Codice Civile art. 1338 - Conoscenza delle cause d'invalidità.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Conoscenza delle cause d'invalidità.

[I]. La parte che, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto [1418 ss.], non ne ha dato notizia all'altra parte è tenuta a risarcire il danno da questa risentito per avere confidato, senza sua colpa, nella validità del contratto [139, 1398].

Inquadramento

La fattispecie disciplinata dall'art. 1338 costituisce — come si avrà modo di vedere — una specificazione del principio più generale espresso all'art. 1337 c.c. e, più in concreto, una delle ipotesi in cui è ravvisabile la responsabilità precontrattuale di uno dei soggetti coinvolti nelle trattative.

Nonostante il contrario avviso di parte della dottrina, che ravvisa nella norma in esame un illecito precontrattuale autonomo rispetto a quanto disciplinato nell'art. 1337 c.c. (Bigliazzi Geri, 258), la dottrina è sostanzialmente unanime sul punto, chiarendo come da tale previsione emerga, altresì, la rilevanza dell'elemento soggettivo (in termini quantomeno di colpa), accanto a quello «oggettivo» dell'inosservanza delle regole della buona fede e della correttezza: la norma, cioè, consentirebbe di sanzionare in termini culpa in contahendo non solo i comportamenti contrari a buona fede, ma ogni comportamento doloso o colposo che determini la stipulazione di contratti invalidi o altrimenti inutili per la controparte.

Anche per la giurisprudenza di legittimità la previsione nell'art. 1338 c.c. costituisce una specificazione della responsabilità precontrattuale regolata in generale dall'art. 1337 c.c. (Cass. III, n. 16508/2004), pur precisandosi che, se una differenza tra le due disposizioni può essere riscontrata, essa attiene all'oggetto della tutela predisposta dal legislatore, nel senso che la responsabilità prevista dall'art. 1338 c.c., a differenza di quella di cui all'art. 1337 stesso codice, tutela l'affidamento di una delle parti non sulla conclusione del contratto, ma sulla sua validità (cfr., nei medesimi termini, Cass. III, n. 6294/1992)

La buona fede e la colpa nella responsabilità precontrattuale

I principi di buona fede e correttezza sono previsti dal codice civile, come tali, in riferimento alla fase dello svolgimento delle trattative contrattuali (art. 1337 c.c.), a quella dell'interpretazione del contratto (art. 1366 c.c.) ed a quella della sua esecuzione (art. 1375 c.c.) e di essi si può discutere sia in termini soggettivi (quale inconsapevolezza, ad opera dell'agente di ledere un altrui diritto), sia in termini oggettivi (quale conformazione ad un più generale ed astratto dovere di probità e correttezza, per l'appunto).

Orbene, la nozione di «buona fede» — che, secondo la Relazione al codice civile, «richiama nella sfera del creditore la considerazione dell'interesse del debitore e nella sfera del debitore il giusto riguardo all'interesse del creditore» — cui si fa riferimento nella specie è quella di carattere oggettivo, enunciandosi con essa un dovere di solidarietà, fondato sull'art. 2 Cost., che, operando come un criterio di reciprocità, esplica la sua rilevanza nell'imporre a ciascuna delle parti del rapporto obbligatorio il dovere di agire in modo da preservare gli interessi dell'altra, a prescindere dall'esistenza di specifici obblighi contrattuali o di quanto espressamente stabilito da singole norme di legge (Cass. III, n. 22819/2010): essa, dunque, si differenzia con tutta evidenza dalla buona fede in senso soggettivo, quale situazione interna e psicologica di chi ignora di ledere un altrui diritto.

La caratterizzazione, in termini oggettivi, del precetto di buona fede e correttezza, quale complesso di regole comportamentali finalizzate a consentire uno svolgimento leale e corretto delle trattative nel reciproco interesse dei soggetti coinvolti, peraltro riverbera i propri effetti sulla configurazione (anch'essa, del pari, oggettiva) della colpa precontrattuale, giacché la colpa precontrattuale, pur partecipando del coefficiente soggettivo minimo del comportamento cosciente e volontario, è il risultato di un giudizio di difformità del comportamento realmente tenuto dall'agente rispetto a quello esigibile da un soggetto di ordinaria prudenza e diligenza, tenuto conto, altresì, delle specifiche circostanze del caso concreto

La tipizzazione degli obblighi imposti alle parti impegnate nelle trattative

Si è tentata una elencazione esemplificativa degli obblighi imposti ai soggetti impegnati nelle trattative al fine di un positivo vaglio del relativo comportamento rispetto all'obbligo di buona fede e correttezza, individuando gli stessi nel dovere di informazione, chiarezza, segreto nonché nel compimento di tutti gli atti necessari per assicurare la validità ed efficacia del contratto.

