Decreto Legge - 3/05/2016 - n. 59 art. 1 - Pegno mobiliare non possessorio (A)Pegno mobiliare non possessorio (A)
1. Gli imprenditori iscritti nel registro delle imprese possono costituire un pegno non possessorio per garantire i crediti concessi a loro o a terzi, presenti o futuri, se determinati o determinabili e con la previsione dell'importo massimo garantito, inerenti all'esercizio dell'impresa 1. 2. Il pegno non possessorio puo' essere costituito su beni mobili anche immateriali, destinati all'esercizio dell'impresa e sui crediti derivanti da o inerenti a tale esercizio, a esclusione dei beni mobili registrati. I beni mobili possono essere esistenti o futuri, determinati o determinabili anche mediante riferimento a una o piu' categorie merceologiche o a un valore complessivo. Ove non sia diversamente disposto nel contratto, il debitore o il terzo concedente il pegno e' autorizzato a trasformare o alienare, nel rispetto della loro destinazione economica, o comunque a disporre dei beni gravati da pegno. In tal caso il pegno si trasferisce, rispettivamente, al prodotto risultante dalla trasformazione, al corrispettivo della cessione del bene gravato o al bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo, senza che cio' comporti costituzione di una nuova garanzia. Se il prodotto risultante dalla trasformazione ingloba, anche per unione o commistione, piu' beni appartenenti a diverse categorie merceologiche e oggetto di diversi pegni non possessori, le facolta' previste dal comma 7 spettano a ciascun creditore pignoratizio con obbligo da parte sua di restituire al datore della garanzia, secondo criteri di proporzionalita', sulla base delle stime effettuate con le modalita' di cui al comma 7, lettera a), il valore del bene riferibile alle altre categorie merceologiche che si sono unite o mescolate. E' fatta salva la possibilita' per il creditore di promuovere azioni conservative o inibitorie nel caso di abuso nell'utilizzo dei beni da parte del debitore o del terzo concedente il pegno 2. 3. Il contratto costitutivo, a pena di nullita', deve risultare da atto scritto con indicazione del creditore, del debitore e dell'eventuale terzo concedente il pegno, la descrizione del bene dato in garanzia, del credito garantito e l'indicazione dell'importo massimo garantito. 4. Il pegno non possessorio ha effetto verso i terzi esclusivamente con la iscrizione in un registro informatizzato costituito presso l'Agenzia delle entrate e denominato «registro dei pegni non possessori»; dal momento dell'iscrizione il pegno prende grado ed e' opponibile ai terzi e nelle procedure esecutive e concorsuali 3. 5. Il pegno non possessorio, anche se anteriormente costituito ed iscritto, non e' opponibile a chi abbia finanziato l'acquisto di un bene determinato che sia destinato all'esercizio dell'impresa e sia garantito da riserva della proprieta' sul bene medesimo o da un pegno anche non possessorio successivo, a condizione che il pegno non possessorio sia iscritto nel registro in conformita' al comma 6 e che al momento della sua iscrizione il creditore ne informi i titolari di pegno non possessorio iscritto anteriormente4. 6. L'iscrizione deve indicare il creditore, il debitore, se presente il terzo datore del pegno, la descrizione del bene dato in garanzia e del credito garantito secondo quanto previsto dal comma 1 e, per il pegno non possessorio che garantisce il finanziamento per l'acquisto di un bene determinato, la specifica individuazione del medesimo bene. L'iscrizione ha una durata di dieci anni, rinnovabile per mezzo di una nuova iscrizione nel registro effettuata prima della scadenza del decimo anno. La cancellazione della iscrizione puo' essere richiesta di comune accordo da creditore pignoratizio e datore del pegno o domandata giudizialmente. Le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso il registro, gli obblighi a carico di chi effettua tali operazioni nonche' le modalita' di accesso al registro stesso sono regolati con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, prevedendo modalita' esclusivamente informatiche. Con il medesimo decreto sono stabiliti i diritti di visura e di certificato, in misura idonea a garantire almeno la copertura dei costi di allestimento, gestione e di evoluzione del registro. Al fine di consentire l'avvio della attivita' previste dal presente articolo, e' autorizzata la spesa di euro 200.000 per l'anno 2016 e di euro 100.000 per l'anno 2017 5. 7. Al verificarsi di un evento che determina l'escussione del pegno, il creditore previa intimazione notificata, anche direttamente dal creditore a mezzo di posta elettronica certificata, al debitore e all'eventuale terzo concedente il pegno, e, previo avviso scritto [al datore della garanzia e] agli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto nonche' al debitore del credito oggetto del pegno, ha facolta' di procedere 6: a) alla vendita dei beni oggetto del pegno trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita e con l'obbligo di informare immediatamente per iscritto il datore della garanzia dell'importo ricavato e di restituire contestualmente l'eccedenza; la vendita e' effettuata dal creditore tramite procedure competitive anche avvalendosi di soggetti specializzati, sulla base di stime effettuate, salvo il caso di beni di non apprezzabile valore, da parte di operatori esperti, assicurando, con adeguate forme di pubblicita', la massima informazione e partecipazione degli interessati; l'operatore esperto e' nominato di comune accordo tra le parti o, in mancanza, e' designato dal giudice; in ogni caso e' effettuata, a cura del creditore, la pubblicita' sul portale delle vendite pubbliche di cui all'articolo 490 del codice di procedura civile; b) alla escussione o cessione dei crediti oggetto di pegno fino a concorrenza della somma garantita, dandone comunicazione al datore della garanzia7; c) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro di cui al comma 4, alla locazione del bene oggetto del pegno imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda i criteri e le modalita' di determinazione del corrispettivo della locazione; «il creditore pignoratizio comunica immediatamente per iscritto al datore della garanzia stessa il corrispettivo e le altre condizioni della locazione pattuite con il relativo conduttore8; d) ove previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro di cui al comma 4, all'appropriazione dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto preveda anticipatamente i criteri e le modalita' di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita; il creditore pignoratizio comunica immediatamente per iscritto al datore della garanzia il valore attribuito al bene ai fini dell'appropriazione. 8. In caso di fallimento del debitore il creditore puo' procedere a norma del comma 7 solo dopo che il suo credito e' stato ammesso al passivo con prelazione9. 7-bis. Il debitore e l'eventuale terzo concedente il pegno hanno diritto di proporre opposizione entro cinque giorni dall'intimazione di cui al comma 7. L'opposizione si propone con ricorso a norma delle disposizioni di cui al libro quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile. Ove concorrano gravi motivi, il giudice, su istanza dell'opponente, puo' inibire, con provvedimento d'urgenza, al creditore di procedere a norma del comma 710. 