Codice Civile art. 1326 - Conclusione del contratto.Conclusione del contratto. [I]. Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell'accettazione dell'altra parte [1335]. [II]. L'accettazione deve giungere al proponente nel termine da lui stabilito o in quello ordinariamente necessario secondo la natura dell'affare o secondo gli usi [1328 2]. [III]. Il proponente può ritenere efficace l'accettazione tardiva, purché ne dia immediatamente avviso all'altra parte [1175]. [IV]. Qualora il proponente richieda per l'accettazione una forma determinata [1352], l'accettazione non ha effetto se è data in forma diversa. [V]. Un'accettazione non conforme alla proposta equivale a nuova proposta. InquadramentoL'accordo contemplato dall'art. 1321 c.c., quale fondamento e sostanza del contratto, viene raggiunto attraverso l'incontro delle volontà delle parti coinvolte nell'operazione negoziale. Ciò può avvenire: a) secondo lo schema «base» fornito dall'art. 1326 c.c. e, dunque, mediante lo scambio di proposta ed accettazione tra persone lontane (tale è, invero, il presupposto della norma in esame, come si evince dai commi 1 e 2 della menzionata disposizione), variamente «mitigato» o, meglio, adattato, alle varie tipologie di contratti contemplati dagli artt. 1327, 1332, 1333 e 1341 c.c.); b) mediante la elaborazione del testo contrattuale ad opera delle parti contestualmente presenti ovvero di un terzo (che sottoponga loro uno schema di contratto, cui le parti medesime dichiarino di aderire); c) mediante la previsione, in aggiunta al consenso quale elemento essenziale al perfezionamento della fattispecie, della consegna del bene oggetto della prestazione (cd. contratti reali ovvero che re perficiuntur) — ciò è quanto è previsto, ad esempio, nel caso del mutuo (cfr. art. 1813 c.c., sia pure con alcune perplessità: si rimanda, in proposito, al relativo commento), del comodato (cfr. art. 1803 c.c.), del deposito (art. 1766 c.c.) del contratto estimatorio (art. 1556 c.c.) — nel senso che, anteriormente alla traditio, il contratto non sarebbe radicalmente nullo ma in itinere, ossia in fase di formazione (Messineo, 1961, 883). Sotto diverso — ma concorrente — profilo, va infine evidenziato come l'accordo non sempre viene raggiunto semplicemente, spesso richiedendo, al contrario, lunghi e complessi incontri tra le parti, che prendono il nome di trattative: esse si collocano, dunque, in una fase preliminare a quella costitutiva del contratto, pur non mancando di riverberare i propri effetti su di un contratto validamente concluso, giacché la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nel loro svolgimento (cfr. art. 1337 c.c.) assume rilievo non soltanto nel caso di rottura ingiustificata delle trattative, ovvero qualora sia stipulato un contratto invalido o inefficace, ma anche, quale dolo incidente (cfr. art. 1440 c.c.), se il contratto concluso sia valido e tuttavia risulti pregiudizievole per la parte rimasta vittima del comportamento scorretto (Cass. I, n. 19024/2005; Cass. S.U., n. 26724/2007) La propostaLa proposta rappresenta l'atto con cui una parte assume l'iniziativa per la conclusione del contratto, prospettandone il contenuto regolamentare ad un'altra parte (cd. oblato) — cui l'atto medesimo è rivolto (donde la natura recettizia di tale dichiarazione) — la quale, salvo casi particolari (come, ad esempio, nell'ipotesi di esercizio di un'attività imprenditoriale in regime di monopolio, ex art. 2597 c.c.), è libera di aderirvi o meno, manifestando il proprio consenso mediante un atto speculare che prende il nome di accettazione: per essere tale e giuridicamente vincolante, dunque, la proposta deve essere completa, nel senso che deve contenere, direttamente ovvero per relationem, tutti gli elementi che consentono di determinare il contenuto del contratto, in maniera così puntuale che alla sua conclusione possa giungersi mediante la semplice accettazione. Conforme è la giurisprudenza, la quale evidenzia come la proposta di concludere un contratto, costituendo un atto giuridico di natura negoziale diretto a provocare l'accettazione da parte del destinatario, deve contenere la completa formulazione del regolamento negoziale, attraverso la predisposizione di corrispettivi vincolanti ai fini