Codice Civile art. 1341 - Condizioni generali di contratto.

Gian Andrea Chiesi
aggiornato da Nicola Rumìne

Condizioni generali di contratto. 

[I]. Le condizioni generali di contratto predisposte da uno dei contraenti sono efficaci nei confronti dell'altro, se al momento della conclusione del contratto questi le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza [1370, 1469-bis ss.].

[II]. In ogni caso non hanno effetto, se non sono specificamente approvate per iscritto, le condizioni che stabiliscono, a favore di colui che le ha predisposte, limitazioni di responsabilità [1229], facoltà di recedere dal contratto [1373] o di sospenderne l'esecuzione [1461], ovvero sanciscono a carico dell'altro contraente decadenze [2964 ss.], limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni [1462], restrizioni alla libertà contrattuale nei rapporti coi terzi [1379], tacita proroga o rinnovazione del contratto, clausole compromissorie [808 c.p.c.] o deroghe alla competenza dell'autorità giudiziaria [6 c.p.c.].

Inquadramento

La norma si riferisce ai cd. contratti «per adesione» — anche detti contratti standard o di massa o di serie — la cui conclusione avviene sulla base di un contenuto regolamentare già preordinato dal contraente predisponente mediante il ricorso, per l'appunto, a condizioni generali di contratto. Si tratta, dunque, di ipotesi del tutto diversa da quella disciplinata dal precedente art. 1332 c.c., volta a regolamentare la conclusione dei contratti cd. «aperti» (quale, ad esempio, il contratto di società) che, originariamente conclusi tra due o più parti, cionondimeno contemplano la possibilità di una successiva adesione, ad opera di soggetti estranei all'originario accordo, al programma contrattuale già definito in tutti i suoi elementi, pienamente valido ed efficace.

Si evidenzia, in dottrina, come l'operatività della norma presupponga la predisposizione unilaterale di uno schema negoziale destinato ad essere utilizzato per una serie indefinita di rapporti (Carresi, 219): donde la conclusione per cui esulano dall'ambito di operatività della stessa sia a) il caso in cui lo «schema» negoziale sia destinato per la conclusione di ben definiti contratti; b) sia quello in cui il predisponente dimostri che non intendeva le condizioni in questione valevoli per una serie indefinita di rapporti.

Non escludono l'operatività della disposizione la circostanza a) che i soggetti che contraggono con il predisponente siano diversi (nel senso che può intercorrere anche una serie teoricamente indefinita di rapporti negoziali tra le medesime parti), né b) che la controparte abbia minimamente collaborato alla predisposizione dello schema, sotto forma di aggiunte o di modifiche (salvo che il predisponente non stenda il testo contrattuale dopo averlo integralmente discusso con l'altra parte) né, ancora, c) che l'aderente sia in posizione di inferiorità rispetto al predisponente, mentre occorre che l'adesione costituisca un teorico «pericolo» per il primo (Sacco-De Nova, 105).

Del medesimo tenore la giurisprudenza di legittimità, per la quale possono qualificarsi come contratti «per adesione» soltanto quelle strutture negoziali destinate a regolare una serie indefinita di rapporti, tanto dal punto di vista sostanziale (se, cioè, predisposte da un contraente che esplichi attività contrattuale all'indirizzo di una pluralità indifferenziata di soggetti), quanto dal punto di vista formale (ove, cioè, predeterminate nel contenuto a mezzo di moduli o formulari utilizzabili in serie), mentre esulano da tale categoria i contratti predisposti da uno dei due contraenti in previsione e con riferimento ad una singola, specifica vicenda negoziale, rispetto ai quali l'altro contraente può, del tutto legittimamente, richiedere ed apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto, nonché, a maggior ragione, quelli in cui il negozio sia stato concluso a seguito e per effetto di trattative tra le parti (Cass. II, n. 6753/2018)

