Codice Civile art. 1321 - Nozione. [ 25 prel.]InquadramentoL'art. 1321 c.c. definisce il contratto come l'accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere tra loro un rapporto giuridico patrimoniale: tale nozione si fonda, dunque, su due pilastri, uno di carattere genetico (ravvisabile nell'accordo) ed uno di carattere finalistico (consistente negli effetti — costitutivi, disciplinari ed estintivi — che al contratto si connettono). A tali profili va poi aggiunto che il contratto rappresenta un regolamento (recte, un autoregolamento) normativo per i suoi autori (cfr. l'art. 1372 c.c.), di carattere vincolante. I predetti elementi sono avvinti, tra loro, da una sorta di nesso di interdipendenza circolare, nel senso che del contratto è possibile dare tante definizioni, alternative a quella legale, quanti sono i profili da cui si preferisce guardare il fenomeno. Si è infatti osservato come il binomio contratto-accordo sia, di per sé, insoddisfacente: nel senso che, se esso è perfettamente sovrapponibile alla definizione di contratto quale fusione di due o più dichiarazioni di volontà (Messineo, 1961, 876), al contrario, esso si palesa inadeguato a «coprire» la definizione di contratto in termini di atto di autoregolamento dei privati interessi e, quindi, quale espressione dell'incontro e della confluenza, in un autoregolamento unitario, degli atti dispositivi delle diverse parti interessate (Scognamiglio, 1992, 11). Peraltro, lo stesso impianto normativo non manca di far registrare alcune incongruenze: dal raffronto dell'art. 1321 c.c. con il successivo art. 1325 c.c., ad esempio, emerge che l'accordo, dapprima identificato con il contratto, viene «degradato» ad uno dei requisiti del medesimo (Ferri, 244; Messineo, 1961, 876); del pari, esistono figure contrattuali irriducibili allo schema tradizionale dell'accordo, dove questo appare la risultante ora di una dichiarazione di volontà seguita da un inizio di esecuzione, talora di una mera esecuzione di prestazioni (Sacco, De Nova, 7). Così, ad esempio, si sottrae alla logica dell'accordo la fattispecie regolata dall'art. 1333, comma 2 c.c., laddove la produzione degli effetti contrattuali si verifica sulla base della sola proposta (che è pur sempre un atto unilaterale) non seguita dal rifiuto dell'oblato; ovvero la fattispecie disciplinata dall'art. 1327 c.c., laddove alla proposta segue immediatamente l'esecuzione. Donde la conclusione per cui la nozione legislativa di contratto dovrebbe assurgere ad una mera definizione di base, limitatamente capace di esprimere la complessità del panorama normativo e individuata, sul piano strutturale, dalla bilateralità della formazione e dalla dichiarazione come strumento di autonomia. Altra dottrina (Gabrielli, 2780 ss.) ha osservato come la terminologia usata dal legislatore possa indurre in ulteriori equivoci: «Una differente connotazione è quella che il legislatore ha affidato alla formula legislativa della convenzione, il cui rilievo, sul piano delle differenze, appare da valutare segnatamente sul terreno della struttura, piuttosto che su quello della funzione. Nelle norme, nelle quali il termine convenzione è impiegato, la nozione ne vuole accentuare più il profilo obbligatorio, che quello dispositivo, come risulta quando esse tendono a disciplinare assetti di interessi di ampia portata e organizzati mediante strutture complesse, come nel caso delle convenzioni urbanistiche proprie del diritto pubblico ed amministrativo; altre volte, la parola è usata, nel regime patrimoniale della famiglia, per dare compiuto assetto ai rapporti patrimoniali tra coniugi (cfr. artt. 159, 162, 163, 164, 165, 210, 211, 215, c.c.), ove la nozione convenzione, invece che contratto, pone in evidenza la tendenza del legislatore ad evitare l'impiego di un termine — quello di «contratto» — fortemente connotato da un'indole patrimoniale in una materia, quella dei rapporti tra coniugi, che si vorrebbe, quanto meno nei propositi del legislatore, caratterizzata anche da comunione di vita spirituale, oltre che materiale. Il termine patto, invece, è inteso dal legislatore, a volte, come riduttivo, rispetto al