenza (Cass. n. 4790/2014; Cass. n. 22802/2013).

Natura dell'attività esercitata

Il riferimento alla natura dell'attività esercitata per la determinazione della diligenza dovuta, secondo un'interpretazione letterale della disposizione, varrebbe solo per l'esercizio delle attività professionali. Secondo un'interpretazione teleologica, prevalente in dottrina, tale riferimento avrebbe, invece, una portata generale e, quindi, assumerebbe rilievo anche oltre le attività professionali (Giorgianni, 598).

In questi casi la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell'attività esercitata, con la conseguenza che il debitore risponde anche per colpa lieve. Siffatta diligenza richiede al soggetto tenuto l'impiego di adeguate nozioni e strumenti tecnici, cioè la perizia in senso oggettivo, indipendentemente dalla capacità del soggetto stesso.

La responsabilità qualificata in relazione allo svolgimento di un'attività professionale è limitata al caso di dolo o colpa grave esclusivamente quando il debitore sia chiamato a risolvere problemi tecnici di speciale difficoltà.

Per alcuni casi giurisprudenziali recenti si veda Cass. II, n. 8996/2025, Cass. II, n. 6283/2025, Trib. Sassari II, n. 188/2025.

Diligenza del medico

Sotto il profilo della misura della diligenza richiesta in ragione dell'attività professionale prestata, il medico è tenuto ad adempiere la prestazione usando la diligenza qualificata, ossia consistente nel rispetto di tutte le regole e nell'adozione degli accorgimenti indispensabili, che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, tenendo conto che il progresso della scienza e della tecnica ha notevolmente ridotto l'area della particolare esenzione indicata dall'art. 2236 nel campo delle prestazioni medico-specialistiche.

La giurisprudenza di legittimità ha ritenuto che, quando il medico proceda nei confronti del paziente, non rispettando i parametri della scienza medica ovvero senza la disponibilità dei mezzi necessari o, ancora, nonostante l'inidoneità della struttura, sono integrate speciali ipotesi di responsabilità per carenza di diligenza qualificata: 1) Il comportamento dello specialista ortopedico che adotti pratiche terapeutiche diverse da quelle raccomandate dalla letteratura medica non è conforme al canone della perizia del medico professionista, indipendentemente dalla circostanza che il sanitario non disponesse, presso la sua struttura ospedaliera, dei mezzi necessari per far ricorso alla migliore tecnica (Cass. n. 2466/1995). 2) In materia di responsabilità per attività medico-chirurgica, è in colpa il medico che, in presenza di un paziente che non possa essere adeguatamente curato nella struttura ospedaliera in cui si trova, ometta di attivarsi per tentare di disporne il trasferimento in altra più idonea struttura (Cass. n. 22338/2014). Il difetto di diligenza qualificata sarà ugualmente integrato anche quando il sanitario assuma un contegno omissivo, a fronte dell'urgenza del provvedere. In specie, il contegno dell'aiuto primario che, in caso di assenza o impedimento del primario, ometta di eseguire un intervento chirurgico urgente viola gli obblighi su di esso gravanti, i quali includono non solo quello di attivarsi secondo le regole dell'arte medica, avuto riguardo al suo standard professionale di specialista, ma anche di salvaguardare la vita del paziente. Così è stata ravvisata la responsabilità di un aiuto primario di ostetricia che, accertato il grave stato di sofferenza del feto, a dispetto dell'estrema urgenza dell'intervento, ometta di procedere — in attesa dell'arrivo del primario — all'esecuzione del parto cesareo (Cass. n. 7682/2015).

In questa prosp e ttiva , il medico di guardia  è stato ritenuto responsabile  per la morte del paziente visitato e dimesso, con apposita prescrizione farmacologica, se sia configurabile il suo inadempimento nella forma di una condotta omissiva o di una diagnosi errata o di una misura di cautela non presa, ove l'evento di danno si ricolleghi deterministicamente, o in termini di probabilità, alla condotta del sanitario (Cass. n. 19372/2021).

Ancora,  si è affermato che il medico radiologo, essendo tenuto alla diligenza specifica di cui all'art. 1176, comma 2, c.c.,  non può limitarsi alla lettura degli esiti dell'esame diagnostico effettuato, ma, ove necessario, è tenuto ad attivarsi per un approfondimento della situazione, consigliando al paziente ulteriori e più adeguati esami (Cass. 37728/2022).

