Codice Civile art. 1584 - Diritti del conduttore in caso di riparazioni.

Gian Andrea Chiesi

Diritti del conduttore in caso di riparazioni.

[I]. Se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento.

[II]. Indipendentemente dalla sua durata, se l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto [1622].

Inquadramento

L'art. 1575, n. 2) c.c. sancisce, a carico del locatore, l'obbligo di mantenere l'immobile locato in stato da servire all'uso convenuto e quindi di assicurare al conduttore il godimento del bene in conformità del contratto (c.d. obbligazione di mantenimento o di manutenzione): tale obbligo deve considerarsi violato non solo quando, per incuria del locatore, il bene locato sia divenuto specificamente inidoneo all'uso, ma anche quando, sempre per fatto imputabile al locatore, la concreta utilizzazione dell'immobile locato non sia possibile.

Ad esso corrisponde, tra l'altro e secondo quanto previsto dall'art. 1583 c.c., il simmetrico obbligo, gravante sul conduttore, di tollerare le riparazioni che, nel corso della locazione la cosa, non possano differirsi fino al termine del contratto, anche quando queste importino privazione del godimento di parte della cosa locata. Prosegue il successivo art. 1584 c.c., chiarendo che, se l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.

Il conduttore è tenuto, cioè, a “sopportare” l'esecuzione degli interventi manutentivi da parte del locatore, pur con l'osservanza di alcuni limiti: a) deve trattarsi di interventi indifferibili (v. l'art. 1583 c.c.); b) se l'esecuzione delle riparazioni si protrae per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni, il conduttore ha diritto a una riduzione del corrispettivo, proporzionata all'intera durata delle riparazioni stesse e all'entità del mancato godimento (v. l'art. 1584, comma 1, c.c.); c) relativamente alle locazioni ad uso abitativo ed indipendentemente dalla durata delle riparazioni, se la loro esecuzione rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia, il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto (v. l'art. 1584, comma 2, c.c.).

L'art. 1584 c.c., integrando e completando la disciplina del precedente art. 1583 c.c., segna, dunque, il limite entro il quale deve essere contenuto il sacrificio del conduttore per il caso di riparazioni dell'immobile, atteso che il conduttore medesimo ha comunque diritto al godimento del bene.

È stato chiarito da Cass. III, n. 372/1997 che gli artt. 1583 e 1584 c.c. disciplinano due fattispecie diverse che hanno in comune il presupposto della necessità di riparazioni improcrastinabili della cosa locata, ma si differenziano, perché l'una attiene alla privazione temporanea parziale del godimento della cosa locata (artt. 1583 e 1584, comma 1, c.c.), e la seconda all'impedimento temporaneo di ogni godimento della cosa (art. 1584, comma 2, c.c.) nel caso in cui “l'esecuzione delle riparazioni rende inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia”.

L'obbligo del locatore di consentire al conduttore di godere della cosa locata in maniera tale che ne sia preservata l'idoneità a fungere per l'uso convenuto (e, dunque, in ultima analisi, di procedere con gli interventi manutentivi), emerge e diviene attuale, peraltro, solo nel momento in cui a) si verifica il guasto e b) il conduttore ne dà avviso al locatore medesimo: la conoscenza del guasto da riparare diviene, dunque, elemento indispensabile per affermare l'esistenza di un obbligo di attivazione del locatore e, corrispondentemente, di un suo inadempimento in caso di omissione (si rinvia, per l'approfondimento sul tale specifico aspetto, al commento all'art. 1577 c.c.).

Il locatore, infatti, non è tenuto a prevenire eventuali idoneità della cosa di cui non abbia avuto notizia attraverso tempestiva denuncia o la cui causa non sia da lui facilmente riconoscibile (Cass. III, n. 2812/1960), non essendo configurabile alcuna responsabilità del locatore (per inadempimento dell'obbligo di effettuare le riparazioni necessarie) qualora non abbia avuto conoscenza della necessità di intervenire, né comunicazione da parte del conduttore, tenutovi a norma dell'art. 1577 c.c. (Cass. III, n. 489/1979). L'adempimento dell'obbligazione di manutenzione è, infatti, intrinsecamente subordinato alla conoscenza della sopravvenuta inidoneità della cosa a soddisfare le esigenze per cui era stata locata: sicché, quando il conduttore, avendo omesso ogni sorveglianza, non abbia informato il locatore circa lo stato della cosa locata, del danno da lui subito non risponde il locatore, non essendo stato posto in grado di adempiere il suo obbligo di effettuare le riparazioni necessarie (Cass. III, n. 5957/1979).

