Codice Civile art. 1323 - Norme regolatrici dei contratti.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Norme regolatrici dei contratti.

[I]. Tutti i contratti, ancorché non appartengano ai tipi che hanno una disciplina particolare [1322 2], sono sottoposti alle norme generali contenute in questo titolo.

Inquadramento

Il legislatore si è preoccupato di dettare una completa disciplina dei contratti che maggiormente si sono affermati nella pratica degli scambi e che, da un punto di vista classificatorio, si identificano con la locuzione «contratti tipici»: tale disciplina speciale prevale, ove incompatibile, su quella generale prevista per il contratto.

Sono, al contrario, atipici quei contratti la cui creazione è interamente rimessa al potere di regolamento delle parti, in base all'autonomia loro riconosciuta dall'art. 1322 c.c.: non essendo dotati di una definizione legale sono anche detti contratti «innominati» e sono, perciò, sottoposti, in virtù di quanto previsto dall'art. 1323 c.c., al regime generale dei contratti, salvo per il caso di quei contratti che, pur atipici, hanno particolare vicinanza o affinità con un tipo normativamente previsto del quale, nel caso, assumono la disciplina.

La Cass. III, n. 2665/1980 chiarisce, in proposito, che un contratto non può considerarsi atipico solo in relazione alla particolarità del suo oggetto o alla limitata frequenza statistica della sua stipulazione, ma solo in relazione alla non perfetta identità della sua causa con quella normativamente prevista e disciplinata dal diritto positivo.

Una sottospecie del contratto atipico è, infine, rinvenibile nei contratti misti, i quali si caratterizzano per essere formati dall'unione — ora per cumulo (totale o parziale), ora per fusione — di elementi di due o più contratti tipici che, combinati tra loro, perseguono uno scopo autonomo e diverso da quello dei contratti da cui traggono detti elementi. Appare evidente come il problema principale sia, in tal caso, quello della identificazione della disciplina da applicare.

La Cass. I, n. 2795/1967 evidenzia come il contratto misto — sottospecie della più vasta classe del negozio composto — è caratterizzato dal fatto che la fusione delle cause proprie alle singole convenzioni riunite fa si che gli elementi distintivi di ognuna di queste vengano assunti quali elementi di un negozio unico, sotto qualche aspetto divergente dai tipi dei suoi componenti, onde, appunto a causa di ciò, esso viene a configurarsi come unità negoziale atipica

I contratti atipici

Un contratto può essere qualificato come atipico allorché esorbita dagli schemi disciplinati espressamente dalla legge: sicché l'elemento in base al quale si può ravvisare un contratto innominato non consiste tanto nella mera ed occasionale difformità di uno degli elementi che, secondo lo schema legale di un contratto tipico, ne costituisce una componente strutturale costante quanto, piuttosto, ma l'essere il rapporto del tutto estraneo al tipo normativo, perche trae le proprie ragioni di essere dall'adeguamento degli strumenti giuridici alle mutevoli esigenze della vita sociale e dei rapporti economici.

Il problema della qualificazione di un negozio giuridico in termini di tipicità o meno si risolve in due distinte operazioni o fasi: la prima concretantesi nell'accertamento degli elementi costitutivi dell'attività negoziale e delle finalità pratiche perseguite dalle parti, la seconda consistente nell'attribuzione del nomen iuris, previa interpretazione sul piano giuridico dei suddetti elementi, in base al modello della sussunzione, cioè del confronto tra fattispecie contrattuale concreta e tipo astrattamente definito dalla norma per verificare se la prima corrisponde al secondo (Cass. III, n. 13399/2005). L'operazione ermeneutica predetta assume, peraltro, una rilevanza di particolare importanza, se sol si considera che il giudice ben può dare al negozio sottoposto al suo esame una qualificazione giuridica diversa da quella data dai soggetti del negozio stesso.

Per ciò che concerne la disciplina applicabile agli stessi, la previsione contenuta all'art. 1323 c.c. non è esaustiva, nel senso che le norme generali sul contratto potrebbero non essere sufficienti a risolvere le questioni che possono insorgere in relazione ad effetti contrattuali particolari: sicché, come anticipato, dovrà ricorrersi alla disciplina (non più generale, ma) speciale di quei contratti che, pur tipici, hanno particolare vicinanza o affinità con il negozio atipico de quo vertitur, secondo un procedimento che non è più di applicazione diretta quanto, piuttosto, di applicazione analogica.

