Codice Civile art. 1638 - Espropriazione per pubblico interesse.Espropriazione per pubblico interesse. [I]. In caso di espropriazione per pubblico interesse (1) o di occupazione temporanea del fondo locato, l'affittuario ha diritto di ottenere dal locatore la parte d'indennità a questo corrisposta per i frutti non percepiti o per il mancato raccolto. (1) L'intera materia è stata ridisciplinata dal d.P.R. 8 maggio 2001, n. 327, entrato in vigore, ai sensi del d.l. 20 giugno 2002, n. 122, conv., con modif., in l. 1° agosto 2002, n. 185, il 30 giugno 2003. InquadramentoLa norma si spiega considerando che l'affittuario ha diritto al godimento pieno e libero del bene e che il legislatore vuole evitare un indebito arricchimento. Competenza e questioni processualiSecondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione (Cass. n. 10685/2005), la speciale competenza in unico grado della Corte di Appello, ai sensi dell'art. 19 della l. n. 865/1971, comprendeva anche i giudizi per la determinazione dell'indennità, cosiddetta «aggiuntiva», che il comma 2 dell'art. 17 della l. n. 865/1971 riconosceva, in misura uguale a quella spettante al proprietario, a favore del fittavolo, del mezzadro, del colono o del compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno espropriato, articoli abrogati dal d.P.R. n. 327/2001. Con altra sentenza (Cass. n. 12331/1998) è stato confermato implictamente tale orientamento, limitandosi detta pronuncia ad escludere, in tema di determinazione appunto dell'indennità aggiuntiva della l. n. 865/1971, ex art. 17, comma 2, la speciale competenza in questione (e ad affermare, quindi, l'ordinaria competenza in primo grado del Tribunale) soltanto in relazione all'ipotesi di cessione volontaria, da parte del proprietario, del suolo oggetto di procedimento espropriativo, che si riconosce essere sottratta alla competenza (in unico grado) di cui al citato art. 19 della medesima l. n. 865/1971 sul rilievo della avvenuta interruzione della procedura ablatoria a seguito del trasferimento volontario del bene. Inoltre, si è sostenuto che in fattispecie di occupazione legittima (non seguita da espropriazione né formale né sostanziale per ragione non imputabile all'occupante) con tempestivo rilascio del bene prima della scadenza del termine posto all'occupazione, l'indennità di occupazione, comprendente anche l'onere di spesa necessario al ripristino del fondo, è dovuta in via esclusiva al proprietario di esso; ne consegue che ogni pretesa del coltivatore affittuario deve essere rivolta nei confronti del proprietario, tenuto verso l'affittuario alla parte dell'indennità a lui spettante e alla riattivazione del rapporto di affitto rimasto sospeso durante l'occupazione (Cass. n. 15104/2001). Sotto altro aspetto, l'indennità «aggiuntiva» contemplata dalla l. n. 865/1971, art. 17, comma 2, caratterizzata da una funzione compensativa del sacrificio sopportato dai soggetti ivi meglio indicati a causa della definitiva perdita del terreno su cui esercitavano l'attività agricola, è autonoma rispetto all'indennità di espropriazione, pur trovando titolo, secondo quanto già accennato, nel provvedimento ablatorio (Cass. S.U., n. 3577/1989; Cass. n. 18237/2004), onde le impugnazioni, inerenti al suo mancato od inadeguato riconoscimento, sono soggette, in difetto di diversa previsione, al termine di decadenza di trenta giorni stabilito dall'art. 19 l. n. 865/1971 per l'esperimento della relativa opposizione alla stima (Cass. S.U., n. 3577/1989); b) che, tuttavia, riguardo alla fissazione della data di decorrenza del termine anzidetto, la Corte Cassazione (Cass. n. 4748/1997; Cass. n. 21640/2005) ha ritenuto che, nelle ipotesi (definite di «anomalia procedimentale») in cui il decreto di esproprio «segua» e non «preceda» la pubblicazione, sul FAL, dell'avviso di deposito della stima, la «conoscenza legale» dell'indennità definitiva come stimata, alla quale è indefettibilmente legata la