La norma è, infine, derogabile (v. infra).

La riduzione del canone

L'obbligo, gravante sul conduttore, di tollerare le riparazioni che, nel corso della locazione la cosa, non possano differirsi fino al termine del contratto, anche quando queste importino privazione del godimento di parte della cosa locata incontra un preciso limite temporale, rappresentato dalla protrazione delle riparazioni per oltre un sesto della durata della locazione e, in ogni caso, per oltre venti giorni.

Si ritiene (Tabet, 430) che, stante la formulazione della norma, il criterio dei venti giorni oltre i quali la durata delle riparazioni non rientra più in un concetto di “normalità” e di doverosa tolleranza sia assorbente rispetto a quello del sesto, sebbene entrambi detti i limiti predetti debbano essere commisurati alla durata pattuita per la locazione.

La norma si riferisce – con evidenza – all'ipotesi in cui la limitazione del godimento dell'immobile deriva dalle riparazioni poste dalla legge a carico del locatore (v. anche gli artt. 1576 ss. c.c.); sennonché essa trova parziale applicazione anche laddove le parti abbiano convenzionalmente addossato al conduttore l'esecuzione delle riparazioni straordinarie.

Allorché, infatti, in deroga a quanto previsto dall'art. 1576 c.c., le riparazioni straordinarie siano escluse dalle obbligazioni proprie del locatore e poste a carico del conduttore e non sia contemplata, altresì, la deroga anche all'art. 1584 c.c., sussiste un limite preciso alla riduzione del corrispettivo, che non può – ovviamente – essere protratto sine die per effetto dell'inerzia del conduttore e del suo inadempimento: osserva Cass. III, n. 11856/192 che la buona fede, cui si è tenuti nell'esecuzione del contratto, impone al conduttore di attivarsi per rimettere in pristino la cosa locatagli e rientrare nel suo pieno godimento; sicché, se nell'ipotesi normale la riduzione del corrispettivo deve essere “proporzionata all'intera durata delle riparazioni e all'entità del mancato godimento” (art. 1584 c.c.), allorché le riparazioni che importino la privazione totale o parziale del godimento siano poste a carico del conduttore, la riduzione va limitata al tempo necessario per la loro esecuzione.

Nella presenza dei menzionati presupposti, il conduttore ha diritto ad ottenere, analogamente a quanto previsto dall'art. 1578, comma 1, c.c. per il caso di vizi della cosa locata, la riduzione del canone di locazione: il che non significa, però, che allo sia consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente giacché, pur versandosi in presenza dell'esercizio, da parte del conduttore, di un diritto potestativo, occorre pur sempre che questo sia affermato da una sentenza, avente natura costitutiva, la quale stabilisca la misura della riduzione (e, simmetricamente, l'entità del canone ancora dovuto).

Anche la dottrina (Cosentino, Vitucci, 103) riconosce in quello in esame l'esercizio di un diritto potestativo, chiarendo, altresì, che la riduzione va parametrata a) alla complessiva durata delle riparazioni (che deve superare i 20 giorni) e b) all'entità del mancato godimento, da valutare in concreto, con riferimento al valore del godimento totale (Tabet, 430).

Diversamente – ove, cioè, il conduttore dovesse procedere unilateralmente – si verserebbe in presenza di un atto arbitrario, concretizzante l'ipotesi di grave inadempimento del conduttore medesimo, idoneo ad esser sotteso alla risoluzione del contratto su istanza del locatore.

Concorde, sul punto, anche la migliore dottrina (Mirabelli, 290; Tabet, 431), per la quale il conduttore non è autorizzato a sospendere il pagamento della pigione o a ridurla di sua iniziativa, subendo, in caso contrario, le conseguenze del proprio totale o parziale inadempimento, quali la risoluzione del contratto.