7-ter. Se il titolo non dispone diversamente, il datore della garanzia deve consegnare il bene mobile oggetto del pegno al creditore entro quindici giorni dalla notificazione dell'intimazione di cui al comma 7. Se la consegna non ha luogo nel termine stabilito, il creditore puo' fare istanza, anche verbale, all'ufficiale giudiziario perche' proceda, anche non munito di titolo esecutivo e di precetto, a norma delle disposizioni di cui al libro terzo, titolo III, del codice di procedura civile, in quanto compatibili. A tal fine, il creditore presenta copia della nota di iscrizione del pegno nel registro di cui al comma 4 e dell'intimazione notificata ai sensi del comma 7. L'ufficiale giudiziario, ove non sia di immediata identificazione, si avvale su istanza del creditore e con spese liquidate dall'ufficiale giudiziario e anticipate dal creditore e comunque a carico del medesimo, di un esperto stimatore o di un commercialista da lui scelto, per la corretta individuazione, anche mediante esame delle scritture contabili, del bene mobile oggetto del pegno, tenendo conto delle eventuali operazioni di trasformazione o di alienazione poste in essere a norma del comma 2. Quando risulta che il pegno si e' trasferito sul corrispettivo ricavato dall'alienazione del bene, l'ufficiale giudiziario ricerca, mediante esame delle scritture contabili ovvero a norma dell'articolo 492-bis del codice di procedura civile, i crediti del datore della garanzia, nei limiti della somma garantita ai sensi del comma 2. I crediti rinvenuti a norma del periodo precedente sono riscossi dal creditore in forza del contratto di pegno e del verbale delle operazioni di ricerca redatto dall'ufficiale giudiziario. Nel caso di cui al presente comma l'autorizzazione del presidente del tribunale di cui all'articolo 492-bis del codice di procedura civile e' concessa, su istanza del creditore, verificate l'iscrizione del pegno nel registro di cui al comma 4 e la notificazione dell'intimazione11. 7-quater. Quando il bene o il credito gia' oggetto del pegno iscritto ai sensi del comma 4 sia sottoposto ad esecuzione forzata per espropriazione, il giudice dell'esecuzione, su istanza del creditore, lo autorizza all'escussione del pegno, stabilendo con proprio decreto il tempo e le modalita' dell'escussione a norma del comma 7. L'eventuale eccedenza e' corrisposta in favore della procedura esecutiva, fatti salvi i crediti degli aventi diritto a prelazione anteriore a quella del creditore istante12. 9. Entro tre mesi dalla comunicazione di cui alle lettere a), b), c) e d) del comma 7, il debitore puo' agire in giudizio per il risarcimento del danno quando l'escussione e' avvenuta in violazione dei criteri e delle modalita' di cui alle predette lettere a), b), c) e d) e non corrispondono ai valori correnti di mercato il prezzo della vendita, il corrispettivo della cessione, il corrispettivo della locazione ovvero il valore comunicato a norma della disposizione di cui alla lettera d)13. 10. Agli effetti di cui agli articoli 66 e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 il pegno non possessorio e' equiparato al pegno. 10-bis. Per quanto non previsto dal presente articolo, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui al libro sesto, titolo III, capo III, del codice civile 14.
--------------- (A) In riferimento al presente articolo, vedi: Risoluzione Agenzia delle Entrate 14 giugno 2023, n. 26/E.
[1] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [2] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [3] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [4] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [5] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [6] Alinea modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [7] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [8] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [9] Lettera modificata dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [10] Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [11] Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [12] Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [13] Comma modificato dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. [14] Comma inserito dall'articolo 1, comma 1, della Legge 30 giugno 2016 n. 119, in sede di conversione. InquadramentoLa disposizione in commento, emanata dal d.l. n. 59 del 2016, conv., con modif., nella l. n. 118 del 2016, ha introdotto, rispetto alla generalità dei crediti contratti per l'esercizio dell'impresa, l'istituto del pegno mobiliare cd. non possessorio, che si caratterizza quale garanzia particolarmente duttile, ai fini della costituzione della quale il contratto, avente forma scritta ad substantiam, sostituisce la consegna della cosa. Evitando lo spossessamento, il debitore-imprenditore in difficoltà può continuare ad utilizzare i beni posti in garanzia e, se non è diversamente previsto nell'atto costitutivo della stessa, può anche modificarne l'oggetto, fino a sostituire, nell'ipotesi di vendita, il bene con la somma di denaro ricavata dalla alienazione del medesimo. Il creditore beneficia, a propria volta, della possibilità di concordare con il debitore modalità di escussione della garanzia più efficaci rispetto a quelle tradizionali (sino a potersi appropriare, nell'ipotesi di inadempimento, del bene oggetto della garanzia, con le conseguenti problematiche circa la compatibilità con il cd. divieto di patto commissorio espresso dall'art. 2944 c.c. Inoltre, nell'ipotesi di fallimento del debitore, vi è, sempre in favore del creditore, una deroga al disposto dell'art. 53 l.fall. Discussa è la latitudine dei mezzi di tutela del debitore sul piano processuale. Profili generaliL'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016, conv. in l. n. 118 del 2016, ha introdotto nel nostro ordinamento l'istituto del pegno mobiliare non possessorio, nel quale, ai fini della costituzione della garanzia, non è necessaria la consegna della cosa oggetto della stessa al creditore. Tale strumento — che può essere utilizzato soltanto a garanzia dei crediti concessi per l'esercizio dell'impresa, e può avere ad oggetto beni mobili esistenti o futuri, determinati o determinabili, ad esclusione dei beni mobili registrati — si connota, rispetto al pegno possessorio tradizionale, in quanto l'imprenditore può continuare ad utilizzare il bene mobile destinato all'esercizio dell'impresa, sebbene oggetto della garanzia (senza privarsi della relativa proprietà, come avviene in altre forme negoziali già esistenti, come il sale and lease back). In effetti, già esistevano nella legislazione, almeno speciale, fenomeni di pegni senza spossessamento: a riguardo, l'esempio «classico» è quello della l. 24 luglio 1985, n. 401, in tema di costituzione di pegno sui prosciutti a denominazione di origine tutelata. In particolare, considerata l'inapplicabilità dello spossessamento ai prosciutti (che il creditore pignoratizio, normalmente una banca, avrebbe difficoltà a conservare), il legislatore ha previsto la possibilità di costituire il pegno mediante apposizione di uno speciale contrassegno indelebile e contestuale annotazione su appositi registri. In concreto, la disciplina dettata in tema di pegno mobiliare non possessorio cerca di coniugare l'esigenza di finanziamento dell'impresa con la tutela del creditore pignoratario. Oggetto della garanziaOggetto della garanzia possono essere, secondo quanto previsto dal secondo comma dell'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016, tutti i beni mobili destinati all'esercizio dell'impresa (esclusi i beni mobili registrati), compresi i beni futuri e quelli determinabili mediante riferimento ad una o più categorie merceologiche o ad un valore complessivo. In dottrina si è evidenziato che, in virtù della formulazione della norma ed avendo riguardo alla ratio dell'istituto, possono