Codice Civile art. 1602 - Effetti dell'opponibilità della locazione al terzo acquirente.

Gian Andrea Chiesi

Effetti dell'opponibilità della locazione al terzo acquirente.

[I]. Il terzo acquirente tenuto a rispettare la locazione [1603] subentra, dal giorno del suo acquisto, nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione [1406].

Inquadramento

Nel caso di cessione dell'immobile locato, l'acquirente cui il contratto di locazione sia opponibile – perché avente data certa anteriore al trasferimento, ovvero perché trascritto (in caso di locazioni ultranovennali) – si surroga nella posizione dell'originario locatore, acquistando, dal momento dell'acquisto, i medesimi diritti ed obblighi verso il conduttore, che aveva il cedente.

La cessione del contratto di locazione, in mancanza di una volontà contraria dei contraenti, determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione del terzo che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del locatore-venditore senza necessità del consenso del conduttore (Cass. III, n. 18536/2018; nella giurisprudenza di merito, Trib. Bari, 3 luglio 2018; Trib. Teramo 17 giugno 2014). All'ipotesi di compravendita va equiparata – in base all'interpretazione fornita a proposito dell'art. 1599 c.c. in relazione al concetto di “terzo acquirente” – quella della donazione (Cass. III, n. 13833/2013. Trib. Bari, 3 luglio 2018, cit.), della permuta (Cass. III, n. 975/1978), della costituzione di usufrutto (Cass. III, n. 11828/1990), nonché, più in generale, qualsiasi altra ipotesi di acquisto a titolo derivativo o derivativo-costitutivo (Cass. III, n. n. 2356/1985).

In particolare, il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta, sul piano sostanziale ed in applicazione dell'art. 1599, il subentro – a latere locatoris – dell'acquirente all'alienante nel rapporto locatizio, producendo altresì, sul piano processuale, gli effetti previsti e disciplinati dall'art. 111 c.p.c.

Chiara è, in tal senso, la posizione della giurisprudenza di legittimità, consolidata, da un lato, nell'escludere che l'acquirente di un immobile locato possa far valere – in difetto di una cessione del credito – pretese relative a situazioni ormai esaurite al momento della vendita (Cass. III, n. 11895/2008; Cass. III, n. 8329/2001) e, dall'altro, nell'affermare che l'acquirente conserva pur tuttavia azione da tale momento nei confronti del conduttore per gli adempimenti cui lo stesso è attualmente tenuto (potendo, ad esempio, reclamare i danni conseguenti al deterioramento della cosa locata esistente al momento della compravendita del bene e non ancora risarciti al precedente proprietario, atteso che tale deterioramento costituisce uno stato permanente della cosa locata: così Cass. III, n. 4912/2003; Cass. III, n. 19442/2008). Del pari è stato chiarito che, in applicazione dell'art. 1602 c.c., che fissa nel momento dell'acquisto del bene locato il subingresso dell'acquirente nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione, va implicitamente escluso che il fenomeno successorio, ex art. 1599 c.c., del trasferimento a titolo particolare della cosa locata possa avere effetto retroattivo (Cass. III, n. 24222/2019), con la conseguenza che il rapporto di locazione si scinde in due periodi distinti, rispetto a ciascuno dei quali l'unico contratto spiega i suoi effetti nei confronti di colui che in quel periodo ha la qualità di locatore (Cass. III, n. 19747/2012; Cass. III, n. 22669/2004; Cass. III, n. 8328/2001): sicché la successione dell'acquirente, salvi diversi accordi di cessione, consentiti nel nostro ordinamento come espressione del principio dell'autonomia contrattuale delle parti, non comporta il trasferimento al nuovo proprietario della situazione debitoria e creditoria, maturatasi in capo al precedente proprietario, nel periodo antecedente all'acquisto del bene locato (Cass. III, n. 2751/2015). Il conduttore, pertanto, è tenuto, di regola, a pagare i canoni all'acquirente, nuovo locatore, dalla data in cui riceve la comunicazione della vendita dell'immobile in una qualsiasi forma idonea, in applicazione analogica dell'art. 1264 c.c. in tema di cessione dei crediti (Trib. Teramo, 17 giugno 2014, cit.).

La dottrina ritiene che quella in esame configuri un'ipotesi di successione nella posizione contrattuale o di cessione del contratto ex lege, cui applicare – quantomeno analogicamente – le norme generali in materia di cessione del contratto (Carrara, Ventura, 454; in senso contrario all'applicazione analogica delle norme dettate sulla cessione del contratto in generale, però, Guarino, 47; Provera, 414); ma si è altresì sostenuto (Trifone, 526) che la qualificazione del fenomeno (in termini di successione nel contratto o cessione di esso) non abbia una importanza pratica, rilevando, a contrario, gli effetti di esso, consistenti in una surrogazione del terzo acquirente nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione e avendo l'art. 1602 il precipuo intento di regolare i rapporti tra alienante ed acquirente della cosa locata. È, invece, pacifico che il subentro del terzo si verifica integralmente ed in via automatica e istantanea dal giorno del suo acquisto (Tabet 1972, 654).

Si tratta, ancora, di una previsione derogabile (Cass. III, n. 18536/2018), ben potendo venditore acquirente possono convenire che il rapporto di locazione continui a svolgersi nei confronti del primo (Trib. Sanremo, 20 dicembre 1991).

Effetti della cessione

Si è chiarito supra che si tratta di una ipotesi di successione o cessione ex lege nel contratto di locazione, che produce l'effetto della surrogazione dell'acquirente nei diritti (e negli obblighi) dell'alienante): ciò implica che non è richiesto, ai fini del suo perfezionamento, il consenso del conduttore-contraente ceduto.

