Codice Civile art. 1495 - Termini e condizioni per l'azione.Termini e condizioni per l'azione. [I]. Il compratore decade dal diritto alla garanzia, se non denunzia i vizi al venditore entro otto giorni dalla scoperta [1511], salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge. [II]. La denunzia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato. [III]. L'azione si prescrive, in ogni caso, in un anno dalla consegna [1497]; ma il compratore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può sempre far valere la garanzia, purché il vizio della cosa sia stato denunziato entro otto giorni dalla scoperta e prima del decorso dell'anno dalla consegna [1522; 172 trans.]. InquadramentoI rimedi della risoluzione del contratto, della riduzione del prezzo e del risarcimento del danno nel caso di bene affetto da vizi o mancanza di qualità sono soggetti all'onere della denunzia da parte del compratore entro il termine di decadenza di otto giorni. I termini di decadenza e di prescrizione di cui alla norma in esame riguardano tutte le azioni spettanti al compratore per i vizi o la mancanza di qualità della cosa pattuita , inclusa, pertanto, quella di risarcimento dei danni relativi (Cass. VI-II, n. 36052/2021; Cass. II, n. 10728/2001). La decadenza non riguarda invece i rimedi esperibili in caso di aliud pro alio (Cass. III, n. 26897/2023; Cass. II, n. 28069/2021; Cass. I, n. 2313/2016; vedi sub art. 1490), né è applicabile in caso di vizi di un immobile oggetto di contratto preliminare ad effetti anticipati, ove il promissario acquirente immesso nel possesso della res può opporre l'exceptio inadimpleti contractus ovvero chiedere la risoluzione del preliminare per inadempimento e la condanna della controparte a eliminare a proprie spese i vizi della cosa oppure agire ex art. 2932 c.c. e contemporaneamente con l'azione di riduzione del prezzo (Cass. I, n. 7584/2016, secondo cui l'onere di tempestiva denunzia presuppone l'avvenuto trasferimento del diritto). In tema di vendita di cose di genere, nella specie semilavorati, in mancanza di una specifica pattuizione delle caratteristiche qualitative di ciascuna unità di prodotto oggetto del contratto, non soggiace ai termini di prescrizione e decadenza dell'art. 1495 c.c., in quanto ontologicamente diversa dalla garanzia per vizi, l'azione di ripetizione del prezzo pagato in eccedenza per mero inadempimento quantitativo (Cass. II, n. 1282/2024). Secondo la dottrina, inoltre, l'omessa denunzia non incide sulle ulteriori azioni spettanti al compratore per la violazione delle altre obbligazioni (es., di custodia, consegna, spedizione) derivanti dalla vendita, anche se ne sia conseguito un deterioramento della cosa (Cass. II, n. 4382/1985), o dalla commissione di un fatto illecito ex art. 2043 c.c. (vedi sub art. 1494 c.c., 4). La denunzia è un atto giuridico in senso stretto ad indirizzo necessario: può essere fatta dal compratore o da un suo rappresentante, a condizione che quest'ultimo manifesti tale qualità al venditore ed il compratore provi di avergli conferito il relativo incarico (Cass. II, n. 10854/1998), e deve essere comunicata al venditore o a persona autorizzata a riceverla (rappresentante, mandatario, agente, commissionario, commesso). Se è effettuata al rappresentante del venditore, che abbia stipulato la compravendita in nome e per conto dell'alienante, la stessa è valida solo nell'ipotesi in cui risulti la permanenza dei suoi poteri rappresentativi anche dopo la vendita e fino al momento della denunzia stessa (Cass. II, n. 12130/2008). La denuncia dei vizi svolta dall'utilizzatore del bene, successivamente concessogli in leasing, non vale ad impedire la decadenza del compratore dalla garanzia prevista dall'art. 1495 c.c., in quanto proveniente da un terzo estraneo al contratto (Cass. III, n. 4300/2024). L'onere del compratore di denunciare i vizi implica anche quello di non utilizzare la merce e di tenerla a disposizione del venditore per il tempo minimo necessario a realizzare lo scopo della denuncia (Cass. II, n. 440/1996). Occorre, poi, rammentare che, in tema di giudizio di equità, fra i principi informatori della materia a cui è vincolato il giudice di pace rientrano anche i limiti temporali posti in ordine alla prescrizione ed alla decadenza dell'azione di garanzia per i vizi della cosa venduta (Cass. II, n. 21612/2004; contra Cass. I, n. 5037/2005). Modalità e termini della denunziaLa funzione della denunzia, oltre a far conoscere i vizi al venditore che li abbia eventualmente ignorati, è anche quella di consentire sollecitamente l'accertamento dell'entità e della causa degli stessi, anche nell'interesse del venditore ai fini della sua eventuale rivalsa verso il proprio fornitore. L'acquirente non è, però, tenuto a fare una denunzia analitica e specifica, con precisa indicazione dei vizi che presenta la