essere dati in pegno merci e materie prime, macchinari e strumenti, nonché marchi e brevetti (Baghi, 1380). Quanto agli effetti della costituzione di pegno su beni futuri, le Sezioni Unite della Corte di cassazione, pur consentendone infine l'ammissibilità, hanno tuttavia precisato che lo stesso produce effetti meramente obbligatori e non attribuisce la prelazione, che sorge solo dopo la specificazione o la consegna (Cass. S.U., , n. 16725/2012). L'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016 sul pegno mobiliare non possessorio va oltre tale concezione, quindi, laddove sembra attribuire al pegno su beni futuri effetti immediatamente costitutivi della garanzia, come per il pegno su beni già esistenti. Se non è diversamente convenuto, il debitore o il terzo concedente il pegno può trasformare o alienare il bene, sebbene nel rispetto della destinazione economica dello stesso: in detta ipotesi, il pegno si trasferirà, a seconda dei casi, sul prodotto risultante dalla trasformazione, sul corrispettivo della cessione del bene gravato o sul bene sostitutivo acquistato con tale corrispettivo. Si consente, ad esempio, di dare in pegno materie prime che saranno sostituite, dopo il ciclo di lavorazione, quale oggetto della garanzia, dal prodotto finito (cfr. Giordano, 12). Per altro verso, come è stato osservato, è difficile ipotizzare quali possano essere le forme di tutela per il creditore nell'ipotesi in cui si autorizzi la vendita del bene oggetto della garanzia con trasferimento della stessa sul denaro frutto dell'alienazione e, considerata la strutturale «volatilità» del denaro, tale operazione può essere molto rischiosa per il finanziatore, che tenderà verosimilmente ad escludere espressamente tale possibilità nel contratto costitutivo del pegno (Giordano, 13). Con riguardo alla costituzione del pegno mobiliare non possessorio su beni generici, ed in particolare su beni appartenenti a determinate categorie merceologiche, sembra che non sia necessaria, come di consueto, l'individuazione degli stessi, salva la determinazione del valore complessivo. Anche sotto tale profilo, la novella si discosta dagli orientamenti tradizionali, sebbene debba segnalarsi l'evoluzione, peraltro non recente, registratasi sul punto nella giurisprudenza di legittimità, in virtù della quale, nell'ipotesi in cui venga costituito dal cliente debitore a favore della banca creditrice un pegno su titoli di credito che la banca sia contestualmente incaricata di acquistare per conto del cliente e che nel negozio costitutivo vengano dedotti nella loro fungibile valenza economica e perciò individuati solo nella loro appartenenza ad un genus, ove i suddetti titoli siano stati emessi e siano quindi esistenti nella loro specificità, è possibile, previa verifica dell'adeguatezza degli elementi di individuazione introdotti nell'atto costitutivo, pervenire al riconoscimento della immediata e automatica vigenza della garanzia reale, non solo tra le parti, ma anche nei confronti dei terzi, a nulla rilevando che i titoli non siano in possesso del costituente e nemmeno del creditore garantito, giacché le convenute modalità dell'adempimento del mandato di acquisto conferito alla banca sono sufficienti ad assicurare lo spostamento dell'elemento possessorio dal mandante alla banca mandataria, con la conseguenza che la prelazione sarà operante a favore della banca anche qualora, prima della realizzazione del pegno, intervenga il fallimento del cliente (cfr., tra le altre, Cass., 27 aprile 1999, n. 4208, in Il dir. fall., con nota di Ragusa Maggiore, Sulla opponibilità al fallimento del pegno su «buoni cassa» collegati alla emissione di titoli obbligazionari). L'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016 in tema di pegno mobiliare non possessorio ammette in via generale, ossia salvo differente accordo tra le parti in sede di costituzione della garanzia, il pegno rotativo. Occorre ricordare che le garanzie rotative sono quelle che consentono, nel tempo, la sostituibilità o mutabilità del proprio oggetto, senza comportare, ad ogni mutamento, la rinnovazione del compimento delle modalità richieste per la costituzione della garanzia, o per il sorgere del diritto di prelazione, ovvero che senza tale mutamento dia luogo alla revocabilità delle condizioni per la revocabilità dell'operazione posta in essere (cfr. Gabrielli, Le garanzie rotative, I, 853). Peraltro, all'elaborazione delle figure come il pegno rotativo si accompagna di regola la cd. «riserva di valore», che costituisce l'essenza della garanzia pignoratizia, nel senso che, pur svalutando il riferimento all'inerenza del diritto alla cosa (in base al quale il diritto del creditore sarebbe incorporato su singole cose in funzione della garanzia del diritto di credito), la funzione della garanzia reale viene individuata nel consentire al creditore di conseguire il ricavato quale valore di scambio dei beni medesimi. In pratica, la sostituzione dei titoli oggetto della garanzia è ammessa nella misura in cui non se ne alteri, per l'appunto, il valore economico, che mette in discussione la concezione tradizionale del pegno come diritto sulla res. In tale contesto, la figura del pegno di crediti, che per natura ha ad oggetto beni immateriali, assume una connotazione particolarmente emblematica, attese le difficoltà, già sul piano teorico, nel ricostruire una nozione coerente di pegno di crediti, concepito quale «diritto su diritti», categoria dogmatica sulla cui ammissibilità e utilità è sorto un acceso dibattito, così come è sempre stata discussa la sua effettiva «realità». Ciò ha comportato una notevole incertezza applicativa, che ha condizionato in larga parte anche l'approccio della giurisprudenza in tema di pegno di crediti, determinando un utilizzo a volte contraddittorio (e spesso in controtendenza rispetto all'orientamento «funzionale» sopra riportato) di norme e principi, in particolar modo quando si è trattato di qualificare figure di incerta collocazione quale, per esempio, il pegno su «buoni cassa» e il pegno di credito all'acquisto di titoli (cfr. Scarpello, L'oggetto del pegno nelle sue variazioni tipologiche. Riflessioni a margine di Cass., S. U., n. 16725/2012, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, n. 10, 20552). Quanto all'elaborazione dell'istituto del pegno rotativo in giurisprudenza, la S.C. anche di recente ha ribadito il principio, per certi versi speculare a quello «speciale» enunciato dalla disposizione in commento, per il quale il patto di rotatività del pegno costituisce una fattispecie a formazione progressiva che trae origine dall'accordo scritto e di data certa delle parti, cui segue la sostituzione dell'oggetto del pegno, senza necessità di ulteriori stipulazioni e con effetti ancora risalenti alla consegna dei beni originariamente dati in pegno, a condizione che nella convenzione costitutiva tale possibilità di sostituzione sia prevista espressamente (cfr. Cass. 1° luglio 2015, n. 13508). È stato al contempo precisato, peraltro, che nel pegno rotativo l'espressa previsione che la sostituzione dei beni oggetto di garanzia sia accompagnata dalla consegna e che i beni in sostituzione non abbiano valore superiore ai precedenti, non costituiscono elementi essenziali del patto richiesti a pena di nullità, ma solo condizioni di opponibilità ai terzi del diritto di prelazione del creditore su quanto ricevuto in pegno (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1526). Tuttavia, la rotatività deve lasciare invariato il valore economico dei beni corrispondente alla capienza della garanzia prestata (Cass. 22 dicembre 