Codice Civile art. 1350 - Atti che devono farsi per iscritto.

Gian Andrea Chiesi
aggiornata da Nicola Rumìne

Atti che devono farsi per iscritto.

[I]. Devono farsi per atto pubblico [2699 ss.] o per scrittura privata [2702 ss.], sotto pena di nullità (1):

1) i contratti che trasferiscono la proprietà di beni immobili [812];

2) i contratti che costituiscono, modificano o trasferiscono il diritto di usufrutto [978 ss.] su beni immobili, il diritto di superficie [952 ss.], il diritto del concedente e dell'enfiteuta [957 ss.];

3) i contratti che costituiscono la comunione [1100 ss.] di diritti indicati dai numeri precedenti;

4) i contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali [1027 ss.], il diritto di uso su beni immobili e il diritto di abitazione [1021 ss.];

5) gli atti di rinunzia ai diritti indicati dai numeri precedenti;

6) i contratti di affrancazione del fondo enfiteutico [971];

7) i contratti di anticresi [1960 ss.];

8) i contratti di locazione [1571] di beni immobili per una durata superiore a nove anni (2);

9) i contratti di società [2247 ss.] o di associazione [2594 ss.] con i quali si conferisce il godimento di beni immobili o di altri diritti reali immobiliari per un tempo eccedente i nove anni o per un tempo indeterminato;

10) gli atti che costituiscono rendite perpetue [1861 ss.] o vitalizie [1872 ss.], salve le disposizioni relative alle rendite dello Stato [1871] (3);

11) gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali immobiliari;

12) le transazioni [1965 ss.] che hanno per oggetto controversie relative ai rapporti giuridici menzionati nei numeri precedenti;

13) gli altri atti specialmente indicati dalla legge [14, 47, 162, 484, 519, 601 ss., 782, 1392, 1403, 1503 3, 1543 1, 1978 1, 2096, 2328, 2504, 2603, 2821, 2879, 2882; 807, 808 c.p.c.; 237, 249, 328, 565, 852, 857, 1027 c. nav.] (4).

(1)In tema di documento informatico sottoscritto con firma elettronica, v. art. 21, comma 2 bis, d.lg. 7 marzo 2005, n. 82.

(2) V. art. 41 l. 3 maggio 1982, n. 203.

(3) V. l. 6 agosto 1966, n. 651 e d.P.R. 30 dicembre 2003, n. 398.

(4) V. art. 117 d.lg. 1° settembre 1993, n. 385.

Inquadramento

La forma del contratto è il modo con cui esso si manifesta ovvero — in altri termini — il veicolo che esprime all'esterno l'accordo delle parti: ciò implica che una forma, come mezzo di comunicazione all'esterno della volontà delle parti, è sempre necessaria: in questo senso, dunque, è possibile distingue tra forma espressa e forma tacita.

Ove sia intesa come manifestazione esterna o esternazione dell'atto, la forma si identifica con il regolamento negoziale in sé mentre, se intesa come mezzo espressivo o di formalizzazione con cui l'atto deve essere compiuto, individua un elemento essenziale del contratto, prescritto a condizione di validità dell'atto stesso nei soli casi previsti dalla legge.

A tali concetti corrisponde la distinzione tra dichiarazione e documento, nel senso che non necessariamente la dichiarazione viene incorporata in un documento (Cataudella, 106).

La previsione contenuta al n. 4 dell'art. 1325 c.c. (per cui la forma rappresenta elemento essenziale del contratto solo ove richiesta ad substantiam), implica la vigenza, nell'ordinamento giuridico italiano, del principio di libertà di forma, con conseguente validità dei contratti a forma libera, salve le eccezioni espressamente disciplinate. In altri termini, ai fini della validità del vincolo negoziale è sufficiente che la volontà si renda palese, estrinsecandosi in un qualsiasi modo sensibile, si dà potersi distinguere una volontà tacita (o per facta concliudentia) da una espressa.

Il principio di libertà della forma patisce, tuttavia, numerose deroghe, a) richiedendosi per numerosi contratti una specifica forma vincolata, che assume ora la veste della scrittura privata, ora dell'atto pubblico nonché b) prevedendosi, accanto alla forma scritta ad substantiam (quale requisito di validità dell'atto), una forma scritta ad probationem, richiesta allo scopo di assicurare, in giudizio, la prova dell'esistenza del contratto. Sicché il contratto stipulato senza l'osservanza di tale formalità è perfettamente valido ed efficace, ma di difficile dimostrazione, scontrandosi la realtà giuridica con i limiti alla prova testimoniale posti dall'art. 2725 c.c.