cosa, essendo sufficiente una denunzia generica e sommaria che valga a mettere sull'avviso il venditore, salvo a precisare in un secondo tempo la natura e l'entità dei vizi riscontrati (Cass. II, n. 27488/2019; Cass. II, n. 5878/1993), e sempreché con essa il venditore sia reso edotto che il compratore ha riscontrato, seppure in maniera non ancora chiara e completa, che la cosa è affetta da vizi che la rendono inidonea all'uso cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore (Cass. II, n. 25027/2015). Tuttavia, non si può collegare un altro vizio alla denuncia fatta specificamente per un vizio diverso, altrimenti verrebbe frustrata la ratio della norma (Cass. II, n. 3214/1977). Quanto alla forma, la denunzia può essere fatta, in difetto di diversa previsione, con qualunque mezzo idoneo, e, quindi, per iscritto o oralmente (Cass. III, n. 1716/1970), anche mediante comunicazione telefonica (Cass. II, n. 5142/2003; Cass. S.U., n. 328/1991), telegramma (Cass. II, n. 644/1999, in tema di appalto) o notifica dell'atto di citazione per la risoluzione del contratto (anche dinanzi a giudice incompetente: Cass. III, n. 1466/1966) o per la riduzione del prezzo e/o per il risarcimento del danno, così come pure con la notifica del ricorso e pedissequo decreto di fissazione dell'udienza per accertamento tecnico preventivo. Inoltre, valore di denunzia può riconoscersi alla notifica del decreto giudiziale che dispone la verifica preventiva (art. 1513 c.c.) o alla stessa restituzione della merce (Bianca, 1026, secondo cui, peraltro, gli usi possono prevedere forme particolari per la denunzia, ma in quanto non richiamati non possono derogare alla regola generale della libertà di forma). Qualora vengano scoperti, in momenti successivi, diversi difetti del bene acquistato, per ciascuno di essi si configura l'onere di denuncia, salvo che gli stessi non siano tra loro collegati (Rubino, 830 ss.). È controverso se, non avendo il compratore denunziato il vizio originariamente scoperto, e agendo poi in giudizio per altri difetti riscontrati successivamente, egli possa fare valere anche il vizio non tempestivamente denunziato (per la tesi positiva, Bianca, ibidem; contra Rubino, ibidem). Nel caso di vizi apparenti, rilevabili attraverso un rapido e sommario esame del bene utilizzando una diligenza inferiore a quella ordinaria (Cass. II, n. 11452/2000), il termine di otto giorni per la denuncia decorre dal giorno in cui il bene è stato consegnato (Cass. II, n. 1082/1995). In caso di vizi non apparenti (vizi occulti o non rilevabili attraverso un sommario esame della cosa), il termine per la denunzia decorre dalla scoperta dei vizi, che si verifica nel momento in cui il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva e completa circa l'esistenza dei vizi (Cass. II, n. 11046/2016), non essendo sufficiente il semplice sospetto (Cass. II, n. 5732/2011). Un'esatta identificazione della parte viziata, soprattutto quando l'oggetto della fornitura sia il componente di un prodotto sottoposto a varie fasi di lavorazione, può anche intervenire solo all'esito di un accertamento tecnico in sede giudiziale (Cass. II, n. 6169/2011). Nella vendita tra imprenditori, esperti del settore merceologico specifico, il termine decorre dal momento in cui l'acquirente ha potuto eseguire gli esami necessari, equiparandosi in tal caso la possibilità di accertamento della condizione del bene alla riconoscibilità dei vizi apparenti (Cass. II, n. 10498/1996). Nel caso in cui, a tal fine, si proceda ad un accertamento tecnico preventivo, il termine decorre dal momento della comunicazione da parte della cancelleria del relativo esito (Cass. II, n. 6735/2000). In un caso avente ad oggetto un macchinario dal funzionamento complesso, bisognoso di un periodo di rodaggio, si è ritenuto che il termine iniziasse a decorrere soltanto a conclusione di detto periodo (Cass. II, n. 1458/1994); se si tratta di vendita di azienda, il compratore deve effettuare la denuncia dei vizi entro otto giorni dalla scoperta, a prescindere dalla dimensione del complesso, ancorché non ne sia stata individuata la causa (Cass. II, n. 10767/2003). In ogni caso, la prova della tempestività della denuncia, che grava sul compratore, presuppone l'indicazione di una data di scoperta e, prima ancora, l'allegazione del tipo di vizio, se palese o occulto: è necessario, infatti, che l'indicazione della data in cui la scoperta si è asseritamente compiuta sia giustificata e strettamente conseguente alla natura del vizio, perché la decadenza dalla garanzia è stata prevista dal legislatore in riferimento al tempo della “scoperta” per evitare il prolungarsi dell'incertezza sulla sorte del contratto e fare in modo che l'accertamento dell'entità e della causa dei vizi possa compiersi sollecitamente, anche nell'interesse del venditore, perché egli possa intervenire