Le «necessarie» asimmetrie contrattuali

La circostanza che lo schema negoziale sia predisposto da uno dei contraenti esclude che la formazione del contratto consegua, in tale ipotesi, ad una trattativa negoziale in senso proprio, relegandosi il potere dell'altro contraente, piuttosto, ad una mera accettazione o meno dello schema predisposto dalla controparte contrattuale (Cass. I, n. 7605/2015). Ne discende che gli artt. 1341 e 1342 c.c. non si applicano ai contratti conclusi tra parti aventi il medesimo potere negoziale (Cass. III, n. 6886/1987), né allorché il negozio sia stato concluso a seguito di trattativa (Cass. I, n. 7605/2015) , ancora, ai contratti in cui entrambe le parti, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, abbiano liberamente deciso di riferirsi ad uno schema negoziale predisposto o normalmente usato da un terzo, ritenendolo adeguata composizione dei rispettivi interessi o da una di loro in altra sede: il richiamo della disciplina fissata in un distinto documento esterno, che sia effettuato dalle parti contraenti sulla premessa della piena conoscenza di tale documento ed al fine dell'integrazione del rapporto negoziale nella parte in cui difetti di una diversa regolamentazione, assegna infatti alle previsioni di quella disciplina, per il tramite della relatio perfecta che ad essa è compiuta, il valore di clausole concordate e, quindi, le sottrae all'esigenza della specifica approvazione per iscritto, mentre non rileva in proposito l'eventuale unilateralità della predisposizione del suddetto documento, la quale resta superata dalla circostanza che entrambi i contraenti si siano accordati per farne proprio il contenuto (Cass. II, n. 7403/2016).

Sono altresì esenti dall'applicazione dell'art. 1341 c.c.: a) l'atto di adesione a contratti associativi, non solo difettando in tal caso una disparità di trattamento tra le parti, ma anche perché lo schema negoziale non è predisposto, in tal caso, per servire ad una serie indeterminata di contratti, essendo piuttosto funzionale a consentire l'adesione di un nuovo associato ad un ente già costituito in relazione alle clausole dello statuto. Così, Cass. III, n. 8372/2010 evidenzia che lo statuto e l'atto costitutivo di un'associazione costituiscono espressione di autonomia negoziale e sono regolati dai principi generali del negozio giuridico, salve le deroghe imposte dai particolari caratteri propri del contratto di associazione: ne consegue che non può configurarsi, nei rapporti associativi, la presenza di un contraente più debole, meritevole della particolare tutela prevista per le clausole vessatorie, presupponendo, al contrario, la partecipazione ad un'associazione una comunanza di interessi e di risorse, finalizzati al raggiungimento degli scopi previsti dall'atto costitutivo, in funzione dei quali sono utilizzati tutti i mezzi disponibili (nel medesimo senso Cass. III, n. 1367/1985, in tema adesione ad una società di persone e Cass. II, n. 1951/1972 in tema di adesione ad un consorzio); b) le clausole di un regolamento convenzionale di condominio richiamate in sede contrattuale. A tale riguardo, Cass. II, n. 395/1993 chiarisce che il regolamento convenzionale di condominio — anche se non materialmente inserito nel testo del contratto di compravendita dei singoli appartamenti dell'edificio condominiale — fa corpo con esso, purché espressamente richiamato ed approvato, di modo che le sue clausole rientrano, almeno per relationem, nel contenuto dei singoli contratti di acquisto; e trattandosi di relatio perfecta, in quanto il richiamo è opera di entrambi i contraenti, le singole clausole del regolamento di condominio restano fuori dalla previsione del comma 2 dell'art. 1341 c.c., che, nel sancire la necessità della specifica approvazione per iscritto di condizioni vessatorie, ha riguardo alle sole clausole, di contratti per adesione o analoghi, che risultino predisposte da una soltanto delle parti contraenti

Le condizioni generali di contratto

Le condizioni generali di contratto sono le clausole che un soggetto utilizza per regolare uniformemente i propri rapporti contrattuali.

La mera attività di formulazione del regolamento contrattuale è, però, da tenere distinta dalla predisposizione delle condizioni generali di contratto, non potendo considerarsi tali le clausole contrattuali elaborate da uno dei contraenti in previsione e con riferimento ad un singolo, specifico negozio, ed a cui l'altro contraente possa, del tutto legittimamente, richiedere di apportare le necessarie modifiche dopo averne liberamente apprezzato il contenuto (Cass. I, n. 12153/2006).

Tale essendo, dunque, la loro natura esse si distinguono: a) dal contratto normativo, che invece consiste nell'impegno bilaterale ad osservare in una serie di rapporti contrattuali determinate clausole predisposte dai contraenti medesimi; b) dal contratto-tipo, quale uniforme predeterminazione del contenuto essenziale di futuri contratti, ad opera di soggetti diversi dai contraenti; c) dai contratti cd. «aperti», ex art. 1332 c.c., che, originariamente conclusi tra due o più parti, cionondimeno contemplano la possibilità di una successiva adesione, ad opera di soggetti estranei all'originario accordo, al programma contrattuale già definito in tutti i suoi elementi, pienamente valido ed efficace.

