Codice Civile art. 1439 - Dolo.Dolo. [I]. Il dolo è causa di annullamento del contratto [1195] quando i raggiri usati da uno dei contraenti sono stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe contrattato [1892]. [II]. Quando i raggiri sono stati usati da un terzo, il contratto è annullabile se essi erano noti al contraente che ne ha tratto vantaggio. InquadramentoLa norma in esame individua quale ulteriore vizio della volontà il dolo, che costituisce causa di annullamento del contratto ove si concretizzi in raggiri idonei ad alterare la volontà negoziale della vittima, inducendola in errore, rispetto a circostanze essenziali del negozio (Trabucchi, 149 ss.). Il dolo è, quindi, causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale, rispetto al quale opera il principio fraus omnia corrumpit, sicché il dolo decettivo conduce all'annullamento del contratto qualunque sia l'elemento sul quale il deceptus sia stato ingannato e, dunque, in relazione a qualunque errore in cui sia stato indotto (Cass. III, n. 4065/2014) Profili generaliIl dolo integra un vizio della volontà idoneo a determinare l'annullamento del negozio giuridico ove si concretizzi in raggiri idonei ad alterare la volontà negoziale della vittima, inducendola in errore, rispetto a circostanze essenziali del negozio (Trabucchi, 149). I raggiri, gli artifici, le menzogne sono causa di annullamento del negozio giuridico quando siano stati tali da indurre in errore l'altro contraente, cosi da determinare il vizio della volontà: in tal caso il dolo si presenta come fattore determinante, nel senso che il contratto non sarebbe stato concluso senza l'uso dei mezzi illeciti, e, conseguentemente, il vizio della volontà che è stato determinante diventa causa di annullamento del contratto, mentre quando, invece, il dolo ha avuto una minore intensità ed ha esercitato influenza soltanto sulle modalità del negozio, rendendolo più gravoso per una delle parti, esso non incide sull'esistenza del negozio stesso, perché questo, comunque, è validamente concluso, ma è causa di risarcimento del danno in quanto costituisce illecito ed è soggetto, come tale, alla disciplina generale degli atti illeciti (Cass. III, n. 1308/1972). Le domande volte all'accertamento del dolo causam dans e di quello incidente sono differenti, con la conseguenza che non ne è consentita la modificazione in sede di gravame (v. già con riferimento al previgente regime delle preclusioni Cass. I, n. 1817/1977). La differenza ontologica esistente tra la figura dell'errore, in cui la falsa rappresentazione della realtà che inficia il processo di formazione della volontà è endogena alla volontà stessa, e quella del dolo, in cui essa è esogena, in quanto riconducibile alla condotta dell'altro contraente, non impedisce la coeva deduzione di entrambi i vizi a sostegno della domanda di annullamento del contratto, ma impone l'adozione di distinte modalità nella disamina delle emergenze probatorie acquisite, nel senso che, mentre nel caso dell'errore l'accertamento dev'essere condotto con riferimento alla condotta della parte che ne è vittima, verificando se il vizio abbia inciso sul processo formativo della sua volontà, dando origine ad una falsa rappresentazione che l'ha indotta a concludere il contratto, nel caso del dolo occorre accertare la condotta tenuta dal deceptor e le conseguenze da essa prodotte sul deceptus, verificando se la condotta commissiva od omissiva del primo abbia procurato la falsa rappresentazione della realtà che ha determinato il secondo alla contrattazione, inducendo nel processo formativo della sua volontà un errore avente carattere essenziale, ferma restando la possibilità per il deceptor di provare che la controparte era a conoscenza dei fatti addebitati alla sua condotta maliziosa o che avrebbe potuto conoscerli usando la normale diligenza (Cass. I, n. 16663/2008). La S.C. ha, invero, chiarito che il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto implica necessariamente la conoscenza da parte dell'agente delle false rappresentazioni che si producono nella vittima e il convincimento che sia possibile determinare con