Codice Civile art. 1189 - Pagamento al creditore apparente.Pagamento al creditore apparente. [I]. Il debitore che esegue il pagamento a chi appare legittimato a riceverlo in base a circostanze univoche, è liberato se prova di essere stato in buona fede [1264 2, 1992 2]. [II]. Chi ha ricevuto il pagamento è tenuto alla restituzione verso il vero creditore, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell'indebito [2033 ss.]. InquadramentoL'efficacia liberatoria del pagamento effettuato dal debitore a chi appare legittimato a riceverlo costituisce una deroga al principio secondo cui il pagamento ad un soggetto non legittimato non è liberatorio, ulteriore rispetto alla deroga di cui all'art. 1188, comma 2 (Breccia, 539). Affinché il pagamento eseguito dal debitore verso un soggetto non legittimato a riceverlo possa avere efficacia liberatoria devono concorrere due presupposti (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 278). Il presupposto oggettivo risiede nell'esistenza di una situazione di apparenza di legittimazione del ricevente in base a circostanze univoche. Sono tali le circostanze capaci di far apparire oggettivamente esistente una condizione in realtà inesistente (Natoli, in Tr. C.M., 1984, 120) e, in specie, quelle che, secondo una persona di normale diligenza, inducano a ritenere effettivamente sussistente la legittimazione dell'accipiens (Bianca, 311). Sicché il parametro a cui occorre ancorare la valutazione circa la natura univoca delle circostanze è quello della normale diligenza (Bianca, 315). Il presupposto soggettivo è, invece, integrato dalla buona fede del solvens, ossia dalla convinzione che il ricevente sia il vero creditore o sia comunque il destinatario legittimato del pagamento (Bianca, 311). Siffatta convinzione deve essere incolpevole, cioè fondata su un errore scusabile (Giorgianni, Creditore apparente, in Nss. D.I., 1957, 1156). In presenza di tali presupposti, la prevista efficacia liberatoria del pagamento mira a proteggere il debitore, in attuazione dell'esigenza di tutela dell'affidamento incolpevole. Ulteriore questione generale che si pone attiene alla possibilità che l'effetto liberatorio regolato dalla norma si produca non solo quando vi sia il pagamento, ma anche attraverso altri mezzi di soddisfacimento del credito. L'autore da ultimo citato esclude tale possibilità, salvo che non vi sia una datio in solutum. Altro autore riconosce la possibilità che la disposizione si applichi anche in caso di novazione, purché essa non riguardi il titolo dell'obbligazione originaria (Bianca, Il debitore e i mutamenti del destinatario del pagamento, 1963, 38). Per converso, la giurisprudenza colloca la previsione nel quadro delle disposizioni che costituiscono diretta applicazione del principio dell'apparenza (Cass. n. 20906/2005). A tal proposito, si distingue l'apparenza oggettiva o pura o semplice dall'apparenza colposa: la prima si realizza quando una persona, senza sua colpa, cade in errore e ritiene esistente una situazione giuridica in realtà inesistente; la seconda è riscontrabile quando tale situazione è determinata dal comportamento colposo del soggetto nei cui confronti è invocata l'apparenza (Cass. n. 423/1987). L'apparenza oggettiva è richiamata nelle situazioni tipiche regolate dalla legge, come nel caso del creditore apparente, mentre l'apparenza colposa è evocata per tutelare l'affidamento creato da situazioni apparenti non disciplinate dal legislatore. Anche sul piano subiettivo, la giurisprudenza ritiene che il pagamento effettuato dal debitore in buona fede al non legittimato sia liberatorio solo quando l'apparenza sia fondata su un errore scusabile (Cass. n. 5436/1992). Così, ai fini del riconoscimento dello stato di buona fede del debitore, deve tenersi conto della opinabilità e incertezza nell'individuazione del creditore, per cui non solo il vero e proprio errore di diritto, ma anche il dubbio può costituire buona fede e, al limite, anche la piena convinzione personale circa la soluzione opposta a quella seguita con i propri comportamenti può far escludere la mala fede, ove le circostanze oggettive autorizzino a ritenere che, nel caso concreto, al problema possa essere data una soluzione diversa, come accade quando il debitore, nell'eseguire il pagamento in favore di un soggetto, si sia uniformato alla tesi, pur non condivisa, adottata da una sentenza esecutiva (Cass. n. 24696/2009). Il requisito delle buona fede non sussiste quando al debitore siano espressamente avanzate pretese contrastanti, da diversi soggetti in conflitto tra loro, in ordine all'adempimento di un'obbligazione, laddove non vi siano circostanze oggettive e univoche che gli