Si osserva, in dottrina che, ove le clausole predisposte contengano tutti gli elementi del contratto, tanto da esser sufficiente la loro mera accettazione per il perfezionamento del negozio, le stesse possono essere considerate alla stregua di un'offerta al pubblico, sì da essere assoggettate alla corrispondente disciplina (Mirabelli, 143); altro orientamento contesta, però, tale conclusione precisando che le condizioni generali, diversamente dall'offerta in incertam personam, non riguardano l'intera proposta e sono destinate a valere per una serie di contratti (Scognamiglio, 263). È comunque pacifico che l'attività — a forma libera — attraverso cui si procede all'emissione delle condizioni generali nei confronti del pubblico, costituisce un atto di natura negoziale, con la conseguenza che si applica a tali condizioni la disciplina ordinaria del contratto, con riferimento in particolare all'interpretazione, incapacità e vizi della volontà (Bianca, 342).

Le condizioni generali unilateralmente predisposte sono efficaci nei confronti del destinatario se questi, al momento della conclusione del contratto, le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle usando l'ordinaria diligenza.

Analogamente a quanto previsto dall'art. 1336 c.c. si ritiene, inoltre, che il predisponente possa revocare o modificare le condizioni generali mediante lo stesso strumento impiegato per la loro emissione, od altro equipollente; del pari, laddove il mezzo impiegato sia inidoneo, la revoca ha effetto solo verso coloro che ne abbiano comunque avuto notizia (Bianca, 342).

Quanto alla «misura» della diligenza richiesta alla parte aderente in merito alla conoscenza del contenuto delle condizioni generali, si fa comunemente riferimento ad un criterio di normalità.

Si ritiene, cioè, doversi fare riferimento a ciò che è normale attendersi dalla massa degli aderenti in relazione al tipo di operazione economica (Bianca, 347), anche se non manca chi sostiene, al contrario, che la diligenza dell'aderente dovrebbe essere riguardata sotto il profilo della sua appartenenza ad una categoria (Genovese, 185) ovvero all'esercitare l'aderente un'attività professionale (Scognamiglio, 266).

Si riferisce alla normale diligenza anche Cass. III, n. 1510/1962. Il requisito della conoscenza o conoscibilità delle condizioni generali, ovvero della specifica approvazione delle clausole onerose, è necessario anche quando dette condizioni o clausole sono predisposte dal contraente più debole, in quanto tale norma, oltre a tutelare quest'ultimo, impedendo che sia sopraffatto dalla parte che si trova in posizione di supremazia, mira anche e soprattutto a garantire che le clausole onerose costituiscano l'oggetto di una vera e propria contrattazione tra le parti (Cass. II, n. 3407/1986).

Dubbia è, invece, l'ammissibilità dell'azione di annullamento del contratto per errore, qualora le condizioni siano state conosciute o siano conoscibili, ma siano oggetto di una percezione erronea da parte dell'aderente; pur potendosi in tal caso configurare un errore in senso proprio, non si ritiene che esso possa considerarsi essenziale nell'economia complessiva del contratto, vertendo sulle condizioni generali, e quindi rilevante; per l'effetto si esclude l'ammissibilità di tale azione, salvo ritenere ammissibile, in analogia all'art. 1419 c.c., la categoria dell'annullabilità parziale del contratto per errore, conseguendone in tale ipotesi l'annullamento delle sole condizioni generali o di alcune di esse.

All'onere dell'aderente di verificare l'esistenza di condizioni generali fa riscontro il simmetrico onere, gravante sul predisponente di rendere tali condizioni normalmente conoscibili in favore dell'aderente: occorre all'uopo l'impiego di mezzi idonei di comunicazione e la predisposizione di un testo intellegibile in relazione alla pratica del settore.

A tale riguardo, anzi, si evidenzia che l'onere di rendere conoscibili le condizioni generali che grava sul predisponente è preliminare rispetto a quello di diligenza che ricade sull'aderente giacché, ove non sia rispettata la prima incombenza non potrà essere invocata l'inserzione nel contratto delle condizioni generali (Mirabelli, 138); sennonché, si ritiene che, in ogni caso, la conoscenza effettiva delle condizioni generali al momento della conclusione del contratto sani l'inadempimento di tale onere.