con gli opportuni accertamenti che il decorso del tempo potrebbe precludere e possa essere in grado di eliminare a sue spese i vizi (Cass. II, n. 25114/2023). Qualora la scoperta del vizio avvenga per gradi ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sull'entità del vizio stesso, occorre fare riferimento al momento in cui si sia completata la relativa scoperta (Cass. VI-II, n. 40814/2021; Cass. II, n. 11046/2016). Qualora il bene oggetto del contratto sia stato consegnato ad un terzo, il termine per la tempestiva denunzia decorre dal momento in cui il compratore, tramite la contestazione da parte del terzo, sia messo in condizione di conoscere l'esistenza dei vizi (Cass. II, n. 4018/2011). Nella vendita a consegne ripartite il termine per la denuncia dei vizi decorre dalla data della loro scoperta in relazione a ciascuna delle singole consegne (Cass. II, n. 6855/1993), ma ove il medesimo difetto inficia tutta la merce il termine è unico e decorre dal giorno della consegna o scoperta iniziali, rispettivamente nel caso di vizio palese o occulto, senza che la successiva consegna di altra partita della stessa merce sia idonea a far decorrere un nuovo termine per la denuncia (Cass. II, n. 8775/2024; Cass. II, n. 16766/2019; Cass. II, n. 4019/1999). Nel caso di vendita a catena con unica consegna della merce dal primo venditore all'ultimo acquirente, il termine decorre per ogni intermediario rivenditore dalla consegna della merce all'ultimo acquirente (Cass. II, n. 6063/1979). Di recente, si è precisato che, a prescindere dalla applicabilità o meno della disciplina consumeristica, il primo venditore (ovvero un suo incaricato) è tenuto a denunciare tempestivamente al secondo venditore i vizi o le difformità dell'opera a lui contestati dal primo compratore senza che tale denuncia possa provenire aliunde, come, ad es., dal medesimo primo compratore, poiché i rapporti di compravendita sono autonomi e la detta comunicazione ha natura comunicativa o partecipativa, imponendo che la fonte della dichiarazione - così come il destinatario - si identifichino con il soggetto sulle cui sfere giuridiche gli effetti legali, impeditivi della decadenza, sono destinati a prodursi (Cass. II, n. 13782/2024). Le parti, in ogni caso, possono stabilire un termine diverso, ossia più o meno lungo rispetto a quello previsto dalla legge (Rubino, 831). Tuttavia, ai sensi dell'art. 2965 c.c., è nullo il patto con cui si stabiliscono termini di decadenza che rendano eccessivamente difficile ad una delle parti l'esercizio del diritto (Cass. III, n. 338/1968). Si ritiene tempestiva la denunzia inviata al venditore entro gli otto giorni (Bianca, 1029; Rubino, 832). Anche la giurisprudenza è pervenuta alla medesima conclusione, assumendo che l'onere di denunciare i vizi della cosa venduta nel termine di otto giorni è assolto dal compratore quando la denuncia sia inviata al venditore entro il detto termine, non avendo rilevanza la data della ricezione della denuncia medesima da parte del venditore (Cass. III, n. 539/1986). La decadenza dal diritto per omessa o tardiva denunzia, trattandosi di decadenza relativa a diritti disponibili, non può essere rilevata d'ufficio dal giudice, ma deve essere eccepita dal venditore (Cass. II, n. 1031/2000). L'eccezione di decadenza, come quella di prescrizione, consiste nell'indicare il decorso del tempo e nel comunicare la volontà di profittare dell'effetto estintivo, mentre non richiede l'individuazione del tipo di garanzia in concreto applicabile (che potrebbe anche essere quella di buon funzionamento ex art. 1512 c.c.), spettando al giudice determinarla, eventualmente riqualificando la fattispecie dedotta in giudizio dal compratore (Cass. II, n. 21463/2012). Tale eccezione, inoltre, non rientra tra le eccezioni in senso proprio, ma costituisce una difesa dell'interessato consistente nella semplice negazione di una delle condizioni dell'azione (Cass. II, n. 12957/2014). È ravvisabile la rinuncia, per facta concludentia, del venditore ad eccepire la decadenza del compratore dalla garanzia per vizi se sussiste un'incompatibilità assoluta tra il comportamento del soggetto e la volontà dello stesso di avvalersi della causa estintiva del diritto altrui, senza possibilità di alcuna diversa interpretazione (Cass. II, n. 7301/2010; Cass. II, n. 5597/2001). Sussiste la rinuncia, ad es., se, malgrado la denuncia sia successiva al termine di otto giorni dalla scoperta, il venditore ha inviato un suo tecnico per esaminare il guasto ed ha richiesto l'invio del bene per tentarne la riparazione (Cass. III, n. 4219/1998). Secondo l'orientamento assolutamente prevalente, eccepita la tardività della denunzia da parte del venditore, incombe sul compratore l'onere di provarne la tempestività (ex multis, Cass. II, n. 12337/2023; Cass. VI-II, n. 24348/2019; Cass. II, n. 16766/2019; Cass. II, n. 