Codice Civile art. 1420 - Nullità del contratto plurilaterale.Nullità del contratto plurilaterale. [I]. Nei contratti con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuna sono dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa nullità del contratto, salvo che la partecipazione di essa debba, secondo le circostanze, considerarsi essenziale [1446, 1459, 1466]. InquadramentoIn omaggio al principio di conservazione dei negozi giuridici, la disposizione in commento, in termini analoghi al precedente art. 1419 c.c., stabilisce che nei contratti plurilaterali la nullità del vincolo che investe una delle parti non determina l'invalidità del negozio giuridico, salva l'ipotesi nella quale la prestazione di tale parte debba considerarsi essenziale (Bianca, 599) Presupposti applicativiDa lungo tempo le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno chiarito che l'elemento rilevante che caratterizza la categoria dei contratti plurilaterali, di cui agli artt. 1420 e 1446 c.c., non è il numero dei partecipanti, maggiore di due, ma il fatto che la prestazione di ciascuno di essi è diretta al perseguimento di uno scopo comune, per modo che il contratto realizza la costituzione e la organizzazione di una comunione di interessi, con la conseguenza che non rientrano nella cennata categoria i contratti di scambio a prestazioni corrispettive, almeno approssimativamente equivalenti e di contenuto tipico invariabile, nei quali la prestazione di ciascuna parte e rivolta soltanto al soddisfacimento dell'interesse dell'altra e nei quali esula, quindi, ogni comunione di interessi (Cass. S.U., n. 2830/1966, in Giust. civ., 1967, I, 972). In sostanza, la disciplina dettata dalla norma in esame, in tema di nullità del contratto plurilaterale, che si riferisce alla diversa ipotesi in cui vi siano prestazioni di più soggetti dirette ad uno scopo comune, e non due prestazioni legate da vincolo di sinallagmaticità (Cass. II, n. 1180/1986; Cass. II, n. 4751/1978). Si è ritenuto, nel ribadire che la norma in esame, nel disporre che, nel contratto con più di due parti, ove le prestazioni di ciascuna siano dirette al conseguimento di uno scopo comune, la nullità che colpisce il vincolo di una sola delle parti non importa la nullità dell'intero rapporto, fa salvo il caso in cui la partecipazione di quella parte debba considerarsi essenziale, che, con riguardo alla transazione stipulata da più soggetti, ed affetta da nullità in relazione al vincolo assunto da uno di essi, che sia essenziale rispetto all'intero contratto, l'estensione della nullità medesima non può essere contestata invocando l'applicazione della citata norma, a prescindere da ogni indagine sulla riconducibilità della transazione stessa nell'ambito della sua previsione (cfr. Cass. I, n. 2012/1983). In dottrina si è evidenziato, a riguardo, che il concetto di scopo comune postula l'unicità del risultato giuridico ovvero il vantaggio comune derivante dalle prestazioni delle parti ovvero l'attività e l'organizzazione del gruppo, come accade per il contratto di società (Bianca, 57; in senso diverso Carresi, 242) CasisticaIn tema di intermediazione finanziaria, il contratto-quadro sottoscritto da uno solo dei due investitori è nullo per difetto di forma, ai sensi dell'art. 23 T.U.F., senza necessità di indagare se la partecipazione dell'altro (la cui firma è risultata apocrifa) sia stata essenziale, in quanto tale negozio non è qualificabile come contratto plurilaterale, ai sensi dell'art. 1420 c.c., bensì come contratto bilaterale con parte soggettivamente complessa, derivandone il conseguente travolgimento degli ordini di acquisto nei confronti di entrambi i clienti (Cass. I, n. 9331/2024). In materia di comunione ereditaria, è consentito ai comproprietari, nell'esercizio della loro autonomia negoziale, pattuire lo scioglimento nei confronti di uno solo dei coeredi, ferma restando la situazione di comproprietà tra gli altri eredi del medesimo dante causa: tale contratto, con cui i coeredi perseguono uno scopo comune, senza prestazioni corrispettive, non determinando direttamente lo scioglimento della comunione, non configura una vera e propria divisione, per la cui validità soltanto è necessaria la sottoscrizione di tutti i coeredi, ma un contratto plurilaterale, immediatamente vincolante ed efficace fra gli originari contraenti e destinato ad acquistare efficacia nei confronti degli assenti in virtù della loro successiva adesione, sempre possibile, salva diversa pattuizione, sino a quando non intervenga un contrario comune accordo o un provvedimento di divisione