Segue. Le clausole vessatorie

Alcune condizioni generali e, in specie, quelle elencate dall'art. 1341, comma 2 c.c., richiedono, ai fini della loro efficacia, il rispetto di particolari requisiti di forma e tanto in considerazione del particolare contenuto che le «colora»; la loro conoscenza (o conoscibilità) secondo l'ordinaria diligenza, cioè, non è sufficiente a farle ritenere inserite efficacemente nel regolamento contrattuale occorrendo, piuttosto, che tali particolari clausole, siano specificamente approvate per iscritto: ciò le pone in rapporto di specie a genere rispetto alle condizioni generali disciplinate dal comma 1, dell'art. 1341 c.c.

A fronte della previsione del comma 1 che, in ordine alle condizioni generali esige, ai fini della validità ed efficacia, la conoscenza o conoscibilità secondo l'ordinaria diligenza, soltanto in via eccezionale, in considerazione della particolare gravità ed importanza di alcuna clausole, il comma 2 ne sancisce l'inefficacia, ove non siano state specificamente approvate per iscritto (Cass. n. 2504/1950).

Si oscilla, in dottrina, tra chi ritiene che l'elencazione contenuta al comma 2 dell'art. 1341 c.c. abbia carattere tassativo (Bianca, 352), suscettibile però di interpretazione estensiva ma non analogica (Scognamiglio, 281) e chi, al contrario, ritiene si tratti di un'elencazione meramente esemplificativa.

In giurisprudenza è granitico l'orientamento per cui l'elencazione contenuta nel comma 2 dell'art. 1341 c.c.ha carattere tassativo, di guisa che è ammessa l'interpretazione estensiva ma non quella analogica (Cass. I, n. 4036/2003; Cass.S.U., n. 5777/1990; Cass. S.U., n. 955/1972). Così anche Cass. III, n. 14038/2013, per cui l'esclusione della facoltà di recesso da un contratto non costituisce clausola vessatoria, ai sensi dell'art. 1341, comma 2 c.c., e, pertanto, non è necessaria per la sua efficacia la specifica approvazione per iscritto, dal momento che l'elencazione contenuta nella norma suddetta non è soggetta ad interpretazione analogica, ma solo estensiva ed in essa non solo non è prevista l'ipotesi della rinuncia al recesso, ma neppure è contemplato alcun caso che a questa possa essere assimilato. A tal fine in ogni caso occorre, però, che l'ipotesi non prevista nella norma sia accomunata a quella espressamente contemplata dalla medesima ratio, ossia dall'esigenza di tutela del contraente per adesione in situazioni per lui particolarmente sfavorevoli (Cass. I, n. 14912/2001). Se ne deduce, pertanto, che il giudizio sulla natura vessatoria della clausola contrattuale deve avvenire nel contesto dell'interpretazione complessiva dell'atto al fine di stabilirne significato e portata (Cass. I, n. 22/1987).

Secondo un orientamento, inoltre, soggiacciono all'onere della specifica approvazione per iscritto anche quelle clausole che si pretendano rispondenti ad usi negoziali (cfr. l'art. 1340 c.c.), quali sono considerate le norme bancarie uniformi, poiché la prescrizione sulla necessità del consenso mediante una particolare forma non può essere derogata dall'automatismo delle clausole d'uso (Mirabelli, 154), mentre in senso diametralmente opposto si osserva che lo schema delineato dall'art. 1341, comma 2 c.c. è logicamente incompatibile con clausole che, quali quelle regolare dall'art. 1340 c.c., si inseriscono nel contratto senza o anche contro la volontà delle parti.

Opta per l'applicabilità, in tal caso, della disciplina contenuta all'art. 1341, comma 2 c.c., Cass. S.U., n. 6328/1997. Contra, però, Cass. II, n. 5024/1994, per la quale ultima, la specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose a norma degli artt. 1341 e 1342 c.c.non è necessaria nel caso in cui dette clausole riproducano il contenuto di un uso normativo ossia di uno di quegli usi che costituiscono fonte sussidiaria del diritto, ma non anche in quello in cui corrispondano al contenuto di un uso di fatto o contrattuale, al quale fa riferimento l'art. 1340 c.c., di una pratica generalmente seguita da una determinata cerchia o categoria di contraenti o in un limitato e specifico settore negoziale (principio affermato dalla Corte, con riferimento alla clausola inserita in un contratto di vendita di beni mobili del prezzo minimo di rivendita).

Come ordinariamente valevole per le condizioni generali di contratto, la vessatorietà va esclusa allorché a) la pattuizione si sia tradotta in un atto pubblico, b) quando la predisposizione sia il risultato di una trattativa e c) quando le clausole riproducano un precetto di legge o un uso normativo.

