Codice Civile art. 2347 - Indivisibilità delle azioni (1).

Mauro Di Marzio

Indivisibilità delle azioni (1).

[I]. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli articoli 1105 e 1106.

[II]. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti.

[III]. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti.

(1) Articolo sostituito dall' art. 1 d.lg. 17 gennaio 2003, n. 6 , con effetto dal 1° gennaio 2004. La legge ha modificato l’intero capo V, ed è stata poi modificata e integrata dal d.lg 6 febbraio 2004, n. 37, la cui disciplina transitoria è dettata dall'art. 6. Il testo dell'articolo recitava: «[I]. Le azioni sono indivisibili. Nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune. [II]. Se il rappresentante comune non è stato nominato, le comunicazioni e le dichiarazioni fatte dalla società a uno dei comproprietari sono efficaci nei confronti di tutti. [III]. I comproprietari dell'azione rispondono solidalmente delle obbligazioni da essa derivanti».

Inquadramento

L'azione è configurata come unità minima della partecipazione sociale: essa non può essere ulteriormente frazionata in più quote di partecipazione di minore ammontare ed attribuenti minori diritti (Stagno D'Alcontres, 2004, 266; Cian-Provasi, 2015, 900). Le azioni sono, dunque, indivisibili. La funzione di tale limite, connesso al connotato dell'eguaglianza contabile e giuridica, è quella di assicurare la piena identità delle partecipazioni e la loro completa interscambiabilità, quali elementi propulsivi del relativo mercato (Cian-Provasi, 2015, 900).

Il principio dell'indivisibilità dell'azione comporta l'inscindibilità dei diritti sociali, ossia il divieto per la società e per il socio di attribuire a soggetti diversi la titolarità dei singoli diritti, salvo che si tratti di diritti di credito già maturati nei confronti della società (Visentini, 974).

Il rappresentante comune

Se più soggetti divengono titolari di un'unica azione si instaura un rapporto di comproprietà indivisa assoggettata dall'articolo in commento ad una disciplina volta a contemperare gli opposti interessi, da una parte, quello dei titolari dell'azione a potere esercitare i diritti ad essa connessi e, dall'altra, quello della società a procedere nella sua attività senza subire intralci o pregiudizi (Campobasso, 202).

La norma, dunque, stabilisce che, nel caso di comproprietà di un'azione, i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli artt. 1105 e 1106. La disposizione è applicabile non solo al caso in cui siano stati emessi titoli azionari, ma anche in ipotesi di titoli dematerializzati ovvero di non emissione dei titoli (Cian-Provasi, 2015, 902) ovvero di comproprietà indivisa di un pacchetto azionario (Campobasso, 202).

L'art. 2347 c.c. richiama, per la nomina del rappresentante comune, il disposto di cui agli artt. 1105 e 1106 c.c., dettati per la comunione. È stato però osservato che il richiamo all'art. 1106 c.c. non può valere per quella parte dell'art. 1106 che autorizza la nomina di più rappresentanti, dovendo essere il rappresentante comune ex art. 2347 necessariamente unico (Cian-Provasi, 2015, 903; Rota, 146). La nomina del rappresentante comune deve aver luogo, salvo patto contrario, con la regola della maggioranza, da computarsi secondo la quota di partecipazione di ciascun comproprietario. In caso di disaccordo, la nomina viene fatta dall'autorità giudiziaria.

In giurisprudenza è stato affermato che, in caso di comproprietà di azioni, l'esercizio dei diritti sociali è precluso ai singoli comproprietari, spettando invece al rappresentante comune (Trib. Milano 30 settembre 2011, in Soc., 2012, 636).