dell'esecuzione delle prestazioni, in modo tale da richiedere la pura e semplice accettazione dell'altro contraente, senza ulteriori integrazioni (Cass. VI-1, n. 15856/2012). Nel medesimo senso è stato altresì puntualizzato che, ai fini della configurabilità di un definitivo vincolo contrattuale, è necessario che tra le parti sia raggiunta l'intesa su tutti gli elementi dell'accordo, non potendosene ravvisare pertanto la sussistenza là dove, raggiunta l'intesa solamente su quelli essenziali e ancorché riportati in apposito documento, risulti rimessa a un tempo successivo la determinazione degli elementi accessori: pertanto, anche in presenza del completo ordinamento di un determinato assetto negoziale, può risultare integrato un atto meramente preparatorio di un futuro contratto, come tale non vincolante tra le parti, in difetto dell'attuale effettiva volontà delle medesime di considerare concluso il contratto, il cui accertamento, nel rispetto dei canoni ermeneutici di cui agli art. 1362 e ss. c.c., è rimesso alla valutazione del giudice di merito (Cass. III, n. 11371/2010; Cass. II, n. 2561/2009). Diversa è, ovviamente, l'ipotesi in cui gli elementi — anche essenziali — del contratto siano evincibili ab externo, a condizione, però, che siano predeterminati: così, è stato chiarito che l'accettazione della proposta contrattuale di compravendita, anche ove quest'ultima sia irrevocabile in forza di un patto d'opzione, è idonea a segnare il perfezionamento del contratto, e quindi a spiegare effetto traslativo della proprietà della cosa venduta, non soltanto quando il prezzo sia stabilito in detta proposta o in quel patto d'opzione, ma anche quando sia determinabile alla stregua di criteri, riferimenti o parametri precostituiti, così che la sua successiva concreta quantificazione sia ricollegabile ad un'attività delle parti di tipo meramente attuativo e ricognitivo (Cass. I, n. 1332/2017). Osta alla configurabilità di una proposta in senso stretto, al contrario, la presenza di riserve sul suo carattere attualmente impegnativo, perché la dichiarazione che non manifesti una decisione, ma sia rivolta al destinatario solo per impostare una trattativa o per esprimere una disponibilità dell'autore senza la volontà di esporsi al vincolo contrattuale se non dopo ulteriori passaggi valutativi, non conferisce al destinatario stesso il potere di determinare, con l'accettazione, l'effetto conclusivo del contratto (Cass. II, n. 15964/2009). In dottrina, però, in senso contrario, è stato sostenuto che la proposta accompagnata dalla dichiarazione «senza impegno» avrebbe comunque rilevanza giuridica come atto idoneo a costituire il contratto, semplicemente aggiungendosi al potere di revoca già spettante al proponente — cfr. l'art. 1328 c.c. — l'ulteriore potere di sottrarsi agli effetti dell'accettazione, con la conseguenza che il successivo e favorevole scioglimento (anche implicito) della riserva, determinerebbe la conclusione del contratto. Così Scognamiglio, 90 ss.). Una proposta incompleta vale, invece, come invito a proporre o ad offrire (Roppo, 1989, 4) e, cioè, quale sollecitazione al destinatario a che sia questi a formulare una proposta. Sostanzialmente diversa dall'invito ad offrire è, invece, la proposta rivolta al pubblico (o in incertam personam ) e, cioè, ad una pluralità più o meno indeterminata di destinatari (cfr. art. 1336 c.c.), anziché ad un oblato specifico e determinato (cfr. infra), la quale manifesta, sia pure tacitamente, la volontà attuale del proponente di concludere il contratto e deve essere, perciò, completa, contenendo gli estremi essenziali del contratto (Osti, 520. Si tornerà comunque sull'argomento nel commento all'art. 1336 c.c.). Discussa è stata, inoltre, la natura della proposta (ma il discorso è analogo per l'accettazione), distinguendosi tra chi ravvisa in essa un atto giuridico in senso stretto, chi un atto prenegoziale e chi un negozio giuridico unilaterale. La giurisprudenza è tuttavia consolidata nel senso di qualificare la proposta in termini di atto giuridico di natura negoziale: ad esempio, Cass. VI-1, n. 15856/2012 chiarisce che la proposta di concludere un contratto, costituendo un atto giuridico di natura negoziale diretto a provocare l'accettazione da