impongano di effettuare il pagamento in favore di uno dei pretendenti e non dell'altro (Cass. n. 27439/2024). Ancora, si esclude che la norma trovi applicazione quando il credito sia soddisfatto mediante mezzi diversi dal pagamento (Cass. n. 2479/1975). Soggetto legittimato in apparenzaNonostante il tenore letterale della rubrica, si ritiene che la norma trovi applicazione anche quando la situazione di apparenza non attenga al creditore, ma agli altri soggetti legittimati a ricevere e ciò in ragione del collegamento sistematico con l'art. 1188 (Nicolò, 561). Tuttavia, l'opinione non è unanimemente condivisa, soprattutto con riferimento alla figura del rappresentante apparente. Sulla scorta del contenuto precettivo dell'art. 1188, comma 2, si ritiene, infatti, che il pagamento al rappresentante apparente avrebbe efficacia liberatoria solo quando sia ratificato o vi sia approfittamento da parte del creditore (Mengoni, Ancora in tema di pagamento al falsus procurator, in Riv. dir. com., 1953, II, 119). Inoltre, la dottrina critica l'orientamento giurisprudenziale secondo cui l'apparenza deve comunque trovare giustificazione nel contegno colposo del creditore, poiché la norma è posta a tutela della buona fede del debitore e non ha una valenza sanzionatoria dell'atteggiamento del creditore, con la conseguenza che, sebbene la situazione di apparenza dipenda spesso dal comportamento colposo del creditore, ciò non esclude che possa dipendere anche da altri elementi ricavabili aliunde (Natoli, in Tr. C.M., 1984, 126). Secondo la giurisprudenza prevalente, la norma non riguarda il solo creditore apparente, ma anche i soggetti che appaiono autorizzati a ricevere la prestazione per conto del creditore (Cass. n. 17484/2007; Cass. n. 2732/2002; Cass. n. 9083/1992). Sicché la norma trova applicazione anche nel caso di rappresentanza apparente, purché ricorra un nesso di occasionalità necessaria tra le incombenze dell'accipiens e il contegno del solvens che ha fatto ragionevole affidamento sull'apparenza del potere rappresentativo del primo (Cass. n. 5741/1986), come nel caso in cui vi siano stati precedenti pagamenti in favore del falsus procurator andati a buon fine (Cass. n. 309/1979; Cass. n. 291/1964). In alcune fattispecie è stato invocato il fatto che l'apparenza fosse stata causata da circostanze univoche e concludenti (Cass. n. 26052/2008, in Giur. it., 2009, 8-9, 1925, con nota di Vitelli; Cass. n. 7860/1995; Cass. n. 6859/1993), ma più frequentemente si è sostenuto che l'erroneo convincimento dovesse dipendere dal comportamento colposo del creditore (Cass. n. 10133/2004; Cass. n. 2645/1993; Cass. n. 4595/1990), qualificando talvolta siffatta apparenza come colposa, in contrapposizione all'apparenza oggettiva. Ulteriore minoritario divisamento propende per l'esclusione dell'effetto liberatorio in caso di pagamento al rappresentante apparente, ammettendo però la tutela risarcitoria aquiliana verso il creditore (Cass. n. 2633/1955; App. Milano 31 gennaio 1958). La norma trova applicazione anche nell'ipotesi in cui il pagamento venga effettuato a persona che appaia autorizzata a riceverlo per conto del creditore effettivo, il quale abbia determinato o concorso a determinare l'errore del solvens, facendo sorgere in quest'ultimo, in buona fede, una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell'accipiens (Cass. n. 1869/2018; Cass. n. 15339/2012). E’ sussumibile nell’alveo applicativo dell’art. 1189 c.c. l'ipotesi di pagamento delle somme depositate in conto corrente, effettuato dalla banca dopo la morte del correntista in favore di un soggetto non legittimato a riceverlo (Cass. n. 19936/2022). Effetti dell'apparenzaDal pagamento al creditore apparente discende la liberazione del debitore, il quale conserva il diritto alla controprestazione. Pertanto, il credito si estingue ed è sostituito dal diritto del creditore verso il terzo, il quale è tenuto a restituire quanto ricevuto dal solvens (Bianca, 314). L'efficacia liberatoria esclude una concorrente legittimazione del solvens alla ripetizione di quanto prestato (Di Majo, in Comm. S.B., 1988, 285). Altro autore evidenzia che in realtà, nell'ipotesi di effetto liberatorio del pagamento eseguito al legittimato apparente, non ricorre alcun indebito, perché, se così fosse, l'azione di ripetizione dovrebbe spettare al debitore che ha pagato a chi non era legittimato, e non, come invece espressamente previsto dalla disposizione in esame, al creditore (Cannata, in Tr. Res., 1999, 117). Con riferimento ai rimedi spettanti nel caso in cui il pagamento eseguito al legittimato apparente sia liberatorio, la S.C. ha evidenziato, in tema di espropriazione per pubblica utilità, che