decorrenza del termine decadenziale di cui trattasi a carico dell'espropriato, non può ritenersi acquisita con la mera pubblicità legale, attraverso il FAL stesso, dell'indennità stimata in difetto di una sua correlazione ad una specifica (ed adottata) misura ablatoria, ma può affermarsi solo all'atto in cui l'espropriante notifichi il decreto di esproprio; c) che siffatto principio deve trovare applicazione anche in tema di indennità aggiuntiva, nei riguardi, cioè, dei soggetti di cui alla l. n. 865/1971, art. 17, comma 2, non ostando, al riguardo, il fatto (secondo l'assunto dell'odierno ricorrente principale) che la normativa di riferimento (e, segnatamente, art. 13 l. n. 865/1971) imponga la notifica del decreto di esproprio esclusivamente nei confronti dei proprietari e che un simile incombente non risulti, quindi, previsto per legge nei confronti dei soggetti diversi dai proprietari stessi, onde la mancanza di detta notifica non potrebbe costituire deroga al decorso del termine perentorio ex art. 19 l. n. 865/1971, il quale, in tal caso, dovrebbe ugualmente farsi decorrere dall'inserzione nel FAL dell'avviso di deposito della relazione di stima; d) che, infatti, nel quadro di uno spazio sempre più largo riconosciuto alla tutela dei coltivatori dei terreni, ispirato al ripensamento di taluni principi informatori dell'opera di unificazione legislativa del 1865, la l. n. 865/1971, art. 17, comma 2, ha introdotto un dato normativo di particolare significato, essendo stata attribuita ai soggetti ivi indicati una posizione autonoma (come già accennato) rispetto a quella del proprietario, laddove, però, tale posizione, per ragioni logiche e sistematiche, non può venire ristretta al solo ambito della proposizione di azioni giurisdizionali ed, in particolare, dell'impugnazione avverso la determinazione dell'indennità di espropriazione, non risultando, cioè, ammissibile che proprio i soggetti più immediatamente e direttamente colpiti, per la perdita dello strumento produttivo e dei beni in esso incorporati, rimangano estranei al provvedimento ablatorio, nel senso esattamente che il tenore letterale delle disposizioni rispettivamente contenute nella l. n. 865/1971, art. 13, comma 2, («il decreto del prefetto deve essere notificato ai proprietari ...») e nell'art. 15, comma 2, l. n. 865/1971 («L'espropriante comunica le indennità ai proprietari ...»), alla stregua di un'interpretazione logico-sistematica e costituzionalmente orientata (così da eliminare, cioè, ogni ipotizzabile dubbio circa la legittimità costituzionale della disposizione medesima), deve essere coordinato con l'espressa previsione dell'art. 19 della già richiamata l. n. 865/1971, il quale legittima alla proposizione dell'opposizione avverso la stima dell'indennità di esproprio non soltanto «i proprietari», ma anche «gli altri interessati», onde, in definitiva, la veste di autonomi soggetti passivi della privazione di quanto formi oggetto dell'espropriazione, ricoperta, l. n. 865/1971, ex art. 17, comma 2, dal fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno espropriato, non pare possa indurre ad ignorare la necessità che anche a tali soggetti vengano notificati gli atti ablatori dei fondi da apprendere (Cass. n. 2238/2007). Inoltre, la legittimazione ad opporsi contro la stima amministrativa delle indennità di espropriazione e di occupazione va presuntivamente riconosciuta a chi sia indicato negli atti del procedimento ablatorio come proprietario del fondo e, quindi, titolare del diritto indennitario, fino a quando non si deduca e si dimostri un errore in proposito, onde, limitatamente a quest'ultimo soggetto, non sono necessarie ulteriori allegazioni o prove in ordine alla spettanza del diritto di proprietà, essendo, da un lato, la sua legittimazione insita nella coincidenza con il soggetto indicato in quella fase come titolare dei diritti indennitari e, dall'altro lato, vertendosi in tema di tutela di posizioni