Conforme è la posizione della dottrina (Provera, 414), per la quale, in realtà, non occorre il consenso di alcuna delle parti della complessiva operazione negoziale – né, dunque, da parte del cedente, né da parte del cessionario né, infine, da parte del contraente ceduto – giacché l'acquirente subentra automaticamente negli obblighi e nei diritti dell'alienante al verificarsi dei presupposti previsti dalla norma.

Di egual tenore è l'orientamento della giurisprudenza (Cass. III, n. 18536/2018; Cass. III, n. 8556/1991), per la quale il terzo acquirente subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore-locatore senza necessità del consenso del conduttore. In particolare, il subingresso dell'acquirente nella posizione contrattuale dell'alienante avviene dal momento in cui l'atto di acquisto incomincia a produrre i suoi effetti (Cass. III, n. 2356/1985) e, poiché subentra nella medesima posizione del locatore alienante, il terzo non solo assume la qualità di locatore, ope legis, per effetto della vendita con l'acquisto del diritto di proprietà – con la conseguenza che il conduttore può validamente opporgli le eccezioni concernenti la detta titolarità del diritto stesso, costituendo quest'ultima il titolo della surrogazione nei diritti e negli obblighi derivanti dal contratto di locazione (Cass. III, n. 5699/2000; Cass. III, n. 5724/1994) – ma è tenuto anche a rispettare il termine di durata della locazione concordato dagli originari contraenti (Cass. III, n. 10204/1994), nonché l'eventuale sublocazione consentita dall'alienante originario locatore, non essendo necessario il suo consenso o un apposito atto di ratifica del terzo proprietario subentrante (Cass. III, n. 2800/1953). Il terzo, inoltre, può chiedere i canoni della locazione non ancora scaduti quando risultino da atto di data certa (Cass. III, n. 17488/2007 ; non ultimo (anche se la questione non riguarda i rapporti con il conduttore, se non in via indiretta), il terzo acquirente (o donatario o cessionario) subentra al venditore (o al donante o al cedente) nell'obbligo di pagamento delle quote condominiali del condominio di cui fa parte l'immobile locato (Cass. II, n. 5704/2024).

Quanto alla tempistica di produzione degli effetti della surrogazione, l'acquirente, come detto, subentra nei diritti e negli obblighi che derivano dal contratto di locazione dal momento dell'acquisto del bene locato: sicché salvo diverso accordo delle parti (Cass. III, n. 17986/2014),  il subingresso non ha effetto retroattivo (Cass. III, n. 24222/2019) e determina il sorgere di due rapporti di locazione distinti i cui effetti si producono nei confronti di colui che risulta essere locatore nel rispettivo periodo di riferimento (Cass. III, n. 19747/2012; Cass. III, n. 22669/2004; Cass. III, n. 8328/2001): non determina, quindi, alcun subingresso dell’acquirente (donatario o cessionario) nel diritto al pagamento dei canoni non corrisposti e relativi al periodo anteriore alla cessione, restando detto credito in capo al precedente proprietario (Cass. III, n. 14079/2023) . Così, ad esempio, Cass. III, n. 9408/2011 chiarisce che in caso di vendita della cosa locata, avvenuta dopo la comunicazione della disdetta, ma prima della data di scadenza del contratto, l'indennità di avviamento è dovuta dall'acquirente dell'immobile locato, trovando il diritto all'indennità il suo fatto genetico nella avvenuta cessazione della locazione e non nell'intimazione della disdetta e tenuto conto del principio secondo cui il momento del trasferimento del bene determina anche il momento di cesura tra le obbligazioni e i diritti spettanti all'alienante e quelli dell'acquirente. Del pari, l'acquirente di un bene locato, in base al principio di cui all'art. 1602 c.c. – a mente del quale l'acquirente stesso, pur non potendo invocare a suo favore i fatti che abbiano ormai esaurito i loro effetti al momento dell'acquisto, conserva pur tuttavia azione da tale momento nei confronti del conduttore per gli adempimenti cui lo stesso è attualmente tenuto – può reclamare i danni conseguenti al deterioramento della cosa locata esistente al momento della compravendita del bene e non ancora risarciti al precedente proprietario, atteso che tale deterioramento costituisce uno stato permanente della cosa locata (così Cass. III, n. 4912/2003): l'azione risarcitoria è, però, condizionata al fatto che non risulti che della minore efficienza della cosa locata si sia tenuto conto nella determinazione del prezzo della compravendita (Cass. III, n. 1023/2023Cass. III, n. 19442/2008; Cass. III, n. 1685/1997; Cass. III, n. 9844/1994). Simmetricamente Cass. III, n. 5557/1979 chiarisce che l'acquirente è legittimato passivo della pretesa risarcitoria del conduttore per danni cagionati da vizi della cosa locata, anche se preesistenti alla data dell'acquisto, quando i danni si siano verificati in epoca successiva a tale data, mentre, in caso contrario, la pretesa risarcitoria deve esser rivolta al precedente locatore. Osserva, infine, Cass. III, n. 1769/1960, che la tolleranza del precedente proprietario dell'immobile a ricevere la pigione, secondo modalità diverse da quelle pattuite o stabilite per legge, non può essere invocata dal conduttore nei confronti del nuovo proprietario locatore che lo abbia all'uopo diffidato.

Nella ricorrenza dei presupposti di cui all'art.1599 c.c., inoltre, l'acquirente della cosa locata subentra ex lege all'originario locatore, ai sensi dell’art. 1602 c.c., anche nel rapporto obbligatorio di garanzia costituito tra quest'ultimo e il suo fideiussore, a condizione, però, che tale obbligazione possa ritenersi "derivante" dal contratto di locazione (in quanto ne abbia costituito una clausola da esso inscindibile) e non sia venuta meno per specifiche intese tra le parti originarie, dovendosi altrimenti ritenere inoperante la detta surrogazione legale, giacché l'autonomia del contratto di fideiussione rispetto al contratto principale di locazione esclude che l'attribuzione della garanzia "derivi" di regola da quest'ultimo, per gli effetti di cui al citato art.1602 c.c., nonostante il carattere accessorio da cui è contraddistinta, tanto sul piano genetico quanto su quello funzionale (Cass. III, n. 2711/2021).