artifici, menzogne e raggiri la volontà altrui, inducendola specificamente in inganno (cfr. Cass. II, n. 13034/2018, la quale ha condiviso la sentenza impugnata nella parte in cui aveva affermato che le menzogne attribuite alla venditrice, con riferimento alle caratteristiche tecniche dei terminali forniti, potevano avere al più esercitato influenza soltanto sulle modalità della fornitura, senza incidere sulla validità del contratto, e perciò potevano essere, semmai, causa di risarcimento dell'eventuale danno patito). Ne consegue che, affinché si produca l'annullamento del contratto, non è sufficiente una qualunque influenza psicologica sull'altro contraente, ma sono necessari artifici o raggiri, o anche semplici menzogne che abbiano avuto comunque un'efficienza causale sulla determinazione volitiva della controparte e, quindi, sul consenso di quest'ultima (cfr., tra le altre, Cass. n. 12892/2015). In sostanza, in tema di annullamento del contratto, ai sensi del combinato disposto degli artt. 1439 e 1440 c.c., il dolus causam dans, senza il quale l'altra parte non avrebbe contrattato, si distingue dal dolus incidens, che influisce sulle condizioni della contrattazione, senza essere determinante del consenso e che non comporta l'invalidità del contratto, ma può dar luogo solo alla riparazione dei danni (Cass. n. 17988/2024 che ha ritenuto, di conseguenza, che in caso di raggiro incidente solo sulla quantificazione del prezzo, il contratto di vendita non può essere annullato). Secondo la giurisprudenza il dolo è causa di annullamento del contratto quando i raggiri usati siano stati tali che, senza di essi, l'altra parte non avrebbe prestato il proprio consenso per la conclusione del contratto, ossia quando, determinando la volontà del contraente, abbiano ingenerato nel deceptus una rappresentazione alterata della realtà, provocando nel suo meccanismo volitivo un errore da considerarsi essenziale (v., di recente, in sede applicativa, Trib. Forlì 7 luglio 2017, n. 728). A quest'ultimo riguardo opera il principio fraus omnia corrumpit, in virtù del quale il dolo decettivo conduce all'annullamento del contratto (come pure del negozio unilaterale) qualunque sia l'elemento sul quale il deceptus sia stato ingannato e, dunque, in relazione ad ogni errore in cui sia stato indotto, compreso quello sul valore o sulle qualità del bene oggetto del negozio (Cass. III, n. 4065/2014). Ciò implica che, sia nella ipotesi di dolo commissivo che in quella di dolo omissivo, gli artifici o i raggiri, la reticenza o il silenzio, devono essere valutati in relazione alle particolari circostanze di fatto e alle qualità e condizioni soggettive dell'altra parte, onde stabilire se erano idonei a sorprendere una persona di normale diligenza, giacché l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se fondato sulla negligenza (cfr. Cass. III, n. 13872/2018; in applicazione del principio, si è ad esempio ritenuto che non sussiste dolo nelle assicurazioni fornite da una banca in ordine all'insussistenza di protesti o altre esposizioni debitorie a carico di una moglie legalmente separata in cui favore l'ex marito aveva acconsentito all'iscrizione di ipoteca su di un bene comune a garanzia di un mutuo, ben potendo egli acquisire conoscenza delle reali condizioni economiche della ex coniuge: Cass. I, n. 1585/2017). Nondimeno, gli artifici ed i raggiri posti in essere da un contraente, idonei in concreto a trarre in inganno la controparte e tali che questa senza di essi non avrebbe stipulato il contratto, non cessano di essere causa di invalidazione del negozio solo perché il deceptus avrebbe potuto espletare una certa attività di verifica e di controllo per sventare l'errore (Cass. II, n. 9227/1991). La valutazione della idoneità di un certo comportamento a coartare la volontà del deceptus è riservata al giudice del merito, il quale è tenuto a motivare specificamente in ordine alle concrete circostanze, la cui prova è a carico del deceptor, dalle quali desumere che l'altra parte già conosceva o poteva rendersi conto ictu oculi dell'inganno perpetrato nei suoi confronti (Cass. I, n. 746/2015). Il dolo causam