Codice di Procedura Civile art. 436 bis - Inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell'appello 1 .Inammissibilità, improcedibilità, manifesta fondatezza o infondatezza dell'appello1. [I]. Nei casi previsti dagli articoli 348, 348-bis e 350, terzo comma, all'udienza di discussione il collegio, sentiti i difensori delle parti, pronuncia sentenza dando lettura del dispositivo e della motivazione redatta in forma sintetica, anche mediante esclusivo riferimento al punto di fatto o alla questione di diritto ritenuti risolutivi o mediante rinvio a precedenti conformi.
[1] Articolo inserito dall'art. 54, d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modif., in l. 7 agosto 2012, n. 134. Ai sensi dell'art. 54, secondo comma, d.l. n. 83, cit., la disposizione si applica « ai giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto». V. anche il comma 3-bis dell'art. 54 d.l. n. 83, cit., ai sensi del quale tale disposizione non si applica al processo tributario di cui al d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546. Da ultimo così sostituito dall'art. 3, comma 31, lett. b), del d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 149 (ai sensi dell'art. 52 d.lgs. n. 149 /2022 , il presente decreto legislativo entra in vigore il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale). Per la disciplina transitoria v. art. 35 d.lgs. n. 149/2022, come sostituito dall'art. 1, comma 380, lettera a), l. 29 dicembre 2022, n. 197, che prevede che : "1. Le disposizioni del presente decreto, salvo che non sia diversamente disposto, hanno effetto a decorrere dal 28 febbraio 2023 e si applicano ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.- 4. Le norme dei capi I e II del titolo III del libro secondo e quelle degli articoli 283, 434, 436-bis, 437 e 438 del codice di procedura civile, come modificati dal presente decreto, si applicano alle impugnazioni proposte successivamente al 28 febbraio 2023".Si riporta il testo anteriore alla suddetta sostituzione: « Inammissibilità dell'appello e pronuncia [I]. All'udienza di discussione si applicano gli articoli 348-bis e 348-ter.». InquadramentoL'art. 436-bis c.p.c. richiamato dall'art. 447-bis c.p.c. per le controversie disciplinate dal rito locatizio, dispone che all'udienza di discussione si applicano gli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c.
Il meccanismo descritto dall'art. 348 bis c.p.c. si applica anche al processo del lavoro ed a quello locatizio quale ipotesi di definizione anticipata del giudizio di appello (App. Catanzaro 17 gennaio 2019). In tale ottica, l'art. 434 c.p.c. nel testo modificato dalla L. n.134/2012, di conversione del D.L. n.83/2012, prescrive che la motivazione dell'appello, deve contenere, a pena di inammissibilità: 1) l'indicazione delle parti del provvedimento che si intende appellare e delle modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo grado; 2) l'indicazione delle circostanze da cui derivi la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata. Non vi è dubbio che la novella legislativa abbia reso più rigoroso il rispetto del principio della necessaria specificità dei motivi di impugnazione, imponendo all'appellante di individuare i capi della decisione impugnati; di censurarli con argomentazioni idonee a contrapporsi a quelle della sentenza oggetto di gravame, nonchè di indicare in modo chiaro e puntuale la diversa ricostruzione dei fatti che avrebbe dovuto portare al rigetto o all'accoglimento della domanda, specificando, con altrettanta chiarezza, gli errori di diritto e le ragioni per le quali la corretta interpretazione delle norme rilevanti nella fattispecie avrebbe dovuto indurre a disattendere la pretesa o la difesa della controparte. Il legislatore, peraltro, non ha né imposto formule sacramentali né trasformato l'atto di appello in una impugnazione a critica vincolata, sicché la valutazione sulla ammissibilità del gravame va fatta, come in passato, considerando l'atto nel suo complesso e prescindendo da qualsiasi particolare rigore di forme. Il gravame, conseguentemente, sarà ammissibile ogniqualvolta risultino individuati i capi della decisione censurati ed esplicitate le ragioni della erroneità degli stessi, correlate e contrapposte a quelle indicate nella sentenza impugnata, in modo da consentire al giudice dell'appello di capire immediatamente