Assolutamente conforme è la giurisprudenza. Così: 1) quanto alla prima ipotesi, Cass. I, n. 18917/2003 afferma che le clausole inserite in un contratto stipulato per atto pubblico o in forma pubblica amministrativa, ancorché si conformino alle condizioni poste da uno dei contraenti, non possono considerarsi come «predisposte» dal contraente medesimo ai sensi dell'art. 1341 c.c. e, pertanto, pur se vessatorie, non richiedono approvazione specifica per iscritto, in quanto la particolare forma contrattuale rivestita dall'accordo esclude la necessità di una approvazione siffatta (lo stesso principio è stato recentemente ribadito da Cass. II, n. 15237/2017); 2) Cass. I, n. 7605/2015, poi, chiarisce che un contratto è qualificabile «per adesione» secondo il disposto dell'art. 1341 c.c. — e come tale soggetto, per l'efficacia delle clausole cosiddette vessatorie, alla specifica approvazione per iscritto — solo quando sia destinato a regolare una serie indefinita di rapporti e sia stato predisposto unilateralmente da un contraente. Ne consegue che tale ipotesi non ricorre quando risulta che il negozio è stato concluso mediante trattative intercorse tra le parti. Per una ipotesi più recente Cass. I, n. 673/2024;  3) Cass. III, n. 369/2000, infine, partendo dall'assunto per cui non hanno carattere vessatorio le clausole riproduttive del contenuto di norme di legge, ha ritenuto di non qualificare come vessatoria la clausola risolutiva espressa inserita nel contratto di locazione di immobili urbani per uso non abitativo e riferita all'ipotesi di inosservanza del termine di pagamento dei canoni, in quanto riproduttiva del disposto dell'art. 5 l. n. 392/1978.

Ipotesi particolare di «vessatorietà» è, poi, quella relativa ai contratti conclusi dai consumatori: l'asimmetria di posizione connota di sé anche tali contratti, sebbene l'ambito di operatività degli artt. 1341 e 1342 c.c. sia sensibilmente diverso da quello dell'art. 33 c. cons., tanto che le due discipline sono distinguibili anche in relazione alla tipologia di clausole destinate a regolare: quelle «onerose», ricadenti sotto la normativa codicistica e quelle «vessatorie» in senso stretto, regolate dalla legge speciale.

La disciplina di tutela del consumatore posta dagli artt. 33 e ss. del d.lgs. n. 206/2005 (c.d. Codice del consumo) prescinde dal tipo contrattuale prescelto dalle parti e dalla natura della prestazione oggetto del contratto, trovando applicazione sia in caso di predisposizione di moduli o formulari in vista dell'utilizzazione per una serie indefinita di rapporti, che di contratto singolarmente predisposto. Infatti, detta disciplina è volta a garantire il consumatore dalla unilaterale predisposizione e sostanziale imposizione del contenuto contrattuale da parte del professionista, quale possibile fonte di abuso sostanziantesi nella preclusione per il consumatore della possibilità di esplicare la propria autonomia contrattuale, con la conseguenza che la vessatorietà della clausola può ben attenere anche al rapporto contrattuale che sia stato singolarmente ed individualmente negoziato per lo specifico affare, risultando, quindi, categoria diversa dall'onerositàexart. 1341, comma 2 c.c., con cui concorre unicamente nell'ipotesi, per l'appunto, di contratti unilateralmente predisposti da un contraente in base a moduli o formulari in vista dell'utilizzazione per una serie indefinita di rapporti (Cass. III, n. 6802/2010).

Si ricorda in proposito la nota pronuncia Cass. S.U., n. 9479/2023 secondo cui, ai fini del rispetto del principio di effettività della tutela giurisdizionale dei diritti riconosciuti al consumatore dalla direttiva 93/13/CEE e dalle sentenze della CGUE del 17 maggio 2022, il giudice del procedimento monitorio deve esaminare d'ufficio l'eventuale carattere abusivo delle clausole rilevanti rispetto all'oggetto della domanda - esercitando, a tal fine, i poteri istruttori di cui all' art. 640 c.p.c. (richiedendo la produzione di documenti o i chiarimenti necessari, anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore) - e motivare sinteticamente l'esito negativo di tale controllo nel decreto ingiuntivo, nonché, con lo stesso provvedimento, avvertire il debitore che, in assenza di opposizione, decadrà dalla possibilità di far valere l'eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e che il decreto non opposto diventerà irrevocabile. Lo stesso giudice deve, invece, rigettare, in tutto o in parte, il ricorso, salva la riproponibilità della domanda, se il predetto controllo abbia esito positivo oppure se l'accertamento della vessatorietà imponga un'istruzione probatoria (quale quella tramite l'assunzione di testimonianze o l'espletamento di c.t.u.) incompatibile col procedimento monitorio.