il proprietario del bene espropriato non ha azione nei confronti dell'espropriante per il pagamento dell'indennità di esproprio ove questa sia stata versata a chi appariva proprietario (intestatario catastale), essendo il debito dell'espropriante estinto dal pagamento in buona fede al creditore apparente; il vero proprietario può agire esclusivamente nei confronti dell'accipiens, secondo le regole stabilite per la ripetizione dell'indebito (Cass. n. 18452/2014; Cass. n. 20905/2005; Cass. n. 13162/2004). Prova dell'apparenzaLa prova dell'apparenza è posta a carico del debitore, ma se ricorrono elementi presuntivi idonei a configurare una situazione di apparenza giuridica, l'onere della prova contraria, ossia della prova volta a superare le presunzioni, ricade su colui che contesta l'efficacia a suo danno della situazione di apparenza (Bianca, 311). Anche la giurisprudenza ritiene che l'onere della prova in ordine all'integrazione della situazione di apparenza spetti al debitore. In specie, si è ritenuto che il pagamento fatto al rappresentante apparente, al pari di quello fatto al creditore apparente, libera il debitore di buona fede, ma a condizione che il debitore, che invoca il principio dell'apparenza giuridica, fornisca la prova non solo di avere confidato senza sua colpa nella situazione apparente, ma anche che il suo erroneo convincimento è stato determinato da un comportamento colposo del creditore, che abbia fatto sorgere nel solvens in buona fede una ragionevole presunzione sulla rispondenza alla realtà dei poteri rappresentativi dell'accipiens (Cass. n. 9758/2018; Cass. n. 14028/2013). Isolato è l'arresto secondo cui la buona fede si presume, sicché dovrebbe essere il creditore a dimostrare la colpa del debitore (Cass. n. 3287/1999). Nondimeno, quando in via presuntiva emerga siffatta apparenza, è onere del creditore fornire la prova contraria (Cass. n. 484/1985). Nel caso di apparenza colposa il debitore deve altresì dimostrare che il proprio errore o convincimento è stato generato da colui contro il quale si fa valere l'apparenza (Cass. n. 4406/1983). Così, con riguardo all'inversione dell'onere probatorio quando vi siano presunzioni che favoriscano l'apparenza, si è osservato che il conduttore il quale, alla morte del locatore, continui in buona fede a versare i canoni nelle mani dell'erede legittimo e legittimario, che si trovi nel possesso dei beni ereditari, è liberato dalla propria obbligazione, senza che rilevi, né che esista controversia tra i coeredi sull'attribuzione dell'eredità, né che alcuno degli eredi abbia fatto pervenire copia del testamento al conduttore, rimanendo a carico del creditore, legittimato a conseguire il pagamento, l'onere di dimostrare il colpevole affidamento del conduttore (Cass. n. 8581/2012). Sotto il profilo processuale, la fattispecie dell'avvenuto pagamento al creditore apparente ex art. 1189 c.c. integra un'eccezione in senso stretto, soggetta alle preclusioni previste dal codice di rito, non rilevabile d'ufficio dal giudice ( Cass. n. 4589/2023 ). Fattispecie particolariMentre secondo l'art. 1189 l'effetto liberatorio è escluso quando vi sia la colpa del solvens, qualora si tratti di obbligazioni incorporate in titoli di credito il possessore del documento che non sia titolare del credito deve versare in dolo o colpa grave (art. 1992 e art. 46, comma 3, l.camb.). In questa evenienza spetta al creditore dimostrare il dolo o la colpa grave del debitore nell'esecuzione del pagamento (Natoli, in Tr. C.M., 1984, 122). La disciplina sul pagamento al creditore apparente non è altresì applicabile con riferimento al creditore fallito. La norma non trova applicazione anche quando il difetto di legittimazione dell'accipiens sia stato reso noto mediante mezzi formali di pubblicità, come il registro delle persone giuridiche e delle imprese (Bianca, 317). Anche la giurisprudenza prospetta l'irrilevanza della buona fede del debitore, che comunque non attribuisce efficacia liberatoria al suo pagamento, quando il creditore sia fallito (Cass. n. 334/1991). E così è esclusa l'efficacia liberatoria quando l'ordinamento, anche con valore di semplice notizia, predisponga una particolare pubblicità per rendere nota una certa situazione giuridica, come accade per la pubblicità dei soggetti investiti dei poteri institori e di riscossione nell'ambito di una compagine sociale (Cass. n. 2262/1969; Cass. n. 3618/1958), e più in generale in tutti i casi in cui sia possibile controllare la consistenza degli altrui poteri, come accade nei rapporti con gli enti pubblici (Cass. n. 2500/1975). Ma a fronte di tale principio vi sono delle eccezioni, come accade quando il pagamento effettuato