creditorie e non di rivendicazione o, comunque, di azioni di natura reale (Cass. n. 1116/1994; Cass. n. 710/1995; Cass. n. 10165/2003; Cass. n. 13115/2004). Tuttavia, questo non comporta che al soggetto, diverso dall'intestatario catastale dei terreni espropriati, il quale abbia su questi ultimi realizzato determinate costruzioni, venga impedito di agire autonomamente per chiedere la determinazione dell'indennità relativa a porzioni dell'immobile asseritamente acquisite e successivamente espropriate, posto che la relativa legittimazione, in tal caso, resta soltanto subordinata alla prova della qualità di proprietario effettivo, in contrasto con quella risultante dalla procedura ablatoria, delle aree anzidette contenenti le medesime costruzioni (Cass. n. 13115/2004). Peraltro, il regime dei manufatti realizzati su suolo altrui non è disciplinato né dalle risultanze catastali né dalle dichiarazioni (e/o ammissioni) delle parti al riguardo, ma direttamente ed inderogabilmente dalle disposizioni del codice civile, le quali vietano la possibilità di mantenere divise la proprietà del suolo e quella delle costruzioni su di esso realizzate (se non nei limiti di cui all'art. 952 c.c., che qui non rileva), stabilendo, di conseguenza, che la loro proprietà si acquista immediatamente al proprietario di questo, per effetto e nel momento della relativa incorporazione (art. 934 c.c.), senza attribuire alcun rilievo reale alla circostanza obiettiva che le stesse siano state realizzate (e/o accatastate) da un terzo cui spettano (nei confronti del proprietario del suolo) unicamente lo ius tollendi e/o il diritto di credito nei limiti ed alle condizioni previsti dagli artt. 936 c.c. e segg., onde solo il proprietario del terreno espropriato può chiedere che l'indennità venga rapportata anche al valore delle (ormai proprie) costruzioni che stabilmente vi insistono e sono state in questo incorporate, se la loro valutabilità non è esclusa dalla legge (Cass. n. 13115/2004). Infatti, se pure lo stesso art. 934 c.c., esclude il principio dell'accessione tutte le volte in cui risulti diversamente dal titolo o dalla legge, resta, però, comunque necessaria, al fine di superare la regola dell'accessione della proprietà del manufatto alla proprietà del suolo, ai sensi del già citato art. 934 c.c., la dimostrazione dell'esistenza del titolo capace di confortare il trasferimento dell'immobile (o delle porzioni di esso su cui insistono le costruzioni) in favore della parte interessata e di costituire il fondamento richiesto dal precedente art. 922 c.c., per l'acquisto della proprietà unitamente alla legittimazione a richiedere l'indennità per la relativa porzione di immobile espropriata, ferma restando l'insufficienza, a tal fine, vuoi delle risultanze e delle iscrizioni catastali, in quanto forme di pubblicità prive di effetti costitutivi sulla titolarità del diritto dominicale, vuoi di equipollenti del genere delle richieste di accatastamento dei manufatti o di sanatoria edilizia, le quali possono essere avanzate anche da soggetti non proprietari dell'immobile (Cass. n. 13115/2004). Determinazione dell'indennità di espropriazionePer la Cassazione l'indennità aggiuntiva riservata al coltivatore, commisurabile al valore agricolo e a carico dell'espropriante, è da intendere comprensiva di qualsiasi voce di danno determinato dal dover abbandonare il fondo espropriato, onde il pregiudizio legato alla perdita dei frutti pendenti esistenti al momento dell'occupazione, e le pretese relative alla stessa indennità di occupazione, potranno esser fatti valere, semmai, esclusivamente nei confronti del proprietario concedente, in forza del rapporto contrattuale che costituisce legittimo titolo di godimento in capo al coltivatore (Cass. n. 2238/2007). In tema di espropriazione di suoli agricoli, la l. n. 865/1971, art. 17, comma 2, (articolo abrogato dal d.P.R. n. 327/2001), attribuiva, a favore dei soggetti che traggano