perimetro concettuale disegnato dal contratto, e percepito come un frammento del contratto, cioè la clausola; altre volte, invece, come significativo di uno schema autonomo, seppur più circoscritto, di contratto (come nel patto di opzione: art. 1331 c.c.). Altre volte, riconoscendogli una più ampia larghezza concettuale ed una più impegnativa valenza disciplinare, esso è accolto quale manifestazione di una specifica ed autonoma pattuizione al contratto connessa, come accade in materia di prove per la regolazione dei patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento (art. 2722 e 2723 c.c.); ovvero al contratto collegata, come accade per il patto di non concorrenza (art. 2557 c.c.) e per i cc.dd. «patti parasociali» (art. 2341 bis c.c.)...tali nozioni, in ragione della loro apparente similitudine con il termine «contratto», finiscono per accrescere, da un lato, la difficoltà della loro riconduzione ad un unico e minimo comune denominatore concettuale; dall'altro, quale riflesso di tale difficoltà, rendono ancora più ardua la possibilità di rinvenire una definizione in grado di assicurare quella unità concettuale alla quale il contratto dovrebbe aspirare» Il contratto come accordoL'accordo contemplato dall'art. 1321 e dal successivo art. 1325, n. 1 c.c., quale fondamento e sostanza del contratto, viene raggiunto attraverso l'incontro delle volontà delle parti coinvolte nell'operazione negoziale. Ciò può avvenire: a) secondo lo schema «base» fornito dall'art. 1326 c.c. e, dunque, mediante lo scambio di proposta ed accettazione tra persone lontane (tale è, invero, il presupposto della norma in esame, come si evince dai commi 1 e 2 della menzionata disposizione), variamente «mitigato» o, meglio, adattato, alle varie tipologie di contratti contemplati dagli artt. 1327, 1332, 1333 e 1341 c.c.); b) mediante la elaborazione del testo contrattuale ad opera delle parti contestualmente presenti ovvero di un terzo (che sottoponga loro uno schema di contratto, cui le parti medesime dichiarino di aderire); c) mediante la previsione, in aggiunta al consenso quale elemento essenziale al perfezionamento della fattispecie, della consegna del bene oggetto della prestazione (cd. contratti reali ovvero che re perficiuntur) — ciò è quanto è previsto, ad esempio, nel caso del mutuo (cfr. art. 1813 c.c., sia pure con alcune perplessità: si rimanda, in proposito, al relativo commento), del comodato (cfr. art. 1803 c.c.), del deposito (art. 1766 c.c.) del contratto estimatorio (art. 1556 c.c.) — nel senso che, anteriormente alla traditio, il contratto non sarebbe radicalmente nullo ma in itinere, ossia in fase di formazione (Messineo, 1961, 883). Sotto diverso — ma concorrente — profilo, va infine evidenziato come l'accordo non sempre viene raggiunto semplicemente, spesso richiedendo, al contrario, lunghi e complessi incontri tra le parti, che prendono il nome di trattative: esse si collocano, dunque, in una fase preliminare a quella costitutiva del contratto, pur non mancando di riverberare i propri effetti su di un contratto validamente concluso, giacché la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nel loro svolgimento (cfr. art. 1337 c.c.) assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (cfr. art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto (Cass. I, n. 19024/2005; Cass. S.U., n. 26724/2007). In ordine ai requisiti minimi necessari affinché l'accordo contrattuale possa reputarsi perfezionato, si ritiene in dottrina che non occorra fare riferimento agli elementi dell'autoregolamento, bensì all'intento manifestato dalle parti: sicché l'eventuale riserva sui punti secondari non incide sulla conclusione del negozio, qualora le parti abbiano dimostrato di non voler subordinare al successivo accordo su di essi il perfezionamento del contratto (Sacco, De Nova, 64). Secondo altra impostazione, invece, occorrerebbe distinguere tra le ipotesi in cui l'accordo difetta in relazione a clausole che non richiedono una specifica disciplina o possono essere regolate alla stregua dei normali mezzi di integrazione del contenuto contrattuale (quali usi, norme suppletive, etc.) e l'ipotesi