2015, n. 25796). Dagli orientamenti tradizionalmente espressi dalla S.C. si desume quindi un effetto «pratico» fondamentale da ascrivere alla naturale rotatività del pegno mobiliare non possessorio rispetto a quello tradizionale, nel quale, solo dal momento nel quale è stipulata la convenzione di rotatività, e purché in essa venga specificato che il nuovo oggetto della garanzia si sostituisce senza soluzione di continuità al precedente, la garanzia ha valenza «retroattiva» a partire dalla originaria costituzione. Modalità di costituzioneIl pegno «non possessorio» si costituisce con un contratto redatto in forma scritta a pena di nullità. La formalità prende quindi il posto, come avvenuto storicamente in diverse esperienze giuridiche, della realità, ossia della consegna della cosa. Secondo la configurazione tradizionale, invero, in tema di pegno, dal combinato disposto degli artt. 2786, primo comma, e 2787, terzo comma, c.c. si evince che la garanzia reale in questione è, nel rapporto tra le parti, validamente costituita con la sola consegna della cosa, senza necessità di ulteriori formalità, mentre l'atto scritto contenente l'identificazione del credito garantito e dei beni assoggettati alla garanzia è richiesto ai soli fini della prelazione, vale a dire dell'opponibilità della garanzia agli altri creditori del soggetto datore di pegno (cfr. Cass., 19 novembre 2002, n. 16261). Ne deriva che il pegno «non possessorio» ha carattere consensuale, mentre quello «ordinario» ha natura reale, costituendosi con la consegna della cosa. Pertanto, la pubblicità nel registro informatizzato dei pegni non possessori presso l'Agenzia delle Entrate non ha — a differenza di quanto previsto dal d.l. 3 maggio 2016, n. 59, nella versione originaria, antecedente alla conversione — valenza costitutiva, avendo soltanto la funzione di rendere opponibile ai terzi (compresi i creditori nell'ambito delle procedure esecutive e concorsuali) il vincolo in questione. Lo strumento si attiva, quindi, previa iscrizione in un apposito registro informatico tenuto dall'Agenzia delle Entrate, da istituirsi secondo apposito decreto ministeriale e su cui è intervenuto — ai fini di definirne i requisiti — la legge n. 155 del 19 ottobre 2017 (Delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell'insolvenza), in Gazzetta Ufficiale n. 254 del 30 ottobre 2017. Il pegno prende grado dalla data di iscrizione nel registro in questione e secondo tale criterio deve essere regolato anche il conflitto con altri eventuali creditori pignoratizi. In particolare, il comma 4 dell'art. 1 del decreto precisa che dalla data dell'iscrizione nell'apposito registro informatizzato costituito presso l'Agenzia delle entrate «il pegno prende grado ed è opponibile ai terzi e nelle procedure esecutive e concorsuali. L'iscrizione della garanzia ha durata decennale. È peraltro espressamente previsto che per le operazioni di iscrizione, consultazione, modifica, rinnovo o cancellazione presso il registro, gli obblighi a carico di chi effettua tali operazioni nonché le modalità di accesso al registro stesso sono rimesse ad un decreto che dovrà essere emesso dal Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da adottarsi entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione: l'accesso dovrà, infatti, avvenire con modalità esclusivamente informatiche. Forme di escussioneNell'ipotesi di inadempimento del debitore, prima di procedere all'escussione della garanzia nelle forme previste, il creditore deve inviare un avviso scritto al datore della garanzia ed agli eventuali titolari di un pegno non possessorio trascritto successivamente. In dottrina si è osservato che tale avviso costituisce una sorta di intimazione, assimilabile all'atto di precetto di cui all'art. 480 c.p.c., con la differenza che lo stesso non deve essere corredato dall'avvertimento che, in mancanza di adempimento, si procederà ad esecuzione forzata, essendo differenti le forme di escussione garantite al creditore (cfr. Baghi, 1381). Più in particolare, le modalità di escussione della garanzia per le quali in linea di principio, secondo quanto disposto dalla norma in esame, il creditore può optare sono le seguenti: I) vendita dei beni oggetto del pegno, trattenendo il corrispettivo a soddisfacimento del credito fino a concorrenza della somma garantita. La vendita deve avvenire mediante procedure competitive, anche avvalendosi di soggetti specializzati nel settore merceologico del bene in questione, mentre non sono ammesse vendite a trattativa privata. Deve essere assicurata a cura del creditore la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche, operativo a seguito delle specifiche tecniche pubblicate sulla Gazzetta Ufficiale del 18 gennaio 2018. Il prezzo-base della vendita deve essere fissato in ragione di una stima effettuata, salvo per i beni di non apprezzabile valore, da un operatore esperto, nominato, ove le parti non si accordino in tal senso, dal giudice. Lo stimatore deve essere un soggetto operante nel settore merceologico o professionale di «appartenenza» del bene, che sia in grado di valutarne il valore di mercato. Peraltro, la circostanza che nel pegno in esame non vi sia stato previo spossessamento del debitore (ovvero del terzo datore della garanzia) implica che, sebbene non espressamente previsto, prima di procedere alla vendita il creditore acquisisca la detenzione del bene. A tal fine, il comma 7-ter dell'art. 1 del d.l. n. 59/2016 prevede che il datore della garanzia, debitore o terzo, debba consegnare il bene entro quindici giorni dall'intimazione, salvo che nell'accordo non si fosse stabilito diversamente. Ne consegue che, ove la consegna non venga tempestivamente effettuata, il creditore deve fare istanza all'ufficiale giudiziario, affinché proceda secondo le norme relative all'esecuzione per consegna di beni mobili dettate dagli artt. 605 e ss. c.p.c. Alienato il bene con modalità competitive, il creditore deve dare immediatamente avviso scritto al debitore dell'importo ricavato, dal quale può trattenere solo quanto necessario ad estinguere il credito vantato, dovendo restituire l'eccedenza al debitore, in conformità alle regole generali. II) Il creditore può procedere, ove si tratti di crediti, alla escussione degli stessi sino alla concorrenza della somma garantita. Se si tratta di crediti già scaduti, il creditore, dopo aver reso edotto per iscritto il terzo debitore, può escutere direttamente il credito, esigendone l'adempimento, in omaggio a quanto previsto dall'art. 2803 c.c. per il pegno ordinario. Laddove, invece, il credito non sia ancora scaduto, l'unica soluzione sarà quella di cedere il relativo credito monetizzandolo a propria soddisfazione. Per alcuni sarebbe necessaria una procedura competitiva per l'individuazione del cessionario, per ragioni di coerenza con quanto espressamente stabilito dalla lett. a) del comma 7, avendo riguardo alla vendita del bene. Per altri, invece, dovrebbe avallarsi la soluzione opposta, sia in quanto alla lett. b) non si fa menzione di procedure competitive precedute dalla stima di un esperto, sia perché adottare in via analogica la disciplina di cui alla lett. a) equivarrebbe ad imporre al creditore un procedimento di per sé adatto alla vendita di beni mobili o immobili, ma assai macchinoso per la cessione di un diritto di credito (per una sintesi sui termini del dibattito v. Giordano, 20 ss.). III) Un'altra alternativa per il creditore è la locazione del bene oggetto del pegno, imputando i canoni a soddisfacimento del proprio credito fino a concorrenza della somma garantita, qualora sia previsto nel contratto