Si è pertanto osservato, in dottrina (Scognamiglio, 47) che, in difetto di un'espressa previsione negoziale, ai contratti atipici sono applicabili in via analogica le disposizioni contemplate per altri negozi ad essi assimilabili per natura e funzione economico-sociale.

Afferma il medesimo principio la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale ai contratti non espressamente disciplinati dal codice civile sono applicabili — oltre alle norme generali in materia di contratti — quelle regolatrici dei singoli contratti nominati tutte le volte in cui il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi delle parti, evidenzi l'esistenza di situazioni analoghe a quelle disciplinate da queste ultime (Cass. III, n. 574/2005). Nel medesimo senso la Cass. III, n. 18229/2003, per cui ai contratti non espressamente disciplinati dal codice civile possono legittimamente applicarsi, oltre alle norme generali in materia di contratti, anche le norme regolatrici dei contratti nominati, quante volte il concreto atteggiarsi del rapporto, quale risultante dagli interessi coinvolti, faccia emergere situazioni analoghe a quelle disciplinate dalla seconda serie di norme. La casistica è ampia: 1) in tema di rapporti tra mediazione e contratto atipico di procacciamento di affari, dette figure, pur accomunate dallo svolgimento di un'attività di intermediazione diretta a favorire la conclusione di un affare tra terzi, con conseguente applicazione di alcune identiche disposizioni in materia di diritto alla provvigione, divergono tra loro in quanto il mediatore presta la propria opera in posizione di imparzialità tra le parti, mentre il procacciatore di affari agisce, al contrario, nell'esclusivo interesse di una di esse, sia pur in virtù di un rapporto di collaborazione privo del carattere della stabilità, con conseguente applicazione analogica, nei confronti dello stesso, delle disposizioni del contratto d'agenzia, ivi comprese quelle in materia di prescrizione del diritto al compenso (Cass. II, n. 27370/2016); 2) il contratto con il quale il proprietario di un terreno ne trasferisca la disponibilità a terzi per la sua destinazione a discarica di rifiuti, secondo modalità negozialmente predeterminate e del tutto peculiari (nella specie, escavazione del terreno per consentire lo smaltimento dei rifiuti con il sistema dello stoccaggio definitivo; corrispettivo stabilito in ragione dei metri cubi di riempimento dello scavo; previsione di opere di bonifica a carico del conduttore anche dopo la chiusura della discarica), integra gli estremi di un contratto atipico cui, in via analogica, sono legittimamente applicabili le norme sulla locazione, atteso lo scopo pratico del negozio che ne evidenzia la causa in concreto, in correlazione alla quale va conformata la disciplina del contratto atipico (Cass. III, n. 7557/2011); 3) in tema di locazione finanziaria cd. «traslativa», qualora tale tipo contrattuale si risolva per inadempimento dell'utilizzatore, la disciplina applicabile in via analogica è quella dettata dall'art. 1526 c.c. per la risoluzione del contratto di vendita con riserva di proprietà, di talché il venditore, da un canto, deve restituire i canoni riscossi, dall'altro, ha diritto ad un equo compenso per l'uso della cosa, oltre al risarcimento del danno, l'equo compenso ricomprendendo la remunerazione del godimento del bene, il deprezzamento conseguente alla sua non commerciabilità come nuovo, il logoramento per l'uso (escluso, pertanto, il mancato guadagno), il risarcimento del danno derivando, a sua volta, da un (eventuale) deterioramento anormale della cosa dovuto all'utilizzatore. In particolare, quanto al risarcimento del danno, se il contratto ne preveda la liquidazione attraverso una clausola penale, questa può essere ridotta dal giudice (art. 1384 c.c.) se eccessiva, tenendo conto del guadagno che il concedente si attendeva dal contratto se l'utilizzatore avesse adempiuto alla propria obbligazione di pagamento dei canoni, senza che, in contrario, possano ritenersi funzionali ad altra, diversa interpretazione le disposizioni di cui agli artt. 13 ss. della Convenzione di Ottawa dettate in tema di leasing internazionale (e recepite dall'ordinamento italiano con l. n. 259/1993), le quali, per converso, se rettamente interpretate, conducono a soluzione ermeneutica affatto analoga a quella sopra indicata (Cass. III, n. 574/2005, cit.); 4) con riguardo al contratto di mutuo, la consegna di un assegno di conto corrente, in luogo della datio di una somma di danaro, può incidere sul momento perfezionativo del contratto, ovvero può comportare la conclusione di un contratto atipico, assoggettabile per analogia alla disciplina del mutuo, ma non costituisce elemento idoneo ad escludere la sussistenza stessa del prestito (Cass. II, n. 12926/1991)

I contratti misti

Spesso il contratto atipico risulta dalla combinazione, in un unico contratto, di più contratti tipici: si discorre, dunque, di contratti misti, con tale accezione intendendosi una sottospecie del contratto atipico.

