Codice Civile art. 1282 - Interessi nelle obbligazioni pecuniarie.

Rosaria Giordano

Interessi nelle obbligazioni pecuniarie.

[I]. I crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro producono interessi di pieno diritto, salvo che la legge o il titolo stabiliscano diversamente [506 3, 2033 1; 161 trans.].

[II]. Salvo patto contrario, i crediti per fitti e pigioni non producono interessi se non dalla costituzione in mora [1219].

[III]. Se il credito ha per oggetto rimborso di spese fatte per cose da restituire, non decorrono interessi per il periodo di tempo in cui chi ha fatto le spese abbia goduto della cosa senza corrispettivo e senza essere tenuto a render conto del godimento.

Inquadramento

La disposizione in commento sancisce la regola di carattere generale per la quale, salva diversa previsione di legge o del titolo, i debiti pecuniari liquidi ed esigibili producono interessi di pieno diritto, senza necessità di alcuna costituzione in mora del debitore (cfr. Bianca, 182).

Si tratta dei cc.dd. interessi corrispettivi, dovuti in funzione equilibratrice del vantaggio che il debitore ritrae, data la normale produttività della moneta, dal trattenere presso di sé somme di danaro che avrebbe dovuto pagare (Cass. n. 28204/2011).

Gli interessi corrispettivi

Gli interessi di pieno diritto decorrono su tutti i debiti pecuniari liquidi ed esigibili.

In dottrina si è rilevato che il presupposto della liquidità sussiste quando il credito è di ammontare certo ovvero accertabile mediante un semplice calcolo aritmetico ed esigibile se l'obbligazione è scaduta ed il credito non è sottoposto a termine, né a condizione sospensiva (Bianca, 184).

Nella giurisprudenza di legittimità è consolidato l'assunto per il quale, poiché gli interessi corrispettivi sono dovuti in funzione equilibratrice del vantaggio che il debitore ritrae, data la normale produttività della moneta, dal trattenere presso di sé somme di danaro che avrebbe dovuto pagare, essi decorrono dalla data in cui il credito è divenuto liquido ed esigibile, cioè da quando l'importo è determinato e il pagamento non è, o non è più, dilazionato da termine o condizione (Cass. n. 28204/2011; Cass. n. 10884/2007).

Quanto al presupposto della liquidità del credito, la S.C., sulla premessa per la quale gli interessi corrispettivi non possono decorrere anche su un credito illiquido (Cass. III, n. 19266/2014), ha evidenziato che la liquidità del credito si traduce nella determinazione del suo ammontare in una quantità definita o nella sua determinabilità mediante meri calcoli aritmetici in base ad elementi o criteri prestabiliti dal titolo o dalla legge, ed è una caratteristica oggettiva sulla quale non incide l'eventuale contestazione da parte del debitore, che attiene all'accertamento del credito stesso, non alla sua consistenza (Cass. n. 25365/2006).

Rispetto a ciò, nella recente esperienza applicativa si è evidenziato che non assume rilevanza la circostanza che il debitore fosse impedito a pagare da sequestri o pignoramenti eseguiti sulle somme dovute, in quanto tale temporanea indisponibilità, estrinseca al credito, e come tale diversa dalla sua inesigibilità, derivante sempre da ragioni intrinseche, non fa venir meno il vantaggio che il debitore ritrae dal trattenere le somme, quale che sia la ragione per cui esse rimangono presso di lui (Trib. Padova II, 17 marzo 2017).

Differenza dagli interessi moratori

La distinzione tra interessi corrispettivi ed interessi moratori è stata più volte posta in evidenza, anche nella recente elaborazione giurisprudenziale: invero, tali interessi assolvono una funzione differente perché gli interessi corrispettivi costituiscono il corrispettivo previsto per il godimento diretto di una somma di denaro, avuto riguardo alla normale produttività della moneta, mentre gli interessi moratori rappresentano una liquidazione anticipata, presuntiva e forfettaria del danno causato dall'inadempimento o dal ritardato adempimento di un'obbligazione pecuniaria (cfr. Cass. n. 28204/2011).