In quanto cessionario ex lege del contratto di locazione e di tutti i diritti e le facoltà da esso scaturenti, l'acquirente di un immobile locato a terzi è pienamente legittimato ad intimare al conduttore lo sfratto, a nulla rilevando né che la morosità fosse maturata prima della vendita dell'immobile, né che prima di tale momento la locazione fosse cessata per scadenza del termine.

Sostanzialmente in questi termini Cass. III, n. 6142/1984, per la quale, laddove l'inadempimento del conduttore, pur iniziatosi prima dell'alienazione, perduri anche successivamente, l'acquirente è legittimato a richiedere la risoluzione del contratto, in considerazione della natura continuativa dell'inadempimento stesso.

Meritevole di approfondimento è, però, la motivazione espressa, su tali profili, da Cass. III, n. 12883/2012: “la fattispecie di vendita di cosa locata integra invero un'ipotesi di cessione legale del contratto di locazione in capo all'acquirente, che quale cessionario ex lege subentra nella situazione di diritto e di fatto facente capo all'alienante al momento della cessione e dal medesimo trasmessagli con tale atto, senza che risulti al riguardo necessario l'accordo delle parti né l'adesione del contraente ceduto (nei cui confronti la cessione acquista peraltro efficacia solamente al momento della relativa notificazione). L'acquirente diviene a tale stregua il nuovo titolare del rapporto di locazione in corso de iure al tempo della compravendita ovvero, laddove come nella specie trattisi di contratto scaduto, può esercitare i diritti non esauriti e i poteri spettanti al proprietario e dal medesimo cedutigli. In particolare, ove il contratto sia come nel caso cessato de iure per intimata disdetta del contratto alla scadenza contrattuale, l'acquirente subentra nel diritto di credito alla restituzione già maturato in capo al locatore-proprietario cedente, con i relativi accessori (art. 1263 c.c.), e in particolare con i poteri comuni al contenuto e all'esercizio del credito (v. Cass. III, n. 52/2012; v. altresì Cass. III, n. 674/2005; Cass. III, n. 8556/1991; per l'espressa e specifica assunzione da parte del venditore dell'immobile, in luogo dell'obbligo di consegna, dell'obbligo di far cessare il rapporto di locazione esistente, v. Cass. III, n. 4195/1987; contra, per l'affermazione che la vendita di un immobile locato determina solamente una successione a titolo particolare del compratore nel rapporto di locazione, v. peraltro Cass. III, n. 9160/1990 e Cass. III, n. 637/1978). A parte l'ipotesi ex art. 111 c.p.c., l'acquirente può a tale stregua esercitare tutte le azioni previste dalla legge a tutela del credito (nel caso, alla restituzione), volte cioè ad ottenerne la realizzazione (v. Cass. III, n. 16383/2006; Cass. III, n. 3554/1971), potere invero spettantegli già in base al principio generale della tutela giurisdizionale dei diritti (v. Cass. III, n. 52/2012). Ne consegue che ben può pertanto l'acquirente esercitare (anche) l'azione di sfratto per finita locazione ex art. 657 c.p.c. Né, in contrario, pregio alcuno può invero riconoscersi all'assunto del ricorrente in base al quale, trattandosi di acquisto della proprietà sull'immobile avvenuto in momento in cui – per intervenuta disdetta – il contratto di locazione era nel caso già cessato de iure alla scadenza, l'acquirente non poteva esercitare siffatta azione contrattuale, giacché essa spetta solamente al locatore, e tale la controparte non può nella specie invero considerarsi, essendo subentrata in un rapporto ormai di mero fatto. A parte quanto già più sopra osservato in ordine all'acquisto da parte dell'acquirente dei diritti e dei poteri già in capo al proprietario-locatore al momento della vendita, vale al riguardo ulteriormente osservare che traendo i debiti corollari di detta tesi dovrebbe coerentemente pervenirsi a negare che il locatore possa avvalersi dell'istituto dello sfratto per finita locazione, atteso che al momento dell'intimazione e della citazione per la relativa convalida il contratto di locazione è invero già scaduto, e quindi de iure cessato e sostituito da una situazione di mero fatto, sicché il medesimo avrebbe in realtà già perduto detta sua veste formale, e al fine di ottenere la restituzione dell'immobile (già) locato non gli rimarrebbe che intentare l'azione reale di rilascio per occupazione senza titolo. Va al riguardo invero sottolineato come già in base all'espresso tenore dell'art. 657 c.p.c., comma 2, il locatore o il concedente può viceversa senz'altro “intimare lo sfratto, con la contestuale citazione per la convalida, dopo la scadenza del contratto” (sempre che ne sia esclusa la tacita riconduzione). Di un tanto non si è del resto mai dubitato (v. Cass. III, n. 19139/2005; Cass. III, n. 4238/1996; Cass. III, n. 5851/1994). Come correttamente sostenuto in dottrina e affermato nell'impugnata sentenza, altro è in realtà la cessazione della durata della locazione altro l'esaurimento degli effetti del contratto. Dopo la cessazione della durata del contratto subentra invero un rapporto di fatto, persistendo effetti non esauriti del rapporto contrattuale (v. Cass. III, n. 254/1991) in capo all'originario locatore ovvero all'acquirente dell'immobile che, in sostituzione o surrogazione legale o in virtù di cessione ex lege, al medesimo subentra (v. Cass. III, n. 2356/1985). In caso come nella specie di compravendita dell'immobile (già) oggetto di locazione, nei diritti e nei poteri che dal contratto ormai scaduto derivano in capo al locatore subentra invero l'acquirente, trovando la cessione degli stessi in suo favore fonte e causa appunto nella compravendita (v. Cass. III, n. 52/2012), della quale essa costituisce normale effetto (v. Cass. III, n. 3510/1990). Va pertanto a tale stregua ribadito il principio affermato da questa Corte in base al quale, in mancanza di una contraria volontà dei contraenti (v. già Cass. III, n. 898/1965; Cass. III, n. 1300/1979), la vendita dell'immobile locato determina, ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., la surrogazione nel rapporto di locazione del terzo acquirente, che subentra nei diritti e nelle obbligazioni del venditore-locatore senza necessità del consenso del conduttore (v. Cass.III, n. 13833/2010; Cass. III, n. 4588/2008; Cass. III, n. 17488/2007; Cass. III, n. 674/2005; Cass. III, n. 5724/1994; Cass. III, n. 8556/1991; v. anche Cass. III, n. 14738/2005, che con riferimento al trasferimento all'acquirente della situazione creditoria dell'alienante originata da un contratto di locazione già cessato all'atto dell'alienazione, nel negare l'applicabilità degli artt. 1599 e 1602 c.c., fa invero espressamente salva l'ipotesi della cessione del credito). Con l'ulteriore precisazione che l'art. 1602 c.c., attiene non già ad un'ipotesi di successione nel contratto bensì di surrogazione legale nel rapporto (di diritto o di fatto), e in particolare negli effetti non esauriti del rapporto de iure”.

