Codice Civile art. 1599 - Trasferimento a titolo particolare della cosa locata.Trasferimento a titolo particolare della cosa locata. [I]. Il contratto di locazione è opponibile al terzo acquirente [1603], se ha data certa [2704] anteriore all'alienazione della cosa [999 1]. [II]. La disposizione del comma precedente non si applica alla locazione di beni mobili non iscritti in pubblici registri, se l'acquirente ne ha conseguito il possesso in buona fede [1147 1, 1153 2]. [III]. Le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall'inizio della locazione [2643 n. 8, 2644]. [IV]. L'acquirente è in ogni caso tenuto a rispettare la locazione, se ne ha assunto l'obbligo verso l'alienante [2923]. InquadramentoSi ha trasferimento della cosa locata allorché il locatore cessi di essere proprietario della stessa in forza di atti tra vivi quali vendita, permuta o donazione (c.d. alienazione traslativa) o di alienazione forzata (v. l'art. 2923 c.c.) ovvero, ancora, allorché il locatore-proprietario costituisca sul bene diritti reali di godimento quali usufrutto, abitazione o enfiteusi (cd. alienazione costitutiva). All'ipotesi di compravendita. va dunque equiparata quella della donazione (Cass. III, n. 13833/2013; Trib. Bari. 3 luglio 2018), della permuta (Cass. III, n. 975/1978), della costituzione di usufrutto (Cass. III, n. 11828/1990, la quale chiarisce, altresì, che, in tal caso, la qualità di locatore si concentra nel titolare dell'usufrutto, indipendentemente dalla circostanza che quest'ultimo sia costituito tra vivi ovvero mortis causa), nonché, più in generale, qualsiasi altra ipotesi di acquisto a titolo derivativo o derivativo-costitutivo (Cass. III, n.2356/1985). Il trasferimento a titolo particolare della cosa locata, in sostanza, riguarda non solo l'ipotesi in cui il locatore venda la cosa stessa a terzi, ma ogni altra fattispecie nella quale il locatore trasmetta ad altri, mediante alienazione traslativa o costitutiva, il diritto limitato sul bene su cui ha basato la sua legittimazione a disporre del bene (Trifone, 522). Sul piano sostanziale, si verifica il subentro – a latere locatoris – dell'acquirente all'alienante nel rapporto locatizio: in particolare, l'art. 1599 c.c. sancisce il principio emptio non tollit locatum (già introdotto dal code civile del 1804), alla cui stregua il contratto di locazione è opponibile dal conduttore al terzo acquirente che è, quindi, obbligato a rispettare la locazione in corso. In altri termini, a fronte della “cessione” del contratto di locazione ed in mancanza di una volontà contraria dei contraenti, si determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione del terzo acquirente, che subentra ex lege nei diritti e nelle obbligazioni del locatore-venditore senza necessità del consenso del conduttore. Rientrano, inoltre, nella normativa in esame le ipotesi di acquisto mortis causa a titolo particolare, quale il legato (Trifone, 522; Guarino, 45), mentre non vi rientra l'ipotesi della successione a titolo universale, nella quale l'erede subentra in tutti i rapporti del dante causa e, di conseguenza, anche nella sua posizione di locatore o conduttore (Guarino, 45; Mirabelli, 599). Il principio secondo il quale la morte non estingue il rapporto di locazione, benché non espressamente enunciato da una specifica norma, si ricava, oltre che dalla circostanza per cui dalla locazione trae origine un rapporto non fondato sull'intuitus personae, dall'art. 1614 c.c. che, per i fondi urbani – ove la locazione debba ancora durare più di un anno e sia stata vietata la sublocazione – attribuisce agli eredi del conduttore defunto la facoltà di recedere dal contratto entro tre mesi dall'apertura della successione (Trifone, 513). L'applicazione del principio innanzi esposto è subordinata, però, alla presenza dei presupposti fissati dalla norma in commento, sicché non solo a) la locazione dev'essere anteriore rispetto all'alienazione ma b.1) la data del contratto di locazione deve essere anche certa ovvero b.2) il contratto deve essere stato trascritto, in ipotesi di locazioni ultranovennali. Qualora manchino la data certa o la trascrizione – ove richiesto – ma il locatario sia nella detenzione della cosa da un momento anteriore all'alienazione, il terzo acquirente è tenuto a rispettare la locazione soltanto per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato e, cioè, in base alla tempistica fissata dall'art. 1574 c.c. (v. l'art. 1600 c.c.). Il terzo acquirente, tenuto a rispettare la locazione, subentra dal giorno dell'acquisto della cosa locata nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione, ossia nella posizione contrattuale del locatore-alienante (v. l'art. 1602 c.c.); allo stesso modo il conduttore non può sottrarsi ai suoi obblighi e può opporre al nuovo locatore le stesse eccezioni che poteva opporre al locatore originario. La dottrina ritiene che quella in esame configuri un'ipotesi di successione nella posizione contrattuale o di cessione del contratto ex lege, cui applicare – quantomeno analogicamente – le norme