La previsione circa la necessità del vincolo di forma nelle sole ipotesi regolate ha indotto a ritenere che nell'ordinamento giuridico italiano viga il principio di libertà di forma, con la conseguente validità dei contratti a forma libera, salve le eccezioni espressamente disciplinate (Messineo, 1961, 839).

La giurisprudenza di legittimità riconosce pacificamente che il nostro ordinamento è governato dal principio di libertà delle forme (Cass. I, n. 25626/2017), con la conseguenza che le norme che prescrivono vincoli di forma costituiscono eccezione a tale principio (Cass. sez. lav., n. 2088/1994) e sono di stretta interpretazione, cioè insuscettibili di applicazione analogica (Cass. S.U., n. 3318/1995)

La forma scritta ad substantiam

In contratti per i quali la legge prescrive la forma scritta quale elemento di validità del negozio (in virtù del combinato disposto degli artt. 1325, n. 4 e 1418 c.c.) sono definiti contratti formali o solenni, in contrapposizione a quelli non soggetti a tale formalità, che si definiscono non formali o «a forma libera». La ratio della prescrizione di una tale tipologia di forma risiede nell'esigenza di a) garantire particolare certezza a mutamenti giuridici di particolare rilievo, nonché b) di tutelare le parti, assicurando loro, mediante la solennità imposta, una maggiore ponderazione sull'operazione negoziale.

Si è osservato, in dottrina, come l'art. 1350 c.c. presenti alcune, nel senso che i nn. 1, 2, 3, 4, 5, 6 e 12 prevedono un vincolo di forma che non riguarda la struttura di un tipo contrattuale, ma l'effetto prodotto dal contratto e la natura immobiliare del bene sul quale l'effetto stesso si produce: sicché — si è osservato (Bianca, 276) — può configurarsi una sorta di regime formale di settore, che si estende a qualunque atto (tipico o atipico, bilaterale o unilaterale) idoneo a produrre l'effetto descritto su beni immobili, anche se diverso da quelli esemplificativamente elencati dalle ipotesi in esame. Così, ad esempio, la forma solenne sarà necessaria anche per la compravendita di immobili ad efficacia obbligatoria (Bianca, 283), compresa l'ipotesi della vendita di cosa futura, ovvero per gli accordi in sede di separazione o divorzio che afferiscano a diritti reali immobiliari ovvero, ancora, per gli atti di adempimento di un'obbligazione naturale che importino un trasferimento immobiliare.

Oltre agli atti espressamente indicati dalla norma in esame, il n. 13 — con una classica clausola di chiusura — sottopone al rispetto del vincolo formale tutti gli altri atti per i quali la prescrizione sulla forma è prevista specialmente dalla legge; a ciò si aggiungano a) gli atti per i quali le parti convenzionalmente hanno stabilito la forma scritta i quali, in virtù della previsione espressa contenuta al successivo art. 1352 c.c., devono intendersi soggetti ad una presunzione di forma scritta ad substantiam nonché b) i contratti per i quali una determinata forma sia imposta dal proponente, ai sensi dell'art. 1326 c.c.

In merito ai contratti che richiedono la forma scritta ad substantiam è stato non solo chiarito che la loro conclusione tra persone lontane postula che alla proposta in forma scritta segua la accettazione anche essa in forma scritta (Cass. II, n. 7313/2017), ma anche che, l'operatività del principio secondo cui il perfezionarsi del negozio può avvenire anche in base ad un documento firmato da una sola parte, ove risulti una successiva adesione, anche implicita, del contraente non firmatario, contenuta in atto scritto diretto alla controparte, presuppone che detto documento abbia tutti i requisiti necessari ad integrare una volontà contrattuale, ivi compresa l'individuazione o quantomeno l'individuabilità del destinatario della dichiarazione, e che, inoltre, tale volontà non sia stata revocata dal proponente prima che lo stesso abbia avuto notizia, anche in forma verbale o per facta concludentia, purché in modo idoneo a giungere a conoscenza dell'altra parte, dell'accettazione della controparte (Cass. II, n. 7543/2016). Peraltro, a precisazione di quanto precede va chiarito che la produzione in giudizio della scrittura da parte del contraente che non l'ha sottoscritta realizza un equivalente della sottoscrizione, con conseguente perfezionamento del contratto con effetti ex nunc e non ex tunc, essendo necessaria la formalizzazione delle dichiarazioni di volontà che lo creano, con la conseguenza che tale meccanismo non opera se l'altra parte abbia medio tempore revocato la proposta, ovvero se colui che aveva sottoscritto l'atto incompleto non sia più in vita nel momento della produzione, determinando la morte, di regola, l'estinzione automatica della proposta (art. 1329 c.c.), non più impegnativa per gli eredi (Cass. I, n. 5959/2016).