Tale difetto di diligenza non può essere superato deducendo l'insorgenza di una complicanza ovvero adducendo la natura gratuita e volontaria della prestazione: 1. Per superare la presunzione di responsabilità cui all'art. 1218 non è sufficiente dimostrare che l'evento dannoso per il paziente costituisca una complicanza, rilevabile nella statistica sanitaria, dovendosi ritenere tale nozione — indicativa nella letteratura medica di un evento, insorto nel corso dell'iter terapeutico, astrattamente prevedibile ma non evitabile — priva di rilievo sul piano giuridico, nel cui ambito il peggioramento delle condizioni del paziente può solo ricondursi ad un fatto o prevedibile ed evitabile, e dunque ascrivibile a colpa del medico, ovvero non prevedibile o non evitabile, sì da integrare gli estremi della causa non imputabile (Cass. n. 35024/2022Cass. n. 13328/2015). 2. Colui il quale assume volontariamente un obbligo, ovvero inizia volontariamente l'esecuzione di una prestazione, ha il dovere di adempiere il primo o di eseguire la seconda con la correttezza e la diligenza prescritte dagli artt. 1175 e 1176, a nulla rilevando che la prestazione sia eseguita volontariamente ed a titolo gratuito (Cass. n. 18230/2014).

D'altro canto, la diligenza esigibile non è limitata alla sola fase propriamente attuativa dell'intervento ma si estende anche alla fase preparatoria e al suo decorso successivo (Cass. n. 12597/2017). Sicché vi è un preciso obbligo del medico chirurgo di sorvegliare sulla salute del soggetto operato anche nella fase post-operatoria (Cass. n. 3492/2002).

La diligenza prescritta inerisce anche alle prestazioni accessorie, come l'esauriente informazione sul caso clinico e la debita compilazione della cartella: 1. Così ove l'atto terapeutico, necessario e correttamente eseguito secundum legem artis, non sia stato preceduto dalla preventiva informazione esplicita del paziente circa i suoi possibili effetti pregiudizievoli non imprevedibili, può essere riconosciuto il risarcimento per la verificazione di tali conseguenze, qualora sia allegato e provato, da parte del paziente, anche in via presuntiva, che, se correttamente informato, avrebbe rifiutato di sottoporsi a detto intervento ovvero avrebbe vissuto il periodo successivo ad esso con migliore e più serena predisposizione ad accettarne le eventuali conseguenze e sofferenze (Cass. n. 24471/2020 ; Cass. n. 28985/2019; Cass. n. 2369/2018). 2. Ancora, il medico è tenuto anche a curare la completezza della cartella clinica, in quanto il giudice può ritenere dimostrata l'esistenza di un valido legame causale fra l'operato del medico ed il danno patito dal paziente quando l'incompletezza della cartella clinica non abbia consentito di accertare il nesso eziologico ed il professionista abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare la lesione (Cass. n. 27561/2017; Cass. n. 12218/2015). In questa prospettiva, si è affermato che la responsabilità da omessa informazione al paziente dell'esistenza di una tecnica innovativa presuppone la ricostruzione del nesso di condizionamento tra l'omessa informazione e l'evento di danno con un giudizio controfattuale. Il giudice di merito deve, quindi, accertare, con giudizio di probabilità logica, quali scelte avrebbe compiuto il paziente, se fosse stato correttamente informato dell’esistenza di una tecnica innovativa alternativa (Cass. n. 1936/2023).

Sotto il profilo della distribuzione dell'onere probatorio, il paziente che agisce in giudizio deducendo l'inesatto adempimento dell'obbligazione sanitaria deve provare il contratto ed allegare l'inadempimento del professionista, restando a carico dell'obbligato l'onere di provare l'esatto adempimento, con la conseguenza che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non vale come criterio di ripartizione dell'onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spettando al sanitario la prova della particolare difficoltà della prestazione, in conformità con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l'ordinamento è informato (Cass. n. 22222/2014). Inoltre, incombe sul paziente l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari, anche attraverso presunzioni, mentre, ove il danneggiato abbia assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l'impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l'inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l'ordinaria diligenza (Cass. n. 10050/2022; Cass. n. 26700/2018; Cass. n. 18392/2017, in Foro it., 2018, 4, I, 1348, con nota di D'Amico; contra Cass. n. 20547/2014). Ne consegue che, ove la causa sia rimasta assolutamente incerta, la domanda deve essere rigettata (Cass. n. 3704/2018). Se, invece, resta ignota l'efficienza eziologica della causa esterna (es. patologia pregressa del paziente) le conseguenze sfavorevoli ricadono sul debitore della prestazione (Cass. n. 5632/2023).