generali in materia di cessione del contratto (Carrara, Ventura, 454; in senso contrario all'applicazione analogica delle norme dettate sulla cessione del contratto in generale, però, Guarino, 47; Provera, 414): ma si è altresì sostenuto (Trifone, 526) che la qualificazione del fenomeno (in termini di successione nel contratto o cessione di esso) non abbia una importanza pratica, rilevando, a contrario, gli effetti di esso, consistenti in una surrogazione del terzo acquirente nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione e avendo l'art. 1602 c.c. il precipuo intento di regolare i rapporti tra alienante ed acquirente della cosa locata. È, invece, pacifico che il subentro del terzo si verifica integralmente ed in via automatica e istantanea dal giorno del suo acquisto (Tabet 1972, 654). Analoga è la posizione della giurisprudenza, per la quale la cessione del contratto di locazione, in mancanza di una volontà contraria dei contraenti, determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione del terzo che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del locatore-venditore senza necessità del consenso del conduttore (Cass. III, n. 18536/2018; nella giurisprudenza di merito, Trib. Bari 3 luglio 2018; Trib. Teramo 17 giugno 2014). Emptio non tollit locatumIl terzo acquirente della cosa locata è tenuto – nella ricorrenza dei presupposti fissati dalla norma in esame – ad osservare il contratto di locazione stipulato dall'alienante; il principio regola, dando prevalenza alla locazione, il contrasto tra il diritto dell'acquirente dell'immobile al pieno godimento ed il diritto del conduttore a continuare ad abitarlo: tale conclusione si può facilmente spiegare considerando l'importanza riconosciuta, anche dalla legislazione speciale, al diritto ad una abitazione. Indipendentemente dalle prescrizioni contenute nei precedenti commi, l'art. 1599, comma 4, c.c., prevede, inoltre, che l'acquirente è comunque tenuto a rispettare la locazione se ne ha assunto l'obbligo nei confronti dell'alienante (v. infra). Su tale regime – che rinnega l'antico principio emptio tollit locatum, il quale rappresentava un vero e proprio punto fermo nella tradizione del diritto romano, che dalla premessa della relatività del diritto di godimento attribuito al conduttore traeva l'inevitabile conseguenza logica per cui il terzo acquirente del bene locato non fosse tenuto a rispettare il contratto di locazione, a lui del tutto estraneo, in quanto res inter alios acta – si è retta, peraltro, la tesi (Lazzara, 136) in base alla quale il diritto di godimento spettante al conduttore sarebbe ormai qualificabile alla stregua di un diritto reale. Tale orientamento, però, è smentito dalla dogmatica più rigorosa (Provera, 21): la circostanza che venga imposta ex lege una forma di opponibilità del rapporto locatizio a determinati terzi ben qualificati è, infatti, altro dal conferire alla posizione del conduttore un meccanismo di tutela operante erga omnes e, perciò, riconducibile allo schema del diritto reale. È, invece, pacifico che si versi in presenza di una norma eccezionale la quale, lungi dal sovvertire la struttura del diritto di godimento assicurato al conduttore, semplicemente realizza una più efficace protezione del suo interesse alla stabilità del rapporto, tramite una limitata estensione, ultra partes e con effetto ex nunc, degli effetti del contratto. La conclusione è pacifica in giurisprudenza, essendosi chiarito che, poiché si tratta di norma di carattere eccezionale, l'art. 1599 c.c. non è suscettibile di applicazione estensiva a rapporti diversi dalla locazione come nel caso del comodato (Cass. III, n. 664/2016; Cass. III, n. 5454/1991; nella giurisprudenza di merito, rib. Taranto 21 gennaio 2015, in applicazione di tale principio, ha evidenziato che il contratto di comodato non è mai opponibile al fallimento, a prescindere dalla sua durata ed anche quando sia di data certa anteriore alla dichiarazione di fallimento, non essendo applicabile in via analogica la regola dell'opponibilità prevista per la locazione dall'art. 1599 c.c.). In virtù del carattere eccezionale dei principi posti dagli artt. 1599 ss. c.c., inoltre, è stato altresì chiarito che la posizione del creditore non può trasferirsi dall'alienante all'acquirente se il contratto di locazione è già cessato al momento dell'alienazione, se non mediante un fenomeno di cessione del credito (Cass. III, n. 14738/2005). Il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta, dunque, sul piano sostanziale il subentro – a latere locatoris – dell'acquirente all'alienante nel rapporto locatizio (si rinvia, per un approfondimento sul punto, al commento all'art. 1602 c.c.), producendo altresì, sul piano processuale, gli effetti previsti e disciplinati dall'art. 111 c.p.c. Chiara in tal senso è la posizione della giurisprudenza (Cass. III, n. 18536/2018; Cass. III, n. 8556/1991) per la quale il terzo acquirente subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore-locatore senza necessità del consenso del conduttore. In