Muovendo, anzitutto, dagli obblighi di informazione e chiarezza, si ritiene che esista un generale obbligo di riferire alla controparte tutte le circostanze utili e rilevanti in relazione al contratto alla cui conclusione sono volte le trattative (Cass. II, n. 5297/1998). Il dovere di informazione non riguarda, ovviamente, la convenienza del contratto, bensì le circostanze obiettive che lo rendono invalido, inefficace, inutile (nel senso di irrealizzabilità della causa) o non più praticabile: le parti, in altri termini, non devono tenere comportamenti maliziosi o reticenti, dovendo, piuttosto, fornire alla controparte ogni dato rilevante, conosciuto o conoscibile con l'ordinaria diligenza, ai fini della stipulazione del contratto. Allorché una delle parti maturi la determinazione di non potere o non dovere più concludere l'intesa, su di essa grava, dunque, lo specifico obbligo di comunicare, con sollecitudine, tale intenzione all'altra parte, per mettere quest'ultima in condizione di prevenire o limitare eventuali conseguenze dannose di contenuto patrimoniale che possono riconnettersi alla mancata conclusione del contratto, considerando la possibilità di trovare diverse occasioni contrattuali ovvero accettare proposte contrattuali provenienti da altri ovvero, ancora, evitare la spese direttamente o indirettamente collegate alla prospettiva della conclusione dell'accorto.

Si ritiene, poi, che gravi sulle parti impegnate nelle trattative un obbligo di chiarezza dell'informazione, nel senso che esse devono usare un linguaggio che consenta alla controparte di non cadere in sottintesi e/o fraintendimenti e di comprendere esattamente quale il contenuto delle future prestazioni reciproche.

Esiste, in ogni caso, un limite ben preciso ai primi doveri di cui si è dato finora conto, limite ben esposto da Cass. I, n. 5114/2001: giacché gli artt. 1337 e 1338 c.c. mirano a tutelare, nella fase precontrattuale, il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera e, comunque, dalla ignoranza della causa d'invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, se vi è stata colpa da parte sua — se cioè egli avrebbe potuto, con l'ordinaria diligenza, venire a conoscenza della reale situazione e, quindi, della causa di invalidità del contrattonon appare possibile invocare la responsabilità precontrattuale della controparte (cfr. anche Cass. III, n. 10156/2016). Sicché, ad esempio, non può configurarsi responsabilità per culpa in contrahendo allorquando la causa di invalidità del negozio, nota a uno dei contraenti, e da questi in ipotesi taciuta, derivi da una norma di legge o, comunque, di disposizioni legislative ovvero, ancora, di altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali — cioè — da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini (cfr. artt. 73, comma 3 Cost. e 10, comma 1 disp. prel. al c.c. nonché art. 7 d.P.R. n. 1092/1985) e — dunque — tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza (Cass. III, n. 16149/2010. Del pari, per tali motivi si è negata — Cass. III, n. 6337/1998 — la responsabilità precontrattuale dell'assicuratore che, concluso un contratto di assicurazione sulla vita di un terzo, non aveva comunicato al contraente beneficiario la necessità del consenso scritto dell'assicurato ai fini della validità del negozio).

Quanto, infine, all'obbligo di segreto (o di riservatezza), a fronte di chi ritiene si tratti di un dovere generalizzato, anche se non ricorrono le ipotesi in cui la legge lo impone specificamente v'è chi, al contrario, rinviene un riferimento testuale ed espresso circa la sussistenza dello stesso nel § 2.1.16 dei principi Unidroit 2004 («se, nel corso delle trattative, una parte rivela un'informazione in via riservata, l'altra parte ha il dovere di non divulgare tale informazione o di non usarla scorrettamente a proprio vantaggio, indipendentemente dalla successiva conclusione del contratto. Ove il caso lo richieda, il rimedio per l'inosservanza di questo dovere può includere un risarcimento commisurato al vantaggio ottenuto dalla controparte»).