tale disciplina suppletiva o integrativa manchi, nel qual caso il contratto, non contenendo la regolamentazione di aspetti che, seppur secondari, integrano il regolamento negoziale, deve ritenersi inesistente (Scognamiglio, 92). In giurisprudenza si registrano orientamenti contrastanti: Cass. III, n. 30851/2018 ritiene, infatti, che ai fini della configurabilità di un vincolo contrattuale definitivo, sia necessario che l'accordo delle parti si formi su tutti gli elementi di cui all'art. 1325 c.c., non potendosene ravvisare la sussistenza ove i contraenti abbiano raggiunto un'intesa soltanto sugli elementi essenziali, rinviando ad un momento successivo la determinazione di quelli accessori (così anche Cass I, n. 2720/2009): cionondimeno, in base al generale principio dell'autonomia contrattuale di cui all'art. 1322 c.c., un contratto con gli effetti di cui all'art. 1372 c.c. può considerarsi comunque perfezionato allorquando, alla stregua della comune intenzione delle parti, possa ritenersi che le stesse abbiano inteso come vincolante un determinato assetto, anche se per taluni aspetti siano necessarie ulteriori specificazioni, il cui contenuto sia, però, da configurare come mera esecuzione del contratto già concluso. Se ne è pertanto tratta la conclusione per cui la distinzione tra elementi essenziali e non essenziali del contratto non sarebbe utile, non potendo concepirsi il diritto di uno dei contraenti ad esigere l'adempimento dall'altro dell'obbligazione assunta, se non quando siano stati precisati e definiti i singoli elementi di fatto che integrano a carico di ciascun contraente l'obbligazione propria, in relazione alle finalità che ciascuna delle parti persegue (Cass. n. 1849/1953). Diversamente, Cass. sez. lav., n. 2051/1980 evidenzia come la perfezione dell'accordo contrattuale si realizzi con il raggiungimento del consenso delle parti sui soli elementi essenziali del contratto, non incidendo la riserva sui punti complementari, ove le parti abbiano dimostrato di non voler subordinare la perfezione del contratto al successivo accordo anche su tali elementi, sulla conclusione del negozio. In posizione mediana si colloca, poi, Cass. II, n. 77/1993, la quale specifica che nei contratti a formazione progressiva, nei quali l'accordo delle parti su tutte le clausole si raggiunge gradatamente, il momento perfezionativo del negozio è di regola quello dell'accordo finale su tutti gli elementi, principali ed accessori, salvo che le parti abbiano inteso vincolarsi agli accordi raggiunti su singoli punti, riservandosi la disciplina degli elementi secondari. Sicché l'accordo su alcuni punti essenziali del contratto non esaurisce la fase delle trattative, perché, al fine di perfezionare il vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l'intesa sugli elementi costitutivi, sia principali che secondari, dell'accordo (cfr. anche Cass. III, n. 367/2005). Segue. L'atto complesso, collettivo e collegiale La natura del contratto quale «accordo» risultante da dichiarazioni o altri comportamenti umani e dunque, in ultima analisi, da un concorso di volontà, porta alla necessità di distinguere il contratto da altre figure di atti (aventi anch'essi contenuto patrimoniale) caratterizzati dal derivare da un concorso di volontà e, precisamente dagli atti complessi, da quelli collettivi e da quelli collegiali. Muovendo anzitutto dal contratto, la nozione di parte indica la posizione o relazione dinamica del titolare di un interesse unitario, o se si vuole di un centro di interessi, nell'arco e per gli effetti della sua autoregolamentazione: una parte può comporsi di uno o più soggetti individuali o collettivi (parte complessa) e, per altro verso, un soggetto può rappresentare, seppure a titolo eccezionale, due distinte parti, come accade nella figura del contratto con se stesso. Dal concetto di parte risulta talora distinta la nozione di centro di interessi (cfr. infra), allo scopo di distinguere dal contratto la struttura dell'atto collettivo. Nel caso in cui la parte contrattuale si presenti come parte complessa, si verifica l'inserzione nella struttura del contratto del risultato di un atto