particolare, il subingresso dell'acquirente nella posizione contrattuale dell'alienante avviene dal momento in cui l'atto di acquisto incomincia a produrre i suoi effetti (Cass. III, n. 2356/1985) e, poiché subentra nella medesima posizione del locatore alienante, il terzo non solo assume la qualità di locatore, ope legis, per effetto della vendita con l'acquisto del diritto di proprietà – con la conseguenza che il conduttore può validamente opporgli le eccezioni concernenti la detta titolarità del diritto stesso, costituendo quest'ultima il titolo della surrogazione nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione (Cass. III, n. 5699/2000; Cass. III, n. 5724/1994) – ma è tenuto anche a rispettare il termine di durata della locazione concordato dagli originari contraenti (Cass. III, n. 10204/1994), nonché l'eventuale sublocazione consentita dall'alienante originario locatore, non essendo necessario il suo consenso o un apposito atto di ratifica del terzo proprietario subentrante (Cass. III, n. 2800/1953). Il terzo, inoltre, può chiedere i canoni della locazione non ancora scaduti quando risultino da atto di data certa (Cass. III, n. 17488/2007). Quanto, poi, alla tempistica di produzione degli effetti della surrogazione, l'acquirente, come detto, subentra nei diritti e negli obblighi che derivano dal contratto di locazione dal momento dell'acquisto del bene locato: sicché il subingresso non ha effetto retroattivo (Cass. III, n. 24222/2019) e determina il sorgere di due rapporti di locazione distinti i cui effetti si producono nei confronti di colui che risulta essere locatore nel rispettivo periodo di riferimento (Cass. III, n. 19747/2012; Cass. III, n. 22669/2004; Cass. III, n. 8328/2001). Così, ad esempio, Cass. III, n. 9408/2011 chiarisce che in caso di vendita della cosa locata, avvenuta dopo la comunicazione della disdetta, ma prima della data di scadenza del contratto, l'indennità di avviamento è dovuta dall'acquirente dell'immobile locato, trovando il diritto all'indennità il suo fatto genetico nella avvenuta cessazione della locazione e non nell'intimazione della disdetta e tenuto conto del principio secondo cui il momento del trasferimento del bene determina anche il momento di cesura tra le obbligazioni e i diritti spettanti all'alienante e quelli dell'acquirente. Del pari, l'acquirente di un bene locato, in base al principio di cui all'art. 1602 c.c. – a mente del quale l'acquirente stesso, pur non potendo invocare a suo favore i fatti che abbiano ormai esaurito i loro effetti al momento dell'acquisto, conserva pur tuttavia azione da tale momento nei confronti del conduttore per gli adempimenti cui lo stesso è attualmente tenuto – può reclamare i danni conseguenti al deterioramento della cosa locata esistente al momento della compravendita del bene e non ancora risarciti al precedente proprietario, atteso che tale deterioramento costituisce uno stato permanente della cosa locata (così Cass. III, n. 4912/2003): l'azione risarcitoria è, però, condizionata al fatto che non risulti che della minore efficienza della cosa locata si sia tenuto conto nella determinazione del prezzo della compravendita (Cass. III, n. 19442/2008; Cass. III, n. 1685/1997; Cass. III, n. 9844/1994). Simmetricamente Cass. III, n. 5557/1979 chiarisce che l'acquirente è legittimato passivo della pretesa risarcitoria del conduttore per danni cagionati da vizi della cosa locata, anche se preesistenti alla data dell'acquisto, quando i danni si siano verificati in epoca successiva a tale data, mentre, in caso contrario, la pretesa risarcitoria deve esser rivolta al precedente locatore. Osserva, infine, Cass. III, n. 1769/1960, che la tolleranza del precedente proprietario dell'immobile a ricevere la pigione, secondo modalità diverse da quelle pattuite o stabilite per legge, non può essere invocata dal conduttore nei confronti del nuovo proprietario locatore che lo abbia all'uopo diffidato. Sul piano processuale – come anticipato – il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta l'applicazione dell'art. 111 c.p.c. Sicché, ove l'alienazione della cosa locata si verifichi in pendenza della controversia promossa dal locatore per il rilascio del bene alla scadenza del rapporto, nonché anteriormente alla scadenza medesima, l'acquirente, subentrando nella posizione giuridica del venditore quando il contratto è ancora in corso, fa propria la domanda già proposta dal suo dante causa (Cass. III, n. 5164/1991), è destinatario degli effetti della licenza intimata dallo stesso, ma non può proporre autonomamente domanda di rilascio per finita locazione, atteso che la suddetta situazione resta soggetta alle disposizioni dell'art. 111 c.p.c., in tema di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il quale conferisce al successore le sole facoltà di intervenire nella causa pendente, ovvero di impugnare o resistere alla impugnazione avverso la sentenza in essa resa nei confronti dell'alienante (e produttiva di effetti anche nei riguardi del successore) (così Cass. S.U., n. 266/1985). Peraltro, precisa Cass. III, n. 8700/2009 che l'intervento exart. 