il problema sollevato, pervenendo alla comprensione del nocciolo della doglianza. Ne discende che non può certo condurre ad una pronuncia di inammissibilità il solo fatto che l'appellante non abbia in modo formale proceduto ad individuare ed a trascrivere i capi della sentenza oggetto di impugnazione, ove detta individuazione emerga dal contenuto complessivo dei motivi di gravame, nei quali risultino evidenziati, da un lato le ragioni di dissenso e dall'altro il diverso percorso argomentativo che il giudice avrebbe dovuto seguire ai fini della decisione. In sostanza, gli artt. 342 e 434 c.p.c. nel testo formulato dal citato D.L. n. 83/2012, conv. con modif. dalla L. n.134/2012, vanno interpretati nel senso che l'impugnazione deve contenere, a pena di inammissibilità, una chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata e, con essi, delle relative doglianze, affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice, senza che occorra l'utilizzo di particolari forme sacramentali o la redazione di un progetto alternativo di decisione da contrapporre a quella di primo grado, tenuto conto della permanente natura di revisio prioris instantiae del giudizio di appello, il quale mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata (App. Roma, sez. lav., 30 settembre 2020). In ordine alla instaurazione del contraddittorio, la nomina di una pluralità di procuratori, ancorché non espressamente prevista nel processo civile, è certamente consentita, non ostandovi alcuna disposizione di legge e fermo restando il carattere unitario della difesa. Tuttavia, detta rappresentanza tecnica, indipendentemente dal fatto che sia congiuntiva o disgiuntiva, esplica nel lato passivo i suoi pieni effetti rispetto a ciascuno dei nominati procuratori, mentre l'eventuale carattere congiuntivo del mandato professionale opera soltanto nei rapporti tra la parte ed il singolo procuratore, onerato verso la prima dell'obbligo di informare l'altro o gli altri procuratori. Ne consegue la sufficienza della notifica dell'appello ad uno solo dei procuratori costituiti(Cass., sez. lav., n. 21683/2024). Inoltre, sempre in materia di notificazioni al difensore, in seguito all'introduzione del domicilio digitale, previsto dall'art. 16 sexies d.l. n. 179/2012, conv. con modif. dalla l. n. 221/2012, come modificato dal d.l. n. 90/2014, conv. con modif. dalla l. n. 114/2014, è valida la notificazione al difensore eseguita presso l'indirizzo PEC risultante dall'albo professionale di appartenenza, in quanto corrispondente a quello inserito nel pubblico elenco di cui all'art. 6 bis d.lgs. n. 82/2005, atteso che il difensore è obbligato, ai sensi di quest'ultima disposizione, a darne comunicazione al proprio ordine e quest'ultimo è obbligato ad inserirlo sia nei registri INI PEC, sia nel ReGindE, di cui al d.m. 21 febbraio 2011 n. 44, gestito dal Ministero della Giustizia. La disposizione in commento applica anche nel rito del lavoro – e, dunque, anche in quello locatizio per effetto dello specifico richiamo contenuto nell'art. 447-bis c.p.c. – il c.d. filtro in appello introdotto dall'art. 54 d.l. n. 83/2012, convertito, con modificazioni, in l. n. 134/2012, nell'ottica di ridurre il carico di lavoro delle Corti d'Appello italiane. Il meccanismo che regola il “filtro” in appello, prevede un'udienza-filtro, in cui fuori dei casi nei quali deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello, l'impugnazione è dichiarata inammissibile dal giudice competente quando non ha una ragionevole probabilità di essere accolta. La dottrina ha criticato la formula normativa adottata dal legislatore, giudicandola generica, indeterminata, e confliggente con l'accesso al grado di impugnazione fondato su valutazioni eccessivamente discrezionali (Mirabelli, 411), la cui portata euristica, rimane affidata al prudente esercizio del relativo potere da parte del giudice adito, che sebbene discrezionale e supportato da una succinta motivazione, deve altresì connotarsi per la sua congruità e logicità al fine di evitare di sconfinare nell'arbitrio (Mirabelli, 417). L'art. 348-bis c.p.c. prevede soltanto due casi in cui il filtro in appello non si applica: quando l'appello riguarda una delle cause di cui all'art. 70, comma 1, c.p.c. o se l'appello è proposto ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c. L'art. 348-ter