Il mancato pagamento del canone di locazione convenzionalmente fissato, non è giustificato, infatti, se non quando sia stato giudizialmente accertato, in via definitiva, che le somme pretese non sono dovute o sono dovute nel minore ammontare corrisposto, creandosi altrimenti la violazione del sinallagma contrattuale ed uno squilibrio tra le prestazioni delle parti sulla base di un inammissibile comportamento di ragion fattasi con la conseguenza che se tale comportamento assume il carattere della gravità in relazione alla volontà espressa dalle parti, alla natura e alle finalità del rapporto, soprattutto in relazione all'interesse dell'altro contraente, si giustifica la risoluzione del rapporto (Cass. III, n. 2580/1985). In questa prospettiva, dunque, è stato chiarito che l'azione di riduzione del corrispettivo ha natura costitutiva (Cass. III, n. 14737/2005) – viene da aggiungere – c.d. necessaria.

Mitiga parzialmente questa impostazione Cass. III, n. 2855/2005 che osserva come la sospensione parziale o totale dell'adempimento di tale obbligazione, ai sensi dell'art. 1460 c.c., può essere legittima non solo quando venga completamente a mancare la prestazione della controparte, ma anche nell'ipotesi di inesatto inadempimento, purché essa appaia giustificata in relazione alla oggettiva proporzione dei rispettivi inadempimenti, riguardata con riferimento all'intero equilibrio del contratto e all'obbligo di comportarsi secondo buona fede; ne consegue che, se il conduttore ha continuato a godere dell'immobile sebbene non pienamente a causa dei vizi della cosa imputabili al locatore, non è giustificabile a norma dell'art. 1460, comma 2, c.c.., il rifiuto di prestare l'intero canone, potendo però giustificarsi una riduzione dello stesso che sia proporzionata all'entità del mancato godimento, in analogia a quanto previsto dall'art. 1584 c.c. (in senso conforme, più recentemente, Cass. III, n. 22039/2017). Del medesimo tenore, nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano 11 febbraio 2014, per cui al conduttore non è consentito di astenersi dal versare il canone, ovvero di ridurlo unilateralmente, nel caso in cui si verifichi una riduzione o una diminuzione nel godimento del bene, e ciò anche quando si assume che tale evento sia ricollegabile al fatto del locatore: la sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore è, difatti, legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti; inoltre, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima soltanto se è conforme a lealtà e buona fede, con la conseguenza che il conduttore, qualora abbia continuato a godere dell'immobile, per quanto lo stesso presentasse vizi sopravvenuti non può sospendere l'intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento ovvero la richiesta di risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (v. anche Trib. Genova 28 giugno 2013; Trib. Salerno 22 ottobre 2012; Trib. Bari 5 ottobre 2011; Trib. Roma 20 aprile 2010; Trib. Roma 16 aprile 2004).

La natura (costitutiva) dell'azione in commento pone poi, un ulteriore problema di carattere pratico: producendo essa effetti ex nunc, infatti, ci si chiede se la riduzione del canone possa essere invocata successivamente alla risoluzione del contratto.