La forma scritta ad substantiamsi riverbera anche sul profilo probatorio, nel senso che la prova del contratto per il quale sia richiesta — ex lege o convenzionalmente — tale forma non può essere fornita, salvo che il documento che incorpora il contratto sia andato incolpevolmente perduto (cfr. artt. 2742, n. 3 e 2725 c.c.), a mezzo testimoni, ma va data mediante la produzione del documento in cui l'accordo è consacrato (da ultimoCass. I, n. 8889/2025), secondo cui per i contratti per i quali è prevista la forma scritta "ad substantiam" - lo si è detto, è il caso di specie - la prova della loro esistenza e dei diritti che ne formano l'oggetto, richiede necessariamente la produzione in giudizio della relativa scrittura, che non può essere sostituita da altri mezzi probatori e neanche dal comportamento processuale delle parti che abbiano concordemente ammesso l'esistenza del diritto costituito con l'atto non esibito.

In tale prospettiva, anzi, Cass. I, n. 25999/2018 ha escluso che possa operare il principio di non contestazione, sancito dall'art. 115, comma 1 c.p.c., secondo cui i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita possono essere posti a fondamento della decisione, senza necessità di prova: nel caso in cui il fatto costitutivo del diritto azionato sia rappresentato da un atto per il quale la legge impone la forma scritta ad substantiam, esso non opera dal momento che in tale ipotesi, a differenza di quanto accade nel caso in cui una determinata forma sia richiesta ad probationem, l'osservanza dell'onere formale non è prescritta esclusivamente ai fini della dimostrazione del fatto, ma per l'esistenza stessa del diritto fatto valere, il quale, pertanto, può essere provato soltanto in via documentale, non risultando sufficienti né la prova testimoniale o per presunzioni, né la stessa confessione della controparte. I limiti di ammissibilità della prova testimoniale sull'esistenza di un contratto soggetto a forma scritta ad substantiam sono infatti dettati da ragioni di ordine pubblico, tanto che l'inammissibilità della prova assunta oltre quei limiti in primo grado non è sanata dalla mancata tempestiva opposizione della parte interessata, la quale può eccepire il vizio con motivo di appello (Cass. II, n. 23934/2015). Del pari, Cass. II, n. 4431/2017 chiarisce che, quando, per l'esistenza di un determinato contratto, la legge richieda, a pena di nullità, la forma scritta (nella specie, contratto costitutivo di enfiteusi), alla mancata produzione in giudizio del relativo documento non può supplire il deposito di una scrittura contenente la confessione della controparte in ordine alla pregressa stipulazione del contratto de quo, nemmeno se da essa risulti che quella stipulazione fu fatta per iscritto. In particolare, l'atto scritto deve essere rappresentato non da un qualsiasi documento, da cui risulti la precedente stipulazione, ma da uno scritto che contenga la manifestazione della volontà di concludere il contratto e che sia posto in essere al fine specifico di manifestare tale volontà, sicché non soddisfano tale requisito l'attestazione di pagamento sottoscritta dall'accipiens e dal solvens, concernente somma corrisposta in esecuzione di un patto negoziale (Cass. II, n. 25424/2013), la dichiarazione di quietanza (Cass. II, n. 5158/2012), il negozio di accertamento (Cass. III, n. 9687/2003). Al contrario, Cass. II, n. 20198/2004 chiarisce che il requisito di forma è soddisfatto da una dichiarazione ricognitiva con efficacia costitutiva da cui risultino la causa della dichiarazione e tutti gli elementi essenziali (cfr. anche Cass. II, n. 20612/2017).

I limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, così come i limiti di valore previsti dall'art. 2721 c.c. per la prova testimoniale, operano esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l'esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo, qual è il curatore che agisce in revocatoria fallimentare (Cass. I, n. 3336/2015).

Quando la legge richiede la forma a pena di nullità, non è possibile aggirare l'onere di forma mediante un atto scritto successivo, idoneo a fornire la prova della conclusione del contratto, come l'atto confessorio, l'atto di riconoscimento, il negozio di accertamento, la fattura, la quietanza (Sacco, De Nova, 220). La forma richiesta per la validità dell'atto è comunque necessaria anche per la prova della sua conclusione: se ne è tratta la conclusione per cui il riferimento, più che alla forma ad substantiam, in questi casi dovrebbe essere alla forma doppiamente necessaria per la validità e per la prova (Sacco, De Nova, 220), giacché la prova di tali contratti non può essere data con altri mezzi se non con il documento che incorpora l'atto, salvo il caso di perdita incolpevole del documento.

Tale opinione dottrinaria trova espressione nel principio esposto da Cass. III, n. 17968/2014, per cui, in tema di prova testimoniale, l'unitarietà della disciplina risultante dagli artt. 2725 c.c. e 2729 c.c. esclude l'esistenza di un diverso regime processuale in ordine al rilievo dell'inammissibilità della prova testimoniale con riferimento ai contratti per i quali la forma scritta sia richiesta ad probationem ovvero ad substantiam, sicché quando, per legge o per volontà delle parti, sia prevista, per un certo contratto, la forma scritta ad probationem, la prova testimoniale (e quella per presunzioni) che abbia ad oggetto, implicitamente o esplicitamente, l'esistenza del contratto, è inammissibile, salvo che non sia volta a dimostrare la perdita incolpevole del documento.

Non è necessario, infine, che la volontà negoziale sia manifestata contestualmente e in un unico documento, dovendosi ritenere il contratto perfezionato anche qualora le sottoscrizioni siano contenute in documenti diversi, anche cronologicamente distinti, qualora si accerti che il secondo documento è inscindibilmente collegato al primo, sì da evidenziare inequivocabilmente la formazione dell'accordo (Cass. I, n. 5919/2016).

Derogano a tale principio i contratti con la P.A., relativamente ai quali è pressoché granitico, in seno alla giurisprudenza di legittimità, l'orientamento per cui gli stessi devono essere necessariamente consacrati in un unico documento, escludendosi il loro perfezionamento attraverso lo scambio di proposta ed accettazione tra assenti (salva l'ipotesi eccezionale, prevista dall'art. 17 r.d. n. 2240/1923, di contratti conclusi con ditte commerciali), mentre tale requisito deve ritenersi soddisfatto nel caso di cd. elaborazione comune del testo contrattuale, e cioè mediante la sottoscrizione — sebbene non contemporanea, ma avvenuta in tempi e luoghi diversi — di un unico documento contrattuale il cui contenuto sia stato concordato dalle parti (da ultimo, Cass. III, n. 25631/2017; Cass. III, n. 12540/2016; Cass. III, n. 25798/2015).

Relativamente a tali suddetti contratti, segnatamente nell'ambito di quelli relativi alla concessione temporanea per occupazione di suolo pubblico, si è di recente pronunciata la giurisprudenza di legittimità (Cass. S.U ., n. 9775/2022) in merito all'applicazione di una clausola penale per il ritardo o l'inadempimento del soggetto concessionario: se essa possa fondarsi sulla sola istanza del privato, che contenga l'adesione al regolamento comunale che tale clausola contempli, ovvero se, per soddisfare il requisito della forma scritta ad substantiam - imposta per la formazione dei contratti tra P.A. e privati - sia necessario che suddetta clausola risulti inserita in un atto formato e approvato dall'amministrazione e dal privato medesimo. La Cassazione ha riconosciuto che l'istanza del concessionario da cui espressamente risulti l'assunzione dell'obbligo all'osservanza della clausola de qua, cui segua il rilascio del provvedimento mediante il quale l'amministrazione autorizza la concessione e ove si richiami detto obbligo, dia luogo ad una convenzione accessiva alla concessione, a carattere satisfattivo della prescrizione della forma scritta ad substantiam, ai sensi dell'art. 17 del r.d. 2440/1923. Tale particolare schema di formazione del rapporto contrattuale è conforme alla legge e al richiesto onere formale, risultando tutelata l'esigenza di garantire il corretto svolgimento dell'attività dell'organo pubblico nonché di vincolare la P.A. ad un programma negoziale di cui possano individuarsi le obbligazioni in modo chiaro e univoco, senza possibili margini di opinabilità.