111 c.p.c. dell'acquirente di un immobile locato in una causa avente ad oggetto la risoluzione del contratto di locazione, pendente in primo grado, a) non è soggetto al termine di decadenza stabilito dall'art. 419 c.p.c., in quanto questa tipologia d'intervento non è riconducibile all'intervento volontario del terzo di cui all'art. 105 c.p.c., al quale si riferisce l'art. 419 cod. proc. civ. nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte Costituzionale n. 193/1983 né b) comporta la proposizione di una nuova domanda, in quanto l'atto di acquisto dell'immobile locato da parte del terzo interventore non integra un diverso fatto costitutivo del diritto fatto valere dall'attore, ma costituisce il titolo della successione a titolo particolare nell'originario contratto di locazione con gli effetti di cui all'art. 1602 c.c. Segue. Le deroghe al principio dell'opponibilità della locazione all'acquirente La regola codicistica dell'opponibilità all'acquirente della locazione in corso patisce, però, alcune deroghe. Anzitutto, essa non si applica, ai sensi dell'art. 1599, comma 2, c.c., alle locazioni concernenti beni mobili, se l'acquirente ne ha conseguito il possesso in buona fede: si tratta, all'evidenza, di un'ipotesi di esclusione dell'opponibilità derivante dall'applicazione del principio sancito, in via generale, all'art. 1153, comma 2, c.c., per cui chi acquista in buona fede un bene mobile e ne consegue il possesso, acquista la proprietà a titolo originario e non è soggetto, pertanto, ai vincoli gravanti sull'alienante. Si ritiene, in dottrina, che il fondamento dell'eccezione contenuta nell'art. 1599, comma 2, c.c. vada rinvenuto nell'intento del legislatore di parificare le situazioni dominicali sul bene mobile, sia quando siano l'effetto di un acquisto a titolo originario che derivativo, conferendo al possesso di beni mobili una maggiore certezza della disponibilità per favorirne la circolazione (Tabet, 672). Il principio fissato dall'art. 1559, comma 2, c.c. per i beni mobili consente, in realtà, di precisare che la regola emptio non tollit locatum non trova applicazione, più in generale, nell'ipotesi di acquisto a titolo originario del bene locato. Del tutto concorde è la posizione, sul punto, della dottrina, la quale ritiene applicabile la norma ogni volta che il terzo acquista dal locatore a titolo derivativo-costitutivo, esulando dalla previsione dell'art. 1599 i modi di acquisto a titolo originario (Guarino, 45). Chiarisce in proposito Cass. III, n. 2464/2001, che la regola emptio non tollit locatum dettata dall'art. 1599 c.c., con specifico riguardo al trasferimento a titolo particolare della cosa locata, in base alla quale si verifica la cessione legale del contratto con la continuazione dell'originario rapporto e l'assunzione da parte dell'acquirente della stessa posizione del locatore, non opera quando il terzo abbia acquistato il bene locato a titolo originario; pertanto, il terzo che abbia usucapito la proprietà della cosa locata, mentre non può esperire l'azione di sfratto, non essendo succeduto nel rapporto di locazione, è legittimato a promuovere le azioni reali per conseguire nei confronti del conduttore la disponibilità dell'immobile (Cass. III, n. 2464/2001; Cass. III, n. 11767/1992; Cass. III, n. 2356/1985). Un'ulteriore deroga al principio in esame è contenuta nell'art. 1603 c.c., disposizione che espressamente riconosce alle parti la possibilità di prevedere convenzionalmente lo scioglimento del contratto in caso di alienazione della res locata. Tale previsione, peraltro, trova riscontro, in tema di vendita forzata ed assegnazione, nel disposto di cui all'art. 2923, comma 5 c.c., per cui se nel contratto di locazione è convenuto che esso possa risolversi in caso di alienazione, l'acquirente può intimare licenza al conduttore secondo le disposizioni dell'art. 1603 c.c. Si tratta, all'evidenza, di un'applicazione, in materia locatizia, del diritto di recesso previsto, in via generale, dall'art. 1373 c.c.: l'esercizio del recesso nei termini fissati dall'art. 1603 c.c. (ovvero in quelli convenzionalmente stabiliti dalle parti, v. infra), non ingenera, poi, alcun diritto alla percezione di risarcimento o indennizzo da parte del conduttore. Proprio perché tale è la natura del diritto in esame, si è ritenuto, in dottrina (Provera, 455), che la clausola possa però anche prevedere l'attribuzione, al conduttore, di un congruo indennizzo, in applicazione di quanto previsto dall'art. 1373, comma 3, c.c. (Provera, 452). La previsione di un termine di preavviso, inoltre, ingenera dubbi circa il regime giuridico della clausola in che determini ipso iure lo scioglimento del vincolo a seguito di alienazione. La dottrina è sul punto divisa tra chi (Tabet 1972, 690), qualificando la norma come cogente, ritiene che non sia ammessa una clausola che disponga l'automatico scioglimento del rapporto a seguito dell'alienazione e che questa, ove apposta, sia nulla, e chi (Provera, 453), al contrario, ammette tale