Segue. La specifica approvazione per iscritto

La previsione contenuta all'art. 1341, comma 2 c.c. si fonda sull'esigenza di assicurare che la contrattazione sia effettiva e funzionale e non soltanto strutturale e formale: il legislatore, cioè, col richiedere la specifica approvazione per iscritto delle clausole più onerose, ha inteso ristabilire l'uguaglianza delle parti nella formazione del contratto mediante l'osservanza di un adempimento che, quantunque di carattere meramente formale, in sostituzione di una discussione sul contenuto, offra comunque la certezza che il contraente più debole, cioè quello per adesione, abbia avuto conoscenza di tali clausole e le abbia quindi consapevolmente accettate.

Si osserva, in proposito, che mentre la sottoscrizione, successiva alla conclusione del contratto e contenuta in un separato documento predisposto dalla controparte, di una dichiarazione di approvazione delle clausole vessatorie, è ammissibile ed efficace (Carresi, 222), al contrario, la mera produzione in giudizio del documento contrattuale, contenente le clausole vessatorie, a cura del contraente nei confronti del quale le clausole sono state predisposte, non sana il difetto di approvazione (Bianca, 365).

Nel caso di contratto per il quale non sia prescritta la forma scritta, l'obbligo della specifica approvazione per iscritto, di cui all'art. 1341 c.c., rimane limitato alla sola clausola vessatoria, senza necessità di trascrizione integrale del contenuto della clausola, essendo sufficiente il richiamo, mediante numero o titolo, alla clausola stessa, in quanto in tal modo si permette al sottoscrittore di conoscerne il contenuto (Cass. VI-3, n. 12707/2014). A fronte della mancata approvazione specifica per iscritto, la prova della conoscenza del contenuto della clausola è irrilevante (Cass. I, n. 7925/1987). Consegue dalla necessità di rispetto del requisito formale ad substantiam per specifica approvazione per iscritto delle clausole contrattuali onerose che lo stesso rigore è richiesto per la ratifica delle dette clausole, che deve avvenire pertanto con l'osservanza della medesima forma (Cass. III, n. 2147/2001).

Quanto alle modalità con cui la specifica approvazione per iscritto deve avvenire, occorre all'uopo una sottoscrizione autonoma e separata rispetto a quella che si riferisce agli altri patti contrattuali e pertanto non può ritenersi soddisfatta nel caso in cui il contraente per adesione apponga un'unica firma in calce al modulo a stampa predisposto dall'altro contraente oppure, apponendone due, con la seconda si limiti ad approvare genericamente e globalmente tutte le clausole previste nel contratto ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c. La

Cass. III, n. 8405/1996 afferma, in proposito, che ai fini della specifica approvazione per iscritto delle cosiddette vessatorie, pur non essendo necessaria la reiterazione della sottoscrizione per ciascuna clausola onerosa, l'esigenza della norma di cui al capoverso dell'art. 1341 c.c.non può ritenersi soddisfatta quando l'ulteriore sottoscrizione del testo contrattuale, già in precedenza sottoscritto, si riferisca non solo alle clausole onerose ma anche ad altre pattuizioni modificative o integrative del testo contrattuale medesimo. Del medesimo tenore Cass. II, n. 5733/2008, per cui l'esigenza di specificità e separatezza imposta dall'art. 1341 c.c.non può ritenersi soddisfatta mediante il richiamo cumulativo numerico e la distinta sottoscrizione di gran parte delle condizioni generali di contratto, effettuato con modalità tali da rendere difficoltosa la selezione e la conoscenza di quelle a contenuto vessatorio, in quanto la norma richiede non solo la sottoscrizione separata ma anche la scelta di una tecnica redazionale idonea a suscitare l'attenzione del sottoscrittore sul significato delle clausole specificamente approvate. Ed infatti, l'approvazione di tali clausole deve essere specifica e separata, così da richiamare l'attenzione del sottoscrittore su di essa, ancorché non sia necessaria la ripetizione del suo contenuto (Cass. VI-2, n. 20606/2016). Nello stesso senso Cass. III, n. 4126/2024: l'obbligo della specifica approvazione per iscritto è rispettato anche nel caso di richiamo numerico a clausole, onerose e non, purché non cumulativo, salvo che, in quest'ultima ipotesi, non sia accompagnato da un'indicazione, benché sommaria, del loro contenuto, ovvero che non sia prevista dalla legge una forma scritta per la valida stipula del contratto.