In tale prospettiva, compete al rappresentante comune il potere di impugnazione delle delibere assembleari (Cass. n. 15962/2007, secondo cui, in caso di comproprietà di partecipazioni azionarie, l'impugnazione di una deliberazione assembleare può essere proposta esclusivamente dal rappresentante comune indicato nell'art. 2347 c.c. e non dal singolo comproprietario, carente del potere d'impugnare così come di quello di esercitare il diritto d'intervento e di voto in assemblea; in precedenza era stato però affermato che la disposizione statutaria che impone la nomina di un rappresentante comune di più titolari di azioni o quote sociali non impedisce a costoro l'esercizio personale dei diritti individuali e, in particolare, la loro tutela attraverso l'azione giudiziaria: Cass. n. 2815/1976; Cass. n. 679/1964). Anche nella giurisprudenza di merito è stato affermato che l'art. 2347, comma 1 c.c. è diretto ad assicurare, sul piano organizzativo, tramite la nomina obbligatoria di un rappresentante comune, un corretto e trasparente svolgimento dei rapporti fra società e comproprietari della medesima partecipazione sociale, al fine di individuare un unico interlocutore con la società (Trib. Roma 23 febbraio 2015, in giurisprudenzadelleimprese.it). Ha osservato il giudice che la comproprietà della partecipazione sociale si risolve in una ipotesi di comunione ordinaria avente per oggetto la quota sociale, intesa quale bene immateriale equiparato al bene mobile, dovendosi ritenere che il carattere patrimoniale della partecipazione, assumendo un carattere di prevalenza rispetto ai suoi profili obbligatori, e cioè al complesso dei diritti e obblighi connessi con lo status di socio, connota la quota come bene e cioè come oggetto unitario di diritti. La ratio della nomina di un rappresentante comune — ha quindi osservato la pronuncia testé menzionata —, la cui nomina e permanenza in funzione è obbligatoria ex lege, viene individuata nella necessità di assicurare, sul piano organizzativo, un corretto e trasparente svolgimento dei rapporti fra società e comunisti, al fine di individuare un unico interlocutore con la società, sia essa una società per azioni (art. 2347, comma 1 c.c.) ovvero una società a responsabilità limitata (art. 2468, ultimo comma c.c.), atteso che le disposizioni sono identiche, prevedendo che «nel caso di comproprietà ... i diritti dei comproprietari devono essere esercitati da un rappresentante comune nominato secondo le modalità previste dagli artt. 1105 e 1106 c.c.»; quindi in questo modo si evita di dover procedere volta per volta alla identificazione della volontà dei comunisti. Va evidenziato che il legislatore si riferisce tout court ai «diritti dei comproprietari», senza alcuna distinzione fra diritti sociali e diritti amministrativi, prevista invece in materia di pegno, usufrutto e sequestro (art. 2352 c.c. per le società per azioni e art. 2471-bis c.c. per le società a responsabilità limitata). Una volta ribadita la necessità di tale nomina, da attuare attraverso il riferimento alle disposizioni privatistiche in tema di comunione (artt. 1105 e 1106 c.c.), si è posta in dottrina ed in giurisprudenza la questione dell'esclusività o meno dell'esercizio di tali diritti e se sia possibile ammettere, pur in presenza di un rappresentante comune, una iniziativa autonoma e/o concorrente da parte del singolo comproprietario. Se pur si sono registrati contrasti per quanto riguarda, p. es., il potere di controllo da parte dei soci non amministratori, avendo i sostenitori della tesi meno restrittiva evidenziato che in questi casi non vi sarebbe la necessità di assicurare unitarietà di posizione, si evidenzia che è invece consolidato l'orientamento restrittivo per quanto attiene all'esercizio del diritto di voto ed al potere di impugnazione, spettante di sicuro solo ed esclusivamente al rappresentante comune.

Con riguardo al tema dei diritti processuali, peraltro, è stato affermato che, allorché si tratti di esercitare diritti processuali per la tutela di interessi giuridicamente rilevanti, sono i singoli soci che detengono la titolarità dei diritti che competono alla proprietà della quota (Trib. Milano 30 agosto 2006).