possibilità, riconducendola allo schema della condizione risolutiva potestativa e precisando che non si tratterebbe altro che l'applicazione, alla locazione, di un istituto di portata generale. La giurisprudenza opta per tale seconda soluzione, avendo Cass. III, n. 3140/1981 ritenuto pienamente valida la clausola contenuta in un contratto di locazione con la quale si considera la vendita dell'immobile locato quale causa di risoluzione della locazione, trattandosi di condizione semplice risolutiva; analogamente Cass. S.U., n. 459/1994 per la quale la locazione di immobile acquisito alla massa fallimentare, stipulata dal curatore del fallimento ai sensi dell'art. 560, comma 2, c.p.c. (applicabile in forza del richiamo di cui all'art. 105 della legge fallimentare) è un contratto la cui durata risulta naturaliter contenuta nei limiti della procedura concorsuale, in quanto attuativa di una mera amministrazione processuale del bene, con la conseguenza che – non essendo assimilabile al contratto locativo di data certa anteriore alla sentenza dichiarativa di fallimento disciplinato dall'art. 2923 c.c. – non sopravvive alla vendita fallimentare e non è opponibile all'acquirente in executivis. Pertanto, la clausola con la quale il curatore ed il conduttore espressamente pattuiscano la risoluzione della locazione per effetto della vendita forzata del bene è pienamente valida, in quanto esplicita un limite di durata connaturato al contratto ed alle sue peculiari finalità, che lo sottraggono all'ambito di applicabilità del combinato disposto degli artt. 7 e 41 della l. n. 392/1978, che colpiscono di nullità la clausola di risoluzione del contratto di locazione in caso di alienazione del bene locato. L'ammissibilità di una clausola quale quella appena descritta implica, evidentemente, anche conseguenze ulteriori, nel senso che le parti potrebbero, ad esempio, convenzionalmente ridurre ovvero escludere il termine di preavviso. L'art. 1603 c.c. patisce tuttavia, rispetto al proprio ambito di operatività, una “controderoga” per effetto delle evidenti restrizioni conseguenti all'applicazione, per le locazioni di immobili urbani ad uso abitativo e non, delle disposizioni contenute agli artt. 7, 38 e 41 della l. n. 392/1978. In particolare, l'art. 7 cit. dispone – per le locazioni ad uso abitativo, con previsione tuttora applicabile, siccome non oggetto di abrogazione ad opera della l. n. 431/1998 – che è nulla la clausola che prevede la risoluzione del contratto in caso di alienazione della cosa locata; il successivo art. 38, invece, chiarisce – in ordine alle locazioni ad uso diverso – che, nel caso in cui il locatore intenda trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore, indicando il corrispettivo, da quantificare in ogni caso in denaro, le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito ad esercitare o meno il diritto di prelazione, mentre il successivo art. 41 richiama espressamente l'art. 7 tra le norme applicabili alle locazioni ad uso diverso. Sempre in tema di locazioni ad uso abitativo, infine, l'art. 3, lett. g), della l. n. 431/1998, alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 1 dell'art. 2 e alla prima scadenza dei contratti stipulati ai sensi del comma 3 del medesimo articolo, il locatore può avvalersi della facoltà di diniego del rinnovo del contratto, dandone comunicazione al conduttore con preavviso di almeno sei mesi, quando intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la proprietà di altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a propria abitazione (in tal caso, peraltro, al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione, da esercitare con le modalità di cui agli artt. 38 e 39 della legge sull'equo canone). I presupposti dell'opponibilità: la data certa e la trascrizione del contratto di locazioneL'applicazione del principio emptio non tollit locatum è subordinata – come anticipato – alla presenza dei presupposti fissati dalla norma in commento, sicché non solo a) la locazione dev'essere anteriore rispetto all'alienazione ma b.1) la data del contratto di locazione dev'essere anche certa ovvero b.2) il contratto deve essere stato trascritto, in ipotesi di locazioni ultranovennali. Quanto alla data certa, si ritiene, ad opera della dottrina e giurisprudenza maggioritarie, che la stessa debba risultare da un atto scritto, tanto più in relazione a quelle locazioni per le quali il requisito formale è assurto ad elemento di validità del contratto (v. l'art. 2 della l. n. 431/1998 in relazione alle locazioni ad uso abitativo. Invero, parte della dottrina (Guarino, 49, Messineo, 176) assume che la data certa possa essere provata, da parte del conduttore, con ogni mezzo; per la dottrina prevalente, però, ai fini dell'opponibilità della locazione al terzo acquirente è indispensabile, come detto, la prova documentale e tale conclusione giustifica ricorrendo all'applicazione dell'art. 2704 (Tabet, 1972, 665). Anche la giurisprudenza è assestata e ferma nell'affermare la necessità dell'atto scritto ai sensi dell'art. 2704 