12130/2008; Cass. II, n. 13695/2007; Cass. II, n. 1440/2003; del tutto minoritario risulta il contrario orientamento sostenuto da Cass. II, n. 8194/1990, secondo cui grava, comunque, sul venditore l'onere di provare l'avvenuta scadenza del termine alla data della denunzia o della notifica della citazione). La tempestività della denuncia potrebbe essere ritenuta dal giudice anche sulla base di elementi presuntivi, come quelli evincibili dal comportamento, processuale o extraprocessuale, del venditore (Cass. II, n. 4407/1978). Il semplice uso della cosa, secondo la sua normale destinazione, al fine di evitare o limitare il danno, anche se protratto per lungo tempo, a seguito della lite insorta tra le parti, non costituisce dimostrazione dell'intento di abdicare alla garanzia per i vizi tempestivamente denunciati (Cass. III, n. 336/1973). Occorre poi ricordare che la Convenzione di Vienna sulla vendita internazionale dell'11 aprile 1980, ratificata con l. n. 765/1985, unifica le varie ipotesi di presenza di vizi, mancanza di qualità e aliud pro alio nella nozione onnicomprensiva di «difetto di conformità», in relazione al verificarsi della quale prevede una serie di possibili rimedi, compresi nella sezione terza, artt. 45-52, che includono, al verificarsi di certi presupposti, la sostituzione, riparazione, riduzione del prezzo, risoluzione contrattuale e risarcimento del danno. Inoltre, quanto al termine entro il quale presentare la denuncia, la Convenzione ha adottato un criterio elastico, prevedendo che questa possa effettuarsi «entro un tempo ragionevole» dalla scoperta, ma comunque non oltre due anni dalla consegna (art. 39). Vedi, amplius, subart. 1510 c.c., 5. Per quanto attiene alla disciplina del Codice del consumo di cui al d.lgs. n. 206/2005, premesso che, ai fini di tale normativa, per bene di consumo deve intendersi, in generale, «qualsiasi bene mobile, anche da assemblare» (compreso l'animale d'affezione: Cass. II, n. 22728/2018) e che «ai contratti di vendita sono equiparati i contratti di permuta e di somministrazione nonché quelli di appalto, di opera e tutti gli altri contratti comunque finalizzati alla fornitura di beni di consumo da fabbricare o produrre» (art. 128), va osservato che, in caso di difetto di conformità del bene consegnato rispetto al contratto, la tutela dell'acquirente consumatore è rafforzata per il fatto che, quanto a rimedi, a quelli già noti della riduzione del prezzo e della risoluzione del contratto si aggiunge il «diritto al ripristino, senza spese, della conformità del bene mediante riparazione o sostituzione..» (art. 130), e per il fatto che, quanto a condizioni per avvalersi della «garanzia», il venditore risponde per il difetto di conformità quando questo si manifesta entro due anni dalla consegna del bene; il termine di decadenza per la denuncia del difetto di conformità è di due mesi dalla data della scoperta del difetto; l'azione diretta a far valere i difetti non dolosamente occultati dal venditore si prescrive, in ogni caso, in ventisei mesi dalla consegna del bene (art. 132). Riconoscimento ed occultamento dei viziLa denunzia non è necessaria quando: a) il venditore riconosce l'esistenza del vizio; b) egli lo abbia occultato. Il comma secondo della norma in esame si ritiene estensibile anche all'ipotesi di cosa priva di qualità promesse o essenziali (Bianca, 1034). Il riconoscimento ha carattere confessorio, ma ricorre anche senza i requisiti specifici della confessione (Cass. II, n. 4464/1997), e natura non negoziale, bensì di dichiarazione di scienza avente ad oggetto la sussistenza della situazione oggettiva lamentata dall'acquirente (Cass. II, n. 4968/2004). Pur non richiedendo un'assunzione di responsabilità (Cass. II, n. 18050/2013) né forme particolari, il riconoscimento deve essere univoco, convincente e provenire dal venditore, sicché ove provenga da un terzo (es., il produttore del bene difettato) estraneo al rapporto contrattuale, pur edotto dall'alienante delle lamentele dell'acquirente, quest'ultimo non è esonerato dall'onere della tempestiva denunzia dei vizi nei confronti del venditore (Cass. II, n. 25114/2023; Cass. II, n. 8420/2016). L'ammissione può avvenire dopo la scadenza del termine di decadenza di otto giorni (Cass. II, n. 5226/1998) ed anche per facta concludentia, quali l'esecuzione di riparazioni o la sostituzione di parti della cosa medesima ovvero la predisposizione di un'attività diretta al conseguimento od al ripristino della piena funzionalità dell'oggetto della vendita (Cass. II, n. 8775/2024; Cass. II, n. 23970/2013; Cass. II, n. 7301/2010). Secondo la dottrina, l'ammissione è ravvisabile anche nella restituzione del prezzo o nell'offerta di risoluzione consensuale della vendita (Rubino, 839). Se vi sono più vizi e il riconoscimento è generico, esso vale per tutti; se invece è specifico, vale