Tale orientamento supera, pertanto, la contraria impostazione propalata da Trib. Roma 11 ottobre 2006 che, al contrario, ha ritenuto inammissibile la domanda di convalida di intimazione di sfratto per finita locazione proposta da colui che abbia acquistato l'immobile dopo la cessazione della locazione, motivando tale conclusione sulla triplice considerazione per cui a) l'effetto della cessione legale del contratto di locazione in favore del terzo acquirente si produce solo se il bene locato è trasferito in costanza della durata locatizia, ai sensi dell'art. 1602 c.c., trovando, in tal caso, applicazione le regole ordinarie, b) non è concettualmente possibile configurare il subingresso in un contratto ormai venuto meno e c) non potrebbe in ogni caso invocarsi l'applicazione analogica dell'art. 1602 c.c. che ha natura eccezionale per derogare all'art. 1372 c.c.

L'acquirente di un immobile locato, che voglia ottenerne il rilascio dal conduttore, deve però, fornire la prova del suo subentro nella posizione giuridica di locatore, dimostrando la sua qualità di nuovo proprietario, essendo sufficiente all'uopo la prova dell'avvenuta stipulazione della compravendita con il locatore che si sia affermato proprietario della cosa: incombe, pertanto, sul conduttore, che eccepisca che il nuovo proprietario non è titolare del rapporto di locazione per avere acquistato l'immobile a non domino, fornire la relativa prova, la quale non può essere basata su certificazioni attestanti l'inesistenza di trascrizioni a favore dell'alienante relativamente all'immobile compravenduto, dal momento che, attesa la funzione di pubblicità non costitutiva cui adempie la trascrizione, la sua mancanza non esclude che l'alienante possa avere a suo tempo validamente ed efficacemente acquistato la proprietà dell'immobile in questione, pur senza trascrivere il suo acquisto (Cass. III, n. 4066/1978).

Sempre precisando quanto innanzi esposto, infine, si è chiarito che si versa in presenza di una norma di carattere dispositivo e, dunque derogabile (Cass. III, n. 1003/1971): ove intervenga un patto, non contestuale alla compravendita, tra venditore ed acquirente dell'immobile, che escluda quest'ultimo dalla successione nella titolarità di diritti ed obblighi del contratto di locazione (e dunque, in ultima analisi, il contratto “rimanga” nella titolarità dell'originario alienante), si determina una cessione del contratto regolata dagli artt. 1460 ss.c.c., in quanto si modifica una situazione già prodottasi ex lege, quale naturale negoti e, cioè, come effetto normale della compravendita stessa (Cass. III, n. 3510/1990). Ne consegue che, quando per effetto di accordo in tal senso, il rapporto di locazione continui a svolgersi – nonostante l'avvenuta compravendita – nei confronti dell'alienante, quest'ultimo resta legittimato in proprio, e non quale mandatario dell'acquirente, a sperimentare tutte le azioni derivanti dal rapporto locatizio, compresa quella diretta ad ottenere il rilascio dell'immobile per finita locazione (Cass. III, n. 898/1965).

Segue. L'obbligo di consegna della cosa locata

Intervenuta la vendita della cosa locata, senza che l'originario proprietario-locatore abbia ancora consegnato al conduttore l'intero immobile, il relativo obbligo di consegna si trasferisce, per effetto di quanto previsto all'art. 1602 c.c., in capo all'acquirente.

Segue. La restituzione del deposito cauzionale

Come noto, l'art. 11 della l. n. 392/1978 (al cui commento si rinvia per il relativo approfondimento) dispone per le locazioni ad uso abitativo – con previsione tuttora applicabile, trattandosi di norma non abrogata dalla l. n. 431/1998 e che, per effetto del rinvio contenuto al successivo art. 41, della medesima sull'equo canone, trova altresì applicazione per le locazioni ad uso diverso – che le parti possano accordarsi per il versamento, da parte del conduttore di un cd. deposito cauzionale e, cioè, di una somma di denaro, diversa ed ulteriore rispetto al canone, a garanzia delle obbligazioni scaturenti dal contratto di locazione; la previsione del versamento di tale deposito rappresenta, invero, una novità introdotta dalla disciplina speciale rispetto al codice civile che, relativamente alle locazioni di case non mobiliate, prevede solo che l'inquilino possa essere licenziato, ove non fornisca la casa di mobili sufficienti o non presti “altre garanzie” idonee ad assicurare il pagamento della pigione (v. l'art. 1608 c.c.).