c.p.c. si occupa del procedimento ed a tale fine, precede che all'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. il giudice, prima di procedere alla trattazione, sentite le parti, dichiara inammissibile l'appello, a norma dell'art. 348-bis, comma 1, c.p.c. con ordinanza succintamente motivata, anche mediante il rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa ed il riferimento a precedenti conformi, provvedendo ex art. 91 c.p.c al regolamento delle spese di lite. La dottrina ha evidenziato che nulla quaestio se l'ordinanza succintamente motivata di inammissibilità dell'appello si fondi su elementi di diritto, potendo la relativa impugnazione essere devoluta alla Suprema Corte. I problemi sorgono invece qualora l'appello risulti fondato su questioni di fatto, perché l'eventuale declaratoria anticipata di inammissibilità, comporterebbe la preclusione della loro riproposizione dinanzi ai giudici di legittimità, essendo allora evidente come la valutazione preventiva e prognostica della corte di merito diventi inattaccabile quanto alle quaestiones facti, laddove la stessa Corte rilevasse in via preliminare e pregiudiziale, la ragionevole probabilità di confermare quanto accertato e dichiarato dal giudice a quo (Mirabelli, 416). L'art. 348-ter c.p.c. non dice espressamente che l'ordinanza di inammissibilità non è impugnabile, ma la non impugnabilità è conseguenza diretta ed evidente della previsione, a seguito dell'ordinanza di inammissibilità, dell'impugnazione della sentenza di primo grado (Di Marzio, 3). Ai sensi dell'art. 348 ter, comma 2, c.p.c., l'ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale di cui all'art. 333 c.p.c. ricorrono i presupposti di cui all'art. 348-bis, comma 1, c.p.c. L'art. 348-bis c.p.c. è inapplicabile quando vi siano più motivi di impugnazione proposti avverso la pronuncia di primo grado, in relazione ai quali, alcuni siano privi di una ragionevole probabilità di accoglimento ed altri no (Di Marzio, 1). In mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. In dottrina, si è osservato che il filtro disciplinato dagli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. nel rito del lavoro, non potrebbe essere applicato nell'ipotesi di appello proposto con riserva dei motiviex art. 433, comma 2, c.p.c. (Panzarola, 657). In ordine all'appello incidentale, l'ordinanza di inammissibilità del gravame, fondata sulla mancanza di una ragionevole probabilità di accoglimento dell'impugnazione ex art. 348-ter c.p.c.è applicabile solo quando ne ricorrano i presupposti sia con riguardo all'impugnazione principale sia riguardo a quella incidentale. L'ordinanza di inammissibilità dell'appello comporta che contro il provvedimento di primo grado può essere proposto ricorso per cassazione nell'ordinario termine breve decorrente dalla comunicazione o notificazione se anteriore dell'ordinanza. In mancanza di comunicazione o notificazione dell'ordinanza dichiarativa dell'inammissibilità dell'appello, si applica l'art. 327 c.p.c. La controversa “clausola di salvezza” contenuta nella norma sull'inammissibilità dell'appelloLa clausola di salvezza contenuta nell'incipit dell'art. 348-bis c.p.c. – “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello” – l'ordinanza sul filtro in appello può essere emessa, non già per sanzionare difetti formali dell'atto di impugnazione ovvero l'inesistenza, originaria o sopravvenuta, del diritto di impugnare, ma nei casi in cui il gravame non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, il che implica una valutazione della probabile infondatezza dell'appello e, quindi, un giudizio di merito (Cass. VI, n. 7273/2014). Trattasi di un principio che non può ritenersi pacifico nella giurisprudenza di legittimità, attesa altra pronuncia (Cass. VI, n. 8940/2014) in cui si è affermato che l'art. 348-bis c.p.c., quando allude all'ipotesi in cui l'appello non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, intende comprendervi sia il caso in cui esso sia tale per manifesta infondatezza nel merito, sia il caso in cui esso sia manifestamente infondato per una qualsiasi ragione di rito, comprese le cause di inammissibilità od improcedibilità espressamente previste ex lege aliunde. Secondo questa interpretazione, l'inciso contenuto nell'art. 348-bis c.p.c. “fuori dei casi in cui deve essere dichiarata con sentenza