La limitazione della responsabilità del medico ai casi di dolo o colpa grave, ex art. 2236, non si applica a tutti gli atti del sanitario, ma solo a quelli che trascendono la preparazione professionale media, altrimenti egli risponde anche per colpa lieve. Implicano la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà i casi medici che richiedono notevole abilità in quanto siano prospettati problemi tecnici nuovi o di speciale complessità e che comportino a monte un largo margine di rischi (Cass. n. 10297/2004).

Con riguardo alla responsabilità concorrente della struttura sanitaria, la diligenza qualificata si realizza mettendo a disposizione del paziente il personale medico ausiliario e paramedico, nonché tutte le attrezzature eventualmente necessarie, anche qualora il paziente abbia scelto il proprio medico curante al di fuori della casa di cura stessa (Cass. n. 9556/2002).

Di recente, la S.C. ha affermato che, in tema di responsabilità per i danni subiti da un paziente ricoverato presso una RSA, anche se la struttura ha accettato il ricovero della persona palesando i propri deficit organizzativi, essa è tenuta ad assolvere con diligenza gli obblighi di sorveglianza e protezione nei suoi confronti, salva la prova dell'impossibilità oggettiva non imputabile della prestazione ad essa richiesta in base al contratto di ricovero, essendo nulla una pattuizione che escluda o limiti la responsabilità della struttura per colpa grave (Cass. n. 13037/2023).

Il positivo accertamento delle responsabilità dell'istituto postula pur sempre la colpa del medico esecutore dell'attività che si assume illecita, non potendo detta responsabilità affermarsi in assenza di tale colpa (Cass. n. 12362/2006). Il rispetto delle linee guida — pur costituendo un utile parametro nell'accertamento di una sua eventuale colpa — non esime il giudice dal valutare se le circostanze del caso concreto non esigessero una condotta diversa da quella da esse prescritta (Cass. n. 11208/2017).

Per effetto dell'art. 7, l. n. 24/2017, la struttura sanitaria risponde a titolo contrattuale mentre il medico di cui la struttura si è avvalsa risponde a titolo aquiliano, salvo che non abbia contratto una specifica obbligazione con il pazienteLe norme sostanziali poste dagli artt. 3, comma 1, del d.l. n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012 (c.d. Legge Balduzzi), e dall'art. 7, comma 3, della legge n. 24 del 2017 (c.d. Legge Gelli-Bianco), non hanno efficacia retroattiva e non sono applicabili ai fatti verificatisi anteriormente alla loro entrata in vigore (Cass. n. 28994/2019).

Diligenza del notaio

Nell'adempimento delle obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività notarile, il professionista è tenuto ad una prestazione che, pur rivestendo i caratteri dell'obbligazione di mezzi e non di risultato, non può ritenersi circoscritta al compito di mero accertamento della volontà delle parti e di direzione della compilazione dell'atto, estendendosi, per converso, a tutte quelle ulteriori attività, preparatorie e successive, funzionali ad assicurare la serietà e la certezza del rogito e, in particolare, la sua attitudine ad assicurare il conseguimento dello scopo tipico (non meno che dal risultato pratico) del negozio divisato dalle parti, con la conseguenza che l'inosservanza di tali obblighi accessori dà luogo a responsabilità ex contractu per inadempimento dell'obbligazione di prestazione d'opera intellettuale. Tale funzione non si esaurisce nella mera registrazione delle dichiarazioni delle parti, ma si estende all'attività di consulenza, anche fiscale, nei limiti delle conoscenze che devono far parte del normale bagaglio di un professionista che svolge la sua attività principale nel campo della contrattazione immobiliare.

La diligenza qualificata del notaio assume un particolare peso nella redazione degli atti di trasferimento immobiliare, dove è richiesto che il notaio proceda con solerzia alle visure propedeutiche alla stipulazione e, all'esito della stipulazione, proceda tempestivamente alle relative iscrizioni e/o trascrizioni.