La giurisprudenza di legittimità ha affermato la natura di pegno irregolare del deposito cauzionale, sulla scorta della considerazione per cui la somma corrisposta a tale titolo passa in proprietà del locatore (Cass. III, n. 646/1980), nonché tenuto conto della funzione di garanzia che esso assolve e della fungibilità dei beni che ne formano oggetto (il denaro) (Cass. III, n. 23164/2013; Cass. III, n. 6962/2000).

La medesima soluzione è stata accolta in dottrina (Cuffaro, Calvo, Ciatti, 349), facendosi discendere da essa la conclusione per cui la somma di denaro che forma il deposito passa in proprietà del locatore, mentre il conduttore ha, in relazione ad essa, solo un diritto di credito, che sorge dal momento in cui, venuta meno la funzione del deposito, può chiederne la restituzione (Trifone, 489).

Tale momento coincide, invero, con la cessazione del rapporto locatizio.

L'obbligazione del locatore di restituire il deposito cauzionale versato dal conduttore a garanzia degli obblighi contrattuali sorge al termine della locazione, una volta che il conduttore medesimo abbia rilasciato l'immobile locato: pertanto, ove il locatore trattenga la somma anche dopo il rilascio dell'immobile da parte del conduttore, senza proporre domanda giudiziale per l'attribuzione, in tutto o in parte, della stessa a copertura di specifici danni subiti, il conduttore può esigerne la restituzione, anche ricorrendo al procedimento monitorio (Cass. III, n. 3882/2015; Cass. III, n. 14655/2002).

Si pone, dunque, il problema della identificazione del soggetto tenuto, in caso di alienazione del'immobile locato, alla restituzione del deposito.

La dottrina è, però, sul punto divisa, tra chi ritiene che, trattandosi di deposito, tenuto alla restituzione sia il depositario e, cioè, l'alienante-originario locatore e non l'acquirente che è terzo estraneo al rapporto di deposito (Miccio, 341) e chi, al contrario, ritiene doversi rinvenire la soluzione nella disciplina del pegno irregolare (Tabet, 658): sicché da siffatta natura deriva non solo l'accessorietà con le obbligazioni che intende garantire ma anche il diritto di seguito, il che implica che il trasferimento dell'immobile comporterebbe automaticamente il trasferimento del deposito cauzionale e, conseguentemente, il subentro dell'acquirente anche nell'obbligazione accessoria di restituire il deposito cauzionale versato dall'inquilino.

È questa la soluzione privilegiata in giurisprudenza, essendosi osservato che la cessione del contratto di locazione determina il trasferimento dei diritti e dei doveri in esso contenuto, comprese le obbligazioni scaturenti dall'eventuale deposito cauzionale; nel caso di vendita di immobile locato, infatti, il nuovo acquirente-locatore risponde – anche – dell'obbligo di restituzione in favore del conduttore del deposito cauzionale, il quale ha natura di pegno irregolare, ovvero, pegno che ha ad oggetto cose fungibili (denaro), è accessorio rispetto alle obbligazioni che garantisce ed è caratterizzato dal diritto di sequela, sicché si trasferisce unitamente all'immobile (così Cass. II, n. 23164/2012). Nella giurisprudenza di merito cfr. Trib. Trieste, 6 giugno 2024.

È sempre fatta salva, però, la possibilità che acquirente ed alienante convenzionalmente risolvano la questione tra di loro, con accollo del “debito” ad opera del nuovo proprietario ovvero con trasferimento allo stesso delle somme ricevute in deposito – nel qual caso non è revocabile in dubbio che il cessionario diventi l'unico legittimato passivo rispetto alla domanda di restituzione del conduttore-ceduto (Tabet, 659).

Non ultimo v’è chi (Vitali, 406 ss.) osserva che ove il patto relativo al deposito cauzionale non risulti dal contratto originario o comunque non fosse conoscibile dall’acquirente e dunque, in ultima analisi, non gli fosse opponibile, permarrebbe l’originario obbligo del primo locatore di restituire al conduttore le somme a siffatto titolo da questi ricevute.

Segue. Il diritto all’indennità di avviamento

Questione di non minore importanza è quella concernente l'individuazione della parte sulla quale grava l'obbligo di corresponsione dell'indennità di avviamento commerciale in favore del conduttore, ove il trasferimento abbia ad oggetto un immobile locato ad uso diverso.

Invero, il principio stabilito in materia di locazione dall'art. 1602 c.c.  esclude, per implicito, che il fenomeno successorio, ex art. 1599 c.c., del trasferimento a titolo particolare della cosa locata possa avere effetto retroattivo e comporta, invece, che il rapporto di locazione viene a scindersi in due periodi distinti, rispetto a ciascuno dei quali l'unico contratto spiega i suoi effetti nei confronti di colui che in quel periodo ha la qualità di locatore. Ne consegue che l'acquirente dell'immobile locato subentra in tutti i diritti e gli obblighi correlati alla prosecuzione del rapporto di locazione ancora non esauriti, mentre deve considerarsi terzo rispetto ai diritti ed agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore ed a carico delle parti originarie fino al giorno del suo acquisto (Cass. III, n. 22669/2004).