di pegno e iscritto nel registro delle imprese. Questo strumento può essere particolarmente utile nell'ipotesi di macchinari e di altri strumenti in uso presso l'impresa che potrebbero essere concessi in locazione allo stesso debitore che non ne perderebbe la disponibilità, pur dovendo versare un corrispettivo per il godimento del medesimo. Tale strumento finisce con il configurare una sorta di sale and lease back «invertito»: non appare a riguardo superfluo ricordare, infatti, che, stante l'elaborazione della S.C., il contratto di «sale and lease back» costituisce una operazione negoziale complessa — consistente nell'alienazione, da parte di un imprenditore, di un bene strumentale, la cui disponibilità viene tuttavia mantenuta in forza di un connesso rapporto di «leasing» —, che non può ritenersi necessariamente preordinata alla finalità di finanziamento con fraudolenta elusione del divieto di patto commissorio posto dall'art. 2744 c.c., salvo che lo scopo di garanzia non assurga, in concreto, a causa del contratto, qualora risulti da dati sintomatici e obiettivi che la vendita, nel quadro del rapporto volto a fornire liquidità all'impresa alienante, sia stata utilizzata per rafforzare la posizione del creditore-finanziatore, abusando della debolezza del debitore. Ove tali condizioni ricorrano, ai fini della determinazione delle imposte sui redditi ne consegue, anche in caso di «lease-back», come nell'ipotesi di «leasing», la deducibilità dei relativi canoni da parte dell'utilizzatore (Cass., sez. V, 29 marzo 2006, n. 7296). Si è osservato che la possibilità per il creditore prelatizio di escutere la garanzia «procedendo alla locazione del bene ed imputando i canoni al pagamento del proprio credito, costituisce una novità assoluta nel panorama della responsabilità patrimoniale e lascia riflettere sulla conformazione del potere assegnato al creditore sui beni del debitore, potere che diventa non solo di aggressione (nell'esecuzione forzata), di appropriazione e di disposizione (nel patto marciano, con la variante dello ius vendendi), ma potenzialmente anche di gestione, con conseguente valorizzazione del momento negoziale in una fase solitamente rimessa alla gestione del giudice dell'esecuzione un collegamento con le riforme che negli ultimi anni hanno caratterizzato la disciplina delle procedure concorsuali, dove si è puntato molto, con risultati almeno in parte soddisfacenti, proprio sulla gestione negoziale delle crisi d'impresa» (Cipriani, 1718). IV) Il creditore può, infine, procedere all'appropriazione dei beni oggetto del pegno fino a concorrenza della somma garantita, a condizione che il contratto consenta tale possibilità e preveda anticipatamente i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita. Tale facoltà di apprensione diretta pone una delicata questione interpretativa, nella misura in cui la stessa potrebbe porsi in contrasto con il divieto di patto commissorio di cui all'art. 2744 c.c. Come precisato in giurisprudenza, in tema di patto commissorio, l'automatismo del vietato trasferimento di proprietà del bene costituisce un connotato della figura tipica di cui alla previsione dell'art. 2744 c.c., mentre nelle ipotesi in cui non vi sia stata la concessione di pegno o ipoteca e l'illegittima finalità venga realizzata indirettamente in virtù di strumenti negoziali preordinati a tale particolare scopo, il requisito dell'anzidetto automatismo non può ritenersi esigibile, giacché la sanzione della nullità deriva dall'applicazione dell'art. 1344 c.c., per snaturamento della causa tipica del negozio, piegata all'elusione della norma imperativa di cui al citato art. 2744 c.c.: in siffatti casi la coartazione del debitore, preventivamente assoggettatosi alla discrezione del creditore, è in re ipsa, non disponendo il medesimo di alcuna possibilità di evitare la perdita del bene costituito in sostanziale garanzia (Cass.II, n. 5426/2010). Quanto alla portata dello stesso, è stata più volte ribadito dalla S.C. che il divieto di patto commissorio si estende a qualsiasi negozio, ancorché astrattamente di per sé lecito, che venga impiegato per conseguire il risultato concreto, vietato dall'ordinamento, di assoggettare il debitore all'illecita coercizione del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di conseguire il trasferimento della proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito (Cass. II, n. 437/2009). Secondo alcuni la deroga operata al generale divieto di patto commissorio da parte della disposizione di nuovo conio è posta in non cale dal condizionamento della possibilità di appropriazione del bene, da parte del creditore, ove ciò sia espressamente convenuto in contratto, alla circostanza che quest'ultimo preveda anticipatamente i criteri e le modalità di valutazione del valore del bene oggetto di pegno e dell'obbligazione garantita, in quanto la legittimità di una pattuizione siffatta è stata riconosciuta dalla S.C., anche di recente, rispetto alla formulazione dell'art. 2744 c.c., ed in conformità alla risalente distinzione tra patto commissorio illecito e pattuizione marciana lecita, nella differente situazione nella quale la determinazione del valore del bene avvenga solo dopo l'inadempimento e non al momento di concessione della garanzia, quando il debitore si trova in una situazione di particolare debolezza stante l'urgente esigenza di ottenere un finanziamento, e sia rimessa ad un terzo in base a criteri oggettivi (Giordano, 30). Opposizione avverso l'intimazioneIl comma 7-bis della norma in esame consente al debitore (o al terzo datore della garanzia) di proporre opposizione, entro cinque giorni dalla notifica dell'atto di intimazione di cui al precedente comma, mediante ricorso proposto nelle forme proprie del procedimento sommario di cognizione, di cui agli artt. 702-bis/702-quater c.p.c. Il legislatore opta quindi per il modello, considerato «salvifico» della non eccessiva durata del processo nella legislazione più recente, del procedimento sommario di cognizione in luogo del, probabilmente più adatto, rimedio dell'opposizione all'esecuzione (anche preventiva, ossia correlata ex art. 615, comma primo, c.p.c. alla notifica dell'atto di intimazione). Si è osservato che il rimedio in questione può essere utilizzato dal debitore, in mancanza di limitazioni normative, sia per contestare vizi formali che di merito, in via analoga, del resto, all'opposizione all'intimazione del creditore pignoratizio nell'ipotesi di pegno ordinario ai sensi degli artt. 2797 e ss. c.c. (Giordano, 25). La giurisprudenza di legittimità ha infatti più volte evidenziato che nella speciale procedura di cui agli artt. 2796 e 2797 c.c. deve ritenersi legittima la proposizione, da parte del debitore, di questioni non soltanto di rito, ma anche di merito, con riferimento al diritto ex adverso azionato (Cass., n. 27266/2008). Quindi il debitore potrà contestare, ad esempio, il proprio inadempimento o la misura di esso, dedurre un pagamento successivo, nonché la sussistenza dei presupposti per l'escussione della garanzia. La circostanza, peraltro, che il procedimento disciplinato dagli artt. 702-bis e ss c.p.c. sia definito «sommario» non spiega alcuna conseguenza sulla cognizione del giudice, che è piena come nel processo ordinario di cognizione, mentre si rende l'istruttoria sommaria, snella e coerente, nelle ipotesi in cui ciò sia possibile, con il principio della ragionevole durata del processo (cfr. Sassani n. 19, il quale osserva che, al termine del procedimento sommario di cognizione,viene emanata una pronuncia decisoria che oltre alla condanna esecutiva, in caso di