Rientra tra gli obblighi del notaio, che sia richiesto della stipulazione di un contratto di compravendita immobiliare, lo svolgimento delle attività accessorie e successive necessarie per il conseguimento del risultato voluto dalle parti (Cass. n. 21205/2022) ed, in particolare, il compimento delle visure catastali e ipotecarie allo scopo di individuare esattamente il bene e verificarne la libertà, salvo espresso esonero del notaio da tale attività per concorde volontà delle parti, dettata da motivi di urgenza o da altre ragioni (Cass. n. 10474/2022Cass. n. 21775/2019Cass. n. 547/2002). L'esonero dalle visure deve essere giustificato da esigenze concrete delle parti medesime e da ragioni di urgenza di stipula dell'atto e non deve estrinsecarsi in una mera clausola di stile, non rilevando la circostanza che detto esonero non sia stato contemplato in una clausola scritta, non essendo quest'ultima necessaria per la validità e legittimità dello stesso (Cass. n. 25270/2009, in Giur. it., 2010, 1047, con nota di Rispoli). l  dovere del notaio di consiglio e di segnalazione alle parti dei fatti che potrebbero incidere negativamente sugli effetti e sul risultato pratico degli atti stipulati postula anche il rilievo dell'esistenza di eventuali usi civici gravanti sul terreno su cui sono edificati gli immobili ipotecati e dei conseguenti limiti alla commerciabilità degli stessi (Cass. n. 15035/2023; Cass. n. 30494/2022). Nella stessa prospettiva, si è affermato che il notaio, che stipuli una compravendita e il collegato mutuo ipotecario, deve accertarsi dello stato civile delle parti secondo criteri di diligenza, prudenza e perizia professionale ed è adempiente a tale obbligo ove non si limiti ad esaminare la carta d'identità (o altro documento equipollente), ma proceda al confronto dei dati ivi indicati con quelli riportati nella documentazione approntata dalla banca per l'istruttoria della pratica di mutuo (Cass. n. 15599/2021; Cass. n. 4181/2021; Cass. n. 13362/2018; 11767/2017). Tuttavia, il notaio non è tenuto ad una condotta in concreto eccessivamente onerosa, sicché ha l'onere probatorio di delimitare l'ambito della diligenza da lui esigibile, allegando e dimostrando non solo l'estensione (quantitativa e temporale) degli accertamenti esperiti, ma anche di quelle esperibili, nonché la regolarità o meno delle registrazioni effettuate dalla conservatoria ed, altresì, l'idoneità della specifica irregolarità contestata a rendere infruttuose eventuali ricerche del titolo reso pubblico (Cass. n. 10133/2015). Ancora, la responsabilità non sussiste quando sia provato che il contraente interessato a tale informazione conosceva certamente dell'esistenza di quei vincoli (Cass. n. 25111/2017).

Inoltre, il dovere di controllo del notaio non può dilatarsi sino a ricoprire circostanze di fatto, recepite nel contenuto negoziale dell'atto che questi è chiamato a officiare, il cui accertamento rientra nella normale prudenza delle parti, come la solvibilità del debitore o l'inesistenza di vizi della cosa oggetto di trasferimento. Deve, al pari, escludersi la responsabilità del notaio per difetto di diligenza per non aver effettuato o consigliato alla parte di effettuare le verifiche sulla veridicità della dichiarazione della parte alienante di intervenuta estinzione del debito a garanzia del quale era stata iscritta ipoteca sul bene oggetto del trasferimento, costituendo preciso onere di diligenza della parte stessa la verifica di una tale circostanza (Cass. n. 7707/2007, in Riv. not., 2008, II, 167, con nota di Casu).

Incorre nella predetta responsabilità professionale il notaio che, con riferimento alla procura speciale presentatagli dal sedicente rappresentante della parte venditrice, non ne accerti con cura l'autenticità, senza che, in relazione a tale omissione, egli possa legittimamente invocare la limitazione di responsabilità di cui all'art. 2236, non essendo il suo comportamento riconducibile alla fattispecie dell'imperizia, bensì a negligenza ed imprudenza, alla violazione, cioè, del dovere di normale diligenza professionale, rispetto alla quale rileva anche la colpa lieve (Cass. n. 1228/2003).

È altresì responsabile per violazione dell'obbligo di diligenza il notaio che non svolga una adeguata ricerca legislativa (ed una successiva consulenza) al fine di far conseguire alle parti il regime fiscale più favorevole (Cass. n. 309/2003, in Dir. e giust., 2003, 33, con nota di Fuccillo).