Segue. La specifica previsione contenuta nell'art. 1338 c.c.

Al di là di quanto in precedenza osservato in ordine alla ricostruzione, in linea generale, dell'istituto, esistono ipotesi specifiche — quale quella disciplinata dall'art. 1338 c.c. — di responsabilità precontrattuale disciplinate dal codice civile.

Incorre in responsabilità precontrattuale la parte che, nell'ipotesi di stipulazione di un contratto invalido e/o inefficace, conoscendo o dovendo conoscere l'esistenza di una causa d'invalidità del contratto medesimo, non ne ha dato notizia all'altra parte. La previsione codicistica in commento è, dunque, finalizzata a tutelare, nella fase precontrattuale, il contraente di buona fede ingannato o fuorviato dalla ignoranza della causa di invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta e che non era nei suoi poteri conoscere.

La fattispecie presuppone, quindi, non solo la colpa di una parte nell'ignorare la causa di invalidità (intesa nei termini predetti) del contratto, ma anche la mancanza di colpa dell'altra parte nel confidare nella sua validità: sicché — come detto — laddove l'invalidità del negozio derivi da disposizioni generali da presumersi note agli interessati, deve escludersi l'ipotizzabilità di un affidamento incolpevole della controparte nella validità del negozio.

Chiara, in tal senso, la granitica giurisprudenza di legittimità, per cui non può configurarsi responsabilità per culpa in contrahendo allorquando la causa di invalidità del negozio, nota a uno dei contraenti, e da questi in ipotesi taciuta, derivi da una norma di legge che, per presunzione assoluta deve essere nota alla generalità dei cittadini, in quanto le norme di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. mirano a tutelare nella fase precontrattuale il contraente di buona fede ingannato o fuorviato da una situazione apparente, non conforme a quella vera, e, comunque, dall'ignoranza della causa d'invalidità del contratto che gli è stata sottaciuta, mentre, se vi è colpa da parte sua, potendo con l'ordinaria diligenza venire a conoscenza della reale situazione o della causa di invalidità del contratto, le norme suddette non sono più applicabili (Cass. III, n. 16149/2010, cit.). La casistica è, comunque, ampia. Così, ad esempio, Cass. I, n. 5114/2001 per cui, in ipotesi di conclusione di un contratto affetto da nullità derivante da una norma di legge, nota ad uno dei contraenti e taciuta all'altra parte, non è configurabile ignoranza incolpevole in capo al soggetto che ha omesso di conseguirne la conoscenza con l'impiego dell'ordinaria diligenza (nella specie la Corte, in applicazione del predetto principio, ha ritenuto che non potesse considerarsi contraente di buona fede, ingannato o fuorviato, colui che aveva omesso di controllare l'effettiva iscrizione della propria controparte in un apposito albo pubblico previsto dalla legge). Ancora, si è ritenuto che l'approvazione ministeriale del contratto stipulato con la pubblica amministrazione, prevista dagli artt. 19, r.d. n. 2440/1923 e 337, l. n. 2248/1865, All. F, costituisce condicio iuris, che incide non sulla formazione ma sulla efficacia del contratto, ed il suo diniego non consente di ravvisare una responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, qualora la mancata approvazione derivi dalla violazione di norme di carattere generale, di cui può presumersi la conoscenza e la cui ignoranza avrebbe potuto essere superata attraverso l'uso della normale diligenza, non essendo in tal caso configurabile un affidamento incolpevole del privato (Cass. I, n. 11135/2009); ugualmente, in una fattispecie in cui è stata negata l'indennità di disoccupazione speciale ex art. 11 l. n. 223/1991 a causa del difetto del requisito del numero dei lavoratori licenziati previsto da una delibera CIDI, la Suprema Corte ha confermato la sentenza di merito che, con riferimento all'accordo sindacale intervenuto nella procedura di licenziamento, aveva respinto la domanda di risarcimento del danno per inadempimento dell'accordo, in quanto il sindacato — non meno della società datrice di lavoro — versava in ignoranza colpevole (Cass. sez. lav., n. 16508/2004). se la causa di invalidità del negozio deriva da una norma imperativa o proibitiva di legge, o da altre norme aventi efficacia di diritto obiettivo, tali — cioè — da dover essere note per presunzione assoluta alla generalità dei cittadini e — comunque — tali che la loro ignoranza bene avrebbe potuto o dovuto essere superata attraverso un comportamento di normale diligenza, non si può configurare colpa a carico dell'altro contraente, che abbia omesso di far rilevare alla controparte l'esistenza delle norme stesse. Osserva, ulteriormente Cass. III, n. 4635/2006 che, qualora la responsabilità ex artt. 1337 e 1338 c.c. venga invocata verso una P.A., in relazione a causa di invalidità per difetto di forma scritta ad substantiam, deve escludersi la configurabilità della mala fede della P.A. ai fini della sussistenza di detta responsabilità (nella specie la S.C. ha anche condiviso l'argomento con cui il giudice di merito aveva rilevato che l'altro contraente non poteva nemmeno considerarsi in buona fede, atteso che, dato il suo status di dipendente pubblico, non poteva ignorare la necessità di quella forma). In proposito, nell'accertare se il privato abbia confidato senza colpa nella validità ed efficacia del contratto con la P.A., agli effetti dell'art. 1338 c.c., il giudice di merito deve verificare in concreto se la norma violata fosse conoscibile dal cittadino mediamente avveduto, tenuto conto dell'univocità dell'interpretazione della norma stessa e della conoscibilità delle circostanze di fatto cui la legge ricollega l'invalidità (Cass. I, n. 9636/2015).