solo per i vizi connessi inscindibilmente con quello dichiarato (Bianca, 1037; Rubino, 839). Il riconoscimento dell'esistenza del vizio da parte del venditore può essere dimostrata dal compratore anche a mezzo di testimoni (Cass. II, n. 3991/1980). Se la vendita ha ad oggetto una pluralità di beni tra loro funzionalmente legati, l'accertato riconoscimento di vizi relativamente ad alcuni soltanto dei beni facenti parte dell'unica fornitura, ma incidenti sull'attitudine funzionale dell'insieme dei beni alienati, costituisce riconoscimento dei vizi della fornitura complessivamente considerata (Cass. II, n. 16881/2017, in relazione alla vendita di elettrodomestici ed attrezzatura di gastronomia, destinati all'esercizio di una rosticceria). Il riconoscimento, da parte del venditore, dei vizi della cosa alienata determina la costituzione di un'obbligazione che, essendo oggettivamente nuova ed autonoma rispetto a quella originaria di garanzia, è sempre svincolata, indipendentemente dalla volontà delle parti, dai termini di decadenza e di prescrizione fissati dall'art. 1495 c.c. ed è, invece, soggetta soltanto alla prescrizione ordinaria decennale (Cass. II, n. 7301/2010). Tuttavia, qualora il venditore si impegni ad eliminare i vizi e l'impegno sia accettato dal compratore, sorge un'autonoma obbligazione di facere, che, ove non estingua per novazione la garanzia originaria (a tal fine richiedendosi la prova dell'animus novandi), a questa si affianca, rimanendo ad essa esterna e, quindi, non alterandone la disciplina. Ne consegue che, in tale ipotesi, l'originario diritto del compratore alla riduzione del prezzo e alla risoluzione del contratto resta soggetto alla prescrizione annuale (comunque interrotta dall'impegno assunto dal venditore), di cui alla norma in commento, mentre l'ulteriore suo diritto all'eliminazione dei vizi ricade nella prescrizione ordinaria decennale (Cass. II, n. 14005/2017; Cass. S.U., n. 19702/2012). Una volta, però, disposta, con il consenso delle parti, la sostituzione dell'oggetto della compravendita, tale sostituzione ha gli stessi effetti della novazione oggettiva ex art. 1230 c.c., con la conseguenza che le parti si ritrovano nelle identiche posizioni con i rispettivi oneri ed obblighi in ordine alla denuncia dei vizi (Cass. II, n. 8109/2015). Dal riconoscimento del vizio va tenuto distinto il riconoscimento del diritto alla garanzia, il quale costituisce anche atto interruttivo della prescrizione o, se successivo alla scadenza del termine per la denuncia del vizio, rinuncia tacita alla decadenza (Luminoso, 155). Si ritiene, invece, che il difetto è occultato quando sia stato oggetto di interventi volti comunque a renderne più difficile la scoperta (Bianca, 1040). In sostanza, l'occultamento richiede una particolare attività illecita del venditore, diretta, con adeguati accorgimenti, a nascondere il difetto, non essendo sufficiente il mero silenzio (Cass. II, n. 5251/2004). Prescrizione delle azioniLe azioni per far valere la garanzia, anche quella di risarcimento dei danni, si prescrivono nel termine di un anno dal giorno della consegna (Cass. II, n. 11037/2017), che è solo quella effettiva e materiale, cioè idonea a porre in contatto diretto il compratore con la cosa (Cass. VI, n. 28454/2020 ; Cass. II, n. 17597/2020; Cass. III, n. 1389/1965, secondo cui se il compratore ha già la disponibilità della cosa, il termine decorre dal momento della conclusione del contratto), essendo irrilevanti la data del successivo rilascio della documentazione di abitabilità e della formale comunicazione di fine lavori, nonché la necessità di effettuare meri lavori di rifinitura esterni (Cass. II, n. 4826/2019). Anche nella vendita con riserva della proprietà, il dies a quo è quello della consegna del bene (Cass. II, n. 11450/1992), mentre, nel caso di consegne ripartite di una stessa merce viziata, il termine decorre dalla data di consegna della prima partita (Cass. II, n. 8775/2024Cass. II, n. 16766/2019; Cass. II, n. 2302/1985). Se il compratore rifiuta la consegna della cosa, il termine breve non decorre (Bianca, ibidem; contra Greco, Cottino, 284 ss., secondo i quali il dies a quo è in questo caso quello in cui la cosa avrebbe dovuto essere consegnata). Nella vendita con trasporto, il termine decorre dal momento in cui la cosa giunge al compratore, mentre nella vendita su documenti decorre dal momento in cui i titoli rappresentativi della merce vengono consegnati al compratore (Bianca, ibidem). Il termine decorre, a seconda dei casi, da uno dei momenti precisati, anche quando il vizio sia stato scoperto in epoca antecedente (Greco, Cottino, ibidem). Spetta al venditore che eccepisce la prescrizione l'onere della prova della coincidenza temporale tra la conclusione del contratto e la consegna, o comunque della data di quest'ultima, la quale rappresenta il