Ciò posto, poiché il diritto all'indennità per l'avviamento commerciale dovuta in caso di cessazione del rapporto di locazione trova il suo fatto genetico nella avvenuta cessazione della locazione e non nell'intimazione della disdetta e, dunque, sorge al momento della cessazione della locazione e in conseguenza della risoluzione a tale data del contratto per fatto non imputabile al conduttore, è logico ritenere che obbligato per il compenso di avviamento è colui che a tale momento ha la qualità di locatore. Sicché, nel caso di trasferimento dell'immobile ex art. 1599 c.c. l'indennità,  è dovuta dall'acquirente dell'immobile locato se lo stesso, alla data della cessazione del contratto, abbia assunto la qualifica di locatore; e ciò proprio in base al principio di diritto secondo cui il momento del trasferimento del bene determina anche il momento di cesura tra le obbligazioni e i diritti spettanti all'alienante e quelli dell'acquirente.

Il principio ha trovato conferma in giurisprudenza, essendosi chiarito (Cass. III, n. 9408/2011) che il diritto alla indennità per l'avviamento commerciale sorge per effetto ed al momento della cessazione del contratto di locazione, per cui, in caso di alienazione dell'immobile locato, avvenuta successivamente alla comunicazione della disdetta da parte del locatore alienante, ma prima della prevista data di cessazione del rapporto, obbligato a detto titolo ai sensi dell'art. 1602 c.c., nei confronti del conduttore è l'acquirente dell'immobile locato.

Segue. La cessione in favore di una pluralità di acquirenti

La parte (locatrice o conduttrice) può essere plurisoggettiva, nel senso che, come la concessione del godimento del bene può provenire da più soggetti, così il godimento può essere riconosciuto ed il pagamento del canone può provenire da più soggetti: in altri termini, vi può essere una pluralità di locatori e/o di conduttori.

L'eventuale pluralità di locatori integra una parte comunque unica, al cui interno i diversi interessi vengono regolati secondo i criteri che presiedono alla disciplina della comunione: sicché, sugli immobili oggetto di comunione concorrono, in difetto di prova contraria, pari poteri gestori da parte di tutti i comproprietari in virtù della presunzione che ognuno di essi operi con il consenso degli altri o quanto meno della maggioranza dei partecipanti alla comunione. Tale presunzione non opera, però per le locazioni di durata ultranovennale, per la cui conclusione – trattandosi di atto eccedente l'ordinaria amministrazione, ai sensi dell'art. 1572, comma 1, c.c. – il combinato disposto degli artt. 1108 e 1350, n. 8 c.c. richiede l'unanimità dei consensi dei comunisti consacrata in un atto avente forma scritta ad substantiam, secondo un procedimento di formazione della volontà che, in base al combinato disposto degli artt. 2729, comma 2, e 2725 c.c., vieta la presunzione ove la forma scritta sia imposta anche solo ad probationem (così, in motivazione, Cass., III., n. 24489/2017) – si rinvia, per un approfondimento della questione, al commento all'art. 1571 c.c.

La pluralità dei locatori può essere – ovviamente – originaria ovvero sopravvenuta, come nel caso, per l'appunto, di cessione del diritto di proprietà sulla cosa locata in favore di più soggetti.

Cass. III, n. 10654/1996 ha chiarito che, in simile ipotesi, il contratto di locazione si scinde in tanti distinti rapporti quanti sono i soggetti, i quali pertanto a seguito dell'acquisto assumono, ciascuno per la parte di propria competenza la veste di locatori ai sensi degli artt. 1599 e 1602 c.c., con la conseguenza che ove alcuno di essi, alla scadenza del contratto promuova azione di rilascio della cosa locata, egli opera limitatamente alla porzione acquistata allo scopo di far valere un diritto autonomo e indipendente da quello degli altri locatori, sicché nei loro confronti non vi è necessità di integrazione del contraddittorio, a nulla rilevando in contrario il carattere di indivisibilità della prestazione derivante dall'unitaria funzione assegnata dalle parti all'originario contratto, poiché, con la scadenza di questo, l'indicata funzione deve ritenersi comunque cessata. Del medesimo tenore la più risalente Cass. III, n. 2168/1963, per cui se, per atto tra vizi, l'originario locatore aliena per parti distinte la proprietà della res locata (sia pure se considerata come unita funzionale, appartamento, dagli originari contraenti della locazione) il contratto locatizio si scinde in tanti distinti rapporti quanti sono i soggetti che, a seguito del trasferimento per parti distinte vengono ad assumere, a norma degli artt. 1599 e 1602 c.c. la qualità di locatori: pertanto, se per uno soltanto dei locatori per parti distinte e separate si verifica una causa di risoluzione o di cessazione del contratto (nella specie, decadenza del conduttore dalla proroga legale per l'insorgenza di uno stato di necessita nei confronti dell'acquirente d'una parte dell'immobile), essa opera indipendentemente dalla posizione soggettiva dell'altro, limitatamente alla parte da lui acquistata. Tali principi, però, non operano nel caso di alienazione dello immobile locato per quote ideali, giacché tale fattispecie dà luogo ad un contratto unico con pluralità di parti e, quindi, ad un'ipotesi tipica di litisconsorzio necessario, non potendo la situazione giuridica unica, consistente nella cessazione o nella permanenza dell'unico contratto, sussistere nei confronti di alcuni soggetti e non nei confronti di altri (Cass. III, n. 5041/1977).

Il bene concesso in leasing traslativo

La giurisprudenza ha fornito una interpretazione estensiva della norma – letta in combinato disposto con il successivo art. 1605 c.c. (v. infra) – ricomprendendo tra i terzi acquirenti anche l'utilizzatore in caso di leasing traslativo.