Segue. Atto pubblico e scrittura privata

Il requisito della forma scritta è osservato quando il contratto sia redatto per atto pubblico o per scrittura privata. L'atto pubblico deve presentare, sia sul piano oggettivo che soggettivo, gli elementi prescritti dall'art. 2699 c.c. ed è prescritto dalla legge per la donazione, per il contratto costitutivo del fondo patrimoniale, di un'associazione o una fondazione o una società, per gli atti di fusione e scissione, il contratto di arruolamento per i componenti dell'equipaggio di una nave. La scrittura privata è invece definita dall'art. 2702 c.c. ed i contratti per cui la legge richieste la formalità della (sola) scrittura privata sono ben più numerosi di quelli per cui è richiesto l'atto pubblico: affinché la scrittura privata soddisfi il vincolo della forma scritta è comunque necessario che vi sia la sottoscrizione delle parti — sia che si tratti di scrittura autenticata sia che si tratti di scrittura olografa — cui non sono equiparabili il contrassegno o l'impronta digitale. La sottoscrizione deve essere leggibile; diversamente non è necessario il disconoscimento, salvo che l'identità del sottoscrittore sia certa, poiché in tal caso l'illeggibilità della sottoscrizione non assume rilievo. La formale inesattezza del nome e del cognome contenuti nella sottoscrizione, a fronte delle risultanze dello stato civile, non ne autorizza il disconoscimento quando in relazione al testo il sottoscrittore sia comunque sufficientemente identificato.

È inoltre sufficiente, ai fini del rispetto della previsione in esame, che la forma prescritta per l'atto sia osservata in ordine agli elementi essenziali: con specifico riferimento all'oggetto, è necessario che siano indicati tutti gli elementi ed anche le modifiche convenzionali dell'identità del bene.

Del tutto conforme la posizione della giurisprudenza, per la quale il vincolo di forma riguarda soltanto i requisiti essenziali del contratto e non anche gli altri elementi (Cass. I, n. 5118/2018; Cass. II, n. 13703/2005): in particolare, gli elementi essenziali devono risultare dallo stesso documento e non aliunde, sebbene il requisito della contestualità non vada inteso in senso rigorosamente materiale e grafico, ben potendo ricorrere anche nel caso in cui il contratto richiedente la forma scritta ad substantiam risulti costituito da due parti materialmente distinte ma collegate tra loro per effetto del richiamo dell'una contenuto nell'altra, in modo da formare un unico, ancorché complesso, atto scritto, in sé contenente tutti gli elementi essenziali del contratto (Cass. II, n. 17346/2009).

Nei negozi formali la relatio è ammissibile per gli elementi non essenziali; ma gli elementi cui si rinvia non possono essere provati per testi (Mirabelli, 197)

La forma scritta convenzionale

La forma, come detto, può essere prevista a pena di nullità del contratto o per espressa previsione di legge o perché le parti convenzionalmente, nell'ambito della loro autonomia, decidano di consacrare il vincolo negoziale rivestendolo di una determinata forma (e precisamente, quella dell'atto pubblico o della scrittura privata) quando alcuna forma sia prescritta ex lege ovvero prevedendo una formalità più rigorosa di quella prescritta dalla legge ove essa, al contrario, sia effettivamente contemplata. La ratio di una simile previsione va ravvisata nella volontà delle parti di garantirsi una maggiore certezza non solo circa la conclusione del contratto, ma anche sul suo contenuto.

Quando in ordine al contratto che le parti intendono concludere non è prescritto alcun vincolo di forma, le parti possono impegnarsi, per il futuro contratto o all'atto stesso della stipulazione (Messineo, 1961, 841), all'osservanza di una determinata forma, mentre non è consentito, trattandosi di violazione di norme imperative, che i negozi a forma vincolata siano trasformati per volontà delle parti in negozi a forma libera.