dies a quo del termine prescrizionale (Cass. II, n. 2797/2008). La garanzia può essere fatta valere oltre il termine di prescrizione quando il venditore agisca per l'esecuzione del contratto ed il compratore si opponga in via di eccezione o in via riconvenzionale, purché questi abbia assolto all'onere tempestivo di denunzia, entro otto giorni dalla scoperta e comunque prima del decorso dell'anno dalla consegna (Cass. II, n. 23015/2018; Cass. II, n. 545/1985). Analoga previsione è contenuta in tema di disciplina della garanzia per la vendita dei beni di consumo (art. 132, comma 4, seconda parte d.lgs. n. 206/2005, secondo cui «il consumatore, che sia convenuto per l'esecuzione del contratto, può tuttavia far valere sempre i diritti di cui all'art. 130, comma 2, purché il difetto di conformità sia stato denunciato entro due mesi dalla scoperta e prima della scadenza del termine di cui al periodo precedente», ossia quello di ventisei mesi dalla consegna del bene). Il termine di prescrizione di un anno dalla consegna opera anche se i vizi non sono stati scoperti (Cass. VI-III, n. 3926/2023; Cass. II, n. 17597/2020 ; Cass. II, n. 16766/2019; Cass. II, n. 11037/2017) o non sono stati tempestivamente denunciati o se la denuncia stessa non è necessaria o se i vizi siano stati dolosamente occultati dal venditore (Cass. VI, n. 28454/2020 ; Cass. II, n. 18891/2017). Il termine prescrizionale non può essere modificato né da clausole contrattuali né da usi e ad esso sono applicabili le normali cause di sospensione e di interruzione (Rubino, 845). Costituisce causa di interruzione la manifestazione al venditore della volontà del compratore di esercitare l'azione di garanzia, ancorché il dichiarante riservi ad un momento successivo la scelta tra le forme alternative di tutela della riduzione del prezzo o della risoluzione del contratto (Cass. II, n. 22903/2015) nonché il riconoscimento, da parte del venditore, del diritto del compratore alla garanzia ( Cass. II, n. 17597/2020 ; Cass. II, n. 16766/2019) . Il comportamento del venditore, consistito in successivi interventi di riparazione della cosa venduta, è incompatibile con la volontà di contestare l'esistenza dei vizi e costituisce, ai sensi dell'art 2944 c.c., atto idoneo ad interrompere la prescrizione dell'azione di garanzia (Cass. II, n. 33380/2023). Tra le cause di sospensione si annovera l'occultamento del vizio o della mancanza di qualità ex art. 2941 n. 8 c.c.; mentre cause di interruzione sono le domande giudiziali e gli atti di costituzione in mora da parte del compratore, nonché il riconoscimento del diritto di garanzia da parte del venditore (Bianca, 1053). Sanando il contrasto giurisprudenziale recentemente delineatosi, le Sezioni Unite hanno statuito che l'art. 1495, co. 3, c.c. deve essere interpretato nel senso che, al fine d'interrompere la prescrizione in materia di diritto alla garanzia, non è necessario instaurare un processo, essendo sufficiente una manifestazione d i volontà stragiudiziale in forma scritta da parte del compratore (Cass. S.U., n. 18672/2019 ; conf. Cass. II, n. 11590/2024; Cass. II, n. 23957/2020 ; Cass. II, n. 17597/2020; Cass. II, n. 22903/2015 ; contra Cass. II, n. 20705/2017, secondo cui, invece, poiché l'azione di risoluzione per vizi costituisce esercizio di un diritto potestativo, l 'effetto interruttivo della prescrizione consegue unicamente alla proposizione della relativa domanda giudiziale). Per la sospensione della prescrizione dell'azione di garanzia accordata al compratore ex art. 2941 n. 8 c.c., occorre accertare la sussistenza di una dichiarazione del venditore, non solo obiettivamente contraria al vero, quanto altresì caratterizzata da consapevolezza dell'esistenza della circostanza taciuta e da conseguente volontà decipiente (Cass. VI-II, n. 28454/2020). Qualora le parti abbiano stabilito che il compratore, in alternativa con le azioni derivanti dalla garanzia per i vizi, possa pretendere l'esatto adempimento, tale ultima azione non soggiace ai termini di decadenza e prescrizione previsti dalla norma in commento (Cass. II, n. 9352/1991). L'eventuale riconoscimento del diritto alla garanzia successivo al decorso del termine di prescrizione può valere come rinuncia alla prescrizione già maturatasi (Cass. II, n. 5434/1996). In giurisprudenza si è poi ritenuto che il compratore convenuto per la risoluzione del contratto per inadempimento (e per il pagamento della penale in funzione risarcitoria), ove sia trascorso l'anno dalla consegna, può opporre gli eventuali vizi della cosa venduta allo scopo di eccepire l'inadempienza del venditore e di ottenere il rigetto della domanda in forza del principio inadimplenti non est adimplendum, ma non può far valere detti vizi — in via di domanda riconvenzionale — per la risoluzione del contratto per colpa del venditore (Cass. II, n. 3991/1980). Nel