i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del fondo (fittavolo, mezzadro, colono, compartecipante) e che, pertanto, siano costretti ad abbandonare il terreno a causa dell'espropriazione, con conseguente privazione della loro attività lavorativa, il diritto alla cosiddetta «indennità aggiuntiva», la quale, avendo per oggetto non già l'intera azienda agricola (comprendente fabbricati, macchinari ed altro) ma le sole aree da espropriare (Cass. n. 8200/2002), deve essere determinata in un «uguale importo» rispetto all'indennità di espropriazione «determinata ai sensi dell'art. 16 (della stessa legge) in favore del proprietario»; b) il comma 3 del citato art. 17 prevede, poi, che «l'indennità aggiuntiva prevista dai precedenti commi (tra i quali, dunque, quella a favore del coltivatore del fondo prevista dal secondo comma) è determinata in ogni caso in misura eguale al valore agricolo medio di cui al comma 1 dell'art. 16, corrispondente al tipo di coltura effettivamente praticato, ancorché si tratti di aree comprese nei centri edificati e delimitate come centri storici»; c) il tenore letterale della disposizione da ultimo citata (nella quale il richiamo al primo comma dell'art. 16 deve intendersi, a seguito delle modifiche apportate a quest'ultima norma dalla l. n. 10/1977, art. 14, al comma 4 dello stesso art. 16), lascia intendere chiaramente la volontà del legislatore di assegnare al coltivatore un'indennità riferita esclusivamente all'entità dell'indennità espropriativa corrisposta all'espropriato per il suolo agricolo ablato, senza alcuna considerazione degli ulteriori beni (tra i quali i fabbricati insistenti sul fondo) suscettibili anch'essi di essere coinvolti nella relativa procedura; d) i soggetti indicati nella l. n. 865/1971, art. 17, comma 2, possono, quindi, direttamente nei confronti dell'espropriante, far valere soltanto il diritto all'indennità aggiuntiva come sopra determinata, ma non possono pretendere (ed ottenere) un ammontare superiore a quello che il proprietario espropriato abbia percepito a titolo di indennità di espropriazione, onde il pregiudizio legato ai «frutti pendenti esistenti sul fondo al momento dell'occupazione» (ed, eventualmente, al mancato raccolto), ovvero il diritto sulla corrispondente indennità (di occupazione appunto) deputata a compensare tale pregiudizio siccome relativo alla sospensione dell'esercizio del godimento personale sul fondo medesimo, può essere fatto valere, semmai, esclusivamente nei confronti del proprietario-concedente, in forza del rapporto contrattuale che costituisce il legittimo titolo del godimento anzidetto in capo al coltivatore (Cass. n. 4919/1993: l'art. 17 della l. n. 865/1971 — che prevede una indennità aggiuntiva in favore del coltivatore diretto del fondo espropriato — presupponendo un'espropriazione giuridicamente rilevante, non trova applicazione né quando l'acquisizione del fondo da parte dell'occupante avvenga per effetto della trasformazione di esso con la realizzazione dell'opera pubblica, nel qual caso, tuttavia, il coltivatore può agire per il risarcimento del danno da fatto illecito ex art. 2043 c.c., con gli inerenti oneri probatori in ordine all'entità del pregiudizio effettivamente subito, né quando, difettando sia tale forma di accessione invertita sia la volontaria cessione del bene occupato, rilevi la sola circostanza dell'occupazione la quale, quanto al decreto che la dispone, si limita a sospendere, senza estinguerlo, l'esercizio del diritto personale sul fondo, e, quanto al pregiudizio che comporta, è compensata mediante il pagamento del valore dei frutti non percepiti e del mancato raccolto; Cass. n. 8491/1998: in tema di espropriazione, l'affittuario può far valere direttamente nei confronti dell'espropriante solo il diritto all'indennità aggiuntiva di cui all'art. 17 della l. n. 865/1971, mentre il suo diritto sulla indennità di occupazione può essere fatto valere esclusivamente nei confronti