Nell'autodeterminarsi circa la prescrizione di una determinata forma, le parti possono decidere se la stessa debba intendesi ad probationem ovvero ad substantiam: sennonché, nel silenzio delle stesse si presume che la scelta ricada su tale ultima opzione.

Nei casi in cui la forma non sia richiesta dalla legge, ben possono i soggetti privati imporre l'osservanza di una determinata forma nei negozi futuri dei quali sia previsto il compimento, senza che tale possibilità contraddica al principio dell'autonomia ed in particolare alla regola della libertà di forma e, nel dubbio circa i fini per cui tale forma sia stata convenzionalmente predeterminata, è da presumere che essa sia stata voluta per la validità, e non solamente ai fini di semplice prova, del futuro negozio (Cass. L, n. 1563/1983).

Secondo una prima impostazione, la norma stabilisce una presunzione iuris tantum quanto alla natura del vincolo formale che le parti hanno previsto per la futura stipulazione del contratto: in mancanza di espresse indicazioni di segno contrario si presume, cioè, che la forma sia stata voluta per la validità del contratto, senza che le parti possano però provare a mezzo testimoni la circostanza che la forma sia stata convenuta a soli fini probatori (Sacco, De Nova, 222). Per altra opinione, al contrario, la norma non detterebbe una presunzione in senso tecnico, limitandosi piuttosto a stabilire una regola interpretativa oggettiva dell'accordo delle parti (Bianca, 305).

La Cass. L, n. 5024/2004 chiarisce che la presunzione prevista dall'art. 1352 c.c. può essere superata nel caso in cui si pervenga, sulla base dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e ss. c.c., ad una interpretazione certa di segno contrario. Del tutto isolata, oltre che contraddetta dal dato letterale della norma è, invece, la tesi secondo cui il patto sulla forma dovrebbe presumersi riferito ad un vincolo di forma ad probationem del futuro contratto, perché proveniente da una fonte negoziale, essendo riservata esclusivamente al legislatore la prescrizione sulla forma ad substantiam (Cass. L, n. 4167/1996).

Un'applicazione specifica di tale norma si è riscontrata in tema di comunicazioni telematiche fra banche, in cui opera il sistema swift (acronimo di society for worldwide interbank financial telecomunication — sistema riservato alle banche e alle istituzioni finanziarie che consente di effettuare con rapidità e sicurezza operazioni internazionali di carattere finanziario), riconducibile allo schema del contratto per adesione, in cui le parti devono attenersi alle regole sulla forma delle comunicazioni contrattuali definite dal manuale ufficiale di funzionamento del sistema (swift user handbook): trattasi di requisito di forma convenzionale previsto ad substantiam, caratterizzato dall'indicazione per ciascuna operazione bancaria di un determinato codice informatico alfanumerico, con conseguente nullità del messaggio swift privo di tale requisito (Cass. I, n. 13020/2014)

Forma scritta «giudiziale»

Alla sottoscrizione è equiparata la produzione in giudizio del documento a cura di chi non lo ha sottoscritto, quando sia diretta a far valere in proprio favore gli effetti dell'atto e non anche quando la produzione in giudizio sia avvenuta al fine di dimostrare attraverso la mancata sottoscrizione che il contratto non si è concluso.

Si ritiene in dottrina che, affinché tale formazione giudiziale possa ricorrere, il consenso manifestato dall'originario sottoscrittore del documento prodotto deve essere ancora attuale al tempo della produzione, con la conseguenza che il contratto non può ritenersi formato, nonostante la produzione, quando il sottoscrittore abbia nelle more revocato il consenso o sia deceduto o il termine fissato nella proposta sia scaduto o sia sopravvenuta l'incapacità di una delle parti (Carresi, 380). Del pari in dottrina si esclude che da tale produzione possa automaticamente discendere la conclusione del contratto, quando sia decorso un lasso di tempo considerevole dalla formulazione della proposta, anche in ragione dell'imputazione della produzione non già direttamente all'oblato bensì al suo difensore; piuttosto a tale produzione può ricondursi la conclusione del contratto secondo l'apprezzamento discrezionale del giudicante, quando l'intervallo temporale tra manifestazione della proposta e produzione in giudizio sia tale da lasciare presagire che la proposta sia rimasta efficace e quando il comportamento complessivo dell'oblato, anche antecedente all'esibizione, riveli la sua volontà di accettare, così legittimando a credere che colui che materialmente ha proceduto all'esibizione manifesti una volontà identica a quella del suo assistito (Mirabelli, 194).