Quando venga concesso in leasing traslativo un immobile già locato, l'utilizzatore subentra nei diritti derivanti dal contratto di locazione a norma dell'art. 1602 c.c., poiché egli consegue, sin dalla consegna, il godimento della cosa, e, per effetto della disposizione indicata, terzo acquirente non è unicamente colui che, per atto tra vivi, sia divenuto proprietario dell'immobile locato, ma qualunque soggetto a cui, in base a titolo non contrario a norme di ordine pubblico, l'originario locatore-proprietario abbia trasferito il possesso ed il godimento dell'immobile, tanto più che non appare configurabile il diritto del concedente a percepire due autonomi corrispettivi per il godimento, uno dall'utilizzatore e l'altro dal conduttore, né risulta ragionevole assumere che il pagamento del canone di leasing sia parzialmente senza causa, in quanto l'utilizzatore, nonostante la sua corresponsione, nulla potrebbe pretendere dal conduttore (Cass. I, n. 5253/2012). Sicché, quando venga concesso in leasing traslativo un immobile già locato, il diritto al pagamento del canone spetta – in mancanza di diversa pattuizione – all'utilizzatore, in virtù dell'art. 1602 c.c., il quale è applicabile non solo nelle ipotesi di trasferimento della proprietà dell'immobile locato, ma in tutti i casi in cui il proprietario ed originario locatore ne ceda a terzi il diritto di godimento (così Cass. III, n. 1747/2011. La soluzione è accolta anche dalla giurisprudenza di merito (Trib. Bari 12 dicembre 2013), per cui la concessione in leasing di un immobile locato attribuisce all'utilizzatore i diritti derivanti dal contratto di locazione, trovando applicazione la disciplina dettata dagli artt. 1599 e 1602 c.c., i quali, nell'imporre all'acquirente dell'immobile locato il rispetto del contratto di locazione, ove ne abbia assunto l'obbligo nei confronti dell'alienante o la locazione risulti da atto avente data certa anteriore all'acquisto, prevedono correlativamente il suo subingresso nei diritti e nelle obbligazioni derivanti dal contratto di locazione: né il subingresso nel rapporto di locazione si pone in contrasto con la natura personale dei diritti attribuiti all'utilizzatore dal contratto di leasing, avuto riguardo alla natura parimenti obbligatoria del rapporto che sorge dal contratto di locazione, il quale non presuppone nel locatore la proprietà o la titolarità di un altro diritto reale, ma la mera disponibilità di fatto del bene, in virtù di un titolo non contrario a norme di ordine pubblico, e può quindi essere stipulato anche dal detentore, purché la detenzione non sia stata acquistata illecitamente.

Effetti processuali derivanti dalla cessione eseguita nel corso del giudizio

Come chiarito in precedenza, il trasferimento a titolo particolare della cosa locata comporta, sul piano processuale, gli effetti previsti e disciplinati dall'art. 111 c.p.c.

Sicché, ove l'alienazione della cosa locata si verifichi in pendenza della controversia promossa dal locatore per il rilascio del bene alla scadenza del rapporto, nonché anteriormente alla scadenza medesima, l'acquirente, subentrando nella posizione giuridica del venditore quando il contratto è ancora in corso, è destinatario degli effetti della licenza intimata dal proprio dante causa, ma non può proporre autonomamente domanda di rilascio per finita locazione, atteso che la suddetta situazione resta soggetta alle disposizioni dell'art. 111 c.p.c., in tema di successione a titolo particolare nel diritto controverso, il quale conferisce al successore le sole facoltà di intervenire nella causa pendente, ovvero di impugnare o resistere alla impugnazione avverso la sentenza in essa resa nei confronti dell'alienante (e produttiva di effetti anche nei riguardi del successore) (così Cass. S.U., n. 266/1985). Peraltro, precisa Cass. III, n. 8700/2009 che l'intervento exart. 111 c.p.c. dell'acquirente di un immobile locato in una causa avente ad oggetto la risoluzione del contratto di locazione, pendente in primo grado, a) non è soggetto al termine di decadenza stabilito dall'art. 419 c.p.c., in quanto questa tipologia d'intervento non è riconducibile all'intervento volontario del terzo di cui all'art. 105 c.p.c., al quale si riferisce l'art. 419 c.p.c. nel testo risultante dalla sentenza additiva della Corte costituzionale n. 193 del 1983 b) comporta la proposizione di una nuova domanda, in quanto l'atto di acquisto dell'immobile locato da parte del terzo interventore non integra un diverso fatto costitutivo del diritto fatto valere dall'attore, ma costituisce il titolo della successione a titolo particolare nell'originario contratto di locazione con gli effetti di cui all'art. 1602 c.c.

Le deroghe all'art. 1602 c.c.

Una deroga alla disciplina dell'art. 1602 c.c. è contenuta nel successivo art. 1605 c.c., ai sensi del quale la liberazione o la cessione del corrispettivo della locazione non ancora scaduto non può opporsi al terzo acquirente della cosa locata, se non risulta da atto scritto avente data certa anteriore al trasferimento (mentre si può in ogni caso opporre il pagamento anticipato eseguito in conformità degli usi locali); se la liberazione o la cessione è stata fatta per un periodo eccedente i tre anni e non è stata trascritta, può essere opposta solo entro i limiti di un triennio, mentre se il triennio è già trascorso, può essere opposta solo nei limiti dell'anno in corso nel giorno del trasferimento.

Si tratta di una norma che mira a preservare i diritti del conduttore, quando questi, però, risultino da elementi certi, quali la data o la trascrizione.

L'acquirente dell'immobile locato, infatti, deve considerarsi terzo rispetto agli obblighi già perfezionatisi ed esauritisi a favore ed a carico delle parti originarie sino al giorno del suo acquisto, con la conseguenza che non gli sono opponibili gli accordi verbali in deroga all'originario contenuto del contratto di locazione, che non risultino anche essi da scrittura avente data certa, non assumendo rilevanza la circostanza della eventuale indiretta conoscenza da parte sua (Cass. III, n. 2751/2015, cit.). L'art. 1605, comma 1, c.c., infatti, è espressione della stessa opponibilità della locazione al terzo acquirente, applicata ai canoni ancora da scadere e dal quale si ricava che il terzo acquirente della cosa locata può chiedere i canoni della locazione non ancora scaduti quando risultano da atto di data certa (Cass. III, n. 17488/2007).