accoglimento, contiene un vero accertamento e non si differenzia dalla sentenza se non perché resa mediante un procedimento deformalizzato). In sostanza, il procedimento sommario di cognizione è un rito speciale cognitivo che si affianca a quello ordinario a cognizione piena per la tutela delle situazioni soggettive sostanziali con l'emanazione di provvedimenti idonei al giudicato sostanziale e nel quale, invero, non muta la qualità della cognizione, essendo difatti la sommarietà riferita alle modalità di esercizio dei poteri del giudice, che non vengono pre-definite dal legislatore ma lasciate alla discrezionalità dello stesso, nel rispetto del principio del contraddittorio (v., per tutti, Balena, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, V, 329, secondo il quale la sommarietà del rito di cui agli artt. 702-bis ss. c.p.c. deve essere intesa quale mera semplificazione del procedimento in ogni fase successiva a quella introduttiva, invece direttamente disciplinata dall'art. 702-bis c.p.c.). Il procedimento è quindi sommario, perché caratterizzato da una destrutturazione formale e da un'istruttoria «deformalizzata», nell'ambito della quale — come si evince dal quinto comma dell'art. 702-ter c.p.c. — i poteri delle parti, nonché i modi ed i termini per il loro esercizio non sono predeterminati dalla legge ma vengono rimessi alla discrezionalità del giudice, al quale è attribuito il delicato compito di bilanciare le esigenze di celerità del procedimento con il rispetto del principio del contraddittorio. Pertanto, il contenitore «neutro», in quanto ormai sempre più generale, del procedimento sommario di cognizione serve anche a veicolare l'opposizione proposta dal debitore (o dal terzo concedente il pegno) avverso l'atto di intimazione notificato prima di procedere all'escussione, nelle modalità indicate, della garanzia. Il legislatore nulla chiarisce in ordine al riparto dell'onere probatorio tra le parti ma, anche in considerazione dei principi consolidati in tema di opposizione all'esecuzione, a propria volta desumibili dall'art. 2697 c.c., deve escludersi che vi sia un'inversione della posizione formale delle parti, sicché sarà il debitore/ricorrente a dover dimostrare i fatti costitutivi delle proprie deduzioni, ossia che non sussistono i presupposti per procedere all'escussione della garanzia o, anche, che, pur ricorrendo detti presupposti, nella specie è stata scelta un'errata forma di escussione (Giordano, 25 ss.). Peculiare è anche il regime della tutela cautelare, disciplinata dal comma 7-bis dell'art. 1 del d.l. n. 59/2016. In particolare si prevede, infatti, con una terminologia processualmente «ibrida» che «ove concorrano gravi motivi il giudice, su istanza dell'opponente, può inibire, con provvedimento d'urgenza, al creditore di procedere a norma del comma 7». Come noto, i gravi motivi — che si compendiano, di norma, in una valutazione ponderata del fumus boni juris e del periculum in mora (cfr., tra le molte, Trib. Asti, 24 febbraio 2016 secondo cui i gravi motivi devono concernere solo il pericolo che l'esecuzione dello stesso possa danneggiare in modo grave il debitore, con necessario riferimento alla verosimiglianza della fondatezza dell'opposizione) — non coincidono con i più rigorosi presupposti necessari per ottenere un provvedimento d'urgenza ex art. 700 c.p.c. costituiti, sul piano del periculum in mora, dalla ricorrenza di un pericolo di pregiudizio imminente ed irreparabile. Occorre ricordare che il pericolo di pregiudizio irreparabile si configura come quello che, per sua natura o particolare connotazione nel caso concreto, non possa essere adeguatamente ed interamente rifuso per equivalente, cioè mediante assegnazione di somme di danaro a titolo risarcitorio, al termine dell'ordinario giudizio di merito (Trib. Palermo, 3 agosto 2016). In sostanza, in considerazione del fatto che i rimedi cautelari d'urgenza comportano l'adozione di provvedimenti invasivi della sfera giuridica della controparte all'esito di una cognizione meramente sommaria, il disposto dell'art. 700 c.p.c. consente l'anticipazione totale o parziale della tutela conseguibile all'esito di un ordinario giudizio di merito solo nelle ipotesi in cui la durata del processo ordinario potrebbe andare a detrimento della situazione giuridica soggettiva azionata, per essere questa esposta al pericolo di un pregiudizio che, oltre che grave ed imminente, sia, altresì, irreparabile (cfr. Trib. Roma, III, 24 aprile 2014). In dottrina, si è recentemente osservato, sulla problematica, che, considerata la necessità di recuperare l'importanza della persona titolare del diritto al fine di meglio determinare la nozione di irreparabilità del pregiudizio ai fini della concessione dei provvedimenti d'urgenza, occorre distinguere: a) i diritti a contenuto e a funzione non patrimoniale (ad esempio, i diritti della personalità, le libertà costituzionalmente protette, il diritto alla salute); b) i diritti a contenuto patrimoniale ma a funzione non patrimoniale (ad esempio, il diritto del lavoratore illegittimamente licenziato o trasferito ad essere reintegrato nel posto di lavoro); c) i diritti a contenuto e funzione esclusivamente patrimoniale, per i quali la tutela d'urgenza è esclusa (Panzarola — Giordano, Provvedimenti d'urgenza, Bologna, 2016, 229 ss.). Pertanto, ove si valorizzasse il riferimento al provvedimento d'urgenza operato dalla norma piuttosto che il generico presupposto della ricorrenza dei gravi motivi, dovrebbe ritenersi che il provvedimento in questione possa essere emanato soltanto qualora la perdita del bene concesso in pegno potrebbe arrecare al debitore ovvero al terzo concedente un pregiudizio irreparabile (quale può, ad esempio, essere il fallimento dell'impresa) pregiudizio che non sia invero suscettibile di ristoro successivo mediante equivalente pecuniario. Si è evidenziato che, dalla pur ibrida e confusa terminologia processuale utilizzata dall'odierno legislatore, deve trarsi una differente conseguenza, i.e. che il richiamo al provvedimento d'urgenza non è quello ascrivibile al modello generale proprio delineato dall'art. 700 c.p.c. bensì ad una particolare misura inibitoria sui generis, che può essere concessa per gravi motivi, idonei ad impedire, nelle more della decisione sul merito del ricorso con rito sommario, l'escussione della garanzia (Giordano, 30). Per altro verso, la natura cautelare del provvedimento comporta che trovino applicazione, rispetto allo stesso, non ravvisandosene l'incompatibilità, ex art. 669-quaterdecies c.p.c., le norme sul procedimento cautelare uniforme. Ne deriva che deve essere proposto un ricorso, anche unitamente all'opposizione «di merito», nel quale vanno estrinsecati da parte del debitore i gravi motivi che, bilanciando fumus boni juris e periculum in mora, consentono di ottenere il provvedimento inibitorio d'urgenza. La misura può, tenendo conto dell'art. 669-sexies c.p.c., essere eccezionalmente concessa con decreto inaudita altera parte ove ricorra un periculum di pregiudizio al quadrato, ossia un pericolo inerente alle more dello svolgimento dello stesso contraddittorio con l'altra parte, i.e. del procedimento di autorizzazione della cautela ed al conseguente effetto di allarme determinato dall'instaurazione del contraddittorio. Stabilisce infatti il secondo comma dell'art. 669-sexies c.p.c. che, quando la convocazione della controparte potrebbe pregiudicare l'attuazione del provvedimento il giudice provvede, assunte sommarie informazioni, sull'istanza cautelare con decreto inaudita altera parte. In questo caso, il procedimento è a contraddittorio