dal debitore nelle mani dell'amministratore di fatto di una società, pur trattandosi di società di capitali, sia giustificato dall'inerzia gravemente colpevole dei legali rappresentanti della società, che avevano consentito per un lungo tempo una tale condotta (Cass. n. 10297/2010). Pertanto, il principio dell'apparenza del diritto e dell'affidamento, traendo origine dalla legittima e quindi incolpevole aspettativa del terzo di fronte ad una situazione ragionevolmente attendibile, anche se non conforme alla realtà, non altrimenti accertabile se non attraverso le sue esteriori manifestazioni, non è in linea di principio invocabile nei casi in cui la legge prescrive speciali mezzi di pubblicità, mediante i quali sia possibile controllare con l'ordinaria diligenza la consistenza effettiva dell'altrui potere, come accade nel caso di organi di società di capitali regolarmente costituiti; tuttavia, anche in tale ipotesi il principio dell'affidamento può essere invocato, qualora il potere sulla cui esistenza si assume di aver fatto incolpevolmente affidamento possa sussistere indipendentemente dalla sua regolamentazione statutaria e possa essere conferito per determinati atti e senza particolari formalità. La giurisprudenza di legittimità ha, inoltre, esaminato un caso particolare, in cui l'apparenza è stata rivendicata in ragione di una norma dichiarata incostituzionale. All'uopo, in tema di risarcimento danni da responsabilità civile, ove l'assicuratore della r.c.a. abbia pagato l'intero massimale di polizza nelle mani dell'assicuratore sociale che abbia agito in surrogazione, successivamente sia stata depositata la sentenza della Corte cost. n. 319/1989 (che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 28, commi 2, 3 e 4 l. n. 990/1969, nella parte in cui non esclude che gli enti gestori delle assicurazioni sociali, sostituendosi nel diritto del danneggiato verso l'assicuratore della responsabilità civile, possano esercitare l'azione surrogatoria con pregiudizio del diritto dell'assistito al risarcimento dei danni alla persona non altrimenti risarciti), la vittima abbia richiesto all'assicuratore della r.c.a. il ristoro integrale del danno alla persona, nonostante l'esaurimento del massimale, l'assicuratore stesso non può invocare il principio dell'apparenza del diritto per rifiutare il risarcimento del danno in favore della vittima, venendo altrimenti frustrata l'efficacia retroattiva delle sentenze della Corte Costituzionale. In tale ipotesi, all'assicuratore è consentito unicamente, dopo avere risarcito la vittima, promuovere l'azione di ripetizione di indebito oggettivo nei confronti dell'assicuratore sociale per le somme a questo versate ed eccedenti il massimale (Cass. n. 1083/2011). Ancora, è stato rilevato che l'art. 43, comma 2 r.d. n. 1736/1933 (l.ass.), nel disporre che colui che paga a persona diversa dal prenditore, o dal banchiere giratario per l'incasso, risponde del pagamento, disciplina in modo autonomo il pagamento dell'assegno non trasferibile, con deviazione dalla regola generale che libera il debitore che esegua il pagamento in buona fede in favore del creditore apparente. Ne consegue che, in caso di pagamento di un assegno bancario non trasferibile in favore di chi non era legittimato, la banca non è liberata dall'originaria obbligazione finché non paghi al prenditore esattamente individuato, e ciò a prescindere dalla sussistenza dell'elemento della colpa nell'errore sulla identificazione dello stesso prenditore, trattandosi di ipotesi di obbligazione ex lege (Cass. n. 18183/2014; Cass. n. 18543/2006). Infine, l'art. 1189, e così l'art. 1992, che concerne l'adempimento in relazione alla presentazione di un titolo di credito, al quale non è equiparabile la carta di credito, non è applicabile in tema di responsabilità contrattuale nel rapporto tra l'emittente una carta di credito e l'esercente (Cass. n. 16102/2006). BibliografiaBianca, Diritto civile, IV, L'obbligazione, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, voce Buona fede nel diritto civile, in Dig. civ., Torino, 1988; Di Majo, Le modalità delle obbligazioni, Bologna-Roma, 1986; Di Majo, L'adempimento dell'obbligazione, Bologna, 1993; Giorgianni, voce Obbligazione (diritto privato), in Nss. D.I., Torino, 1965; Nicolò, voce Adempimento (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1958; Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., Milano, 1979; Rodotà, voce Diligenza (diritto civile), in Enc. dir., Milano, 1964; Romano, voce Buona fede (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1959; Rovelli, voce Correttezza, in Dig. civ., Torino, 1989; Schlesinger, Il pagamento al terzo, Milano, 1961. |