complesso ovvero di un atto collettivo, sebbene la parte si presenti nel contratto come unitaria. È, per converso, parte semplice il soggetto collettivo del quale, all'esterno, è indifferente il fatto che unifichi, all'interno, una pluralità di soggetti, come l'associazione o la società (Messineo, 1961, 824). Dalla parte in senso sostanziale — in quanto partecipe di rapporti di diritto sostanziale — si distingue la parte in senso processuale — abilitata a stare in giudizio, sebbene esse possono coincidere o meno. La parte complessa va considerata come un unico soggetto anche ai fini processuali (Cass. I, n. 265/1981). Nell'atto complesso le dichiarazioni di volontà, avendo il medesimo contenuto quali espressioni di interessi identici, si fondono in una dichiarazione di volontà (complessa ma) unitaria (Messineo, 1961, 908); nell'ambito di tale categoria si distinguono gli atti i cui effetti vengono risentiti da uno soltanto dei soggetti che hanno concorso alla loro formazione (l'atto di straordinaria amministrazione compiuto dal limitatamente capace di agire con il curatore) e gli atti i cui effetti ricadono su un soggetto che rispetto a tale formazione sia rimasto estraneo (l'atto compiuto da più persone che costituiscono l'organo di una persona giuridica). In relazione alla totale o parziale estraneità agli effetti dell'atto, le manifestazioni di volontà saranno determinanti nella stessa misura, e in tal caso si tratterà di atti complessi eguali, ovvero in misura diversa, e in tal caso si tratterà di atti complessi diseguali (Carresi, 69). Dall'atto complesso l'accordo contrattuale differisce, dunque, non sul piano della struttura, bensì su quello del contenuto: nell'atto complesso ha luogo una fusione nel senso, tecnico, di formazione di una volontà unitaria, in quanto sono identici gli interessi e i contenuti delle dichiarazioni; laddove, a fronte dell'accordo contrattuale, potrebbe discorrersi in termini di fusione soltanto in senso improprio, in quanto le dichiarazioni di volontà e gli interessi sono, per definizione, di contenuto diverso e opposto; onde ne è possibile, non la fusione, ma soltanto la convergenza (Messineo, 1961, 908). L'atto collettivo consiste, invece, nella manifestazione, da parte di più soggetti, di volontà aventi identico contenuto e dirette al raggiungimento del medesimo effetto, ma, diversamente da quanto avviene nell'atto complesso, nell'interesse di tutti i partecipanti, nel senso che tutti costoro risentiranno nella propria sfera giuridica degli effetti che la legge ricollega a quell'atto (Carresi, 70): le dichiarazioni di volontà non sono destinate a fondersi, bensì si sommano, restando distinte l'una dall'altra (Messineo, 1961, 906). Mentre appare agevole distinguere l'atto collettivo dall'accordo contrattuale di scambio — sotto il profilo della diversità degli interessi delle parti che si trovano e restano in conflitto — assai più ardua si è ritenuta l'individuazione del profilo discriminante tra atto collettivo e accordo contrattuale associativo, in cui ugualmente è sembrato ricorrere l'elemento della comunità degli interessi delle parti: al riguardo, si è prospettata una parziale coincidenza strutturale tra le due categorie, ritenendo atto collettivo ogni contratto associativo e riconoscendo al primo un'estensione più ampia e comprensiva di fenomeni ricorrenti in altri settori dell'ordinamento, come nella comunione dei diritti reali (Messineo, 1961, 906). Stante la difficoltà ricostruttiva, ai fini di caratterizzare la figura dell'atto collettivo rispetto all'accordo contrattuale, la dottrina ha allora richiamato la nozione di centro di interessi: nel senso che, mentre nel contratto, oltre ad una pluralità di parti, si hanno necessariamente più centri di interessi, nell'atto collettivo, diversamente, alla pluralità di parti corrisponde un unico centro di interessi, in quanto gli effetti che all'atto conseguono si indirizzano verso un unico lato anche se poi, essendo questo lato impersonato da più soggetti, si riverseranno frazionatamente nella sfera giuridica di ciascuno di essi. L'atto collegiale, infine, è l'atto che promana da una collettività