Si ritiene, inoltre, che la prescrizione sulla necessità della specifica approvazione per iscritto si estenda anche ai contratti conclusi dalla P.A. (Bianca, 361).

Condivide tale principio Cass. III, n. 1321/1996, per cui la necessità di specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose indicate nell'art. 1341 c.c. sussiste anche riguardo ai contratti stipulati dalla pubblica amministrazione per le clausole da questa predisposte. Contra, però, si sostiene che gli artt. 1341 e 1342 c.c., in quanto preordinati alla tutela del contraente più debole, non sono applicabili ai contratti stipulati dalla P.A., il cui operato è istituzionalmente ispirato a finalità di interesse generale e di imparzialità e giustizia (Cass. I, n. 178/1982).

Quanto alle conseguenze discendenti dalla mancanza di specifica approvazione per iscritto, le conclusioni non sono univoche.

A chi ritiene che tali clausole sarebbero affette da nullità assoluta, rilevabile d'ufficio, costituendo la specifica approvazione scritta un requisito di forma ad substantiam (Mirabelli, 140) si contrappone che ritiene versarsi innanzi ad un'ipotesi di nullità relativa (o di protezione), non eccepibile dal predisponente (Maiorca, 630); altri ancora, ritiene che, costituendo la specifica approvazione un requisito di forma, la mancata osservanza non dà luogo ad un'ipotesi di nullità, bensì di inefficacia, intesa quale estraneità della clausola vessatoria al contenuto del contratto, che può essere rilevata anche d'ufficio (Bianca, 354).

In giurisprudenza è prevalente la tesi che ravvisa nella mancanza di specifica approvazione per iscritto una causa di nullità assoluta, rilevabile, anche d'ufficio, in ogni stato e grado del processo. Così espressamente Cass. III, n. 16394/2009, per cui la mancata specifica approvazione per iscritto delle clausole onerose del contratto indicate nell'art. 1341 c.c. ne comporta la nullità, eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del procedimento, ivi compresa la fase di legittimità dinanzi alla Corte di cassazione, sempreché i presupposti di fatto della detta nullità (carattere vessatorio della clausola ed inesistenza della prescritta approvazione specifica) risultino già acquisiti agli atti del processo. Si sta facendo tuttavia largo un orientamento, diverso, che riconduce quella in esame al campo delle nullità di protezione: così Cass. VI-2, n. 14570/2012 afferma che, essendo la specifica approvazione per iscritto delle clausole vessatorie requisito per l'opponibilità delle clausole medesime al contraente aderente, quest'ultimo è il solo legittimato a farne valere l'eventuale mancanza, sicché la nullità di una clausola onerosa senza specifica approvazione scritta dell'aderente non può essere invocata dal predisponente

Una breve casistica

In linea generale può affermarsi, in relazione all'elencazione contenuta nell'art. 1341, comma 2 c.c., che: 1) le clausole che stabiliscono limitazioni di responsabilità sono quelle non vietate dall'art. 1229 c.c.; 2) le clausole che attribuiscono al predisponente la facoltà di recedere dal contratto o di sospendere l'esecuzione sono quelle che comprendono tali facoltà al di fuori dei casi previsti in modo specifico dalla legge; 3) le clausole di decadenza sono quelle non colpite da nullità ai sensi dell'art. 2965 c.c.; 4) le clausole che limitano la facoltà di opporre eccezioni sono quelle che non siano nulle ai sensi dell'art. 1462 c.c.