parte del destinatario, deve contenere la completa formulazione del regolamento negoziale, attraverso la predisposizione di corrispettivi vincolanti ai fini dell'esecuzione delle prestazioni, in modo tale da richiedere la pura e semplice accettazione dell'altro contraente, senza ulteriori integrazioni e, pertanto, non può essere qualificata come proposta in senso tecnico-giuridico la mera richiesta di esecuzione della prestazione, ancorché comprensiva di indicazioni relative alle condizioni economiche del futuro contratto (nei medesimi termini Cass. II, n. 15510/2010). Ciò non implica, però, che alla proposta (ed all'accettazione) siano applicabili tutti i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 ss. c.c.: in particolare, non ha spazio di operatività il criterio della comune intenzione e del comportamento complessivo delle parti, anche in ragione dell'argomento che può trarsi dalla previsione dell'art. 1362 c.c., che lo riferisce all'esegesi del contratto concluso e non in via di formazione, mentre nella ricostruzione della volontà del dichiarante trova certamente applicazione il criterio dell'interpretazione complessiva dell'atto di cui all'art. 1363 c.c. (Cass. L, n. 41/1990). Quanto, poi, alla forma, il generale principio di libertà incontra un limite nella forma legale (art. 1350 c.c.) o convenzionale (cfr. art. 1352 c.c.) prevista per la conclusione del contratto, che permea di sé anche la forma della proposta (e dell'accettazione): eccezionalmente, poi, la proposta può presentarsi nella forma della dichiarazione tacita, purché siano utilizzati mezzi idonei a rendere edotta la controparte del proposito di concludere un certo contratto (Scognamiglio, 91). In merito ai contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam (nella specie compravendita immobiliare), è stato non solo chiarito che la loro conclusione tra persone lontane postula che alla proposta in forma scritta segua la accettazione anche essa in forma scritta (Cass. II, n. 7313/2017), ma anche che, l'operatività del principio secondo cui il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l'individuazione o quantomeno l'individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente prima che lo stesso abbia avuto notizia, anche in forma verbale o per facta concludentia, purché in modo idoneo a giungere a conoscenza dell'altra parte, dell'accettazione della controparte (Cass. II, n. 7543/2016). Peraltro, a precisazione di quanto precede va chiarito che la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l'ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti ex nunc e non ex tunc, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano, con la conseguenza che tale meccanismo non opera se l'altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l'estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi (Cass. I, n. 5959/2016). Di recente Cass. II, n. 2558/2024, di nuovo con riferimento ai contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam (nella specie un contratto preliminare di compravendita immobiliare), ha confermato l'operatività del principio secondo cui il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base a un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte. Occorre però che detto documento abbia tutti i requisiti necessari a integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l'individuazione o quantomeno l'individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente. Quanto, invece, ai contratti cd. «mono-firma», è da evidenziare un recente intervento delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 898/2018) che, sia pure con riferimento alla peculiare fattispecie rappresentata dai contratti quadro relativi alla prestazione di servizi di investimento, ha affermato (in contrasto con recenti precedenti di legittimità: cfr., ex multis, Cass. I, n. 7068/2016) che il requisito della forma scritta imposto per questi ultimi a pena di nullità dall'art. 23, d.lgs. n. 58/1998 (cd. TUF) è rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente ed è sufficiente la sola sottoscrizione del cliente stesso, non essendo necessaria anche la sottoscrizione della banca, il cui consenso si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dalla stessa tenuti: ciò in quanto il requisito della forma scritta va inteso, in simile caso, in senso non strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell'investitore assunta dalla norma. La proposta cessa di avere efficacia a ) per il rifiuto dell'oblato, b ) se l'accettazione perviene a conoscenza del proponente oltre il termine da lui stabilito, ovvero quello necessario secondo la natura degli affari o gli usi (art. 1326, comma 2 c.c.), salvo che il proponente ritenga efficace l'accettazione tardiva (ed in tal caso deve darne immediatamente avviso all'altra parte, ex art. 1326, comma 3 c.c.), c ) per la morte o sopravvenuta incapacità del proponente o dell'accettante (arg. dall'art. 1330 c.c.) prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di imprenditore nell'esercizio dell'impresa e d ) per sua revoca (cfr. art. 1328, comma 1 c.c.), salvo i casi di proposta irrevocabile. Con particolare riferimento all'ipotesi di scadenza del termine (cfr. supra, sub b), va precisato che il termine di efficacia di una proposta contrattuale deve essere distinto da quello di irrevocabilità della proposta stessa, l'uno avendo la funzione di stabilire il lasso di tempo entro il quale deve pervenire al proponente la relativa accettazione, l'altro essendo diretto a fissare i limiti di durata di quell'ulteriore e specifica manifestazione di volontà necessaria affinché una semplice proposta contrattuale acquisti anche il suddetto eccezionale carattere dell'irrevocabilità; con la duplice conseguenza di una possibile diversità di ampiezza dei due termini e dell'insufficienza della sola indicazione del termine ai fini dell'acquisizione dell'irrevocabilità (Cass. II, n. 18001/2010). Essa, infine, è cedibile, nei medesimi termini e limiti entro cui è cedibile il contratto a cui è preordinata (Sacco, 724 ss): ne discende che, ove il contratto sia cedibile mediante girata del documento, ex art. 1407 c.c., nello stesso modo sarà cedibile anche la relativa proposta. Denuntiatio e proposta contrattuale Discussa, in giurisprudenza, è, poi, la natura della denuntiatio: in particolare, si afferma costantemente che in tema di prelazione e di riscatto agrario la denuntiatio, cui è tenuto il proprietario venditore del fondo ai sensi degli artt. 8, l. n. 590/1965 e 7, l. n. 817/1971, è una proposta contrattuale, che deve necessariamente rivestire la forma scritta ad substantiam, in quanto diretta ad assicurare esigenze di certezza anche nei confronti del terzo acquirente per l'ipotesi di mancato tempestivo esercizio della prelazione (Cass. III, n. 2187/2014. Conforme, Cass. III, n. 12883/2016): sicché ai fini del perfezionamento del contratto, è sufficiente l'accettazione della proposta di alienazione contenuta nella denuntiatio, costituendo il pagamento differito del prezzo solo una condicio iuris per il trasferimento di proprietà (Cass. III, n. 25419/2013); diversamente, però, in tema di dismissione del patrimonio immobiliare da parte degli enti pubblici, si è affermato che la denuntiatio che il proprietario/locatore effettua, ai sensi dell'art. 3, comma 109 l. n. 662/1996, non integra una proposta contrattuale ma un atto dovuto di interpello e la dichiarazione del conduttore di esercizio del diritto di prelazione non costituisce accettazione della proposta, né comporta l'immediato acquisto dell'immobile ma determina solo l'insorgenza dell'obbligo, a carico di entrambe le parti, di pervenire alla conclusione del contratto, con possibilità di tutela ex art. 2932 (Cass. III, n. 9972/2008). Nel medesimo senso Trib. Torino 19 giugno 2015, per cui la denuntiatio costituisce una mera dichiarazione della intenzione di vendere, ed ha la finalità di dare vita ad una contrattazione, di provocare da parte dell'oblato una proposta di acquisto che tuttavia non perfeziona il contratto, essendo necessaria la conforme accettazione della controparte). L'accettazioneLa proposta, come detto, è rivolta ad un soggetto, il cd. oblato, che viene così messo nella condizione di prestare adesione al programma negoziale predisposto dal proponente, mediante una propria manifestazione di volontà che prende il nome di accettazione: anche in questo caso, dunque, si è di fronte, ad un atto negoziale unilaterale (cfr. supra, in relazione alla natura