del concedente, in forza del rapporto contrattuale che, ai sensi dell'art. 1638 c.c., costituisce legittimo titolo del suo godimento, senza che le occupazioni di aree utilizzate per insediamenti provvisori si sottraggano a tale disciplina, non potendo più trovare applicazione, in materia, né l'art. 1 e ss. l. n. 385/1980, né l'art. 3.5 della l. n. 874/1980 (dichiarati, rispettivamente, incostituzionali con decisioni Corte cost. n. 223/1983 e Corte cost. n. 62/1991 dal giudice delle leggi). Pertanto, l'indennità aggiuntiva riservata al coltivatore, commisurabile al valore agricolo e a carico dell'espropriante, è da intendere comprensiva di qualsiasi voce di danno determinato dal dover abbandonare il fondo espropriato, onde il pregiudizio legato alla perdita dei frutti pendenti esistenti al momento dell'occupazione, e le pretese relative alla stessa indennità di occupazione, potranno esser fatti valere, semmai, esclusivamente nei confronti del proprietario concedente, in forza del rapporto contrattuale che costituisce legittimo titolo di godimento in capo al coltivatore (secondo Cass. n. 2616/1985, invece tale indennità resta cumulabile con la porzione dell'indennità di espropriazione che l'affittuario abbia diritto di ricevere a compenso della perdita dei frutti). In tema di determinazione dell'indennità di espropriazione quando l'immobile che ne forma oggetto costituisce bene strumentale di un'azienda, là dove, cioè, si domanda se tale indennità debba tenere conto ed in quali termini anche del pregiudizio che l'espropriazione medesima arreca per il fatto di rendere impossibile l'ulteriore esercizio dell'attività commerciale o industriale già svolta nell'immobile espropriato, l'art. 17, comma 2, della l. n. 865/1971, riconosce lo specifico diritto alla c.d. «indennità aggiuntiva» in favore di quei soggetti che traggono i propri mezzi di sussistenza dalla coltivazione del suolo, condizionando la concreta erogazione del beneficio all'utilizzazione agraria del terreno ed attribuendo, in particolare, l'autonoma legittimazione a richiedere direttamente nei confronti dell'espropriante la determinazione di siffatta indennità, introdotta dalla norma, esclusivamente al «fittavolo, mezzadro, colono o compartecipante, costretto ad abbandonare il terreno» medesimo per effetto dell'espropriazione, in funzione evidentemente compensativa del sacrificio sopportato da tali soggetti a causa della definitiva perdita del fondo su cui esercitavano l'attività di coltivazione e produzione agricola, con relativa esclusione, dal novero degli aventi diritto, non soltanto dell'affittuario esercente attività diverse da quella anzidetta ma anche dell'imprenditore agricolo (di colui, cioè, che eserciti quest'ultima attività con prevalenza del fattore capitale sul fattore lavoro e con impegno prevalente di manodopera subordinata), tanto individuale quanto costituito sotto forma di società commerciale, di capitali o di persone (Cass. n. 8491/1998; Cass. n. 1774/1999; Cass. n. 4191/1999; Cass. n. 2270/2001; Cass. n. 11697/2001; Cass. n. 2477/2003; Cass. n. 13115/2004). Al contrario, quando non si tratti di applicare una disposizione di questo tipo, come quando cui viene in considerazione,, il rapporto di «conduzione» del fabbricato, destinato all'attività di rivendita di prodotti ortofrutticoli, riprendono vigore i principi generali in tema di espropriazione per causa di pubblica utilità, quali si traggono dalla legge fondamentale n. 2359/1865 (cui già faceva rinvio, prima delle innovazioni introdotte in materia dagli artt. 34 e 35 della l. n. 392/1978, il combinato disposto degli artt. 4 e 6 della previgente l. n. 19/1963, sulla tutela giuridica dell'avviamento commerciale), là dove la menzionata legge n. 2359/1865, al comma 3 dell'art. 27, lungi dal riconoscere ai «conduttori» un ulteriore, autonomo indennizzo rivolto a compensare il pregiudizio per le attività di fatto espletate sull'immobile ed interrotte