Diligenza dell'avvocato

Le obbligazioni inerenti all'esercizio dell'attività professionale di avvocato sono, di regola, obbligazioni di mezzi e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l'incarico, si impegna alla prestazione della propria opera per raggiungere il risultato desiderato, ma non al suo conseguimento. Ne deriva che l'inadempimento dell'avvocato alla propria obbligazione non può essere desunto, ipso facto, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell'attività professionale e, in particolare, del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione il parametro della diligenza professionale, da commisurarsi alla natura dell'attività esercitata. Pertanto, non potendo il professionista garantire l'esito comunque favorevole auspicato dal cliente, il danno derivante da eventuali sue omissioni intanto è ravvisabile, in quanto, sulla base di criteri (necessariamente) probabilistici (più probabile che non), si accerti che, senza quell'omissione, il risultato sarebbe stato conseguito (Cass. n. 2109/2024 ;  Cass. n. 10864/2023Cass. n. 34787/2022Cass. n. 6967/2006). La regola della preponderanza dell'evidenza si applica anche all'accertamento del nesso causale tra il danno-evento e le conseguenze dannose risarcibili (Cass. n. 25112/2017).

Il difetto di diligenza può concretizzarsi, sia nell'omissione di impugnazioni, notifiche o atti in genere entro i termini utili, sia nella omessa valutazione degli interessi del cliente, nella erronea scelta dei mezzi di difesa e nella ignoranza della legge. Il rispetto del canone di diligenza impone all'avvocato di assolvere, sia all'atto del conferimento del mandato, sia nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest'ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi, a richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso, a sconsigliarlo dall'intraprendere o proseguire un giudizio dall'esito probabilmente sfavorevole; a tal fine incombe su di lui l'onere di fornire la prova della condotta mantenuta, non essendo al riguardo sufficiente il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all'esercizio dello ius postulandi, stante la relativa inidoneità a deporre obiettivamente ed univocamente per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l'assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull'opportunità o meno di iniziare un processo o intervenire in giudizio. Così si è espressa la giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'avvocato, nell'adempimento della propria prestazione professionale, è tenuto ad informare il cliente sulle conseguenze del compimento o del mancato compimento degli atti del processo e, se del caso, a sollecitarlo nel compimento di essi ovvero, sussistendo le condizioni, a dissuaderlo della loro esecuzione (Cass. n. 8494/2020; Cass. n. 19520/2019Cass. n. 24544/2009; Cass. n. 14597/2004). Ancora, è onere dell'avvocato sollecitare il cliente al fine di ottenere la consegna di tutta la documentazione necessaria per la predisposizione del ricorso (Cass. n.  15271/2023), 

nonché di informarlo della possibilità di accedere al beneficio del gratuito patrocinio, qualora sussistano i presupposti (Cass. n. 24810/2023e dell'esito sfavorevole del giudizio di primo grado (Cass. n. 2109/2024).

L'avvocato deve altresì considerarsi responsabile verso il cliente in caso di incuria e di ignoranza di disposizioni di legge e, in genere, nelle ipotesi nelle quali per negligenza ed imperizia comprometta il buon esito del giudizio, dovendosi invece ritenere esclusa la detta responsabilità, a meno di dolo o colpa grave, solo nel caso di interpretazioni di leggi o di risoluzione di questioni opinabili (Cass. n. 16846/2005).

La violazione del dovere di diligenza, ove consista nell'adozione di mezzi difensivi pregiudizievoli al cliente, non è né esclusa né ridotta per la circostanza che l'adozione di tali mezzi sia stata sollecitata dal cliente stesso, essendo compito esclusivo del legale la scelta della linea tecnica da seguire nella prestazione dell'attività professionale (Cass. n. 10289/2015).

Ove la prestazione professionale da eseguire in concreto involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità è attenuata, configurandosi, secondo l'espresso disposto dell'art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave (Cass. n. 23763/2024).

Diligenza della banca

La diligenza qualificata della banca nello svolgimento delle attività di sua specifica competenza si manifesta con particolare riguardo all'integrazione di certe condotte: il pagamento di assegni bancari, l'assicurazione sulla presenza di fondi ai fini dell'emissione di un assegno bancario, la consegna di assegni circolari, l'utilizzo abusivo di carte bancomat trattenute dallo sportello automatico, l'aumento del credito concesso nonostante il peggioramento delle condizioni patrimoniali del cliente in presenza di garanzia fideiussoria, la sottrazione dei beni custoditi in cassetta di sicurezza, l'adempimento di prestazione relativa a certificato di deposito al portatore.