Si è, in particolare, rilevato che, sebbene tale distinzione risultasse meno sfumata nella vigenza dell'art. 41 del codice del commercio, il quale ammetteva l'automaticità della produzione di interessi non moratori limitatamente ai soli rapporti oggettivamente commerciali, non può per ciò solo ritenersi che l'art. 1282 c.c. sia sovrapponibile all'art. 1224 c.c. e che, dunque, gli interessi corrispettivi e quelli moratori possano porsi sullo stesso piano, in quanto, come evidenziato anche da autorevole dottrina, sono identificabili diverse situazioni in cui si verifica un'esigibilità o un ritardo nel pagamento senza una corrispondente situazione di mora (quale, ad esempio, il caso del corrispettivo pecuniario divenuto esigibile per l'appaltatore dopo la consegna e l'accettazione dell'opera da parte dell'appaltante, esigibile anche qualora non sia decorso il termine per l'adempimento), situazioni riconducibili nell'alveo della prima disposizione, ma non in quello della seconda, il cui ambito di applicazione è circoscritto in quello della prima. Peraltro, le due tipologie di interessi si distinguono anche sul piano della disciplina applicabile, in quanto gli interessi moratori sono dovuti, a differenza di quelli corrispettivi, dal giorno della mora e a prescindere dalla prova del danno subito, ai sensi dell'art. 1224, comma 1, c.c., e vengono introdotti coattivamente ex lege, per il caso dell'inadempimento, anche in un rapporto contrattuale che non li abbia originariamente previsti, attesa la loro natura latamente punitiva (cfr. Trib. Roma 16 settembre 2014). Inoltre, le due figure di interessi si pongono in rapporto di alternatività, in quanto la lettura congiunta degli artt. 1182, comma 3, e 1219, comma 2, punto terzo c.c. porta ad affermare che, qualora si tratti di obbligazioni pecuniarie portables e sia scaduto il termine per l'adempimento, l'ambito di applicazione dell'art. 1282 c.c., riconducibile agli interessi corrispettivi, risulti completamente affievolito. Infatti, non appena il credito diventa liquido ed esigibile si costituiscono le condizioni ed i presupposti per l'applicazione dell'art. 1224 c.c., norma questa prevalente in base al principio di specialità ex art. 15 delle disposizioni sulla legge in generale, sicché in tal caso interessi corrispettivi ed interessi moratori, in via di principio, non si cumulano, ma sono dovuti solo i secondi (cfr. ABF — Collegio di Milano, 3 giugno 2014, n. 3577; ABF — Collegio di Napoli, 20 novembre 2013, n. 5877). In considerazione dell'evidenziata funzione di liquidazione forfettaria e anticipata del danno da inadempimento assolta dagli interessi moratori, a questi va applicata la disciplina prevista per la clausola penale, con la conseguenza che, qualora la loro misura sia eccessiva, troverà applicazione lo strumento della riduzione giudiziale ex art. 1384 c.c., ma non potrà farsi ricorso alla loro completa eliminazione (Trib. Roma XVII, 1° settembre 2018, n. 16753).

La questione non ha una valenza, evidentemente, solo nominale, nel senso che occorre verificare se la differente natura degli interessi moratori rispetto a quelli corrispettivi spieghi efficacia in ordine alla determinazione del tasso cd. soglia ai fini della verifica dell'usurarietà degli interessi o, rectius, se comporti che in tale determinazione debbano essere computati anche gli interessi moratori.

Secondo una prima impostazione, in materia di contratto di mutuo deve escludersi l'applicabilità del regime dell'usura oggettiva agli interessi di mora, stante la diversa funzione sanzionatoria degli interessi di mora rispetto alla funzione remuneratoria degli interessi corrispettivi (Trib. Trento 6 luglio 2017, n. 723).