Tali principi sono stati recepiti in giurisprudenza, essendosi ammesso che la produzione in giudizio della scrittura possa surrogare il difetto di sottoscrizione, sia sul piano sostanziale sia sul piano probatorio, non essendo richiesta la contestualità nella manifestazione del consenso delle parti (Cass. II, n. 4921/2006; Cass. II, n. 2826/2000), purché medio tempore l'altra parte non abbia revocato il proprio assenso o non sia deceduta, con la conseguente impossibilità della formazione del consenso nella forma richiesta dalla legge nei confronti dei suoi eredi (Cass. II, n. 1525/2018). È stato recentemente chiarito, però, che la produzione in giudizio di una scrittura privata non firmata da parte di chi avrebbe dovuto sottoscriverla equivale a sottoscrizione, ma non può determinare identico effetto nei confronti della controparte, neppure quando quest'ultima non ne abbia impugnato la provenienza, poiché le scritture non firmate non rientrano nel novero di quelle aventi valore giuridico formale e non producono, quindi, effetti sostanziali e probatori: sicché la parte, contro la quale esse siano state prodotte, non ha l'onere di disconoscerne l'autenticità ex art. 215 c.p.c., norma che si riferisce al solo riconoscimento della sottoscrizione, questa essendo, ai sensi dell'art. 2702 c.c., l'unico elemento grafico in virtù del quale — salvi i casi diversamente regolati (artt. 2705, 2707, 2708 e 2709 c.c.) — la scrittura diviene riferibile al soggetto da cui proviene e può produrre effetti a suo carico (Cass. II, n. 30948/2018).

Ai fini che in questa sede rilevano occorre, inoltre, che il documento prodotto riporti tra le parti contraenti il soggetto che ha prodotto il documento (Cass. n. 8983/2003)

La forma ad probationem

La forma ad probationem ricorre quando la legge o la volontà delle parti richiedono la formalità della scrittura non già ai fini della validità del contratto quanto, piuttosto, allo scopo di assicurare, in giudizio, la prova della sua esistenza, escludendo la possibilità di avvalersi, a tal fine, della prova testimoniale e per presunzioni, se non quando il documento sia andato perduto senza colpa (cfr. l'art. 2724 c.c.). La ratio di tale tipologia di forma risiede, ancora una volta nell'esigenza di assicurare la certezza del contratto, facilitandone l'interpretazione. Ne consegue che il contratto concluso senza il rispetto di tale formalità è pienamente valido ed efficace, ma la relativa prova può essere fornita in giudizio solo per il tramite di confessione o giuramento (cfr. l'art. 2739, comma 1 c.c.) ma non a mezzo testimoni (cfr. l'art. 2725 c.c.) o presunzioni (cfr. l'art. 2729, comma 2 c.c.).

I limiti legali di prova di un contratto per il quale sia richiesta la forma scritta ad substantiam o ad probationem, così come i limiti di valore previsti dall'art. 2721 c.c. per la prova testimoniale, operano, tuttavia, esclusivamente quando il suddetto contratto sia invocato in giudizio come fonte di reciproci diritti ed obblighi tra le parti contraenti e non anche quando se ne evochi l'esistenza come semplice fatto storico influente sulla decisione del processo ed il contratto risulti stipulato non tra le parti processuali, ma tra una sola di esse ed un terzo, qual è il curatore che agisce in revocatoria fallimentare (Cass. I, n. 3336/2015).

Diversamente da quanto illustrato a proposito della forma ad substantiam, nel caso di forma richiesta ad probationem è sufficiente la prova scritta dell'esistenza del contratto e non del suo contenuto e si può prescindere anche dalla prova scritta dell'esistenza qualora siano pacifici tra le parti la stipula del contratto e il suo contenuto (Cass. III, n. 22395/2006; Cass. I, 25999/2018, cit.). La semplice modifica delle clausole di un contratto per il quale la forma scritta è richiesta solo ad probationem, così come la risoluzione consensuale, non richiede, invece, un accordo esplicito dei contraenti, potendo risultare anche da un comportamento tacito concludente (Cass. VI-5, n. 21764/2015). Ai fini della prova dell'avvenuta stipulazione del contratto o di singole clausole, le parti ben possono avvalersi dalla confessione o di una quietanza (Cass. n. 1960/1995; Cass. n. 9525/1992). La ratifica di un negozio per il quale sia richiesta la forma ad probationem può avvenire anche per facta concludentia (Cass. n. 11509/2008; Cass. n. 8855/1996).