organizzata di persone, ossia da un organo, composto da più soggetti, il quale provvede nell'interesse della collettività medesima; in esso spicca il carattere della volontà maggioritaria che comporta la coesistenza di altre volontà orientate in senso diverso, sebbene il peso di queste ultime resti, di regola, inefficace (Messineo, 1961, 909). Ove l'atto compiuto sia l'espressione di una collettività sfornita della personalità giuridica, gli effetti saranno risentiti da tutti indistintamente i componenti di quella collettività; in tal caso occorre distinguere tra efficacia dell'atto esterna alla collettività che lo ha espresso (dichiarazione di assemblea condominiale che stabilisca il licenziamento del portiere) ovvero interna alla sfera della collettività entro cui si esaurisce (delibera dell'assemblea condominiale che approva il regolamento di condominio): nelle due ipotesi l'efficacia degli atti si riaccosterà, rispettivamente, allo schema dell'atto collettivo o al contratto, ferma restando la diversa disciplina normativa dell'eventuale iter formativo collegiale dell'atto (Carresi, 85) Il contratto in termini «effettuali»L'accordo — come visto — può essere indirizzato a «costituire, regolare o estinguere tra le parti un rapporto giuridico patrimoniale». Sotto il profilo della costituzione, il contratto può essere il veicolo attraverso cui nasce un nuovo diritto, che può essere di credito, quale conseguenza della costituzione di un'obbligazione a carico di un contraente ed a favore dell'altro (cfr. l'art. 1173 c.c.), ovvero di natura reale, come nel caso di costituzione di una servitù (cfr. l'art. 1031 c.c.) o di usufrutto (cfr. l'art. 978 c.c.). Per quanto concerne l'aspetto regolatore, invece, esso concerne la modifica della fisionomia o della consistenza del diritto di credito o reale preso in considerazione dal contratto, come può avvenire in caso di cessione del credito (laddove il cessionario si sostituisce al cedente dal lato attivo del rapporto obbligatorio) o di trasferimento della servitù in luogo diverso da quello di esercizio originario. Con riferimento, infine, all'effetto estintivo, è quello proprio del contratto che pone fine al diritto e, con esso, al rapporto che quello sottende: anche in tal caso, l'effetto può concernere tanto i diritti di credito (si pensi alla compensazione volontaria), quanto i diritti reali (si pensi all'esercizio del riscatto del fondo enfiteutico). La casistica giurisprudenziale, relativa agli effetti riconducibili al contratto, è varia: a ) è pienamente ammissibile l'accordo o contratto normativo che, avendo ad oggetto la disciplina di negozi giuridici eventuali e futuri, dei quali fissa preventivamente il contenuto, non comporta il sorgere di un rapporto da cui scaturiscono immediatamente diritti ed obblighi per i contraenti, ma detta norme intese a regolare il rapporto, nel caso che le parti intendano crearlo (Cass. II, n. 6720/1981); b ) l'accertamento negoziale costituisce una figura (negoziale) di carattere generale, la cui funzione risiede nel fissare la portata di un negozio o il contenuto di un rapporto precedente con effetto immediatamente preclusivo di ogni ulteriore contestazione al riguardo. Esso può consistere anche nel riconoscimento dell'esistenza o dell'inesistenza di un diritto proprio del dichiarante, purché non si verta in materia sottratta alla disponibilità delle parti (Cass. III, n. 9687/2003): la sua efficacia dichiarativa deriva dalla natura di mera ricognizione degli obblighi già fissati in altro negozio, quello originario, cui si correla esigendo non necessariamente l'identità soggettiva delle rispettive parti, ma almeno quella dei soggetti, del rapporto oggetto di ricognizione che debbono esserne titolari (ad esempio, per successione); ne consegue che ha natura dispositiva il negozio che incida su rapporti di cui sono titolari soggetti differenti da quelli del rapporto originario, anche se esso muova dalla ricognizione di una situazione giuridica preesistente (Cass. I, n. 6739/2008). Sulla validità del negozio di accertamento si veda di recente Cass. II, n. 33777/2023. Il contratto come rapportoCome «rapporto», il contratto identifica il vincolo che si costituisce tra le parti contraenti, alla stregua del regolamento che esse stesse si sono autoimposte con l'accordo. Il contratto, ai sensi del successivo art. 1372 c.c., ha infatti forza di legge tra le parti e non produce effetti rispetto ai terzi, se non nei casi previsti dalla legge: sicché il regolamento negoziale che le parti hanno scelto va rispettato, sebbene difetti dei requisiti di generalità ed astrattezza tipici della legge, come se si prestasse ossequio ad una norma imperativa, restando ad esso tendenzialmente estranei i terzi. Viene così codificato il principio di relatività del contratto (Bianca, 523), posto a fondamento della sicurezza nella circolazione giuridica, volta a garantire la protezione dell'atto di scambio desumibile dalla causa del contratto e la relativa intangibilità: il vincolo negoziale — quantomeno in via di prima approssimazione — produce i suoi effetti limitatamente, cioè, alle parti contraenti le parti sono obbligate all'impegno assunto. Del medesimo tenore la giurisprudenza di legittimità, alla cui stregua il principio di relatività dell'efficacia del contratto sancito dall'art. 1372 c.c. si traduce nella limitazione del vincolo negoziale ai soli stipulanti: così Cass. sez. lav., n. 12781/2012, per cui, in applicazione di detto principio, la conciliazione giudiziale di una controversia attinente al rapporto di lavoro vincola solo gli stipulanti. Il contratto, dunque, rappresenta un regolamento (o meglio, un autoregolamento) di tipo privato, condividendo con la legge la sua impegnatività, garantita dall'azionabilità in sede giudiziaria, ove rimanga inadempiuto: le parti dunque non possono revocare unilateralmente la loro adesione all'impegno assunto (cfr. art. 1372, comma 1 c.c.) — che, anzi, devono eseguire rispettandone correttamente le statuizioni (cfr. art. 1175 c.c.) Il contratto come regolamentoLa valenza regolamentare del contratto rappresenta un riflesso diretto del ruolo riconosciuto alla volontà nell'ambito della realtà negoziale (cd. dogma della volontà). Alle parti è infatti riconosciuto, nell'ambito della loro autonomia negoziale, non solo di usare gli schemi predisposti dal legislatore, ma anche di crearne di nuovi, così come fissarne il contenuto; la stessa determinazione di addivenire alla conclusione di un contratto è rimessa alla libera determinazione delle parti. Sennonché, benché la liberta negoziale svolga un ruolo fondamentale nel raggiungimento dell'in idem placitum, cionondimeno esistono dei limiti che in alcuni casi la comprimono, come nel caso di alienazione di immobile concesso in locazione, in cui è riconosciuta al conduttore una prelazione legale rispetto ai terzi, in altri la annullano, come nelle ipotesi di obblighi a contrarre imposti dalla legge (cfr. l'art. 2597 c.c. in caso di esercizio di un'impresa in regime di monopolio). In altri casi ancora, infine, la libertà contrattuale è limitata in relazione al contenuto del contratto, nel senso che, tenendo conto delle posizioni squilibrate esistenti ab origine tra le parti, il legislatore ha ritenuto di riconoscere alla parte in posizione «deteriore» alcuni benefici, quale, ad esempio, il diritto di ripensamento nel caso di contratti B2C conclusi fuori dai locali commerciali. Analogo è il meccanismo, poi, nel caso di sostituzione automatica di clausole, ex artt. 1419, comma 2 e 1339 c.c., sebbene non connesso ad una posizione di squilibrio tra le parti La natura patrimoniale del rapporto giuridicoCaratteristica essenziale del contratto è rappresentata dalla natura patrimoniale del rapporto giuridico da esso regolato. Precisamente, l'accordo verte su un regolamento di rapporti patrimoniali quando i vantaggi e/o i sacrifici che ne conseguono sono tutti apprezzabili secondo valori di mercato: nondimeno, è integrato ugualmente il contratto anche quando alcuni di tali vantaggi non hanno carattere patrimoniale, perché riguardano beni giuridici o valori non patrimoniali, ma sono collegati — nell'ambito del regolamento concordato — a beni patrimoniali. Sicché, in tale prospettiva vanno astrattamente considerati contratti anche