dans, tale cioè da determinare il consenso nella conclusione del contratto, che altrimenti non sarebbe stato concluso, non e diverso da quello che la legge penale prevede come elemento soggettivo del delitto di truffa e che consiste nella coscienza e nella volontà di procurare, con artifici e raggiri, inducendo taluno in errore, a sé o ad altri, un ingiusto profitto con altrui danno. Esso, ai sensi dell'art. 1427 c.c., rende annullabile, e non nullo, il negozio, il quale resta in vita fino a quando, ad iniziativa della parte interessata, non sia stato posto nel nulla mediante sentenza costitutiva. Pertanto, il giudice, nell'esame degli effetti del negozio, non può di ufficio dar rilievo alle circostanze, anche se accertate, che lo renderebbero annullabile, qualora ritualmente fatte valere (Cass. III, n. 343/1962). Il contratto concluso per effetto di truffa penalmente accertata di uno dei contraenti in danno dell'altro è non già radicalmente nullo, sebbene annullabile, atteso che il dolo costitutivo del delitto di truffa non è ontologicamente, neanche sotto il profilo dell'intensità, diverso da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso (Cass. n. 18930/2016). Il contratto è annullabile anche quando i raggiri provengano da un terzo, purché essi siano effettivamente noti al contraente che trae vantaggio da tali raggiri (Santoro Passerelli, 169). Sulla questione la S.C. ha chiarito che il mandatario senza rappresentanza — che può valersi dell'opera di altri soggetti senza violare i limiti del mandato, se questo non gli sia stato conferito intuitu personae — rimane, come il procacciatore di affari, estraneo all'affare per sua iniziativa concluso tra il mandante ed un terzo e, pertanto, l'eventuale attività dolosa da lui svolta per determinare il terzo alla conclusione del contratto e irrilevante, ai fini dell'annullabilità del negozio, se non sia nota alla parte che gli ha conferito l'incarico (Cass. II, n. 1552/1981) Dolo omissivoIl dolo è omissivo laddove si nascondano alla conoscenza del deceptus, con il silenzio o con la reticenza, fatti o circostanze decisive per la manifestazione del consenso (Cass. II, n. 1480/2012). Il dolo omissivo rileva quale vizio della volontà, idoneo a determinare l'annullamento del contratto, solo quando l'inerzia della parte si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia o astuzia, a realizzare l'inganno perseguito: ne consegue che il semplice silenzio e la reticenza, anche su situazioni di interesse della controparte, non immutando la rappresentazione della realtà, ma limitandosi a non contrastare la percezione di essa alla quale sia pervenuto l'altro contraente, non costituiscono causa invalidante del contratto (cfr., tra le altre, Cass. VI, n. 11009/2018, la quale, con riferimento ad un contratto di compravendita immobiliare, ha escluso che il silenzio serbato dal venditore, nella fase delle trattative, sulla possibilità di un imminente recesso della banca conduttrice dei locali oggetto del contratto potesse configurare una ipotesi di dolo omissivo, ritenendo dirimente la circostanza che nel contratto di locazione tra la venditrice e la banca, conosciuto dall'acquirente, era prevista la facoltà di recesso ad nutum del conduttore e che, perciò, quel reddito locativo non era, né poteva essere considerato, sicuro). In sostanza, come affermato da lungo tempo in sede di legittimità, il silenzio o la reticenza di uno dei contraenti possono dar luogo ad un comportamento doloso (dolo omissivo), tale da viziare la volontà dell'altro contraente, e da invalidare quindi il contratto, quando siano serviti ad occultare callidamente una situazione di fatto, che, se conosciuta dall'altro contraente, lo avrebbe indotto a non prestare il suo consenso alla conclusione del contratto medesimo (Cass. III, n. 524/1963) Dolo commissivoIl dolo commissivo consiste in una condotta attiva, nella quale siano ravvisabili gli estremi di un complesso di artifizi integranti i raggiri, che alterino il processo di formazione della volontà del deceptus: rientra in tale condotta ogni artifizio e menzogna, purché grave e non facilmente smascherabile