differito poiché con lo stesso decreto con il quale è concessa la misura il giudice deve fissare l'udienza di comparizione delle parti dinanzi a sé entro un termine non superiore a quindici giorni, assegnando all'istante un termine perentorio non superiore a otto giorni per la notifica del ricorso e del decreto. Tale udienza è destinata, invero, alla conferma, revoca o modifica della misura già concessa con decreto nel contraddittorio con l'altra parte. L'ordinaria modalità di svolgimento del procedimento cautelare è quella delineata dal primo comma dell'art. 669-sexies c.p.c., in virtù del quale il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo più opportuno agli atti di istruzione indispensabili in relazione ai presupposti ed ai fini del provvedimento richiesto, e provvede con ordinanza all'accoglimento o al rigetto del ricorso. La cognizione cautelare, piena rispetto al periculum in mora, è infatti soltanto sommaria in relazione al fumus boni juris, poiché il convincimento giudiziale sulla fondatezza sommaria della tutela di merito può basarsi anche su argomenti di prova o presunzioni, ovvero su una semiplena probatio inidonea a giustificare una decisione a cognizione piena. Tale provvedimento deve ritenersi reclamabile al collegio ai sensi dell'art. 669-terdecies c.p.c., sia esso di accoglimento ovvero di diniego della domanda cautelare. Il problema dell'ammissibilità di un'azione di accertamento negativo della pretesa creditoriaSecondo una parte della dottrina, anche ove entro il termine previsto di cinque giorni dalla notifica dell'avviso di intimazione non abbia proposto alcuna opposizione, al debitore dovrebbe essere consentito l'esperimento, stante la tutela costituzionale del diritto di azione in giudizio ex art. 24 Cost., di un'azione di accertamento negativo della pretesa creditoria. A riguardo, si ritiene che non influisca sulla soluzione del problema quanto previsto dal nono comma dell'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016, per il quale, entro tre mesi dal ricevimento dell'intimazione da parte del debitore, quest'ultimo può agire in giudizio per ottenere il risarcimento del danno subìto per via di un'escussione svoltasi in violazione dei criteri e delle modalità di cui al comma 7, oppure qualora il prezzo della vendita, il corrispettivo della cessione del credito o della locazione del bene, o il valore per cui è fatta l'assegnazione non corrispondano al valore di mercato, in quanto detta azione è limitata alla denuncia della violazione di criteri e modi di determinazione dell'escussione, sicché nulla dice, per contro, di contestazioni sull'an. Per altri, invece, le opposizioni riconducibili come quella all'intimazione del creditore prevista dal comma 7 dell'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016 al novero delle opposizioni esecutive innestano, nel corso dell'esecuzione forzata, vere e proprie parentesi di carattere cognitivo ed all'esito delle quali vengono assunte pronunce di natura decisoria sul diritto in contestazione, specie si tratti di opposizione «di merito», ossia di opposizione all'esecuzione. L'art. 24 Cost. è rispettato, quanto al debitore, quindi, dalla possibilità di esperire dette opposizioni, senza necessità che venga prevista un'ulteriore azione di accertamento negativo del credito (che finirebbe con l'avere un oggetto coincidente rispetto alla prima). Per altro verso, neppure appare ininfluente il disposto del comma 9 dell'art. 1 del predetto decreto ove deve intendersi si deroghi alla necessità di «veicolare» tutte le contestazioni mediante l'opposizione all'intimazione, da proporsi entro cinque giorni dalla notificazione della stessa, per le sole ipotesi in cui vi sia stata un'ingiusta locupletazione del creditore, suscettibile, nel previsto caso di appropriazione del bene, di violare il fondamentale divieto del patto commissorio (cfr., anche per i riferimenti, Giordano, 30, la quale osserva che questione diversa è se i ristretti termini previsti per la proposizione dell'intimazione consentano un effettivo esercizio del diritto di difesa al debitore, con conseguente necessità di declaratoria di incostituzionalità in parte qua del comma 7 dell'art. 1 del d.l. n. 59 del 2016 limitatamente a tale profilo). Fallimento del debitoreL'ottavo comma della norma in esame stabilisce che, in caso di fallimento del debitore, il creditore può procedere a norma del comma 7 solo dopo che il suo credito è stato ammesso al passivo con prelazione. È opportuno, sul punto, ricordare il regime tradizionale del pegno regolare e di quello irregolare nel caso di fallimento del costituente, sia quanto alla necessità o meno della verifica, sia quanto alle modalità del realizzo. In giurisprudenza si ritiene infatti che, sotto entrambi gli aspetti, l'art. 53 l.fall. non si applichi al pegno irregolare. La S.C. ha, in particolare, più volte enunciato il principio per il quale il creditore assistito da pegno irregolare non può, per carenza di interesse, e non è tenuto ad insinuarsi nel passivo fallimentare per il soddisfacimento del proprio credito, essendo la compensazione nel pegno irregolare la modalità tipica di esercizio della prelazione», ne deriva l'inapplicabilità in detta ipotesi dell'art. 53 l.fall. che riguarda, invece, il solo pegno regolare, sia quanto alla necessità della verifica sia quanto alle modalità del realizzo in sede fallimentare. Costituisce invero jus receptum l'assunto secondo cui il regime dettato dall'art. 53 l.fall. trova applicazione esclusivamente nell'ipotesi di pegno regolare, essendo stato più volte chiarito che il creditore assistito da pegno irregolare, a differenza di quello assistito da pegno regolare, non è tenuto ad insinuarsi al passivo fallimentare ai sensi dell'art. 53 l.fall. per il soddisfacimento del proprio credito, e l'incameramento in via definitiva del denaro o delle altre cose fungibili ricevuti in garanzia, salvo l'obbligo di restituire l'eccedenza, ex art. 1851 c.c., resta sottratto alla revocatoria, operando la compensazione come modalità tipica di esercizio della prelazione (Cass., 21 novembre 2014, n. 24865). Nell'ipotesi di pegno regolare, pertanto, in sede concorsuale il creditore pignoratizio non fruisce ivi di quella sorta di «autotutela» che gli attribuiscono, invece, le norme degli artt. 2796-2797 c.c. al di fuori del fallimento. Difatti, una volta verificato ed ammesso al passivo il credito pignoratizio, si pongono le alternative del «riscatto» del pegno da parte del curatore contro pagamento del credito pignoratizio, ovvero della vendita del bene da parte del curatore, o ancora della vendita del bene parte del creditore pignoratizio, a ciò specificamente autorizzato dal giudice delegato. Pertanto, in quella sede il creditore pignoratizio non ha affatto il potere di iniziativa che gli attribuiscono le norme degli artt. 2796-2797 c.c. al di fuori del fallimento. Peraltro, in accordo con la giurisprudenza di legittimità, l'esclusione nella sede fallimentare del potere di «autotutela» del creditore pignoratizio attribuito dal diritto comune si riscontrerebbe non solo nella concorrente legittimazione del curatore per la vendita e nella discrezionale scelta del giudice delegato fra le diverse alternative indicate dall'art. 53 l.fall., ma anche nel fatto che «il ricavato della vendita, quand'anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell'ordine delle cause di prelazione». Le tre diverse modalità indicate dall'art. 53 l.fall. con le quali si può addivenire al soddisfacimento del creditore pignoratizio, una volta sottoposti a verifica il credito e la garanzia che lo