accordi che non potrebbero in alcun modo ricevere tutela dall'ordinamento, perché indubitabilmente contrari a norme imperative, ordine pubblico e buon costume, come l'assunzione, dietro corrispettivo, dell'obbligo di non contrarre matrimonio. Sono invece estranei all'ambito del contratto, quand'anche siano coinvolti interessi di natura patrimoniale, i negozi di diritto familiare e quelli mortis causa. La necessaria patrimonialità del rapporto contrattuale si ricollega evidentemente alla necessaria patrimonialità dell'obbligazione che dal contratto trae fonte, sicché può farsi riferimento a quest'ultima nel definire la patrimonialità del primo (Roppo, 1989, 98). La previsione di una clausola penale non è invece idonea, di per sé, ad attribuire carattere di patrimonialità ad una prestazione in sé priva di tale connotazione, potendo, al più, costituire un indice della volontà delle parti di assumere il vincolo sul piano del diritto (Rescigno, 1979, 185) Il rapporto contrattuale di fattoIl contratto di fatto o rapporto contrattuale di fatto è integrato quando il rapporto deriva da un contatto sociale qualificato, che prescinde dal contratto, ma che nondimeno si modella, in ragione di una qualificazione sociale tipica, sul contenuto di un contratto tipico (Bianca, 40): ciò accade anche quando il contratto che costituisce la fonte del rapporto non osservi le norme cogenti relative al concorso di determinati elementi richiesti a pena di nullità. Nella nozione di contratti di fatto si comprendono alcuni rapporti (società di fatto, lavoro subordinato di fatto, gestione di fatto) svoltisi come se siano costituiti su base negoziale, ma che tale fonte non hanno per non essere state osservate norme cogenti, relative al concorso di elementi determinati, richiesti a pena di nullità. In tali casi il contratto regolare non si costituisce, ma l'ordinamento intende salvare determinate situazioni costituitesi per effetto del rapporto svoltosi di fatto e stabilisce che, sulla base della specifica attività tenuta nell'ambito di un rapporto di fatto adeguantesi a quello giuridico, nasca una corrispondente obbligazione. Questa, pertanto, deriva da un fatto idoneo a produrla in conformità all'ordinamento giuridico, non da contratto e, quindi, si determina l'esigenza di determinare una norma che stabilisca, in relazione alla concreta attività svolta, il costituirsi di un'obbligazione con contenuto analogo a quello dell'obbligazione ex contractu. Ma allo stato della nostra legislazione positiva non sussiste una disciplina uniforme di una categoria generale di contratti di fatto, parallela a quella dei contratti regolari o di diritto (Cass. n. 2088/1967). Analogamente la più recente Cass. III, n. 24071/2017, per cui il contatto sociale qualificato, inteso come fatto idoneo a produrre obbligazioni ex art. 1173 c.c., e dal quale derivano, a carico delle parti, non obblighi di prestazione ai sensi art. 1174 c.c., bensì reciproci obblighi di buona fede, di protezione e di informazione, giusta gli artt. 2 Cost., 1175 e 1375 c.c., opera anche nella materia contrattuale, prescrivendo un autonomo obbligo di condotta che si aggiunge e concorre con l'adempimento dell'obbligazione principale, in quanto diretto alla protezione di interessi ulteriori della parte contraente, estranei all'oggetto della prestazione contrattuale, ma comunque coinvolti dalla realizzazione del risultato negoziale programmato. Più nello specifico, in tema di mediazione tipica, disciplinata dagli artt. 1754 ss. c.c., Cass. III, n. 16382/2009 evidenzia come essa si configura soltanto nel caso di attività svolta dal mediatore in modo autonomo, senza essere legato alle parti da alcun vincolo di mandato o di altro tipo, non costituendo un negozio giuridico, ma un'attività materiale dalla quale la legge fa scaturire il diritto alla provvigione: tuttavia, in virtù del «contatto sociale» che si crea tra il mediatore professionale e le parti, nella controversia tra essi pendente trovano applicazione le norme sui contratti, con la conseguenza che il mediatore, per andare esente da responsabilità, deve dimostrare di aver fatto tutto il possibile