Invero, una volta che il rapporto negoziale sia venuto meno, per qualsiasi causa, il rimedio in questione non appare utilmente esperibile, mancando l'oggetto stesso dell'intervento richiesto e, di conseguenza, un interesse attuale che sorregga la legittimazione attiva del ricorrente; “semmai, vi è la possibilità che quanto prestato dal conduttore, in esecuzione del contratto, possa qualificarsi come tipico esempio di indebito oggettivo, dovendosi ammettere che, indipendentemente dalla causa che abbia fatto venire meno il vincolo negoziale, l'azione accordata per ottenere la restituzione dei versamenti privi di giustificazione causale sia unicamente quella di ripetizione. Sul piano processuale, la circostanza che al conduttore, una volta intervenuta la risoluzione del contratto, sia disconosciuta la facoltà di agire in riduzione del canone, dovendosi privilegiare, sempre che ne ricorrano i presupposti, la diversa azione di ripetizione, non è priva di conseguenze in ordine al contenuto dell'onere probatorio a carico dell'istante. Invero, affinché la misura del corrispettivo possa essere rideterminata, chi acquista il godimento dell'immobile è tenuto a dare prova che, al momento della consegna, il bene locato fosse affetto da vizi da lui ignorati senza colpa e, comunque, tali da ridurne l'idoneità all'uso pattuito, a prescindere dall'imputabilità al locatore. Nel mentre, per la ripetizione di indebito oggettivo, l'attore deve provare, oltre al fatto materiale del pagamento eseguito, l'inesistenza o la successiva caducazione del titolo che giustifichi l'attribuzione patrimoniale...Peraltro, solo in caso di contestazione del locatore, il conduttore che agisca in ripetizione delle somme versate oltre la misura dovuta non può limitarsi a produrre il contratto (di locazione), in cui sia indicato l'ammontare della relativa prestazione, ma ha l'onere di dimostrare anche l'effettiva corresponsione” (così Ballerini, 1122). Minoritaria, invece, è quella dottrina (Cistaro, 267) che sostiene che al conduttore dovrebbe essere riconosciuta la possibilità di agire per ottenere un'efficacia retroattiva della domanda di riduzione del corrispettivo, con l'applicazione del minor ai canoni già pagati, assumendo come tale la veste giuridica di risarcimento del danno.

Analoga alla posizione della dottrina maggioritaria è la conclusione raggiunta in giurisprudenza, per cui la domanda relativa alla riduzione del canone, proposta dopo che il rapporto locatizio sia stato risolto, è inammissibile, in quanto, nell'ipotesi di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, nonché di qualsiasi altra causa, la quale faccia venir meno il vincolo originariamente esistente, l'azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella più propriamente di ripetizione di indebito oggettivo (così Trib. Trieste 26 maggio 2009).

La sospensione totale o parziale dell'adempimento dell'obbligazione del conduttore risulta invece legittima soltanto qualora venga completamente a mancare la controprestazione da parte del locatore, costituendo altrimenti un'alterazione del sinallagma contrattuale che determina uno squilibrio tra le prestazioni delle parti (Cass. III, n. 11783/2017; Cass. III, n. 13133/2006). A ciò aggiungasi, inoltre, che, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum, la sospensione della controprestazione è legittima solo se conforme a lealtà e buona fede (Cass. III, n. 261/2008; Cass. III, n. 24799/2008): sicché, qualora il conduttore abbia continuato a godere dell'immobile, non può sospendere l'intera sua prestazione consistente nel pagamento del canone di locazione, perché così mancherebbe la proporzionalità tra i rispettivi inadempimenti, potendo giustificarsi soltanto una riduzione del canone proporzionata all'entità del mancato godimento ovvero la richiesta di risoluzione del contratto per sopravvenuta carenza di interesse (così Cass. III, n. 14739/2005, sia pure in tema di vizi, nonché Cass. VI/III, n. 13887/2011).

Il diritto alla riduzione può essere oggetto di rinuncia, anche preventiva.

In relazione a tale evenienza si discute (a favore, Cosentino, Vitucci, 105; contra, Tabet 1972, 431), però, circa la necessità della specifica approvazione per iscritto, ai sensi degli artt. 1341 e 1342 c.c., ove la clausola sia contenuta in condizioni generali di contratto, moduli o formulari.

La rinunziabilità alla riduzione del canone è ammessa anche dalla giurisprudenza (Cass. III, n. 11856/1992), pur evidenziandosene, tuttavia, la nullità ai sensi dell'art. 1229 c.c., per la parte in cui dovesse intendersi quale posta ad esclusione di responsabilità per dolo o colpa grave.

Lo scioglimento del contratto

La seconda evenienza contemplata dall'art. 1584 c.c. (al comma 2) concerne la possibilità che l'esecuzione delle riparazioni renda inabitabile quella parte della cosa che è necessaria per l'alloggio del conduttore e della sua famiglia: in tal caso il conduttore può ottenere, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.