Ampia è la casistica giurisprudenziale sulle clausole vessatorie. In particolare: a) le previsioni contenute nel regolamento comunale adottato ai sensi degli artt. 1 e 15 r.d. n. 2578/1925, integrative del contratto di somministrazione di acqua potabile concluso dal Comune con un soggetto privato, hanno natura negoziale, enucleando le condizioni generali del contratto di utenza pubblica e caratterizzandolo (anche) in termini di contratto per adesione, ex art. 1341, comma 1 c.c.: esse sono, pertanto, soggette alla verifica di vessatorietà da parte del G.O. ed alla disciplina dettata dall'art. 1341, comma 2 c.c. (Cass. III, n. 19154/2018); b) la clausola risolutiva espressa attribuisce al contraente il diritto potestativo di ottenere la risoluzione del contratto per un determinato inadempimento della controparte, dispensandola dall'onere di provarne l'importanza. Essa non ha carattere vessatorio, atteso che non è riconducibile ad alcuna delle ipotesi previste dall'art. 1341, comma 2 c.c., neanche in relazione all'eventuale aggravamento delle condizioni di uno dei contraenti derivante dalla limitazione della facoltà di proporre eccezioni, in quanto la possibilità di chiedere la risoluzione è connessa alla stessa posizione di parte del contratto e la clausola risolutiva si limita soltanto a rafforzarla (Cass. III, n. 17603/2018); c) nel contratto di assicurazione contro i danni la clausola con la quale si pattuisce che l'assicurato sia indennizzato mediante la riparazione in forma specifica del danno occorsogli in conseguenza di un sinistro stradale (nella specie, mediante riparazione del veicolo presso carrozzeria autorizzata) non è da considerarsi clausola limitativa della responsabilità agli effetti dell'art. 1341 c.c., ma delimitativa dell'oggetto del contratto, in quanto non limita le conseguenze della colpa o dell'inadempimento e non esclude, ma specifica, il rischio garantito, stabilendo i limiti entro i quali l'assicuratore è tenuto a rivalere l'assicurato (Cass. III, n. 11757/2018; per una situazione analoga Cass. III, n. 1261/2023); d) in tema di polizza fideiussoria, la clausola che preveda un termine di durata massima della garanzia non è diretta a limitare la responsabilità del garante ma ha la funzione di circoscrivere l'oggetto del contratto, sicché non può essere considerata vessatoria e non soggiace alla regola della specifica approvazione per iscritto di cui all'art. 1341, comma 2 c.c. (Cass. III, n. 27881/2018); e) in tema di arbitrato tra banca e consumatore, la validità della clausola compromissoria è subordinata alla sua specifica negoziazione ed approvazione per iscritto, sicché essa deve essere dichiarata nulla ex art. 33, comma 2, lett. t) d.lgs. n. 206/2005 quando sia inserita in condizioni generali predisposte da uno solo dei contraenti (il professionista), perché la deroga alla competenza dell'autorità giudiziaria è da considerarsi vessatoria e contraria alla disciplina di protezione del consumatore (Cass. VI, n. 3744/2017); f) nel contratto di assicurazione della responsabilità civile la clausola che subordina l'operatività della copertura assicurativa alla circostanza che tanto il fatto illecito quanto la richiesta risarcitoria intervengano entro il periodo di efficacia del contratto, o comunque entro determinati periodi di tempo preventivamente individuati (cd. clausola claims made mista o impura), non è vessatoria, ma, in presenza di determinate condizioni, può essere dichiarata nulla per difetto di meritevolezza ovvero — ove applicabile la disciplina del d.lgs. n. 206/2005 — per il fatto di determinare a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e obblighi contrattuali; la relativa valutazione va effettuata dal giudice di merito ed è incensurabile in sede di legittimità quando congruamente motivata (Cass. S.U., n. 9140/2016); g) la clausola di durata del contratto con divieto di recesso anticipato, pur inserita nelle condizioni generali predisposte da una delle parti in relazione ad un rapporto ad esecuzione continuata o periodica, non è particolarmente onerosa ai sensi dell'art. 1341, comma 2 c.c., poiché non sancisce la tacita proroga o rinnovazione del contratto, né limita la facoltà di opporre eccezioni, concernendo la pattuizione di un termine, anche non suscettibile di deroga, alla normale disciplina dei contratti di durata (Cass. VI, n. 17579/2015); h) le clausole di proroga tacita o di rinnovazione del contratto, se predisposte dal contraente più forte nell'ambito di un contratto per adesione, rientrano tra quelle sancite a carico del contraente aderente e sono, pertanto, prive di efficacia, a norma dell'art. 1341, comma 2 c.c., qualora non siano specificamente approvate per iscritto dal contraente aderente, anche quando hanno carattere di reciprocità e bilateralità (Cass. VI, n. 14737/2015); i) in materia di comodato, la clausola che ponga a carico del comodatario tutti i rischi derivanti dalla gestione della cosa data in comodato ha natura vessatoria, non essendo riproduttiva di alcuna regola legale, posto che ai sensi dell'art. 2051 c.c. anche il comodante risponde dei danni derivanti a terzi dalla res commodata, conservandone la custodia (Cass. III, n. 13363/2015)..

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