nell'adempimento degli obblighi di correttezza ed informazione a suo carico, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., e di non aver agito in posizione di mandatario. Sempre in tema di mediazione tipica si veda ad es.Trib. Nola I, n. 142/2024. Ampia poi la casistica con riguardo alla responsabilità della pubblica amministrazione per lesione dell'affidamento del privato. Ad es. Cass. S.U., n. 1567/2023: la responsabilità della pubblica amministrazione per il danno derivante dalla lesione dell'affidamento sulla correttezza dell'azione amministrativa, avente quale presupposto il mancato rispetto dei doveri di correttezza e buona fede gravanti sulla p.a., ha natura contrattuale e va inquadrato nello schema della responsabilità relazionale (o da contatto sociale qualificato, idoneo a produrre obbligazioni ai sensi dell' art. 1173 c.c.), sia nel caso in cui non sia stato emanato un provvedimento amministrativo, sia nel caso di emanazione di un provvedimento lesivo, sia nell'ipotesi di emissione e successivo annullamento di un atto ampliativo della sfera giuridica del privato; ne consegue che la controversia relativa all'accertamento della responsabilità dell'amministrazione rientra nella giurisdizione del giudice ordinario. BibliografiaAllara, La teoria generale del contratto, Torino, 1955; Benedetti, Dal contratto al negozio unilaterale, Milano, 1969; Betti, Teoria generale del negozio giuridico, Torino, 1960; Bianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Candian, Questioni in tema di formazione dei contratti, in Riv. dir. comm., 1916, I, 854; Carnelutti, Formazione progressiva del contratto, in Riv. dir. comm., 1916, II, 308; Cariota Ferrara, Il negozio giuridico, Napoli, 1948; Carresi, in Tr. C.M., 1987, 69; Cataudella, I contratti. Parte generale, Torino, 2014; Costanza, Il contratto atipico, Milano, 1981; Donisi, Il problema dei negozi giuridici unilaterali, Napoli, 1972; Donisi, voce Atti unilaterali, in Enc. giur., Milano, 1988; Ferri G.B., Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano, 1968; Ferri G.B., Saggi di diritto civile, Città di Castello, 1983; Ferri G.B., Contratto e accordo, in Studi sull'autonomia privata di Ferri e Angelici, Torino, 1997; Gabrielli, La nozione di contratto (appunti su contratto, negozio giuridico e autonomia privata), in Giur. It., 2018, 2780 ss.; Galgano, Diritto civile e commerciale, II, 1, Padova, 1993; Giorgianni, L'obbligazione, Milano, 1968; Gorla, Il contratto, Milano, 1955; Maiorca, voce Contratti standard, in Nss. D.I. - App., Torino, 1981; Messineo, Dottrina generale del contratto, Milano, 1948; Messineo, Manuale di diritto civile e commerciale, I, Milano, 1957; Messineo, voce Contratto (diritto privato), in Enc. dir., Milano, 1961; Messineo, voce Convenzione, in Enc. dir., Milano, 1962; Mirabelli, L'atto non negoziale nel diritto privato italiano, Napoli, 1955; Moscarini, Profili civilistici del contratto di diritto pubblico, Milano, 1988; Osti, voce Contratto, in Nss. D.I., Torino, 1959; Ravazzoni, La formazione del contratto, I, Milano, 1966, 75-90; Rescigno, Interpretazione del testamento, Napoli, 1952; Rescigno, voce Obbligazioni (nozioni), in Enc. dir., Milano, 1979; Rescigno, Consenso, accordo, convenzione, patto, in Riv. dir. comm., 1988, I, 3; Rescigno, voce Contratto, in Enc. giur., Milano, 1988; Rescigno, Manuale del diritto privato italiano, Napoli, 1989; Ricciuto, La formazione progressiva del contratto, in Tratt. Rescigno-Gabrielli, I contratti in generale, a cura di Gabrielli., 2a ed., Milano, 2006, I, 177; Roppo, Il contratto, Bologna, 1977; Roppo, voce Contratto, in Dig. civ., Torino, 1989; Sacco, De Nova, in Tr. Res., 1999, 7; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli rist. 1985; Scognamiglio, Contributo alla teoria del negozio giuridico, Napoli, 1950; Scognamiglio, in Comm. S.B., 1992, 11; Stolfi, Teoria del negozio giuridico, Padova, rist. 1961; Tamburrino, I vincoli unilaterali nella formazione del contratto, Milano, 1954; Tamburrino, I vincoli unilaterali nella formazione progressiva del contratto, Milano, 1991; Vitucci, I profili della conclusione del contratto, Milano, 1968. |