Plurime sono le argomentazioni sottese a tale soluzione: a) l'esclusione dell'applicazione della disciplina dell'usura oggettiva agli interessi di mora si rinviene anzitutto sul piano della lettera delle pertinenti norme, atteso che l'art. 644, comma 1, c.p. fa espressamente riferimento a quanto sia dato o promesso «in corrispettivo di una prestazione di denaro», mentre il comma 3, nell'indicare i criteri per la determinazione del tasso soglia, fa espresso riferimento alle «remunerazioni a qualsiasi titolo», e la stessa espressione è impiegata nell'art. 2 della l. n. 108/1996, là dove, come detto, gli interessi di mora non costituiscono corrispettivo né remunerazione di alcunché. L'art. 1815 c.c. fa chiaro e preciso riferimento agli interessi corrispettivi («il mutuatario deve corrispondere»), e fa appunto richiamo all'art. 1284 c.c., che concerne la determinazione degli interessi di cui all'art. 1282 c.c., sicché agli interessi corrispettivi va riferita anche la previsione del secondo comma dell'art. 1815 c.c., che fa del resto richiamo della nozione di interessi usurari di cui all'art. 644 c.p., come visto riferita agli interessi con funzione remuneratoria. L'art. 1, d.l. n. 394/2000, conv. l. n. 24/2001 — che stabilisce che «si intendono usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge nel momento in cui essi sono promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo» — è norma di interpretazione autentica degli artt. 644 c.p. e 1815 c.c., e pertanto può solo precisare il significato delle citate disposizioni, ma non può avere portata innovativa, aggiungendo gli interessi moratori che invece, e come visto, si pongono chiaramente al di fuori del perimetro semantico delle norme oggetto di interpretazione autentica;

b) l'inapplicabilità del regime dell'usura oggettiva agli interessi di mora trova fondamento anche sul piano logico e sistematico, il che assume valore dirimente. Occorre infatti considerare che, allo stato della vigente normativa, non è possibile procedere ad una valutazione del carattere usurario o meno degli interessi di mora mediante un loro raffronto con il tasso soglia, giacché le rilevazioni trimestrali della Banca d'Italia, in base alle quali si ricava il cd. tasso soglia — tramite l'applicazione delle previste maggiorazioni — sono condotte con esclusivo riferimento ai tassi degli interessi corrispettivi, trattandosi del dato più agevolmente osservabile e rinvenibile sul mercato quale corrispettivo globale del credito in relazione alle diverse tipologie di operazioni. In tal senso, il cd. tasso soglia, quale parametro di raffronto oggettivo sulla base del quale verificare quando gli interessi «sono sempre usurari» (art. 644, comma 3 c.p.), mantiene una sua intrinseca validità solo in relazione al tasso degli interessi corrispettivi, mentre la perde in relazione al tasso degli interessi moratori; infatti, pretendendo di verificare l'usurarietà oggettiva del tasso degli interessi di mora parametrandolo al tasso soglia, si darebbe luogo ad un'operazione di raffronto tra valori del tutto disomogenei e, dunque, priva di logica, venendo così meno la stessa possibilità di dedurre la ricorrenza di una usura di carattere oggettivo in coerenza con la premessa in base alla quale si opera tale deduzione (sul punto cfr. Cass. n. 12965/2016, nella quale la S.C. si è occupata dell'affine questione della inclusione nel tasso effettivo globale medio, della commissione di massimo scoperto, e dunque della questione della metodologia da impiegare, nei singoli casi concreti, nell'individuazione del TEG da raffrontare al tasso soglia, ed ha sottolineato, in motivazione, che «Pari persuasività, rilevante ai fini della decisione cui è chiamato il Collegio, va poi ascritta alla tesi che sostiene la necessità di utilizzare, nella rilevazione dei tassi usurari, dati tra loro effettivamente comparabili. Come osservato in dottrina, la fattispecie della cd. usura oggettiva (presunta), o in astratto, è integrata a seguito del mero superamento del tasso-soglia, che a sua volta viene ricavato mediante l'applicazione di uno spread sul TEGM; posto che il TEGM viene trimestralmente fissato dal Ministero dell'Economia sulla base delle rilevazioni della B.I., a loro volta effettuate sulla scorta delle metodologie indicate nelle più volte richiamate Istruzioni, è ragionevole che debba attendersi simmetria tra la metodologia di calcolo del TEGM e quella di calcolo dello specifico TEG contrattuale. Il giudizio in punto di usurarietà si basa infatti, in tal caso, sul raffronto tra un dato concreto (lo specifico TEG applicato nell'ambito del contratto oggetto di contenzioso) e un dato astratto (il TEGM rilevato con riferimento alla tipologia di appartenenza del contratto in questione), sicché — se detto raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo — il dato che se ne ricava non può che essere in principio viziato»).