della proposta). L'accettazione cd. «ordinaria» è caratterizzata da due attributi, ossia la conformità alla proposta e la tempestività. Quanto alla conformità, essa opera sul piano contenutistico ed indica che la volontà dell'oblato è perfettamente sovrapponibile a quella del proponente, nel senso che il contenuto dell'accettazione è totalmente corrispondente a quello della proposta: un'accettazione che non riproduca il medesimo contenuto sostanziale enunciato dal proponente (perché parziale o modificativa) deve considerarsi una nuova proposta (cfr. art. 1326, comma 5 c.c.) e, pertanto, determina un'inversione della posizione delle parti, con il proponente originario che assume la veste di oblato rispetto alla manifestazione di volontà proveniente dal contraente cui aveva indirizzato la propria proposta. Una proposta e un'accettazione apparentemente non conformi possono essere, cionondimeno, efficaci ai fini della conclusione del contratto, come nel caso in cui la proposta contenuta in un unico atto-documento sia in realtà sviluppata su più proposte, ovvero nel caso di accettazione pura, sebbene accompagnata da una proposta di modifica, che comunque dà luogo alla conclusione del contratto, salva la facoltà per il proponente di accettare a sua volta la proposta di modifica o di rifiutarla (Sacco, 96). A tale riguardo, in giurisprudenza si è chiarito che: a ) l'obiettiva difformità fra proposta ed accettazione in ordine ad un elemento essenziale comporta che il contratto non possa considerarsi venuto a giuridica esistenza, senza che in detta ipotesi sia configurabile un contratto annullabile per errore sulla portata della propria dichiarazione o sull'interpretazione della dichiarazione altrui, in quanto questo presuppone che la proposta e l'accettazione siano convergenti obiettivamente sull'identico dato, peraltro divergente solo nella rappresentazione soggettiva (Cass. II, n. 3854/1985); b ) l'ipotesi prevista dall'art. 1326, comma 5 c.c. ricorre anche quando le modifiche richieste in sede di accettazione siano di valore secondario (Cass. II, n. 2472/1999); c ) v'è difformità anche quando questa dipenda da un errore di trasmissione imputabile unicamente a colpa dell'ufficio telegrafico trasmittente, restando le conseguenze dell'errore a carico di chi si è valso di quel mezzo di trasmissione della volontà salva, secondo l'apprezzamento incensurabile del giudice di merito, la prova della riconoscibilità dell'errore stesso per la parte destinataria (Cass. II, n. 1277/1951); d ) va configurata alla stregua di una nuova proposta, infine, anche la modifica, ad opera dell'oblato, del termine per l'esecuzione indicato nella proposta, realizzandosi in tal modo un assetto d'interessi sostanzialmente diverso da quello indicato dal proponente, specie in caso di attribuzione, anche implicita, di essenzialità al nuovo termine (Cass. II, n. 3609/1987). Sotto diverso profilo si è invece osservato che la proposta contrattuale di una parte, comunicata alla controparte e da quest'ultima sottoscritta con l'espressa specificazione «per ricevuta», non può considerarsi come accettata, atteso che la mera sottoscrizione «per ricevuta», secondo il significato proprio di questa espressione, attiene solo all'avvenuta ricezione dell'atto, ma non comporta anche la manifestazione di volontà di accettazione della proposta stessa, ancorché nel testo di quest'ultima la firma «per ricevuta» sia definita come avente valore di accettazione, restando tale clausola del pari improduttiva di effetti nei confronti del detto sottoscrittore in mancanza di accettazione della stessa proposta che la contenga (Cass. II, n. 11145/1998). Quanto alla tempestività, con tale attributo si vuol intendere che l'accettazione non solo deve giungere a conoscenza del proponente, ma deve giungervi nel termine fissato nella stessa proposta o, in mancanza, in quello ordinariamente necessario secondo la natura degli affari o gli usi (art. 1326, comma 2 c.c.), giacché un'accettazione tardiva non determina la conclusione del contratto, salvo che il proponente non la ritenga comunque efficace (art. 1326, comma 3 c.c.): in tal caso, peraltro, il dovere di buona fede (art. 1175 c.c.) impone al proponente di avvertire l'altro contraente che l'accettazione, ancorché