Si tratta di una previsione derogatoria dell'art. 1583 c.c., la cui operatività è tuttavia legata alla inabitabilità della parte del bene destinata ad alloggio; lo scioglimento, in tal caso, non è comunque automatico, ma rimesso all'apprezzamento discrezionale del giudice (Cosentino, Vitucci, 104), dovendosi comunque escludere la risoluzione in caso di durata insignificante della privazione (Cosentino, Vitucci, 106).

In ordine alla non automaticità dell'effetto risolutivo, il fenomeno è stato osservato, in giurisprudenza, anche a latere conductoris, giacché la circostanza che l'impedimento si protragga nel tempo non è di per sé causa di scioglimento del contratto, poiché spetta comunque all'iniziativa del conduttore di manifestare un interesse contrario alla prosecuzione del rapporto (Cass. III, n. 6395/2018; Cass. III, n. 12319/2005).

Quanto alla ratio di una simile previsione, si discute, in dottrina, se si tratti di un rimedio assimilabile a quello previsto dall'art. 1578, comma 1, c.c. (i.e., risoluzione del contratto in caso di vizi della cosa locata) e, dunque, riconducibile al concetto di pacifico godimento del bene locato, ovvero se si tratti di una ipotesi particolare di risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione. Nel primo senso si è osservato (Mirabelli, 543) che “anche la previsione di rimedi per questo mancato godimento può considerarsi rientrante in quella vasta nozione di “garanzia di pacifico godimento” prevista dall'art. 1575, n. 3) c.c., della coincidenza tra i rimedi previsti per questo con quelli predisposti per la situazione di vizi rilevanti di mostra, appunto, che ha tutta la disciplina della locazione presiede un principio fondamentale, che è quello della sinallagmaticità tra godimento e corrispettivo, per il quale, a in tutte le ipotesi in cui godimento non è attuabile secondo le previsioni contrattuali, il conduttore è abilitato a pretendere una riduzione del corrispettivo e, a quando la diminuzione è di tale entità da far venir meno l'interesse del conduttore alla continuazione del rapporto, a lui è attribuita anche la pretesa di risoluzione. Quel che va sottolineato fin d'ora, salvo trarne le opportune deduzioni a suo tempo, e` che si tratta di ipotesi di risoluzione per mancata attuazione del godimento del tutto indipendenti da un comportamento imputabile a difetto di diligenza del locatore e che in tutti i casi che ha rilevanza, per l'accoglimento della pretesa risolutoria, l'entità della deficienza di attuazione del rapporto”; nel senso opposto, invece, è stato affermato (Cosentino, Vitucci, 58) che “il caso, secondo noi, potrebbe ricondursi, invece, ad una peculiare configurazione della impossibilità sopraggiunta, e da valutarsi, come del resto espressamente dice la disposizione, secondo le circostanze (quindi non automaticamente: non spetterebbe cioè la risoluzione ogni volta che si abbia una interruzione, anche minima, del godimento). Siffatta impossibilità, secondo i principi generali, scioglie dal vincolo obbligatorio (v. art. 1463 c.c.). La parte liberata è qui il locatore, che non può chiedere la controprestazione (ossia il canone) al conduttore, come appunto previsto nei contratti a prestazioni corrispettive, anche se la disposizione appare formulata piuttosto dal punto di vista della liberazione del conduttore dall'obbligo di pagare tale corrispettivo. Per questa ragione, cioè perché si tratta di impossibilità sopravvenuta, non si parla, ne lo si potrebbe, di risarcimento del danno”.

Trattandosi di norma speciale, si esclude generalmente la sua interpretazione estensiva o analogica, nel senso che, discorrendo la norma di “alloggio”, si ritiene – in dottrina come in giurisprudenza – che la stessa sia applicabile unicamente alle locazioni ad uso abitativo.

In particolare, si osserva (Tabet, 433) che, in base al suo tenore letterale, la previsione mal si adatti alle locazioni ad uso diverso, con l'unica eccezione delle locazioni ad uso promiscuo.