Sotto il profilo contenutistico, poi, si ritiene che la disciplina in esame sia destinata a trovare applicazione in relazione a tutte le ipotesi di invalidità del contratto (Cass. IIII, n. 16149/2010), ossia non solo a quelle di nullità, ma anche a quelle di nullità parziale e di annullabilità, nonché alle ipotesi di inefficacia del contratto, dovendosi ritenere che anche in tal caso si riscontra la medesima esigenza di tutela delle aspettative delle parti al perseguimento di quelle utilità cui esse mirano mediante la stipulazione del contratto medesimo

Altre ipotesi di culpa in contrahendo

L'elaborazione giurisprudenziale ha ricondotto alla responsabilità precontrattuale diverse fattispecie.

Così, ad esempio, è configurata alla stregua di culpa in contrahendo la responsabilità del falsus procurator contemplata dall'art. 1398 c.c.: con la conseguenza che i danni risarcibili sono riconosciuti nei limiti del cosiddetto interesse negativo, rappresentato sia dalle spese inutilmente effettuate che dalla perdita di ulteriori occasioni presentatesi nel corso delle trattative con il falsus procurator (Cass. III, n. 1817/1987). È stata altresì ricondotta a tale disciplina l'ipotesi del contratto concluso dal legale rappresentante dell'ente pubblico in difetto dell'atto deliberativo dell'organo competente (ratifica): nel suddetto contratto — si osserva- la fattispecie soggettivamente complessa a formazione progressiva si perfeziona con la ratifica, senza la quale il negozio non è idoneo a produrre effetti nella sfera dello pseudo rappresentato; di talché il terzo contraente, non avendo titolo per esercitare nei confronti di quest'ultimo (l'Ente, cioè) l'azione di inadempimento, che presuppone pur sempre l'esistenza di un contratto valido ed efficace tra le parti, né potendo chiedere il pagamento di una penale — che si ricollega ad una responsabilità prettamente contrattuale — può solo invocare la responsabilità del falsus procurator per culpa in contrahendo ex artt. 1398 e 1337 c.c. (Cass. I, n. 9061/1995).

Si esclude comunemente, invece, che dia luogo a responsabilità precontrattuale la rottura della promessa matrimoniale (Cass. I, n. 9052/2010; Cass. III, n. 8733/1991): ed infatti, l'obbligazione che consegue ex lege all'esercizio del diritto di recesso non può configurarsi come illecito extracontrattuale, costituendo il recesso espressione di una libertà fondamentale né come responsabilità contrattuale o precontrattuale (sebbene sia per certi versi assimilabile a quest'ultima), posto che la promessa di matrimonio non è un contratto e neppure costituisce un vincolo giuridico tra le parti; si tratta, piuttosto, di una particolare forma di riparazione collegata direttamente dalla legge alla rottura del fidanzamento «senza giusto motivo»..

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