c) L'incongruenza logica e sistematica del raffronto dell'interesse moratorio coi tassi soglia trova ulteriore conforto nell'art. 1284, comma 4 c.c. — come introdotto dal d.l. n. 132/2014, conv. l. n. 162/2014 — che, in assenza di pattuizione, prevede in via legale un tasso di mora, applicabile a seguito di proposizione di domanda giudiziale, pari al tasso stabilito per i ritardi nelle transazioni commerciali di cui al d.lgs. n. 231/2002, tasso che per diverse tipologie contrattuali risulta essere superiore ai tassi soglia previsti nella disciplina dell'usura oggettiva; il potenziale conflitto tra i due impianti normativi può essere agevolmente superato secondo criteri di ragionevolezza e logica, non potendosi ritenere illecito lo stesso tasso stabilito dal legislatore, là dove al contempo non appare consentito affermare che, in relazione a rapporti contrattuali perfettamente equiparabili sotto i profili oggettivo e soggettivo (nel settore in considerazione, i contratti bancari di vario tipo conclusi tra banca e cliente), solo il tasso di mora stabilito dal legislatore, e non anche quello stabilito per volontà negoziale, sia da ritenersi lecito quantunque superiore ai tassi soglia.

La soluzione ripercorsa appare coerente con il ragionamento compiuto dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nel recente intervento sulla commissione di massimo scoperto, avente ad oggetto proprio la computabilità di detta commissione ai fini della determinazione del tasso cd. soglia. In particolare, le Sezioni Unite, risolvendo questione di massima di particolare importanza, hanno sancito che, in tema di contratti bancari, con riferimento ai rapporti svoltisi, in tutto o in parte, nel periodo anteriore all'entrata in vigore (il 1° gennaio 2010) delle disposizioni di cui all'art. 2-bis del d.l. n. 185/2008, inserito dalla legge di conversione n. 2/2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell'usura presunta, come determinato in base alle disposizioni della l. n. 108/1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale (TEG) degli interessi praticati in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata, rispettivamente con il «tasso soglia» — ricavato dal tasso effettivo globale medio (TEGM) indicato nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell'art. 2, comma 1, della predetta l. n. 108/1996 — e con la «CMS soglia» — calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media pure registrata nei ridetti decreti ministeriali —, compensandosi, poi, l'importo dell'eccedenza della CMS applicata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con l'eventuale «margine» residuo degli interessi, risultante dalla differenza tra l'importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati (Cass. S.U., n. 16303/2018).

Interessi compensativi

Gli interessi compensativi sono quelli che decorrono, invece, sulle somme liquidate a titolo risarcitorio e vengono determinati sugli importi rivalutati anno per anno a decorrere dal momento di verificazione del fatto illecito (Bianca, 187).

È stato affermato, in particolare, che gli interessi compensativi, sulla somma dovuta a titolo di risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale) costituiscono una componente di quest'ultimo e, nascendo dal medesimo fatto generatore della obbligazione risarcitoria, devono ritenersi ricompresi nella domanda di risarcimento e possono essere liquidati d'ufficio (cfr. Cass. I, n. 4028/2017, per la quale, di conseguenza l'impugnazione della decisione di primo grado si estende necessariamente anche al computo di quegli interessi, pur se non sia stato specificamente censurato il criterio adottato sul punto, con la conseguenza che il giudice dell'impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di un puntuale rilievo sulla loro modalità di liquidazione prescelta dal giudice precedente, può procedere ad una nuova quantificazione della somma dovuta a titolo risarcitorio e dell'ulteriore danno da ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore).