assiste, significano che il soddisfacimento può avvenire anche al di fuori del concorso attraverso la liquidazione dei beni ed i riparti dei ricavi ad opera del curatore. Così è, anzitutto, nell'ipotesi del «riscatto» del pegno da parte del curatore, contro il pagamento immediato (dunque non sottoposto a graduazioni e riparti) del credito pignoratizio. Nell'alternativa della vendita dell'oggetto del pegno da parte del curatore, si era in passato ampiamente discusso se ne derivasse la perdita del diritto di ritenzione del creditore pignoratizio, dovendo il curatore consegnare il bene all'acquirente. L'autorizzazione del curatore ad effettuare direttamente la vendita dell'oggetto del pegno «è da intendere con rispetto del diritto di ritenzione spettante al creditore», sicché «il curatore vende le cose che restano in possesso del creditore, il quale deve prestarsi alla vendita»; d'altro canto, avvenuta la vendita, il creditore è tenuto a consegnare la cosa all'acquirente dietro corresponsione del suo avere, mentre il surplus realizzato deve essere attribuito al curatore. Pertanto, sulla base di questo indirizzo interpretativo, in entrambe le ipotesi, ossia quella del «riscatto» e quella della vendita da parte del curatore, in egual modo il soddisfacimento del creditore pignoratizio dovrebbe essere contestuale alla consegna del bene, nell'un caso al curatore e nell'altro caso all'acquirente, bene che fino a quel momento è rimasto nel possesso del creditore pignoratizio in virtù del suo diritto di ritenzione, restando perciò escluso che quel soddisfacimento debba avvenire in futuro con i piani di riparto. In dottrina si è osservato, a riguardo, che «se così è, non sembra potersi dare una diversa soluzione nella terza ipotesi, quella cioè del realizzo del pegno da parte dello stesso creditore pignoratizio previa autorizzazione del giudice delegato: anche in tal caso, non diversamente da quanto è stato affermato per la vendita del bene da parte del curatore, si dovrebbe ritenere che il creditore pignoratizio possa trattenere sul ricavo quanto occorre per il soddisfacimento del suo credito pignoratizio, nella misura in cui è stato verificato ed ammesso, consegnando al curatore l'eventuale supero, mentre nel caso di insufficienza resterebbe insinuato nel passivo come chirografario, secondo la regola di cui all'art. 54, secondo comma, l.fall. A ben vedere, nell'ipotesi da ultimo menzionata, si tratta di un'esecuzione individuale consentita al creditore pignoratizio mentre è in corso la liquidazione concorsuale del patrimonio del fallito, dunque di un'eccezione alla regola dell'art. 51 l.fall., accompagnata dalla duplice cautela della necessità di una previa verifica del diritto posto a base dell'esecuzione individuale, e di un'apposita autorizzazione del giudice delegato» (Tarzia, 579). Pertanto, diversamente da quanto avviene per il pegno regolare, ipotesi nella quale, ex art. 53 l.fall., il creditore pignoratizio può vendere la cosa oggetto di pegno solo su autorizzazione del giudice delegato, che può, tuttavia, optare anche per mantenere la cosa nell'ambito della liquidazione fallimentare ad opera del curatore (fermo restando il diritto di prelazione), l'unico requisito richiesto per la realizzazione stragiudiziale del pegno non possessorio ex art. 1 del d.l. n. 59 del 2016 è costituito dall'ammissione allo stato passivo. Ne deriva che, nell'ipotesi di pegno mobiliare non possessorio, l'autotutela esecutiva del creditore è piena, a differenza di quanto avviene nell'ambito dell'art. 53 l.fall., essendo necessario solo il passaggio prodromico dell'accertamento del credito in sede di formazione dello stato passivo. Per altro verso, non può trascurarsi che l'art. 53 l.fall., se pure riconosce ai creditori privilegiati assistiti dal diritto di ritenzione la possibilità di procedere, pendente la procedura concorsuale, alla vendita del bene, non la configura come esplicazione di autotutela in senso proprio, come avviene al di fuori del fallimento, perché tale facoltà presuppone l'accertamento del credito nelle forme dell'insinuazione allo stato passivo e perché assoggetta la vendita del bene gravato dal privilegio all'autorizzazione ed ai criteri direttivi del giudice delegato, a fronte della concorrente legittimazione del curatore: ne consegue che il ricavato dalla vendita, quand'anche il bene gravato sia venduto direttamente dal creditore, non viene immediatamente incassato in via autosatisfattiva dal medesimo, ma ripartito attraverso il piano di riparto, nel rispetto dell'ordine delle cause di prelazione (v., da ultimo, Cass., 6 febbraio 2018, n. 2818). In dottrina si è osservato che l'opzione preferenziale del legislatore per la liquidazione da parte del creditore in via stragiudiziale, anche in presenza di una procedura fallimentare, ancorché riconducibile ad esigenze di accelerazione della realizzazione del credito, può ostacolare la liquidazione dell'azienda, soprattutto in relazione alle ipotesi nelle quali siano oggetto di pegno mobiliare non possessorio i beni strumentali (non rientranti nella categoria dei beni mobili registrati). Sarebbe, forse, stato più opportuno, in tali ipotesi, mantenere il bene nell'ambito della liquidazione fallimentare del complesso aziendale (fermi restando i requisiti previsti dall'art. 105 l.fall.). Quanto alle attività del curatore si è evidenziato che lo stesso: 1) deve inserire i beni oggetto di pegno non possessorio nell'inventario, con l'indicazione del vincolo e dell'espresso riferimento all'art. 1 d.l. n. 59/2016 (posto che l'autotutela esecutiva rientra nella scelta del creditore, che potrebbe — sebbene in linea meramente teorica — ritenere preferibile la liquidazione anche in ambito fallimentare e fino all'esercizio di tale forma di autotutela il bene appartiene alla massa fallimentare, considerato che l'alternatività riguarda le modalità di liquidazione) e dare atto di tali beni anche nel programma di liquidazione; 2) deve comunque controllare le attività di liquidazione del bene potendo esercitare i rimedi previsti in favore del debitore, in relazione alle modalità con le quali il creditore provvede alla realizzazione della garanzia; 3) può esercitare le azioni revocatorie ex art. 66 e 67 l.fall., dal momento che «Agli effetti di cui agli articoli 66 e 67 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 il pegno non possessorio è equiparato al pegno.» (art. 1, comma 10, d.l. n. 59/2016)» (Brogi, 1 ss.). BibliografiaBaghi, L'esordio del pegno mobiliare non possessorio: riflessione sui profili processuali, in Corr. Giur., 2017, n. 11, 1380; Brogi, Pegno mobiliare non possessorio: le nuove regole, in altalex.it, 17 maggio 2016; Caputo L. - Caputo M., I pegni. Dal modello tradizionale al nuovo pegno mobiliare non possessorio, Milano, 2017; Cipriani, Nuovi modelli di garanzie patrimoniali. Il patto marciano tra garanzia del credito ed esecuzione forzata, in Giur. it., 2017, 1718; Gabrielli, Le garanzie rotative, in I contratti del commercio dell'industria e del mercato finanziario a cura di Galgano, Torino, I, 1994; Giordano, Le garanzie atipiche delle Banche e degli intermediari, Milano 2018; Panzarola - Giordano, Provvedimenti d'urgenza, Bologna 2016; Sassani, A.D. 2009: ennesima riforma al salvataggio del rito civile. Quadro sommario delle novità riguardanti il processo di cognizione, in judicium.it; Scarpello, L'oggetto del pegno nelle sue variazioni tipologiche. Riflessioni a margine di Cass., Sez. Un., n. 16725/2012, in Nuova Giur. Civ. Comm., 2013, n. 10, 20552; Tarzia, La verifica ed il realizzo del pegno nel fallimento, in Fall., 2011, n. 5, 579. |