dall'espropriazione, attribuisce piuttosto agli stessi il diritto di pretendere dal proprietario già indennizzato la corresponsione della parte dell'indennità loro spettante, come previsto (peraltro) anche dall'art. 1638 c.c., nonché il diritto, in via alternativa, sulla base del disposto degli artt. 52-56 della legge da ultimo citata ivi pure richiamati, di agire con opposizione avverso la stima dell'indennità medesima (qualora ritengano che l'indennità determinata in sede amministrativa non comprenda l'intero ammontare dovuto) ovvero di intervenire nell'analogo giudizio promosso dal proprietario espropriato, dovendosi, al riguardo, ritenere che tale intervento presenti i connotati dell'intervento autonomo e che, qualora il conduttore si avvalga di una simile alternativa, legittimato passivo risulti esclusivamente l'espropriante, ancorché la sua eventuale responsabilità verso il medesimo conduttore, in base al principio dell'unicità dell'indennità nella disciplina di cui alla già menzionata legge n. 2359/1865, possa solo esplicarsi nell'adempimento dell'obbligo di depositare, a favore del proprietario, anche quella somma che risulti destinata a soddisfare le ragioni del conduttore stesso (Cass. n. 3448/1983; Cass. n. 379/1985; Cass. S.U., n. 5609/1998; Cass. n. 3384/2004). In ragione degli indicati principi, essendo unica l'indennità che l'espropriante deve depositare, su di essa deve trovare soddisfazione la pretesa di coloro che, già titolari di un diritto di godimento sul bene espropriato, vengono a risentire un pregiudizio per effetto dell'estinzione di quel diritto, pure provocata dall'espropriazione, laddove, per altro verso, essendo l'indennità in parola destinata a tener luogo del bene espropriato, non può superare il valore che esso presenta, in considerazione della sua concreta destinazione, ovvero, ex art. 39 della l n. 2359/1865, il valore che il proprietario ne ritrarrebbe se decidesse di porlo sul mercato (Cass. S.U., n. 5609/1998). Il termine di riferimento dell'indennità è, quindi, rappresentato dal valore di mercato del bene espropriato quale gli deriva dalle sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, non anche dal pregiudizio che il proprietario od altro titolare di minore diritto di godimento risente come effetto del non potere ulteriormente svolgere, mediante l'uso dello stesso immobile, la precedente attività, onde l'unica indennità va rapportata a come il bene si presenta, prescindendo dalla considerazione dei soggetti aventi diritto a soddisfarsi su di essa per il pregiudizio che l'espropriazione arreca loro, mentre la parte di indennità dovuta ai titolari di diritti di godimento, in quanto incide sull'unica indennità, diminuisce la parte di questa di pertinenza del proprietario del bene ed è, quindi, da detrarre da quella spettante al proprietario (Cass. S.U., n. 5609/1998; nonché Corte Cost. n. 1022/1988 e, anche se relativa a fattispecie normativa regionale, Corte Cost. n. 530/1988). In forza degli artt. 27 e 52 l. n. 2359/1865, l'affittuario od altro titolare di diritti di godimento può non solo pretendere dal proprietario già indennizzato la corresponsione della parte dell'indennità a lui spettante, come previsto dall'art. 1638 c.c., ma, qualora ritenga che l'indennità non contenga l'intero ammontare corrispondente ai frutti non percepiti nonché alle attrezzature ivi esistenti e configurabili come miglioramenti apportati al fondo, può agire con opposizione avverso la stima ovvero intervenire autonomamente nell'analogo giudizio promosso dal proprietario. In tal senso del resto si è espressa più volte la Corte di Cassazione (Cass. S.U., n. 3022/1963; Cass. n. 3448/1983; Cass. n. 4270/1983; Cass. S.U., n. 5609/1998). Nell'ambito delle legittime pretese rientra, quindi, certamente la perdita dei frutti pendenti, vale a dire la mancata rendita realizzabile in base al contratto per il periodo intercorrente dall'immissione in possesso dell'occupante