Nel medesimo senso – volto, cioè, ad una interpretazione letterale e restrittiva della norma – è la giurisprudenza di legittimità, la quale ha affermato il conduttore può, secondo le circostanze, ottenere lo scioglimento del contratto quando l'esecuzione delle opere necessarie ed indifferibili sulla cosa locata la renda inabitabile per il conduttore e la sua famiglia (Cass. III, n. 372/1997).

Il risarcimento del danno

Nelle medesime condizioni previste per la riduzione del canone o lo scioglimento dal vincolo contrattuale, il conduttore può godere anche di una tutela di carattere risarcitorio che, però, non consegue automaticamente alla privazione parziale del godimento della cosa locata.

Il diritto al risarcimento del danno, infatti, può insorgere a carico del locatore, a titolo di responsabilità contrattuale, ove si deduca e si dimostri il verificarsi, in derivazione causale rispetto a quelle riparazioni, di un pregiudizio ulteriore e diverso riguardo alla diminuzione o perdita dell'utilizzabilità del bene locato (quale, in caso di locazione ad uso commerciale, la perdita di clientela per effetto delle modalità di esecuzione dei lavori), atteso che, nell'indicata situazione, è configurabile una autonoma inadempienza del locatore all'obbligo di garantire il pacifico godimento della cosa locata (Cass. III, n. 3590/1992). Nel medesimo senso Cass. III, n. 7605/1997, per la quale, ove il conduttore rimanga privo del godimento del bene locato a causa dell'esecuzione in esso di riparazioni da parte del locatore, quest'ultimo non solo è esposto a subire la riduzione del canone o la risoluzione del rapporto, me è inoltre tenuto a risarcire il danno a titolo di responsabilità contrattuale, salva la responsabilità risarcitoria del terzo appaltatore dei lavori, per illecito aquiliano, sempreché che il conduttore dimostri che dalle riparazioni gli è derivato un pregiudizio ulteriore e diverso rispetto alla diminuzione o alla perdita dell'utilizzabilità del bene, atteso che in tale caso è configurabile una autonoma violazione dell'obbligo del locatore di garantire il pacifico godimento del bene locato. Del pari, Cass. III, n. 19181/2003 evidenzia che il conduttore, il cui godimento del bene nei termini di cui alle previsioni contrattuali risulti ridotto o escluso per fatti sopravvenuti, ha diritto al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità contrattuale, derivante dall'inadempimento dell'obbligo di mantenere la cosa locata – comprensiva, se si tratta di immobile sito in un condominio, delle parti e dei servizi comuni – in condizioni da servire all'uso convenuto, ove quei fatti gli producano pregiudizi ulteriori e diversi rispetto alla diminuzione o perdita del godimento del bene locato. Più recentemente, ancora, Cass. III, n. 19300/2003 ha rilevato che in tema di risarcimento del danno derivante al conduttore dal mancato godimento di un appartamento per il tempo occorrente a ripararlo, il principio secondo il quale il danneggiato ha diritto di rivalersi delle spese sopportate per procurarsi un altro appartamento va coniugato, da un canto, con l'esigenza che l'immobile presenti caratteristiche similari (non peggiori) a quello temporaneamente inagibile, dall'altro, con quella che, sul danneggiante, non gravi un obbligo risarcitorio eccedente la sua effettiva responsabilità, con la conseguenza che, qualora l'appartamento sostitutivo abbia un valore locativo maggiore (nella specie, doppio) rispetto al primo, il giudice del merito, secondo il suo prudente apprezzamento, deve, da un canto, evitare una locupletazione eccedente il danno in favore del conduttore, dall'altro tenere conto – qualora il locatore non offra altro idoneo appartamento, obbligando la controparte a procurarselo – di una serie di fattori, tra cui la situazione di particolare urgenza del conduttore stesso e le condizioni di mercato, che possono rendere obbligata la scelta di un appartamento di più alto valore (nel qual caso, non potendo la differenza di canone gravare sul conduttore danneggiato, è ragionevole ritenere che essa debba essere sopportata dal locatore danneggiante).