caso di consegna di aliud pro alio, il termine di prescrizione decennale del diritto dell'acquirente alla risoluzione del contratto e al risarcimento del danno decorre, ai sensi dell'art. 2935 c.c., non dalla data in cui si verifica l'effetto traslativo, ma dal momento in cui, rispettivamente, ha luogo l'inadempimento e si concreta la manifestazione oggettiva del danno, avendo comunque riguardo all'epoca di accadimento del fatto lesivo, per come obiettivamente percepibile e riconoscibile, e non al dato soggettivo della conoscenza della mancata attuazione della prestazione dovuta e del maturato diritto al risarcimento, potendo tale conoscenza essere colpevolmente ritardata dall'incuria del titolare del diritto (Cass. VI-II, n. 33523/2021). Onere della prova dei viziLa dottrina tradizionale reputa, coerentemente con il principio generale di cui all'art. 2697 c.c., che, una volta effettuata la vendita, spetti all'acquirente provare il vizio della cosa (Bianca, 47 ss.). Questa è sempre stata anche la pacifica opinione della giurisprudenza, che ha specificato come il compratore che agisca deve provare i vizi della res (Cass. II, n. 8194/1990). Tale ripartizione dell'onere della prova vale anche nel caso in cui i vizi e difetti siano rilevati in sede di eccezione riconvenzionale, che va qualificata quale eccezione propria in senso stretto, non rilevabile d'ufficio dal giudice (Cass. I, n. 1320/2000). Foriera di problematiche appare in quest'ottica la celeberrima pronuncia delle Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 13533/2001; conforme, ex multis, Cass. III, n. 826/2015), secondo cui, in tema di onere della prova in materia di obbligazioni contrattuali, il creditore che agisca per l'adempimento, la risoluzione o il risarcimento del danno, deve fornire la prova del solo titolo (legale o negoziale) posto a fondamento della propria pretesa e del relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione dell'inadempimento o inesatto adempimento della controparte, atteso che grava su quest'ultima l'onere di provare il fatto estintivo dell'altrui pretesa, ossia l'esatto adempimento ovvero che l'inadempimento è stato determinato da causa ad essa non imputabile. L'accollo dell'onere della prova dell'adempimento a carico del debitore convenuto avviene in forza del principio di presunzione di persistenza del diritto e della necessità di esentare il creditore dall'onere di provare il fatto negativo dell'inadempimento, conformemente al principio di «riferibilità» o di «vicinanza» della prova (nel senso che è più agevole per il debitore dimostrare di aver adempiuto che per il creditore provare l'inadempimento della controparte). La Suprema Corte, invero, assume che le esigenze di omogeneità del regime probatorio inducono ad estendere il principio della sufficienza dell'allegazione dell'inadempimento anche all'ipotesi dell'inesatto adempimento, consistente nella «violazione di doveri accessori, come quello di informazione, ovvero per mancata osservanza dell'obbligo di diligenza, o per difformità quantitative o qualitative dei beni, gravando anche in tale eventualità sul debitore l'onere di dimostrare l'avvenuto esatto adempimento». Ebbene, il riferimento alle difformità «qualitative» dei beni potrebbe indurre a ritenere che la Suprema Corte si sia voluta riferire anche all'ipotesi di vizi e difformità, sicché se il compratore agisse in giudizio con l'azione di risoluzione del contratto di vendita, deducendo la sussistenza di vizi della res acquistata, ossia l'inesatto adempimento della controparte convenuta, non spetterebbe all'attore dimostrare la presenza dei dedotti vizi, che andrebbero solamente allegati, essendo l'attore tenuto solo a provare il titolo negoziale posto a fondamento della propria domanda, ma competerebbe al venditore dimostrare l'insussistenza degli stessi e, dunque, di aver esattamente adempiuto. Tale conseguenza applicativa, secondo parte della dottrina, non appare convincente, in quanto, se il creditore ammette l'avvenuto adempimento, ma lamenta vizi o difformità della prestazione eseguita rispetto a quella dovuta, degli stessi egli deve dare la prova, anche in ragione del fatto che, a seguito dell'avvenuta consegna della res, risulterebbe arduo per il venditore, che non avrebbe più la disponibilità della cosa, dimostrare l'insussistenza dei lamentati vizi. Opinando diversamente vi sarebbero, tra l'altro, consistenti problemi di gestione nell'utilizzo dei provvedimenti sommari ex artt. 633 e 186-ter c.p.c. nel corso del procedimento ordinario di cognizione, che potrebbero portare alla paralisi (reiezione) di tutte le istanze del venditore aventi ad oggetto il pagamento del prezzo a fronte del mero rilievo dell'eccezione di inesatto adempimento per la presenza di vizi del bene compravenduto. Una parte della giurisprudenza successiva alla pronuncia delle