Sotto il primo profilo, la banca negoziatrice, provvedendo materialmente a pagare l'assegno, in sostituzione della trattaria, ha il dovere di identificare il presentatore e pagare il titolo con la diligenza di volta in volta necessaria al fine di tutelare gli interessi coinvolti nelle operazioni bancarie, con l'effetto che, in caso di pagamento negligente, la banca negoziatrice e la banca trattaria sono responsabili contrattualmente in solido nei confronti del traente, in quanto corresponsabili dell'evento lesivo in eguale misura (Cass. S.U., n. 12477/2018). Così nel caso di falsificazione di assegno bancario nella firma di traenza — la quale presenti, nella specie, un tracciato assolutamente piatto — la misura della diligenza richiesta alla banca nel rilevamento di detta falsificazione è quella dell'accorto banchiere, avuto riguardo alla natura dell'attività esercitata. Ne consegue che spetta al giudice del merito valutare la congruità della condotta richiesta alla banca in quel dato contesto storico e rispetto a quella determinata falsificazione, attivando così un accertamento di fatto volto a saggiare, in concreto, il grado di esigibilità della diligenza stessa, verificando, in particolare, se la falsificazione sia, o meno, riscontrabile attraverso un attento esame diretto, visivo o tattile, dell'assegno da parte dell'impiegato addetto, in possesso di comuni cognizioni teorico/tecniche, ovvero pure in forza di mezzi e strumenti presenti sui normali canali del mercato di consumo e di agevole utilizzo o, piuttosto, se la falsificazione stessa sia, invece, riscontrabile soltanto tramite attrezzature tecnologiche sofisticate e di difficile e dispendioso reperimento e/o utilizzo o tramite particolari cognizioni teoriche e/o tecniche (Cass. n. 34873/2022Cass. n. 6513/2014, in Corr. giur., 2014, 906, con nota di Carbone).

Così, in tema di assegno bancario cd. "di traenza", la S.C. ha evidenziato che l'attività di controllo della rispondenza della persona che presenta il titolo al reale beneficiario, da espletare nel rispetto delle prescrizioni di cui all'art. 1176, comma 2, c.c., non p uò  esaurirsi nell'esame del solo documento d'identità esibito dal prenditore,  dovendo i nvestire anche la valutazione di eventuali circostanze "extracartolari" anomale  (Cass. n. 13152/2021; contra Cass. n. 3649/2021) .   Ancora , si è affermato che tra i parametri di diligenza che il banchiere deve osservare nell'attività di pagamento di un assegno di traenza non trasferibile non rientra la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala l'opportunità per la banca negoziatrice dell'assegno di traenza di richiedere due documenti d'identità muniti di fotografia al presentatore del titolo, poiché tale regola, oltre ad essere priva di portata precettava, non è riscontrabile negli “standard valutativi di matrice sociale” ovvero ricavabili dall'ordinamento positivo, tenuto conto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene generalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale (Cass. n. 20477/2022).

La responsabilità contrattuale della banca per operazioni effettuate a mezzo di strumenti elettronici è esclusa se ricorre  la  colpa gra ve dell'utente , configurabile nel caso di protratta mancata attivazione di qualsiasi forma di controllo degli estratti conto  (Cass. n. 18045/2019).

Allo stesso modo, l'istituto bancario che, tramite un proprio dipendente, abbia, su richiesta di un cliente correntista, fornito assicurazioni a quest'ultimo (telefonicamente o con altro mezzo di comunicazione) circa l'esistenza di fondi sufficienti al pagamento di un assegno di conto corrente (c.d. benefondi) è contrattualmente responsabile — configurandosi nella specie un rapporto di mandato — se le notizie così fornite non risultino, poi, rispondenti alla situazione di fatto esistente al momento della richiesta, e ciò con particolare riferimento all'inadempimento dell'obbligo di diligenza gravante sull'istituto di credito — mandatario, derivante dalla specifica natura dell'attività bancaria (Cass. n. 8983/2000; Cass. n. 16555/2023).