La soluzione (la praticabilità, cioè, di una tutela di carattere risarcitorio aggiuntiva rispetto a quella prevista dalla norma in commento) è accolta anche in dottrina laddove, pur in presenza di un orientamento (Tabet, 433) che nega la configurabilità di una tutela risarcitoria, stante la natura di responsabilità senza colpa di quella in esame, si evidenzia (Mirabelli, 454) che l'omessa previsione legislativa della colpa significa esclusivamente che al conduttore non spetta alcun risarcimento per il mancato godimento conseguente all'esecuzione di riparazioni, me ciò non esclude che il risarcimento spetti nel caso in cui, dall'esecuzione di tali riparazioni, derivi un diverso pregiudizio (quale, ad esempio, il danneggiamento di mobilio).

La privazione totale del godimento della cosa locata

Si è detto che, tra i presupposti applicativi della norma (in combinato disposto con il precedente art. 1583 c.c.), v'è la necessità che la privazione del godimento della cosa sia parziale: quid iuris laddove, in dipendenza dall'esecuzione delle riparazioni, si abbia, invece, privazione del godimento dell'intero bene locato?

Si sostiene, in dottrina (Gabrielli, Padovini, 273) che: a) qualora le riparazioni comportino la perdita, totale e definitiva, del godimento del bene locato, la locazione si risolve per impossibilità sopravvenuta, ai sensi dell'art. 1463 c.c.; b) nel caso, invece, di riparazioni che rendono impossibile il godimento dell'intero bene, ma solo per una frazione di tempo limitata, dovrebbero applicarsi le norme di cui all'art. 1464 c.c., relativa all'impossibilità parziale, e di cui all'art. 1256, comma 2, c.c., dedicata all'impossibilità temporanea. Né “l'avvicinamento tra le due disposizioni [...] deve sorprendere, poiché, sebbene in un caso ci si riferisca all'impossibilita` parziale, ossia quella che incide sulla quantità, e nell'altro caso alla “impossibilità temporanea”, che incide sul tempo, le due fattispecie qui si sovrappongono, essendo la locazione un tipico contratto ad esecuzione continuata, nel quale il tempo corrisponde alla quantità di godimento. Secondo la norma dell'art. 1246, comma 2, c.c., dedicata alla impossibilità temporanea, il debitore, finché tale impedimento perdura, non responsabile del ritardo nell'adempimento, ma l'obbligazione si estingue se l'impossibilità si protrae fino a quando il debitore non può più essere ritenuto legato ad eseguire la prestazione ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla punto in virtù della regola dettata dall'art. 1464 c.c., invece, quando la prestazione di una parte è parzialmente impossibile all'altra parte spetta il diritto ad una corrispondente riduzione della prestazione dovuta, salvo il diritto al recesso dal contratto, quando non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale. Nel caso in questione, l'applicazione congiunta delle due regole porta a riconoscere al conduttore il diritto a pretendere una riduzione del canone dovuto, riduzione corrispondente al periodo di tempo necessario per l'esecuzione delle opere di manutenzione; qualora, però, la durata dei lavori sia eccessiva, il conduttore può recedere dal rapporto se non ha più interesse alla locazione nel momento in cui risultino ultimate le opere”.

Analoga la posizione della giurisprudenza. Così Cass. III, n. 4119/1995 chiarisce che l'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata in stato da servire all'uso convenuto e di eseguire le riparazioni che non sono a carico del conduttore, stabilito dagli artt. 1575 e 1577, comma 1, c.c. trova un limite nella disciplina dell'impossibilità sopravvenuta della prestazione, che essendo di carattere generale è applicabile anche al rapporto di locazione e comporta che l'impossibilità sopravvenuta e definitiva di utilizzazione della cosa locata secondo l'uso convenuto o conforme alla sua destinazione, se non sia imputabile al debitore, determina l'estinzione dell'obbligazione a carico di costui. Del medesimo tenore Cass. III, n. 372/1997, per la quale, in caso di privazione totale, dovuta a necessità di eseguire sul bene locato riparazioni non differibili fino al termine del rapporto che impediscano al conduttore ogni godimento della cosa, il conduttore può domandare lo scioglimento del contratto se, per il protrarsi nel tempo delle riparazioni o per altre circostanze, egli non abbia più interesse alla prosecuzione della locazione.

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