Qualora non sia raggiunta una maggioranza, per la revoca del rappresentante comune degli azionisti non può farsi riferimento alla disciplina codicistica sulla comunione, ex art. 1105 c.c. Tale norma, infatti, potrebbe disciplinare il solo caso in cui l'amministrazione della cosa comune non sia possibile, e non quello, diverso, in cui l'amministratore già nominato non abbia più la fiducia dei comunisti. Peraltro, l'art. 2347 c.c. richiama il disposto di cui agli artt. 11051106 c.c. solo con riguardo alla nomina, e non anche con la revoca, del rappresentante comune. In assenza di una specifica norma che autorizzi l'adozione della revoca del rappresentante comune degli azionisti mediante procedimento camerale, come previsto per il condominio di edifici, deve ritenersi che la decisione in merito a tale provvedimento debba avvenire con le forme del procedimento contenzioso ordinario, con l'applicazione delle norme sul mandato (Trib. Brescia 15 luglio 2020, n.101).

Come è stato osservato in dottrina (Renna), nel decidere sulla legittimazione ad agire dei singoli comproprietari, il tribunale si è in tal modo posto in contrasto con altre pronunce di merito che hanno optato, sia in tema di comunione azionaria nelle società per azioni che in ipotesi di comproprietà di quote di società a responsabilità limitata, per l'esclusiva titolarità della legittimazione ad agire del rappresentante comune. Secondo la decisione da ultimo citata, l'orientamento negativo si baserebbe sulla differenza che intercorre tra la disciplina dei diritti amministrativi inerenti alla quota di partecipazione in comproprietà e quella dettata dagli artt. 1100 e ss. c.c. in tema di comunione. In pratica, tale assunto si baserebbe sul presupposto che nessuno dei compartecipanti avrebbe lo status di socio venendo meno, quindi, la possibilità di esercitare le relative prerogative. Non così per la menzionata decisione. Partendo dal dato normativo dell'art. 2468, comma 4 c.c., il tribunale milanese ritiene che tale disposizione «non costituisca eccezione al più generale principio di cui all'art. 1292 c.c., ove per le obbligazioni solidali attive ciascun creditore ha diritto di pretendere l'adempimento dell'intera obbligazione da parte del debitore, che in tal caso si libera anche nei confronti degli altri creditori. La norma in esame, invero, perseguendo una ragion pratica, intende solo evitare che, nell'esercizio dei diritti amministrativi correlati a partecipazioni sociali in comproprietà, si realizzi un conflitto d'interessi tra il singolo comunista e la società, laddove si tratta di determinare la manifestazione di volontà riferibile all'intera quota indivisa». Peraltro, prosegue il giudice, nella fattispecie in esame, un conflitto di interessi non sarebbe neppure ipotizzabile dovendosi accertare l'irregolarità della gestione amministrativa e la conseguente responsabilità degli amministratori; un'azione, quindi, affidata al singolo socio ma nell'interesse della società. Inoltre, la circostanza che «la norma in questione, testualmente dettata per i diritti amministrativi non marchi una diversità di disciplina dei diritti patrimoniali, assume certamente rilievo ai fini interpretativi, posto che essa non può valere come disciplina generale dei diritti connessi alle partecipazioni sociali». Non convincerebbero, quindi, quelle decisioni che giustificano il sacrificio imposto ai diritti patrimoniali dei singoli alla luce di non meglio definiti interessi di certezza dei rapporti tra i soci e di razionale funzionamento della società come organizzazione. Tale spiegazione varrebbe unicamente per l'esercizio dei diritti amministrativi incorporati nella partecipazione (quale l'esercizio di voto in assemblea o l'esercizio del diritto di opzione), ma non per «l'esercizio dei diritti patrimoniali connessi alla proprietà che l'ordinamento pacificamente accorda a tutti i partecipanti alla comunione». Così ritenendo, si finirebbe con il negare qualsiasi tutela al singolo comproprietario nel caso in cui non fosse possibile nominare un rappresentante comune o nel caso in cui questo non si attivi nell'interesse dei singoli comproprietari, «non essendo ammissibile il ricorso all'autorità giudiziaria previsto nell'art. 1105 c.c., da intendersi come mezzo per l'assunzione di un'iniziativa gestoria e non per l'esercizio di un diritto inerente alla comproprietà che pacificamene compete a ogni singolo socio».