Sezioni Unite si è, allora, discostata, in materia di vendita (ma anche di appalto), dal predetto criterio di riparto dell'onere probatorio, continuando a statuire che incombe sull'acquirente l'onere di provare gli allegati vizi del bene venduto. Si è, infatti, sostenuto che, in tema di garanzia per i vizi della cosa venduta, l'onere della prova dei difetti, delle conseguenze dannose e del nesso causale fra gli uni e le altre fa carico al compratore, mentre la prova liberatoria della mancanza di colpa, incombente al venditore, rileva solo quando la controparte abbia preventivamente dimostrato la denunciata inadempienza (Cass. III, n. 18947/2017; Cass. II, n. 18125/2013; Cass. II, n. 13695/2007). Di recente, però, la Suprema Corte ha espresso una tesi parzialmente difforme che, pur ponendo a carico del compratore la prova dei vizi o difetti, si ispira al criterio dell'onere probatorio di cui al dictum del 2001: in sostanza, è sufficiente che il compratore alleghi l'inesatto adempimento, ovvero denunci la presenza di vizi che rendano la cosa inidonea all'uso al quale è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore, mentre è a carico del venditore, quale debitore di un'obbligazione di risultato, l'onere di dimostrare, anche attraverso presunzioni, di aver consegnato una cosa conforme alle caratteristiche del tipo ordinariamente prodotto, ovvero la regolarità del processo di fabbricazione o di realizzazione del bene; ne consegue che, ove detta prova sia stata fornita, spetta al compratore di dimostrare l'esistenza di un vizio o di un difetto intrinseco della cosa ascrivibile al venditore (Cass. II, n. 20551/2021 ; Cass. III, n. 21927/2017; Cass. II, n. 20110/2013). La discrasia giurisprudenziale (evidenziata da Cass. II, n. 23015/2018) è stata risolta da Cass. S.U., n. 11748/2019 (conf. Cass. II, n. 8199/2020), secondo cui il compratore che esercita le azioni di risoluzione del contratto o di riduzione del prezzo di cui all'art. 1492 c.c. è gravato dell'onere di offrire la prova dell'esistenza dei vizi. In particolare, secondo le Sezioni Unite, premesso che la consegna di una cosa viziata costituisce non inadempimento di un'obbligazione (di consegna o di individuazione), ma l'imperfetta attuazione del risultato traslativo promesso, non possono trovare applicazione, in relazione alle azioni edilizie, i principi dettati da Cass. S.U., n. 13533/2001, in materia di oneri probatori dell'inesatto adempimento delle obbligazioni. L'esistenza del vizio, invero, è il fatto costitutivo del diritto alla risoluzione o alla modificazione (quanto al prezzo) della vendita, la cui prova è più vicina al compratore, essendo proprio quest'ultimo, dopo che la cosa venduta gli è stata consegnata, ad averne la disponibilità, necessaria per lo svolgimento degli esami funzionali all'accertamento del vizio lamentato. In sostanza, anche in ossequio al principio negativa non sunt probanda, la prova dell'esistenza del vizio risulta più agevole di quella (negativa) della inesistenza del vizio medesimo. Tale soluzione risulta, peraltro, conforme agli approdi della giurisprudenza di legittimità in materia di prova dei vizi della cosa nel contratto di appalto (Cass. II, n. 19146/2013) e nel contratto di locazione (Cass. III, n. 3548/2017), nonché all'analogo meccanismo di riparto dell'onere probatorio previsto dalla disciplina dei contratti del consumatore dettata dall'UE (artt. 129,130 e 132 d.lgs. n. 206/2005, come interpretati dalla Corte giustizia UE sent. 4.6.2015 C-497/13). In definitiva, quindi, essendo le azioni a garanzia del compratore fondate sul solo dato obiettivo dell'esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza, l'onere della relativa prova grava sul compratore medesimo, non trovando applicazione i principi relativi all'inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno (Cass. II, n. 9960/2022). In definitiva, quindi, essendo le azioni a garanzia del compratore fondate sul solo dato obiettivo dell'esistenza di vizi, indipendentemente da ogni giudizio di colpevolezza, l'onere della relativa prova grava sul compratore medesimo, non trovando applicazione i principi relativi all'inesatto adempimento nelle ordinarie azioni di risoluzione e risarcimento danno (Cass. II, n. 9960/2022). Non si dubita, invece, che spetti comunque all'acquirente la prova della riconducibilità del caso concreto alla fattispecie di aliud pro alio, una volta che l'alienante abbia dimostrato il fatto costitutivo del suo diritto al pagamento del prezzo (Cass. II, n. 2659/2001). Si rammenta, inoltre, che anche l'art. 120, comma 1 d.lgs. n. 206/2005, in tema di responsabilità per danno da prodotti difettosi, pone a carico del danneggiato l'onere di provare il difetto, il danno e la connessione causale tra gli stessi (Cass. III, n. 23447/2018). 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