La S.C. distingue, rispetto al momento di decorrenza degli interessi compensativi, in base al fatto che si tratti di illecito contrattuale o di illecito aquiliano: nel primo caso gli interessi si calcolano dalla data della mora, nel secondo dal momento del fatto illecito (Cass. n. 2296/1990).

Casistica

Nel contratto preliminare di vendita il promittente venditore non ha diritto agli interessi compensativi di cui all'art. 1499 c.c. nel caso in cui, in esecuzione di una specifica clausola del negozio, sia avvenuta prima della stipula definitiva l'immediata consegna della cosa promessa in vendita al promissario acquirente, giacché in tale ipotesi è ragionevole ritenere che il vantaggio dell'acquirente sia stato previsto e considerato nella determinazione del prezzo, onde difetta il fine di riequilibrio delle posizioni economiche delle parti, rispetto al negozio, il promittente venditore ha diritto agli interessi anzidetti per il periodo successivo alla data prevista per la stipulazione del contratto definitivo di vendita ancorché il promissario acquirente abbia ritardato il pagamento del saldo legittimamente o per causa a lui non imputabile, atteso che in tal caso, stante l'esigibilità del credito per il pagamento del prezzo, riacquista rilievo il motivo ispiratore della norma richiamata (Cass. VI, n. 11605/2018).

Necessità della domanda di parte

Poiché gli interessi costituiscono un accessorio del credito principale (Bianca, 176; Quadri, in Tr. Res., 1999, 528), possono essere riconosciuti solo a seguito di espressa domanda di parte, che ne individui la fonte e la misura (Bianca, 206; Quadri, in Tr. Res., 1999, 574). Si precisa, tuttavia, che la natura accessoria degli interessi rispetto al credito cui si riferiscono opera solo nella fase genetica mentre, all'esito della loro maturazione, essi costituiscono un'obbligazione autonoma, che può formare oggetto di separati atti dispositivi. È ammissibile anche una domanda autonoma volta ad ottenere la condanna al pagamento dei soli interessi corrispettivi. Inoltre, la prescrizione del credito principale non si estende automaticamente agli interessi maturati e così la verificazione di cause interruttive della prescrizione (cfr. Cass. VI, n. 2157/2022, la quale ha affermato che, poiché l'obbligazione di pagamento di una somma di danaro è distinta da quella di pagamento degli interessi su di essa, è possibile che il debitore rinunci alla prescrizione dell'una senza che ciò implichi anche la rinuncia a quella dell'altra).

Ancora, la remissione del debito principale non si trasmette in modo automatico all'autonoma obbligazione degli interessi. Con riferimento agli interessi compensativi sui debiti risarcitori non è invece necessaria un'apposita domanda.

La riferita impostazione trova conforto nella giurisprudenza di legittimità, all'interno della quale, anche di recente, non si è trascurato di sottolineare che, in tema di obbligazioni pecuniarie, gli interessi, contrariamente a quanto avviene nell'ipotesi di somma di danaro dovuta a titolo di risarcimento del danno di cui essi integrano una componente necessaria, hanno fondamento autonomo rispetto al debito al quale accedono, sicché gli stessi — siano corrispettivi, compensativi o moratori — possono essere attribuiti, in applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., soltanto su espressa domanda della parte (Cass. II, n. 18292/2016).

Inoltre, occorre considerare, a riguardo, che la richiesta di corresponsione degli interessi, non seguita da alcuna particolare qualificazione, deve essere intesa come rivolta all'ottenimento soltanto degli interessi corrispettivi, i quali, come quelli compensativi, sono dovuti, in base al principio della naturale fecondità del denaro, indipendentemente dalla colpa del debitore nel mancato o ritardato pagamento, salva l'ipotesi della mora del creditore. La funzione primaria degli interessi nelle obbligazioni pecuniarie è, infatti, quella corrispettiva, legata alla loro natura di frutti civili della somma dovuta, nonché — nei contratti di scambio, caratterizzati alla contemporaneità delle reciproche prestazioni — quella compensativa, consistente nel compensare la parte del mancato godimento dei frutti della cosa, eventualmente consegnata all'altra parte prima di ricevere la controprestazione (Cass. II, n. 26559/2017).