spedita in tempo utile, è giunta in ritardo e, cionondimeno, deve ritenersi efficace (art. 1326, comma 5 c.c.). Nel caso da ultimo delineato, la conclusione del contratto non deve ritenersi subordinata alla dichiarazione, rivolta dal proponente all'oblato, di ritenere efficace l'accettazione tardiva né, tantomeno, alla sua ricezione ad opera dell'altro contraente, perfezionandosi il contratto nel momento e nel luogo in cui l'accettazione tardiva perviene al proponente (Sacco, 84). Non trattandosi di atto recettizio, dunque, il ritardo che l'oblato abbia della notizia circa la ritenuta efficacia dell'accettazione tardiva non influisce sull'avvenuta conclusione del contratto. Nell'ipotesi di proposta contrattuale contenente un termine per accettare, l'accettazione tardiva non dà luogo alla conclusione del contratto, indipendentemente dall'imputabilità del ritardo a fatto dello stesso proponente (Cass. I, n. 4421/1996). Peraltro, quanto alle modalità di computo del termine in questione, non si applica all'accettazione della proposta il termine ordinario di prescrizione decennale, exart. 2946, c.c., trattandosi di un termine diverso da quello «ordinariamente necessario secondo la natura del contratto o secondo gli usi» (Cass. II, n. 3339/1987). Per quanto concerne la forma dell'accettazione, non dissimilmente da quanto già esposto per la forma della proposta, il generale principio di libertà incontra un limite nella forma legale (art. 1350 c.c.) o convenzionale (cfr. art. 1352 c.c.) prevista per la conclusione del contratto: a quanto precede aggiungasi, però, l'ulteriore limitazione prevista dall'art. 1326, comma 4 c.c., per cui una forma particolare per l'accettazione sia prevista dal proponente. In tal caso, allora, il dubbio concerne le sorti di un'accettazione manifestata con una forma diversa da quella richiesta dal proponente: secondo un primo orientamento, ove il contenuto della dichiarazione ne lasci intendere in modo univoco il valore impegnativo, il proponente può ritenere comunque l'accettazione efficace, accollandosi però l'onere di dirimere l'obiettiva incertezza della situazione, procedendo in maniera analoga rispetto a quanto previsto dall'art. 1326, comma 3, per il caso di accettazione tardiva (Sacco, 97); per altra impostazione, invece, l'accettazione priva dei requisiti di forma indicati dalla proposta non potrebbe che valere alla stregua di una nuova proposta, si dà rendere necessaria, per la conclusione del contratto, l'accettazione dell'originario proponente (ora divenuto oblato). La giurisprudenza di legittimità ha comunque recentemente chiarito (Cass. II, n. 13033/2018) che l'art. 1326, comma 4 c.c. contiene una previsione dettata nell'esclusivo interesse del proponente, per le esigenze di certezza e di agevolazione della prova di cui lo stesso ha necessità o da cui trae utilità, con la conseguenza che il medesimo proponente può rinunciare al rispetto di detta forma, ritenendo sufficiente un'adesione manifestata in modo diverso, non potendo il difetto di forma non può essere invocato dalla controparte per contestare il perfezionamento del contratto. Appare invece incontroverso che il proponente non possa però richiedere, quale forma dell'accettazione, il silenzio, nel senso che non può inserire nella proposta l'avvertimento che il mancato rifiuto entro un certo termine sarà considerato come accettazione della proposta: ed infatti, salvo che la legge (cfr., ad esempio, l'art. 1333, comma 2 c.c.) ovvero il contesto ovvero, ancora, le parti concordemente (cd. silenzio circostanziato) attribuiscano ad esso un significato preciso (ed esso assurga, pertanto, a manifestazione tacita di consenso), il silenzio ha, di per sé, valore neutro o non significativo (qui tacet neque adfirmat neque negat). Conforme è la giurisprudenza, per cui l'accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l'onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell'altro (Cass. III, n. 10533/2014). ConformementeCass. II, n. 25460/2023: l'accettazione non può essere desunta dal mero silenzio serbato su una proposta, pur quando questa faccia seguito a precedenti trattative intercorse tra le parti, delle quali mostri di aver tenuto conto, assumendo il silenzio valore negoziale