c.c., essendo irrilevante la sola conoscenza della locazione da parte dell'acquirente (Cass. III, n. 1063/1987). Così, Trib. Bari, 29 febbraio 2012 esclude che la copia di una ricevuta di affitto sia idonea a rendere opponibile al terzo acquirente dell'immobile l'esistenza di un precedente contratto di locazione di cui la ricevuta sarebbe dimostrazione, perché, priva dei requisiti di cui all'art. 2704, comma 1, c.c., non avendo la data certa anteriore all'alienazione della cosa, come richiesto dall'art. 1599, comma 1, c.c. Inserendosi in questa linea interpretativa Cass. III, n. 113/1988 chiarisce che l'acquirente di immobile locato, obbligato a rispettare la locazione stipulata dal precedente proprietario con contratto di data certa anteriore alla alienazione, ai sensi dell'art. 1599, comma 1, c.c., è terzo rispetto al contratto e pertanto non gli sono opponibili gli accordi verbali in deroga al contenuto dell'originario contratto di data certa, che non risultino anche essi da scrittura di data certa (nella specie, modifica verbale della clausola contrattuale di adeguamento del canone secondo gli indici ISTAT), non avendo rilevanza l'eventuale indiretta conoscenza da parte dell'acquirente di siffatte deroghe sfornite di prova legale (nel medesimo senso, sempre pure con riferimento alla inopponibilità, all'acquirente dell'immobile locato, degli accordi verbali in deroga al contenuto dell'originario contratto che non risultino anch'essi da scrittura di data certa anteriore, Cass. III, n. 10775/1993). Appare, invece, idonea all'uopo la registrazione del contratto di locazione, adempimento che, ai sensi dell'art. 2704, comma 1, c.c., conferisce certezza all'anteriorità della stipulazione del contratto di locazione rispetto al trasferimento del bene al terzo. Tale conclusione appare di radicale importanza, stante la generalizzazione dell'obbligo di registrazione per tutti i contratti costitutivi di diritti personali di godimento di durata superiore ai 30 giorni posta dall'art. 1, comma 346, della l. n. 311/2004. Avuto riguardo, invece, al requisito della trascrizione, l'art. 1572, comma 1, c.c. dispone che il contratto di locazione per una durata superiore a nove anni è atto eccedente l'ordinaria amministrazione: ciò implica che il contratto di locazione di durata superiore ai nove anni va a) concluso in forma scritta (v. l'art. 1350, n. 8 c.c.) e (b) trascritto (v. gli artt. 1599, comma 3, 2643, n. 8 e 2644 c.c.). Parte della dottrina (Mirabelli, 607; Tabet, 677) ritiene che la regola varrebbe solo per le locazioni in corso al momento del trasferimento del diritto al terzo acquirente e non si applicherebbe, dunque, alle locazioni destinate ad avere inizio successivamente a tale momento; per una diversa impostazione (Provera, 421, invece, l'art. 1599 c.c. non esige, ai fini dell'opponibilità al terzo acquirente, che la locazione sia in corso al momento dell'alienazione). Sembrerebbe assestata sulla prima posizione la giurisprudenza, essendosi affermato (Cass. III, n. 89/1974) che, perché sia opponibile al terzo acquirente, la locazione debba essere già in corso al momento dell'acquisto e non sia destinata ad iniziare in un momento successivo. La trascrizione, richiesta in considerazione della rilevanza economico-sociale della locazione ultranovennale, impone, dunque, che il contratto venga stipulato, ex art. 2657 c.c., nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata: essa, per le locazioni alla stessa soggetta, rappresenta il presupposto per la loro opponibilità all'acquirente della cosa locata, ex art. 1599, comma 3 c.c., all'aggiudicatario della medesima, ex art. 2923 c.c., al creditore pignorante ex art. 2915 c.c. (oltre a rilevare quale criterio per la risoluzione del conflitto tra più titolari del medesimo diritto personale godimento, ex art. 1380 c.c.) Si trova, così, affermato, in giurisprudenza, che: a) la locazione ultranovennale non trascritta non è opponibile, ancorché il contratto sia regolarmente registrato, al curatore fallimentare del locatore in ragione dell'effetto di spossessamento e di pignoramento generale dei beni del debitore derivante dalla dichiarazione di fallimento, che determina il subentro ope legis del curatore nel contratto nei soli limiti in cui lo stesso sia opponibile alla massa dei creditori: sicché il curatore, ferma l'opponibilità della data certa del contratto registrato anteriormente al fallimento, alla scadenza del novennio dalla stipulazione può farne valere l'inefficacia per il periodo eccedente tale limite temporale (Cass. I, n. 5792/2014; Cass. I, n. 3016/2008); b) la locazione ultranovennale non trascritta non è opponibile all'aggiudicatario di un immobile in sede di espropriazione forzata, atteso che il disposto dell'art. 2923 c.c., diversamente da quello di cui all'art. 1599 stesso codice (dettato in tema di vendita volontaria), non prevede la possibilità che l'acquirente assuma, nei confronti dell'alienante, l'obbligo di rispettare la locazione, tale possibilità essendo del tutto inconciliabile con lo scopo della procedura