In giurisprudenza il contratto è definito misto o complesso quando la combinazione di elementi propri di più contratti tipici sia attuata dalle parti all'interno di uno schema contrattuale unitario e in relazione ad una causa unitaria, nel senso che le plurime prestazioni, tra esse intimamente e organicamente connesse nonché reciprocamente condizionate nella loro essenza e modalità di esecuzione, risultano preordinate al raggiungimento di un medesimo intento, così da dar vita ad un rapporto convenzionale unitario e con propria individualità (Cass. III, n. 1346/1978).

In dottrina è stato osservato come il contratto misto sia connotato da una causa mista, ma pur sempre unitaria (Carresi, 310), ovvero da una pluralità di cause concorrenti in un rapporto unico (Bianca, 451).

Quanto alla disciplina in tal caso applicabile, la tesi sostenuta in dottrina e giurisprudenza è quella dell'assorbimento (o della prevalenza), secondo cui al contratto misto si applica la disciplina corrispondente al contenuto negoziale tipico e di maggior rilievo ovvero prevalente nelle finalità pratiche delle parti.

In dottrina, in realtà, le tesi sostenute sono state molteplici, sebbene quella dell'assorbimento, già oggetto di specifica previsione legislativa in materia di contratti agrari e desumibile, in via generale, dal combinato disposto degli artt. 1322 e 1323 c.c. (Sacco, 554), sia risultata quella definitivamente accolta dall'impostazione maggioritaria. Così, ad esempio, altra dottrina (Mirabelli, 29) ritiene che il criterio cui fare riferimento per la determinazione della disciplina applicabile ai contratti misti sarebbe quello dell'analogia, non dissimilmente da quanto avviene per i contratti innominati in generale mentre, per una diversa impostazione, la disciplina applicabile dovrebbe essere individuata sulla scorta del criterio della combinazione, ossia del riferimento alle norme corrispondenti di ciascun tipo, in quanto compatibili, in base ai singoli aspetti concretamente controversi.

Opta decisamente per la tesi dell'assorbimento, come anticipato, la giurisprudenza di legittimità, per cui, ove sia integrata una fattispecie di contratto misto, ad essa si applica la disciplina corrispondente al contenuto negoziale tipico e di maggior rilievo ovvero prevalente nelle finalità pratiche delle parti (Cass. S.U., n. 11656/2008). Di recente, ad esempio, Cass. III, n. 26874/2023, con riferimento al contratto di transazione con contestuale trasferimento della proprietà di alcuni beni: la sua disciplina giuridica è quella risultante dalle norme del contratto tipico nel cui schema sono riconducibili gli elementi prevalenti (la compravendita), senza escludere ogni rilevanza giuridica degli altri elementi voluti dalle parti e che concorrono a fissare il contenuto e l'ampiezza del vincolo contrattuale, ai quali si applicano le norme proprie del contratto cui essi appartengono, in quanto compatibili (la transazione).

Diversi dal contratto misto (o con causa mista) sono il contratto complesso, derivante dalla combinazione di contratti tipici nel loro complesso, anziché pro parte, ed i contratti collegati, schema negoziale in cui si assiste alla presenza di più contratti autonomi, ma coordinati tra loro al fine di attuare una unitaria e complessa operazione negoziale: il collegamento, dunque, non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma anche se ciascuno è finalizzato ad un unitario regolamento dei reciproci interessi, sicché, pur determinandosi, tra loro, un vincolo di reciproca dipendenza, in virtù del quale le vicende relative all'invalidità, all'inefficacia ed alla risoluzione dell'uno possono ripercuotersi sugli altri, ciascuno di essi mantiene una propria individualità giuridica.