e ciò anche quando tali raggiri siano utilizzati non per suscitare nella controparte l'intento di contrarre, bensì per indurla a tenere un comportamento del quale l'autore dei raggiri ignorava il contenuto negoziale (cfr. Corsaro, 32 ss.). Il dolo che vizia la volontà e causa l'annullamento del contratto può consistere, in primo luogo, nel mendacio, purché, valutato in relazione alle circostanze di fatto ed alle qualità e condizioni dell'altra parte, sia accompagnato da una condotta maliziosa ed astuta capace di realizzare l'inganno voluto ed a sorprendere la buona fede di una persona di normale diligenza e buon senso, posto che l'affidamento non può ricevere tutela giuridica se è fondato sulla negligenza (Cass. II, n. 10718/1993, in Corr. giur., 1994, n. 3, 351, con nota di Colombo, in una fattispecie nella quale, con la sentenza cassata, il giudice di merito aveva identificato il dolo nel «mendacio» del venditore circa il valore di azioni vendute, senza alcun accertamento della condotta posta in essere dal venditore per rendere credibili le sue affermazioni). Sono in ogni caso rilevanti solo gli artifici o raggiri o anche le menzogne, che — ingenerando nella controparte una rappresentazione alterata della realtà — siano stati determinanti del consenso che altrimenti non sarebbe stato prestato (Cass. n. 5166/2003; Cass. n. 4409/1999; in senso analogo, nella giurisprudenza più risalente, Cass. II, n. 3030/1974, in Giust. civ., 1975, I, 662). La S.C. ha chiarito, poi, che il contratto concluso per effetto di truffa di uno dei contraenti in danno dell'altro è annullabile ai sensi dell'art. 1439 c.c., atteso che il dolo costitutivo di tale delitto non è ontologicamente diverso, neanche sotto il profilo dell'intensità, da quello che vizia il consenso negoziale, entrambi risolvendosi in artifizi o raggiri adoperati dall'agente e diretti ad indurre in errore l'altra parte e così a viziarne il consenso (cfr. Cass. I, n. 18930/2016, per la quale, pertanto, la costituzione di parte civile nei confronti dell'imputato cui tale truffa sia stata contestata, implicando la piena conoscenza degli estremi fattuali del reato ascritto, e quindi del dolo, è idonea a far decorrere, ex art. 1442, comma 2, c.c., il termine quinquennale di prescrizione dell'azione di annullamento) CasisticaNel contratto di lavoro il silenzio serbato da una delle parti in ordine a situazioni di interesse della controparte e la reticenza che si inserisca in un complesso comportamento adeguatamente preordinato, con malizia e astuzia, a realizzare un inganno idoneo a determinare l'errore del deceptus, integrano gli estremi del dolo omissivo rilevante ai sensi dell'art. 1439 c.c. (cfr. Cass. sez. lav., n. 8260/2017, la quale ha cassato la sentenza del giudice di merito che aveva omesso di accertare se la condotta della datrice di lavoro — che, dopo aver incluso la posizione del lavoratore tra quelle eccedentarie nell'ambito di una procedura di mobilità, aveva poi assunto altro lavoratore per la medesima posizione — fosse idonea ad integrare dolo omissivo in danno del proprio dipendente, tale da comportare l'annullamento del verbale di conciliazione sottoscritto tra le parti in sede sindacale, nell'ambito della procedura di mobilità ex l. n. 223/1991). Affinché la reticenza del dipendente, al momento della costituzione del rapporto di lavoro, sul possesso di un titolo di studio superiore a quello richiesto per il posto per cui egli viene assunto sia idonea a configurare un'ipotesi di errore essenziale o di dolo, con conseguente annullabilità del contratto, è necessario, quanto al primo (errore essenziale), che la qualità personale relativa al possesso di un dato titolo di studio corrisponda proprio al motivo in concreto determinante il consenso dell'altra parte alla conclusione del negozio — situazione, questa, ravvisabile soprattutto quando le attitudini professionali o personali del lavoratore abbiano specifica importanza ai fini della prestazione e, quindi, dell'assunzione al lavoro — e, quanto al secondo (dolo), che il suindicato comportamento sia posto in essere dal dipendente con artifici o raggiri, ovvero in