esecutiva, che è quello di realizzare il prezzo più alto nell'interesse tanto del debitore quanto dei creditori procedenti (Cass. III, n. 111/2003). Cass. III, n. 14012/1991 ritiene, invece, che la trascrizione non sarebbe necessaria per (l'opponibilità de)i contratti di locazione di immobili urbani ad uso diverso da quello abitativo, compiutamente disciplinati dagli artt. 27-29 della l. n. 392/1978, che ne fissa la durata normale in dodici anni, salva l'ipotesi eccezionale di diniego della rinnovazione alla scadenza dei primi sei anni: tali contratti, infatti, sarebbero opponibili al terzo acquirente dell'immobile indipendentemente dalla trascrizione, purché abbiano data certa anteriore alla alienazione, a norma della perdurante disciplina generale del (solo) comma 1 dell'art. 1599 c.c. Segue. L'opponibilità (eccezionale) del contratto fondata sulla sola detenzione anteriore al trasferimento Qualora manchino la data certa o la trascrizione – ove richiesto – ma il locatario sia nella detenzione della cosa da un momento anteriore all'alienazione, l'art. 1600 c.c. – con una previsione che, pur riconoscendo una tutela “minima” in favore del conduttore, risponde in ogni caso alla esigenza di imporre al terzo acquirente un minor sacrificio al proprio diritto di godimento – dispone che il terzo acquirente è tenuto a rispettare la locazione soltanto per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato e, cioè, in base alla tempistica fissata dall'art. 1574 c.c. Tale regola trova peraltro riscontro, in tema di vendita forzata ed assegnazione, nel disposto di cui all'art. 2923, comma 4, c.c., per cui, se la locazione non ha data certa, ma la detenzione del conduttore è anteriore al pignoramento della cosa locata, l'acquirente non è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato. La previsione in commento – la quale riproduce, pur rendendolo maggiormente intellegibile, il disposto dell'art. 1598 del codice civile del 1865 – trova applicazione relativamente a quelle locazioni prive di data certa, ma rispetto alle quali la detenzione da parte del conduttore sia anteriore al trasferimento della proprietà in favore del terzo: eccezionalmente, dunque, la prova dell'anteriorità della locazione non è tratta dalla data certa o dalla trascrizione, ma dalla situazione di fatto preesistente al trasferimento della cosa locata. Pienamente concorde la dottrina, la quale osserva come, nella specie, la prova della anteriorità della locazione viene desunta, in via eccezionale, da una situazione di fatto che preesiste alla alienazione della cosa (Provera, 439); la detenzione anteriore al trasferimento si pone, in altri termini, quale forma sostitutiva della pubblicità del contratto rispetto allo scritto (Trifone, 531). A mente dell'art. 1600 c.c., nel caso di locazione non avente data certa, l'acquirente è tenuto a rispettare la locazione per una durata corrispondente a quella stabilita per le locazioni a tempo indeterminato, solo se la detenzione del conduttore sussista all'atto del trasferimento (Cass. III, n. 1669/1949): a tal fine occorre, però, che la detenzione sia riconducibile al conduttore e non a qualsiasi occupante dell'immobile (Cass. III, n. 4576/1957). Quanto alla individuazione del dies a quo in relazione al quale fa decorrere il rapporto negoziale con l'acquirente, parte della dottrina (Guarino, 49) ritiene che debba farsi riferimento al momento in cui si perfeziona l'alienazione; altra opinione (Mirabelli, 607), invece, ritiene che, in applicazione della regola generale posta dall'art. 1599, comma 3, c.c., il periodo “di rispetto” comincia a decorrere dalla data di inizio della locazione, ove sia possibile accertarla, o dalle scadenze d'uso (se previste) o dall'inizio della detenzione. In ordine alla durata del rapporto, invece, la norma rinvia ai termini fissati dall'art. 1574 c.c. e, quindi: a) se si tratta di case senza arredamento di mobili o di locali per l'esercizio di una professione, di una industria o di un commercio, il contratto si intende stipulato si per la durata di un anno, salvi gli usi locali; b) se si tratta di camere o di appartamenti mobiliati, il contratto si intende stipulato per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurata la pigione; c) se si tratta di cose mobili, il contratto si intende stipulato per la durata corrispondente all'unità di tempo a cui è commisurato il corrispettivo; d) se si tratta di mobili forniti dal locatore per l'arredamento di un fondo urbano, il contratto si intende stipulato per la durata della locazione del fondo stesso. Sennonché non può non osservarsi come tale disciplina abbia, ormai, una rilevanza limitata e residuale, dovuta all'introduzione di inderogabili previsioni contenute, per le locazioni ad uso abitativo, dapprima nella l. n. 392/1978 ed ora nella l. n. 431/1998 e, per le locazioni ad uso diverso, nell'art. 27 della l. n. 392 citata. L'estensione della portata di tali norme speciali – e, dunque, del carattere sostanzialmente recessivo della disciplina dell'art. 1574 c.c. – è consacrata in numerose