Domanda di riconoscimento degli interessi e preclusioni: casistica

Nel giudizio di appello possono essere richiesti, ai sensi dell'art. 345, comma 1 c.p.c., i soli interessi maturati dopo la pronunzia della sentenza impugnata, sempre che gli stessi trovino la loro causa nella pretesa dedotta in prime cure (Cass. n. 14311/1999).

La domanda diretta a conseguire gli interessi sulle somme pari al valore degli immobili oggetto di collazione per imputazione può essere proposta per la prima volta in appello, in ragione della necessaria operatività dell'istituto della collazione nel giudizio di divisione ereditaria e dell'automatica inerenza alla comunione, sin dall'apertura della successione, delle summenzionate somme (Cass. n. 16701/2017).

In tema di opposizione a decreto ingiuntivo, la richiesta di ulteriore pagamento degli interessi convenzionali relativi al credito dedotto in sede monitoria formulata dall'opposto in comparsa di risposta non implica modifica della domanda originaria, così come non integra gli estremi di una domanda riconvenzionale, costituendo una mera emendatio libelli, siccome comportante un mero ampliamento del petitum al fine di renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass. n. 17725/2018).

Gli interessi compensativi sulle somme liquidate a titolo di risarcimento da atto illecito, costituendo una componente del risarcimento del danno, possono essere attribuiti anche in assenza di espressa domanda della parte creditrice (Cass. n. 1087/2007; Cass. n. 977/1999).

Poiché l'obbligazione di pagamento di una somma di danaro è distinta da quella di pagamento degli interessi su di essa, è possibile che il debitore rinunci alla prescrizione dell'una senza che ciò implichi anche la rinuncia a quella dell'altra (Cass. n. 13097/1997).

Decorrenza degli interessi nell'ipotesi di debiti della Pubblica Amministrazione

Il principio secondo cui nelle obbligazioni pecuniarie della P.A. per le quali le norme della contabilità pubblica stabiliscono, in deroga al criterio di cui al terzo comma dell'art. 1182 c.c., che i pagamenti si effettuino presso gli uffici di tesoreria dell'amministrazione debitrice, il ritardo nel pagamento non determina gli effetti della mora "ex re", ai sensi dell'art. 1219, comma 2, n. 3 c.c., non può trovare applicazione per gli interessi corrispettivi, in quanto destinati a sostituire i frutti civili che sarebbero stati prodotti dalla immediata disponibilità della somma di danaro costituente l'oggetto dell'obbligazione della P.A. (Cass. I, n. 7687/2021).

I debiti dello Stato e degli altri enti pubblici diventano liquidi ed esigibili e perciò produttivi di interessi corrispettivi, ai sensi dell'art. 1282 c.c., quando ne sia determinato l'ammontare e se ne possa ottenere alla scadenza il puntuale adempimento, a prescindere dal procedimento contabile di impegno e ordinazione della spesa (cd. titolo di spesa), che, trattandosi di una regola di condotta interna della P.A., costituisce operazione esterna alla fattispecie costitutiva dell'obbligazione logicamente posteriore al suo perfezionamento (Cass. I, n. 11655/2020).

Bibliografia

Bianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1997; Breccia, Le obbligazioni, Milano, 1991; Di Majo, voce Obbligazioni pecuniarie, in Enc. dir., Milano, 1979; Distaso, voce Somma di denaro (Debito di), in Nss. D. I., Torino, 1970; Inzitari, L'adempimento dell'obbligazione pecuniaria nella società contemporanea: tramonto della carta moneta e attribuzione pecuniaria per trasferimento della moneta scritturale, in Banca borsa tit. cred. 2007, n. 2,133; Mastropaolo, voce Obbligazione, V, Obbligazioni pecuniarie, in Enc. giur., Roma, 1990.

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