Competono egualmente al rappresentante comune i diritti di intervento in assemblea e di voto (Trib. Salerno 16 febbraio 2007, in Soc., 2007, 719). Per contro, il singolo comproprietario non è legittimato ad intervenire in assemblea e a votare, conseguendone altrimenti l'annullabilità della relativa deliberazione nella ricorrenza dei presupposti di cui all'art. 2377, comma 5, n. 2 c.c. (Trib. Catanzaro 23 aprile 2008, in Giur. mer., 2009, 798, concernente società a responsabilità limitata, in virtù del richiamo operato dall'art. 2479-ter, ult. cpv. c.c.). Nel richiamarsi al già menzionato indirizzo della giurisprudenza di legittimità, il tribunale ha nel caso di specie osservato che l'art. 2347 c.c., comma 1, ha previsto che l'esercizio dei diritti dei contitolari sia compiuto da un rappresentante comune; allo scopo di evitare che la mancata nomina elettiva, per contrasti all'interno della comproprietà, possa impedire quell'esercizio, il testo della norma ha stabilito che la nomina possa essere effettuata dall'autorità giudiziaria, così coprendo un vuoto normativo sul punto e ad un tempo confermando la obbligatorietà dell'esercizio unitario dei diritti attraverso la rappresentanza comune. La norma, dunque, nel conferire alla partecipazione azionaria il carattere della indivisibilità, ha considerato indispensabile, in relazione alle esigenze peculiari della organizzazione societaria e alla natura del bene in comunione, la unitarietà dell'esercizio dei diritti, impedendone il godimento e l'amministrazione in forma individuale; e ciò al fine, da un lato, di evitare che eventuali contrasti interni alla singola partecipazione azionaria ricadente in comunione si riflettano sulle attività assembleari e, dall'altro, di garantire certezza e stabilità alle deliberazioni assunte, ove correttamente approvate. Analoghe considerazioni valgono con riferimento all'ipotesi di comproprietà di una partecipazione di srl, disciplinata dall'art. 2468, ultimo comma c.c. novellato, che costituisce il portato (e nello stesso tempo concorre a fondare) il principio di unitarietà della quota, nel senso che ciascuna quota di partecipazione è unica e ciascun socio è titolare di una sola quota (tanto che anche gli eventuali acquisti successivi di altre partecipazioni si risolvono in semplici incrementi della quota originaria). La quota di partecipazione, pertanto, legata alla persona del socio, rimane unica a prescindere dal valore del conferimento e dalle vicende successive, non risultando dalla sommatoria di distinte entità aventi un valore unitario (come per il pacchetto azionario), ma rimanendo costante nella sua individualità e nel riferimento alla persona del socio detentore, salvi gli incrementi di valore in ipotesi di acquisto di altre quote o di aumenti di capitale; ne consegue il divieto — inderogabile — di voto parziale o divergente all'interno della stessa quota, sia nell'ipotesi in cui sia oggetto di proprietà individuale sia nell'ipotesi in cui ricada in comproprietà, dovendosi in tale evenienza considerare unitariamente la situazione — in termini di diritti, di natura amministrativa e patrimoniale, e di correlati obblighi — facente capo alla collettività dei comunisti (in quanto tale e non ai singoli contitolari pro quota). Compete ancora al rappresentante comune la possibilità di proporre la denunzia al tribunale ai sensi dell'art. 2409 (Trib. Milano 30 settembre 2011, in Soc., 2012, 636; Trib. Macerata, 10 novembre 2004, in Foro it., 2005, I, 887; App. Ancona 9 marzo 2005, in Soc., 2007, 492).

Infine, il difetto di nomina di un rappresentante comune ai sensi dell'art. 2393-bis, comma 4 c.c. non integra — a differenza della fattispecie dell'art. 2347 c.c. — una carenza di legittimazione attiva, ma un difetto di rappresentanza in senso processuale, che pertanto può essere sanato dalla costituzione in giudizio ai sensi dell'art. 182 c.p.c. del nominato rappresentante (Trib. Milano 5 novembre 2015, in Riv. dott. comm., 2016, 443).

Bibliografia

V. sub art. 2346.

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