In particolare, osserva Cass. III, n. 9447/2007, si ha collegamento negoziale quando due o più contratti, ciascuno con propria autonoma causa, non siano inseriti in un unico negozio composto (misto o complesso), ma rimangano distinti, pur essendo interdipendenti, soggettivamente o funzionalmente, per il raggiungimento di un fine ulteriore, che supera i singoli effetti tipici di ciascun atto collegato, per dar luogo ad un unico regolamento di interessi, che assume una propria diversa rilevanza causale. Il collegamento negoziale, cioè, non dà luogo ad un nuovo ed autonomo contratto, ma è un meccanismo attraverso il quale le parti perseguono un risultato economico unitario e complesso, che viene realizzato non per mezzo di un singolo negozio ma attraverso una pluralità coordinata di contratti, che conservano una loro causa autonoma, ancorché ciascuno sia finalizzato ad un unico regolamentazione dei reciproci interessi, sicché il vincolo di reciproca dipendenza non esclude che ciascuno di essi si caratterizzi in funzione di una propria causa e conservi una distinta individualità giuridica, spettando i relativi accertamenti sulla natura, entità, modalità e conseguenze del collegamento negoziale al giudice di merito (Cass. L., n. 18585/2016).

È però necessario che ricorrano, a tal fine, sia il requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra i negozi, volti alla regolamentazione degli interessi reciproci delle parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia il requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere non solo l'effetto tipico dei singoli negozi in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale (Cass. II, n. 5851/2006). Sul punto Cass. III, n. 22216/2018, che estende tale indagine anche ad atti eterogenei tra loro (contratti, provvedimenti amministrativi, accordi non aventi contenuto patrimoniale): affinché possa configurarsi un collegamento tra essi, con una loro considerazione unitaria allo scopo di trarne un vincolo a carico di una parte, è necessario che ricorra sia un requisito oggettivo, costituito dal nesso teleologico tra gli atti volti alla regolamentazione degli interessi di una o più parti nell'ambito di una finalità pratica consistente in un assetto economico globale ed unitario, sia un requisito soggettivo, costituito dal comune intento pratico delle parti di volere, non solo l'effetto tipico dei singoli atti in concreto posti in essere, ma anche il coordinamento tra di essi per la realizzazione di un fine ulteriore, che ne trascende gli effetti tipici e che assume una propria autonomia anche dal punto di vista causale. Accertare la natura, l'entità, le modalità e le conseguenze del collegamento tra tale eterogeneo complesso di atti (negoziali, autoritativi, ecc.) rientra nei compiti esclusivi del giudice di merito, il cui apprezzamento non è sindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione congrua ed immune da vizi logici e giuridici. Da ultimo Cass. II, n. 677/2024, con riferimento a un contratto di web marketing e al contratto di finanziamento per assicurarsi la provvista necessaria al pagamento del corrispettivo.

Con specifico riferimento, poi, all'elemento soggettivo si è chiarito (Cass. II, n. 18655/2004) che la fattispecie del collegamento negoziale è configurabile anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, purché essi risultino concepiti e voluti come funzionalmente connessi e tra loro interdipendenti, onde consentire il raggiungimento dello scopo divisato dalle parti.

Anche in tal caso la casistica è varia: 1) l'operazione di leasing finanziario, pur non dando luogo a un contratto plurilaterale, realizza un collegamento negoziale tra contratto di fornitura e contratto di leasing, che legittima l'utilizzatore a esercitare in nome proprio le azioni scaturenti dal contratto di fornitura; pertanto,la clausola compromissoria contenuta nel contratto di fornitura deve ritenersi operante anche nei confronti dell'utilizzatore (Cass. VI, n. 20825/2018); 2) il rapporto tra contratto di agenzia ed incarico accessorio di supervisione deve essere ricostruito attraverso lo schema del collegamento negoziale, con vincolo di dipendenza unilaterale: i contratti accessori, infatti, seguono la sorte dei contratti principali cui accedono, ma non ne mutuano la disciplina, onde ciascuno di essi rimane assoggettato alle proprie regole (legali o convenzionali) ed il vincolo di collegamento, vale a dire l'interdipendenza esistente tra i due rapporti negoziali, rileva solo nel senso che le vicende del rapporto principale si ripercuotono sul rapporto accessorio, condizionandone la validità e l'efficacia. Ne deriva che la revoca dell'incarico accessorio, proprio in quanto riferito ad un rapporto contrattuale distinto da quello di agenzia, non può dispiegare alcun effetto su quest'ultimo, né sotto il profilo della pretesa inadempienza del preponente revocante agli obblighi discendenti dal contratto di agenzia, né dall'angolo visuale di una pretesa carenza di interesse del medesimo preponente alla prosecuzione del rapporto di agenzia (Cass. L, n. 16940/2018).

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