La legge prevede che debbano essere provati per iscritto i seguenti atti: le autorizzazioni alle variazioni nell'appalto, il contratto di agenzia, il contratto di assicurazione, la transazione, salvo che non abbia ad oggetto diritti reali immobiliari, il contratto di trasferimento d'azienda, i contratti sui diritti di utilizzazione delle opere dell'ingegno, i patti limitativi della concorrenza, i contratti il cui valore superi la soglia delle vecchie lire 5.000, che non possono essere provati per testimoni.

Il difetto di forma ad probationem non impedisce, diversamente dal caso della forma ad substantiam, la conferma, la ricognizione, l'esecuzione volontaria del contratto (Giorgianni, 992)

La forma dei contratti accessori o strumentali

La legge impone il vincolo di forma anche per alcuni negozi accessori o strumentali, funzionali, cioè, ad altri contratti cd. principali e per i quali è prevista una determinata forma scritta, ad substantiam o ad probationem: precisamente, le due tipologie di contratti devono rivestire la medesima forma.

In questa tipologia di negozi rientrano: il contratto preliminare, la procura, la ratifica dell'operato del rappresentante senza potere, la nomina del terzo nel contratto per persona da nominare e l'accettazione del nominato, il mandato senza rappresentanza a concludere atti per la cui validità è richiesta la forma, il pactum fiduciae quando sia propedeutico al trasferimento del diritto reale immobiliare dal fiduciario al fiduciante, la risoluzione convenzionale di un contratto per il quale è richiesta la forma scritta, ivi compresa la risoluzione consensuale del preliminare con vincolo formale, il recesso unilaterale dal contratto costitutivo del rapporto al cui scioglimento il recesso sia finalizzato, quando per tale contratto si richieda la forma. In base alla funzione, in particolare, è possibile distinguere tra contratti preparatori, contratti preliminari, contratti modificativi e contratti solutori.

Così è richiesta la forma scritta per i seguenti contratti: a) la procura con cui l'investitore conferisce ad un terzo il potere di agire in suo nome e in sua vece con l'intermediario (Cass. III, n. 25212/2015); b) la dichiarazione di nomina e l'accettazione del terzo nel contratto per persona da nominare (Cass. II, n. 18490/2014); c) il pactum fiduciae, con il quale il fiduciario si obbliga a modificare la situazione giuridica a lui facente capo a favore del fiduciante o di altro soggetto da costui designato, qualora riguardi beni immobili (Cass. II, n. 13216/2017; Cass. I, n. 11757/2014); d) l'impegno al ritrasferimento immobiliare nel negozio fiduciario (Cass. III, n. 10633/2014); e) il mandato a transigere o la ratifica di transazione avente ad oggetto controversie relative a rapporti giuridici concernenti beni immobili o diritti reali immobiliari (Cass. III, n. 1181/2012); f) la ratifica di un contratto sottoposto al vincolo formale (Cass. II, n. 12308/2011); g) la risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l'estinzione di diritti reali immobiliari (Cass. II, n. 8234/2009).

Diversamente non ricadono in tale vincolo gli atti che, pur essendo collegati ad altri atti formali, hanno solo una ripercussione indiretta sulla titolarità di diritti reali immobiliari, quali: la rinuncia a far valere la clausola risolutiva espressa nella compravendita immobiliare, la rinuncia al termine essenziale del preliminare di compravendita immobiliare, l'accordo per il rinvio di tale termine. Per converso l'accordo transattivo per la proroga del termine fissato per la conclusione del contratto definitivo di vendita immobiliare è sottoposto al vincolo di forma. Secondo altra tesi il vincolo di forma deve essere esteso a tutti gli atti preparatori, integrativi, modificativi del contratto soggetto a sua volta a prescrizione di forma, senza eccezioni (Carresi, 370)..

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