soltanto se, in date circostanze, il comune modo di agire o la buona fede, nei rapporti instauratisi tra le parti, impongano l'onere o il dovere di parlare, ovvero se, in un dato momento storico e sociale, avuto riguardo alla qualità dei contraenti e alle loro relazioni di affari, il tacere di uno possa intendersi come adesione alla volontà dell'altro. L'accettazione cessa di avere efficacia a ) per sua revoca (cfr. l'art. 1328, comma 2 c.c.), a condizione che questa giunga al proponente prima dell'accettazione che si intende revocare, b ) per la morte o sopravvenuta incapacità dell'accettante prima della conclusione del contratto, salvo che si tratti di imprenditore nell'esercizio dell'impresa (cfr. art. 1330 c.c.). Accettazione in casi particolari All'accettazione cd. ordinaria (esaminata nel paragrafo precedente) si accompagnano, poi, delle ipotesi peculiari di accettazione. Anzitutto l'ipotesi, contemplata dall'art. 1327 c.c., di esecuzione della prestazione senza una preventiva risposta (si rinvia, in proposito, al relativo commento); quindi il caso dei contratti cd. «aperti» (quale, ad esempio, il contratto di società) che, originariamente conclusi tra due o più parti, cionondimeno contemplano la possibilità di una successiva adesione ad un programma contrattuale già definito in tutti i suoi elementi, pienamente valido ed efficace (si rinvia, per l'approfondimento, al commento all'art. 1332 c.c.); ancora, meritano di essere segnalati i contratti unilaterali (o con obbligazioni a carico del solo proponente) che, pur potendosi concludere in maniera ordinaria, mediante lo scambio di proposta ed accettazione possono, nondimeno, fondare sul silenzio dell'oblato, il quale non respinga la proposta indirizzatagli nel termine fissato dal proponente o, in mancanza, dalla natura dell'affare o dagli usi (si rinvia al commento all'art. 1333 c.c.): è uno dei casi in cui la legge conferisce valore positivo al silenzio; infine, in relazione ai contratti reali, lo schema dello scambio tra proposta e accettazione non subisce modifiche rispetto al percorso «ordinario» descritto nel paragrafo che precede, ma la stipulazione del contratto richiede un elemento ulteriore, rappresentato dalla consegna del bene: traditio che, peraltro, identificando anche il momento di conclusione del contratto, incide altresì sulla facoltà di revoca di proponente ed accettante, la quale è esercitabile finché non avvenga la consegna. Discorso a parte meritano, infine, i contratti conclusi con la P.A. ed i contratti telematici. Quanto ai primi, sebbene per la loro conclusione sia pacificamente richiesta la forma scritta, controversa è la modalità di conclusione del contratto: è tuttavia pressoché granitico, in seno alla giurisprudenza di legittimità, l'orientamento per cui tali contratti devono essere necessariamente consacrati in un unico documento, escludendosi il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l'ipotesi eccezionale, prevista dall'art. 17 del r.d. n. 2440/1923, di contratti conclusi con ditte commerciali), mentre tale requisito deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione — sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi — di un unico documento contrattuale il cui contenuto sia stato concordato dalle parti (da ultimo, Cass. III, n. 25631/2017; Cass. III, n. 12540/2016; Cass. III, n. 25798/2015). Avuto riguardo, invece, ai contratti telematici, salva l'ipotesi di scambio di e-mail (che può essere ricondotta al più tradizionale scambio di corrispondenza tra persone lontane), essi si concludono mediante la comune tecnica del c.d. «tasto negoziale virtuale» (Tosi, 20) o «point and click» e, cioè, attraverso il puntamento del mouse sul tasto — che, per l'appunto, è solo virtuale, in quanto visualizzato sullo schermo del computer — di accettazione e la conseguente pressione sullo stesso mouse. È, però, dubbia la natura di tale forma di accettazione, se essa debba essere ricondotta, cioè, ad una delle forme di manifestazione di volontà dell'oblato prescelta dal proponente, ex art. 1326, comma 4 c.c., ovvero se essa costituisca, piuttosto, una forma «tacita» di accettazione, tramite inizio dell'esecuzione ai sensi dell'art. 1327 c.c.. 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