violazione di un preciso obbligo di chiarire al datore di lavoro la circostanza relativa al possesso del titolo di studio superiore (Cass. sez. lav., n. 2271/1981, in Mass. Giur. lav., 1982, n. 3, 337, con nota di Massari). L'azione di annullamento del contratto per dolo e quella di risoluzione della vendita per mancanza di qualità promesse o essenziali per l'uso cui è destinata la cosa venduta sono istituti del tutto autonomi rispetto ai quali non sussiste un rapporto di incompatibilità o di reciproca esclusione. L'azione di annullamento del negozio giuridico per dolo e diretta alla tutela della volontà di un contraente contro il comportamento fraudolento dell'altro o di un terzo, e, se accolta, determina l'annullamento del contratto con effetti decorrenti dal momento della stipulazione: essa concerne il momento formativo del negozio, mentre l'azione di risoluzione suindicata riguarda il profilo funzionale della causa, e si ricollega al mancato adempimento del venditore dell'obbligo di fornire al compratore la cosa negoziata con le qualità promesse ovvero quelle essenziali per l'uso a cui e destinata. I presupposti e i requisiti dei due rimedi sono perciò nettamente diversi, come parimenti diverse sono la disciplina e la funzione, riguardando la prima la validità del contratto sin dalla sua nascita e attenendo la seconda all'inadempimento del venditore all'obbligo di fornire al compratore la cosa alienata con le qualità promesse ovvero con quelle essenziali per l'uso a cui è destinata (Cass. I, n. 1573/1968, in Giur. it., 1970, I, n. 1, 829, con nota di Visintini). Le dimissioni del preposto nel rapporto di agenzia, pur consistendo in un atto unilaterale, sono annullabili per vizio della volontà qualora siano eterodeterminate dal comportamento del preponente che ingeneri nell'altro una rappresentazione alterata della realtà, viziando l'iter formativo della volontà di quest'ultimo, e ciò anche se tale condotta consista nella prospettazione di esercitare un diritto soggettivo o un potere giuridico, in quanto la rappresentazione di uso strumentale di una situazione giuridica si pone in contrasto con i doveri di correttezza e buona fede (cfr. Cass. II, n. 874/2012, la quale ha cassato la sentenza impugnata che aveva escluso l'annullamento delle dimissioni dell'agente per vizio della volontà, evidenziando che il giudice di merito avrebbe dovuto esaminare, sotto questo profilo, la condotta del preponente che aveva comunicato ai clienti dell'agente l'introduzione di modiche tariffarie di entità tale da indurre detti clienti a manifestare l'intenzione di rivolgersi ad altre compagnie e che, dopo la comunicazione del recesso dell'agente, aveva accettato questo con decorrenza immediata ed aveva, infine, assunto la determinazione di non procedere più alle modifiche tariffarie programmate). Il dolo dell'assicurato, quale causa di annullabilità del contratto di assicurazione, assume una portata più ampia rispetto a quella considerata per l'annullabilità del negozio giuridico in genere, atteso che comprende anche la mera reticenza, qualora relativa a circostanze determinanti per il consenso dell'assicuratore ex art. 1892 c.c. (Cass. I, n. 5503/1981). Peraltro, con riguardo ad una polizza cauzionale stipulata con un'impresa di assicurazioni, la quale presenti sostanziale natura fideiussoria, in quanto rivolta non a trasferire un rischio a carico dell'assicuratrice, ma a garantire nei confronti del beneficiario l'adempimento di obblighi assunti dal contraente, la disciplina applicabile, salvo diversa previsione convenzionale, è quella del contratto di fideiussione e non del contratto di assicurazione, della quale, in particolare, deve escludersi l'invocabilità dell'art. 1892 c.c. in tema di annullamento per dichiarazioni inesatte o reticenti, ferma restando l'esperibilità dell'azione di annullamento per dolo ai sensi dell'art. 1439 c.c. (Cass. III, n. 6757/2001). In tema di risarcimento danni derivanti da sinistro stradale alla parte danneggiata senza la sua responsabilità, è nullo ex art. 1439 c.c. l'accordo contrattuale sottoscritto dalla predetta con una carrozzeria nella convinzione