Quanto al ritiro di assegni circolari, nell'ipotesi di ordine di emissione e consegna di assegni circolari in favore di soggetto delegato dal titolare del conto corrente, impartito attraverso canali inusuali — quali, nella specie, una telefonata da parte della società titolare del conto, ma proveniente da persona non individuata — ai fini dell'esonero da responsabilità dell'azienda di credito non è sufficiente la sola verifica, dalla stessa operata, circa la conformità allo specimen della firma apposta sull'autorizzazione scritta esibita dal delegato che sia persona non conosciuta dalla banca, dovendo il banchiere, in applicazione delle regole di diligenza professionale proprie del mandatario, eseguire ulteriori controlli, la cui omissione integra la colpa ed è ostativa alla configurabilità di una situazione di apparenza, che possa giustificare l'esonero da responsabilità (Cass. n. 21613/2013).

Con riguardo alle carte bancomat, ai fini della valutazione della responsabilità contrattuale della banca per il caso di utilizzazione illecita da parte di terzi di carta bancomat trattenuta dallo sportello automatico, non può essere omessa, a fronte di un'esplicita richiesta della parte, la verifica dell'adozione da parte dell'istituto bancario delle misure idonee a garantire la sicurezza del servizio da eventuali manomissioni, nonostante l'intempestività della denuncia dell'avvenuta sottrazione da parte del cliente e le contrarie previsioni regolamentari; infatti, la diligenza posta a carico del professionista ha natura tecnica e deve essere valutata tenendo conto dei rischi tipici della sfera professionale di riferimento ed assumendo quindi come parametro la figura dell'accorto banchiere (Cass. n. 13777/2007, in Guida dir., 2007, n. 27, 30, con nota di Micali).

Ancora, in tema di fideiussione per obbligazioni future, si è stabilito che, pur in presenza di una clausola di dispensa della banca beneficiaria della garanzia dall'onere di conseguire una specifica autorizzazione del fideiussore per nuove concessioni di credito in caso di mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore principale, l'operatività della garanzia fideiussoria rimane esclusa qualora il comportamento della banca creditrice non sia stato improntato, nei confronti del fideiussore, al rispetto dei principi di correttezza e buona fede nell'esecuzione del contratto, in relazione a nuove concessioni di credito avvenute da parte della banca nella consapevolezza del peggioramento delle condizioni economiche e finanziarie del debitore principale (Cass. n. 21101/2005, in Contratti, 2006, II, 775, con nota di Angiuli).

In tema di contratto bancario per il servizio delle cassette di sicurezza, nel caso di sottrazione dei beni custoditi nella cassetta di sicurezza a seguito di furto — il quale non integra il caso fortuito, in quanto è evento prevedibile, in considerazione della natura della prestazione dedotta in contratto — grava sulla banca l'onere di dimostrare che l'inadempimento dell'obbligazione di custodia è ascrivibile ad impossibilità della prestazione ad essa non imputabile (per avere tempestivamente predisposto impianti rispondenti alle più recenti prescrizioni in tema di sicurezza raccomandate nel settore), non essendo sufficiente ad escludere la colpa la prova generica della sua diligenza, dal momento che tale disposizione generale, che regola l'inadempimento delle obbligazioni contrattuali, si applica anche in presenza di una clausola limitativa della responsabilità della banca, da ricondurre all'art. 1229 e che riguardi l'ammontare del debito risarcitorio, non l'oggetto del contratto (Cass. n. 18637/2017; Cass. n. 28835/2011, in Danno e resp., 2012, 1115, con nota di Santoro).

Infine, la banca che abbia adempiuto la prestazione relativa ad un certificato di deposito al portatore è liberata solo se vi abbia provveduto, nei confronti del possessore del titolo, senza essere in dolo o colpa grave e purché, in ogni caso, abbia identificato il possessore stesso, incombendo su di essa, ex art. 1836, un generale obbligo di correttezza e diligenza diretto all'espletamento di tutte le attività necessarie a salvaguardare l'effettivo titolare del diritto, mediante un accurato controllo sulla legittimazione del portatore, specie se sono emerse circostanze idonee a giustificare un qualche sospetto (Cass. n. 12460/2008).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. civ., Torino, 1988; Di Majo, Le modalità delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1986; Di Majo, L'adempimento dell'obbligazione, Bologna, 1993; Giorgianni, voce Obbligazione (diritto privato), in Nss. D.I., Torino, 1965; Nicolò, voce Adempimento (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1958; Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., Milano, 1979; Rodotà, voce Diligenza (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1964; Romano, voce Buona fede (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1959; Rovelli, voce Correttezza, in Dig. civ., Torino, 1989; Schlesinger, Il pagamento al terzo, Milano, 1961.

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