decisioni della giurisprudenza di legittimità, ove si osservato che la scarsa rilevanza dell'art. 1574 c.c. è dovuta, per l'appunto, alla circostanza che pressoché tutte le locazioni, o per previsione contrattuale o per l'intervento normativo, hanno una determinata efficacia nel tempo (Cass. III, n. n. 434/1978; nella giurisprudenza di merito, in senso conforme, Trib. Bari 19 febbraio 2008): sicché all'omessa pattuizione del termine finale della locazione, supplisce ancora, in linea di principio, l'art. 1574 c.c., ma in primo luogo per come integrato dalla legislazione speciale (e, in specie, dagli artt. 1, 26 e 27 della l. n. 392/1978: così Cass. III, n. 2022/1984). Ad ulteriore riprova di quanto precede si consideri, ad esempio, quanto affermato da Cass. III, n. 13483/2011, per cui la disciplina di cui alla l. n. 431/1998 trova applicazione per tutte quelle locazioni che soddisfano il bisogno primario della disponibilità di un alloggio, indispensabile per la stessa estrinsecazione della persona umana, e le sole eccezioni sono quelle da essa stessa previste; sicché essa si applica anche alla locazione per abitazione ad uso di seconda casa, caratterizzata dalla protratta permanenza del conduttore per cospicui periodi dell'anno ed anzi dalla tendenziale fruizione dell'immobile secondo le disponibilità del tempo libero di quegli senza uno schema prefissato, in quanto finalizzata a soddisfare esigenze abitative certamente complementari, ma di rango uguale a quelle della prima casa, in quanto relative al tempo libero e quindi al soddisfacimento di interessi e passioni dell'individuo e quindi funzionali al pieno sviluppo della sua personalità. Analogamente, per le locazioni ad uso diverso, Cass. III, n. 24035/2009 afferma che l'applicabilità della disciplina di cui agli art. 27 ss. della l. n. 392/1978 deve essere affermata quando, pur in difetto di un rapporto pertinenziale (in senso proprio), risulti un collegamento funzionale di detto immobile con una delle attività contemplate dal citato art. 27, svolta in altro locale di cui il conduttore abbia la disponibilità a qualsiasi titolo (proprietà, locazione con altro locatore, comodato ecc.), e risulti altresì che tale collegamento, ancorché discendente da un'autonoma iniziativa del conduttore, debba considerarsi legittimo, sulla base delle originarie clausole contrattuali, ovvero del successivo comportamento delle parti, quale una cosciente tolleranza del locatore ai sensi dell'art. 80 della l. n. 392 citata. L'opponibilità convenzionale della locazione anteriore (il c.d. patto di rispetto)L'art. 1599 c.c. è norma derogabile, non soltanto in peius per il conduttore (nei limiti di cui al già richiamato art. 1603 c.c.), ma anche in melius, nel senso che, ai sensi dell'art. 1599, comma 4, c.c., indipendentemente dalle prescrizioni contenute nei precedenti commi, l'acquirente è comunque tenuto a rispettare la locazione se ne ha assunto l'obbligo nei confronti dell'alienante (c.d. patto di rispetto). Si osserva, ad opera di parte della dottrina, che la conoscenza da parte dell'acquirente, al momento dell'acquisto, dell'esistenza, del contenuto e della durata del contratto, potrebbe avere la medesima efficacia del patto di rispetto, ma la conclusione è decisamente avversata da chi ritiene che la semplice conoscenza del terzo acquirente non è idonea a produrre gli effetti che scaturiscono dalla conclusione di un patto aggiunto al contratto di alienazione (così Provera, 424). Altra – ma connessa – questione concerne i limiti del subentro convenzionale: se, cioè, esso riguardi il contratto di locazione nella sua interezza – come stipulato, cioè, dall'alienante-locatore originario e conduttore – ovvero nei limiti degli accordi raggiunti tra alienante ed acquirente. Anche su tale profilo si registrano, in dottrina, orientamenti contrastanti: da un lato, infatti, v'è chi (Guarino, 48) ritiene che, se la fonte produttiva dell'evento e, quindi, il subentro nel contratto, è il patto concluso tra alienante ed acquirente, non può che discenderne che quest'ultimo è tenuto a rispettare la locazione esclusivamente nei limiti del patto con il quale si è obbligato verso l'alienante; dall'altro, invece, v'è chi (Tabet, 683), ritenendo non ipotizzabile una modificazione unilaterale del rapporto obbligatorio con il conduttore, ritiene che, ove intervenga il patto, il rispetto riguardi la locazione sì come originariamente conclusa tra conduttore e locatore originario e non nei limiti del patto stesso. Quanto alla natura giuridica di tale convenzione, alcuni (Mirabelli, 603) hanno ravvisato in essa un contratto a favore di terzi (i.e., il conduttore), altri (Tabet, 682) hanno invece ricondotto la fattispecie a quelle ipotesi in cui il contratto produce iposo iure effetti rispetto al terzo, secondo quanto previsto dall'art. 1372 c.c (Tabet, 682). Altra questione è quella se il rispetto della locazione si verifica nella sua integralità o soltanto nei limiti in cui l'acquirente ne ha assunto l'obbligo. 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