ingenerata dal titolare di quest'ultima di essere abilitato a gestire il pagamento diretto dei danni, qualora il carrozziere non risulti incluso nell'elenco Ania delle compagnie assicuratrici e comunque non sia convenzionato con l'assicuratore della parte danneggiata (G.d.P. Palermo VIII, 25 febbraio 2011, in Arch. giur. circol. e sinistri, 2011, n. 4, 336). Deve essere annullato, in applicazione dell'art. 1439 c.c. ed in quanto viziato da dolo, il contratto avente ad oggetto un trattamento di depilazione pubblicizzato attraverso un messaggio pubblicitario giudicato ingannevole dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato e rivelatosi inidoneo al raggiungimento dei risultati promessi in seguito al completamento del ciclo di applicazioni concordato, allorché solamente un'epilazione davvero permanente avrebbe giustificato gli elevati costi prospettati, a nulla rilevando che il consumatore abbia successivamente sottoscritto un secondo contratto volto ad effettuare un ciclo ulteriore di sedute, conseguenza del primo ciclo i cui effetti non si erano dimostrati definitivi (Trib. Bologna II, 28 settembre 2009, in Rass. dir. farmaceutico, 2010, n. 1, 12) Dolus bonusIl dolus bonus è connotato dall'insieme di accorgimenti, anche maliziosi, normalmente tollerati in rapporto al costume e alla pratica degli affari, che non integra il dolo quale vizio del consenso, ossia il dolus malus (Trabucchi, 151). Ricorre il dolus malus solo se, in relazione alle circostanze di fatto e personali del contraente, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno voluto ed idoneo in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza e sussista, quindi, in chi se ne proclami vittima in assenza di negligenza o di incolpevole ignoranza (Cass. n. 14628/2009). La Corte di legittimità ha chiarito, inoltre, che le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi non integrano gli estremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l'altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa, purché ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono (Cass. I, n. 3001/1996, in Corr. giur., 1997, n. 1, 81, con nota di Macario). In particolare, ricorre il dolus malus solo se, in relazione alle circostanze di fatto e personali del contraente, il mendacio sia accompagnato da malizie ed astuzie volte a realizzare l'inganno voluto ed idonee in concreto a sorprendere una persona di normale diligenza e sussista, quindi, in chi se ne proclami vittima, assenza di negligenza o di incolpevole ignoranza (Cass. III, n. 14628/2009). In materia di annullamento del contratto per dolo, le dichiarazioni precontrattuali con le quali una parte cerchi di rappresentare la realtà nel modo più favorevole ai propri interessi non integrano gli estremi del dolus malus quando, nel contesto dato, non sia ragionevole supporre che l'altra parte possa aver attribuito a quelle dichiarazioni un peso particolare, considerato il modesto livello di attendibilità che, in una determinata situazione di tempo, di luogo e di persone, è da presumere che possa essere riconosciuta a certe affermazioni consuete negli schemi dialettici di una trattativa (sempre che ad esse non si accompagni la predisposizione di ulteriori artifici o raggiri, idonei a travisare la realtà cui quelle affermazioni si riferiscono: Cass. II, n. 19559/2009). Risarcimento dei danniIl dolo che sia determinante per la conclusione del contratto, oltre ad integrare un vizio nella formazione del processo volitivo idoneo a provocare l'annullabilità del contratto, è anche un illecito che consente al deceptus di proporre domanda di risarcimento dei danni conseguenti (Trabucchi, 151). Il contraente, il cui consenso risulti viziato da dolo, può richiedere il risarcimento del danno conseguente all'illecito della controparte, lesivo della libertà negoziale, sulla base della generalissima previsione in tema di responsabilità aquiliana, ai sensi dell'art. 2043 c.c., anche senza proporre contemporaneamente domanda di annullamento del contratto ai sensi dell'art. 1439 c.c. (Cass. I, n. 20260/2006).. 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