all'inizio dell'opera pubblica che comporta la definitiva estinzione del diritto di godimento sul fondo occupato, non più restituibile (Cass. n. 1694/1983), cosi come rientra l'ulteriore eventuale perdita dell'impianto di irrigazione e di ogni altra installazione che non sia stata precedentemente asportata dall'affittuario medesimo. Per il periodo successivo, invece, determinandosi, come si è evidenziato, la definitiva estinzione del diritto di godimento e non essendo quindi ipotizzabile la perdita dei frutti, ogni pregiudizio arrecato all'affittuario trova ristoro, per il principio sopra richiamato della sua unicità, sull'indennità di esproprio, la cui entità è determinata unicamente in relazione al valore del terreno, quale si presenta per le sue caratteristiche naturali, economiche e giuridiche, senza che possa assumere rilevanza però il pregiudizio che il titolare del diritto di godimento risenta per l'impossibilità di svolgere ulteriormente la precedente attività. Né, al riguardo, potrebbe trovare applicazione l'art. 40 della l n. 2359/1865, relativo alle occupazioni parziali ed al quale la ricorrente ha evidentemente fatto implicito riferimento, riguardando tale norma unicamente l'indennità spettante al proprietario e potendo trovare l'affittuario un rimedio nella eventuale rinegoziazione con il proprietario del contratto di affitto in relazione alla mutata situazione venutasi a creare (Cass. n. 3384/2004). Decreto di occupazioneL'affittuario coltivatore diretto che sia stato privato del godimento del fondo locatogli in conseguenza dell'esecuzione di un decreto di occupazione d'urgenza a norma dell'art. 20 l. n. 865/1971 (articolo poi abrogato dal d.P.R. n. 327/2001), nella specie, non seguito né da decreto di esproprio, né da cessione volontaria del bene da parte del proprietario né dalla c.d. accessione invertita, non ha diritto ad un'indennità aggiuntiva nei confronti dell'occupante, sulla base di un'applicazione analogica della disciplina prevista per l'espropriazione dall'art. 17 l. n. 865/1971, atteso che il decreto di occupazione di urgenza, a differenza di quello di esproprio, si limita a sospendere, senza estinguere, l'esercizio del diritto personale sul fondo e che il pregiudizio dell'affittuario è compensato ai sensi dell'art. 1638 (Cass. n. 11609/1992). In altri termini, il decreto di occupazione di urgenza di un fondo oggetto di contratto di affitto determina solo la sospensione dell'esecuzione di tale rapporto durante il protrarsi dell'occupazione, con la nascita in capo al conduttore, (il cui diritto di godimento non si è potuto esercitare sul bene locato per fatto imputabile all'ente occupante), del diritto di conseguire dal locatore, ai sensi dell'art. 1638, la mancata rendita realizzabile in base al contratto per tutto il periodo che va dall'immissione in possesso dell'occupante all'inizio dell'opera pubblica, che comporta la definitiva estinzione del diritto di godimento del fondo occupato e non più restituibile. L'indicato diritto dell'affittuario ex art. 1638 — poiché per il mancato godimento il proprietario-locatore riscuote, di regola, l'indennità di occupazione — si risolve nella pretesa di ottenerne per il periodo accennato il relativo importo, se ed in quanto riscosso dal locatore, depurato delle spese gravanti sull'affittuario, ivi compreso l'importo del canone di locazione (Cass. n. 1694/1983). BibliografiaBarraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, Padova, 1988; Barraso, Di Marzio, Falabella, La locazione, contratto, obbligazione, estinzione, Torino, 2010; Bianca, Diritto civile, III, Milano, 2000; Carrato, Scarpa, Le locazioni nella pratica del contrato e del processo, Milano, 2010; Cuffaro, Calvo, Ciatti, Della locazione. Disposizioni generali. Artt. 1571-1606, Milano, 2014; Gabrielli, Padovini, Le locazioni di immobili urbani, Padova, 2005; Grasselli, La locazione di immobili nel codice civile e nelle leggi speciali, Padova, 2005. |