La norma è espressione del principio generale per cui, in caso di cessione, diritti ed obblighi scaturenti dal contratto si intendono trasferiti all'acquirente solo in quanto opponibili a quest'ultimo ed in quanto fondati su fatti la cui efficacia non si sia esaurita prima del trasferimento.

La disciplina derogatoria in questione va, inoltre, coordinata con il dettato dell'art. 2812, comma 4, c.c., ai sensi del quale le cessioni e le liberazioni di pigione e di fitti non scaduti, che non siano trascritte o siano inferiori al triennio, sono opponibili ai creditori ipotecati solo se hanno data certa anteriore al pignoramento e per un termine non superiore a un anno dal giorno del pignoramento. Il valore precettivo della disposizione, che logicamente si ricollega al fatto che l'ipoteca si estende anche ai frutti civili dell'immobile oggetto della garanzia reale dell'ipoteca, deve essere individuato tenendo conto della complessiva sua ratio, ravvisata nel fatto che il legislatore ha inteso contemperare la facoltà di disposizione del proprietario del bene (che, avendo bisogno di danaro, utilizza la cessione di corrispettivi futuri di locazione) con la esigenza di mantenere integra la garanzia reale del creditore ipotecario, suscettibile di essere, in maggiore o minore misura, ridotta per gli effetti riflessi di pregressi atti dispositivi del proprietario, che vengano a diminuire il presumibile ricavato complessivo della vendita forzata del bene ipotecato quando non tutti i frutti civili dell'immobile, maturati nel periodo successivo al pignoramento, possano essere acquisiti alla procedura espropriativa.

In base tale premessa e nella considerazione che il pignoramento dell'immobile segna, per il debitore, il momento dal quale non gli è dato più disporre dei frutti del bene locato assoggettato ad espropriazione forzata, le regole, dalle quali restano disciplinati gli effetti delle cessioni di canoni futuri da parte del proprietario – locatore, si specificano, secondo il catalogo ricavatile dall'art. 2812 c.c., comma 4, nelle ipotesi seguenti: 1) le cessioni dei canoni, che non siano state trascritte o siano inferiori al triennio, sono opponibili al creditore ipotecario solo per la durata di un anno dall'avvenuto pignoramento a condizione che esse abbiano data certa anteriore al pignoramento medesimo; 2) le cessioni trascritte ai sensi dell'art. 2643, n. 9) c.c., sono opponibili al creditore, che abbia iscritto ipoteca sull'immobile locato anteriormente alla trascrizione della cessione, ma sempre per la durata di un anno dal successivo pignoramento; 3) la cessione trascritta è opponibile per intero al creditore che abbia iscritto ipoteca posteriormente alla trascrizione della cessione dei fitti.

Sennonché, avuto riguardo alle ipotesi sub 1) e 2), se il pignoramento dell'immobile locato costituisce mezzo di pubblicità e, quindi, formalità idonea a mettere il locatore proprietario in grado di conoscere il soggetto al quale il canone da tale momento deve essere corrisposto, il medesimo pignoramento non può adempiere a tale scopo nei confronti anche del conduttore, i cui canoni siano stati ceduti, giacché al conduttore non deve essere effettuata la notificazione del pignoramento. Né può ritenersi che la trascrizione del pignoramento costituisca, anche per il conduttore dell'immobile assoggettato all'espropriazione, forma idonea di conoscenza della sopravvenuta esecuzione cui sia interessato il creditore con ipoteca sull'immobile pignorato, poiché tale forma di conoscenza presuntiva, oltre a non essere prevista dalla legge né altrimenti evincibile in via analogica, resta esclusa in base all'argomento che solo i creditori titolari di un diritto di prelazione sui beni pignorati hanno diritto ad essere avvertiti dell'iniziata espropriazione (v. l'art. 498, comma 1, c.p.c.). Di conseguenza, dato che la legge non prevede per il conduttore, tenuto a pagare il canone di locazione, un sistema di conoscenza reale o presuntiva del pignoramento del bene immobile in suo godimento e poiché al conduttore stesso neppure è possibile, sulla scorta delle risultanze dei pubblici registri immobiliari, verificare se il creditore con ipoteca sull'immobile sia intervenuto nel procedimento di espropriazione forzato del bene assoggettato alla garanzia reale del credito, deve ammettersi, ai fini dell'inopponibilità delle cessioni dei canoni con effetti nei confronti del conduttore, che a costui debba essere data notizia dell'avvenuto pignoramento e dell'intervento nel processo esecutivo del creditore ipotecario, affinché anche per il conduttore sussista l'obbligo di pagare i canoni futuri al soggetto legittimato a riceverli ai sensi della norma dell'art. 2812 c.c., comma 4, c.c.

Tale è la posizione assunta dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale (Cass. III, n. 18194/2007) il pignoramento dell'immobile locato costituisce, in analogia alle situazioni che si verificano in tema di disciplina della liberazione e della cessione dei canoni ai sensi dell'art. 1605 c.c., mezzo di pubblicità e, quindi, formalità idonea a mettere il locatore proprietario in grado di conoscere il soggetto cui il canone deve essere corrisposto da tale momento; tale scopo il pignoramento non può tuttavia adempiere nei confronti del conduttore, i cui canoni siano stati ceduti, non dovendo essere effettuata al conduttore la notificazione del pignoramento. Ne consegue che, ai fini dell'inopponibilità delle cessioni dei canoni con effetti nei confronti del conduttore, a costui deve essere data notizia dell'avvenuto pignoramento e dell'intervento nel processo esecutivo del creditore ipotecario, affinché anche per il conduttore sussista l'obbligo di pagare i canoni futuri al soggetto legittimato a riceverli ai sensi del comma 4 dell'art. 2812 c.c.

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