giudiziale (Cass. II, n. 22977/2013). Nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa, dovendosi presumere — in difetto di elementi, desunti dal tenore del contratto, che siano idonei a far ritenere che con esso siano state assunte (anche contestualmente) dai comproprietari promittenti distinte autonome obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento delle rispettive quote di comproprietà — che il bene sia stato considerato dalle parti come un unicum giuridico inscindibile, si deve ritenere che i promittenti venditori si pongano congiuntamente come un'unica parte contrattuale complessa e che, dunque, le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi siano prive di una specifica autonomia e destinate invece a fondersi in un'unica manifestazione negoziale, con la conseguenza che, qualora una di dette manifestazioni manchi, o risulti viziata da invalidità originaria, o venga caducata per una qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ai sensi dell'art. 2932 c.c., restando, pertanto, escluso che il promissario acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quello (o di quelli) tra i comproprietari promittenti, dei quali esista e persista l'efficacia della relativa manifestazione negoziale preliminare (Cass. I, n. 4747/1999). La partecipazione di una società di capitali, in qualità di accomandante, ad una società in accomandita semplice, comportando la violazione di norme inderogabili (concernenti l'amministrazione ed i bilanci della società di capitali) è nulla per violazione di norme imperative, restando peraltro tale nullità limitata, ai sensi dell'art. 1420 c.c., alla partecipazione della società di capitali come accomandante, ove la stessa partecipazione non debba considerarsi essenziale; mentre la configurabilità — in virtù della conversione, ai sensi dell'art. 1424 c.c., del contratto sociale nullo di un rapporto di lavoro subordinato fra società di capitali accomandante e persona fisica accomandataria è esclusa ove tale rapporto di lavoro risulti non solo non considerato ma addirittura escluso dalla comune volontà delle parti, con l'ulteriore conseguenza che alle prestazioni dell'accomandatario, costituenti oggetto dell'obbligo di conferimento, non è applicabile l'art. 2126 c.c. (Cass. lav., n. 1906/1993). La transazione può ben configurarsi come contratto plurilaterale, in quanto risulti caratterizzata da una pluralità di centri di interesse, nel qual caso sono ad essa applicabili gli artt. 1420,1446,1459 e 1466 c.c., alla cui stregua, rispettivamente, la nullità, l'annullamento o la risoluzione riguardante il vincolo di una delle parti non importa, se non quando la partecipazione della medesima debba ritenersi essenziale, la nullità, l'annullamento o la risoluzione dell'intero rapporto (Cass. II, n. 2089/1982). L'avallo cambiario rilasciato da una società in accomandita semplice in favore del socio amministratore e di un terzo è nullo, ex art. 2624 c.c. (nella formulazione applicabile ratione temporis, antecedente alle modifiche di cui al d.lgs. n. 61/2002), con riferimento al socio amministratore, ma solo annullabile nei confronti del terzo ai sensi dell'art. 1395 c.c., per il potenziale conflitto di interessi che si determina in assenza di una specifica autorizzazione da parte della società. Del resto, l'istituto dell'avallo è riconducibile alla categoria della fideiussione, con conseguente applicazione delle relative disposizioni, tra le quali anche quella secondo cui la nullità di un rapporto fideiussorio non si comunica agli altri, non potendo la cofideiussione essere considerata un contratto plurilaterale ex art. 1420 c.c. (Cass. I, n. 21736/2016).. BibliografiaBianca, Diritto civile, III, Il contratto, Milano, 1997; Bigliazzi Geri, voce Conversione dell'atto giuridico, in Enc. dir., Milano, 1962; Bigliazzi Geri, Breccia, Busnelli, Natoli, Diritto civile, 1.2, Fatti e atti giuridici, Torino, 1990; Criscuoli, La nullità parziale del negozio giuridico, Milano, 1959; De Nova, Conversione del negozio nullo, in Enc. Giur., Roma, 1988; Fedele, L'invalidità del negozio giuridico di diritto privato, Napoli, 1983; Filanti, Inesistenza e nullità del negozio giuridico, Napoli, 1983; Giacobbe, voce Convalida, in Enc. dir., Milano, 1962; Messineo, voce Contratto plurilaterale, in Enc. dir., Milano, 1962; Santoro Passarelli, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, rist. 1989; Schizzerotto, Il collegamento negoziale, Napoli, 1988; Scognamiglio, voce Collegamento negoziale, in Enc. dir., Milano, 1960; Tommasini, voce Nullità, in Enc. dir., Milano, 1978 |