l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello”, alluderebbe dunque all'ipotesi in cui il giudice dell'appello abbia dato corso alla trattazione dell'appello in via normale e non abbia rilevato la mancanza di una ragionevole probabilità dell'appello di essere accolto in limine litis all'udienza di cui all'art. 350 c.p.c., come gli impone l'art. 348-ter c.p.c. (App. Cagliari 9 novembre 2018). In tale caso, il suddetto inciso, impone al giudice dell'appello di pronunciarsi con il procedimento di decisione ordinario, e, dunque, con le garanzie connesse alla pronuncia della sentenza, impedendo una regressione del procedimento all'ipotesi degli artt. 348-bis c.p.c. e 348-ter c.p.c.. In altra pronuncia (Cass. VI, n. 13923/2015) si è affermato che quando il giudice – nel provvedere a norma dell'art. 348-bis c.p.c. – non si limita a dichiarare l'appello inammissibile, perché lo stesso non ha una ragionevole probabilità di essere accolto, ma scrutina il merito del gravame, assume una decisione che, sebbene rivesta forma di ordinanza, presenta natura di sentenza, sicché è ricorribile per cassazione (v. anche Cass.VI, n. 20470/2015; Cass. VI, n. 19944/2014, in cui si afferma invece che l'ordinanza d'inammissibilità dell'appello ex art. 348-ter c.p.c., emessa nei casi in cui ne è consentita l'adozione, cioè per manifesta infondatezza nel merito del gravame, non è ricorribile per cassazione, neppure ai sensi dell'art. 111 Cost., trattandosi di provvedimento carente del carattere della definitività, giacchè il medesimo art. 348-ter, comma 3, c.p.c. consente di impugnare per cassazione il provvedimento di primo grado). Sulla quaestio juris, sono intervenute successivamente le Sezioni Unite (Cass. S.U., n. 1914/2016) affermando il principio di diritto che avverso l'ordinanza pronunciata dal giudice d'appello ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c.è sempre ammissibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., limitatamente ai vizi propri della medesima ordinanza, costituenti violazioni della legge processuale che risultino compatibili con la logica e la struttura del giudizio sotteso all'ordinanza in questione, dovendo in particolare escludersi tale compatibilità in relazione alla denuncia di omessa pronuncia su di un motivo di appello, attesa la natura complessiva del giudizio prognostico, necessariamente esteso a tutte le impugnazioni relative alla medesima sentenza, nonché a tutti i motivi di ciascuna impugnazione, e, potendo, in relazione al silenzio serbato in sentenza su di un motivo di censura, eventualmente porsi – nei termini e nei limiti in cui possa rilevare sul piano impugnatorio – soltanto un problema di motivazione. Nella più recente giurisprudenza si è affermato che il concetto di probabilità di accoglimento va interpretato come verosimiglianza delle censure e degli argomenti posti a fondamento dei motivi di gravame e va riconosciuto anche se sussista una sola probabilità di accoglimento (App. Milano 6 ottobre 2021; Conf. App. L'Aquila 6 aprile 2021, nel rigettare l'eccezione di inammissibilità del gravame dopo avere constatato che l'atto conteneva argomentazioni difensive che introducevano questioni giuridiche tali da non consentire di esprimere un immediato giudizio prognostico sulle probabilità di accoglimento dell'impugnativa). L'appello proposto avverso la sentenza di primo grado qualora l'appellante non contestando la realtà storica dei fatti, richieda una loro differente qualifica, senza fornire nè le prove nè le motivazioni a fondamento è inammissibile (App. Milano 18 gennaio 2021). Il procedimento sull'inammissibilità dell'appelloGli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c. disciplinano, fuori dei casi in cui l'inammissibilità o l'improcedibilità dell'appello debba essere pronunciata con sentenza, la definizione reiettiva del gravame mediante un giudizio prognostico condotto con tecnica delibativa. L'art. 348 ter, comma 1, c.p.c. prevede che il giudice all'udienza di trattazione ex art. 350 c.p.c., prima di procedere alla trattazione, verifica la regolare costituzione del giudizio, ascoltando le parti costituite. Ciò significa che prima di decidere sull'inammissibilità dell'appello il giudice deve prima verificare la regolare instaurazione del contraddittorio delle parti interessate dal provvedimento concernente la pronuncia sul “filtro”, che sebbene abbia un'evidente finalità deflattiva del contenzioso nelle intenzioni del legislatore, ciò non vale ad eludere l'osservanza del contraddittorio, trattandosi di un ineludibile principio generale del processo. Il presupposto dell'audizione specifica delle parti, è previsto quale requisito processuale specifico dall'art. 348-ter, comma 1, c.p.c., ragione per cui la concessione di un rinvio puro e semplice, in prima udienza, ad altra successiva udienza, nella quale, la questione dell'eventuale applicazione dell'art. 348-bis c.p.c. non sia stata espressamente prospettata dal giudice di appello che si apprestava a valutarla, non integra l'osservanza dell'audizione delle parti richiesta dall'art. 348 ter, comma 1, c.p.c. Infatti, atteso che il giudice ha la facoltà di rendere l'ordinanza in questione all'udienza di cui all'art. 350 c.p.c. prima di procedere alla trattazione, il rinvio della causa per la trattazione, denota come la fase riservata all'udienza dell'art. 350, comma 2, c.p.c., debba ritenersi ormai chiusa, con l'apertura della successiva fase dell'impugnazione (Cass. III, n. 14696/2016). In altra pronuncia, è stato ritenuto legittimo, se le parti sono state sentite, pronunciare ordinanza ex art. 348-bis c.p.c.in un'udienza la cui forma camerale, non lede di per sè il contraddittorio, antecedente a quellaex art. 350 c.p.c., ovvero fissata ex art. 351, comma 3, c.p.c.per un provvedimento di inibitoria, visto l'effetto semplificatorio/acceleratorio di una tale anticipazione della dichiarazione di inammissibilità dell'appello, che non comporta alcuna lesione del diritto di difesa dell'appellante, mentre, al contrario, non sarebbe legittima una regressione procedurale, dopo l'espletamento della fase preliminare dell'udienza ex art. 350 c.p.c., per dichiarare mediante ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., l'inammissibilità di merito dell'appello, dovendosi invece, in tale caso, dichiarare, se sussistente, l'inammissibilità dell'appello con sentenza, previa valutazione piena, e, quindi, non più prognostica, dell'impugnazione (Cass. III, n. 12293/2016). Tuttavia, laddove il giudice dia espressamente atto, nel verbale di udienza, di riservarsi di provvedere in ordine ad una determinata questione come quella sull'inammissibilità del gravame proposto, deve di regola ritenersi che egli intenda riferirsi ad una questione resa oggetto di discussione nel corso dell'udienza, o comunque sottoposta al contraddittorio delle parti presenti, quanto meno laddove non risulti espressamente il contrario in base a quanto emerge dal verbale stesso (Cass. III, n. 270/2021). L'inosservanza della specifica previsione, di cui all'art. 348-ter, comma 1, c.p.c., di sentire le parti prima di procedere alla trattazione della causa ex art. 350 c.p.c., e di dichiarare inammissibile l'appello, costituisce un vizio proprio dell'ordinanza di inammissibilità resa a norma dell'art. 348 bis c.p.c., integrando una violazione della norma processuale deducibile per cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost., escludendo anche la necessità di valutare se da tale violazione sia derivato un concreto ed effettivo pregiudizio al diritto di difesa delle parti (Cass. VI, n. 19333/2018; Cass. VI, n. 20758/2017). Recentemente si è ribadito il principio che l'ordinanza di inammissibilità dell'appello, ai sensi dell'art. 348 ter c.p.c., deve essere pronunciata dal giudice competente prima di procedere alla trattazione della causa, sicché la stessa, ove emessa successivamente, risultando viziata per violazione della legge processuale, è affetta da nullità. Tale principio si applica anche nel rito del lavoro - nel quale la pronuncia dell'ordinanza in questione deve collocarsi prima di ogni altra attività, immediatamente dopo la verifica della regolare costituzione delle parti nel giudizio di appello - giacché, da un lato, l'art. 436 bis c.p.c., nell'estendere all'udienza di discussione la disciplina degli artt. 348 bis e ter c.p.c., non contiene alcuna proposizione che faccia riferimento ad una misura di compatibilità di detta disciplina con i tratti peculiari del rito speciale e, dall'altro, l'udienza di discussione, pur nella sua formale unicità, può scindersi in frazioni o segmenti successivi ordinatamente volti a configurare momenti distinti, ciascuno connotato da una specifica funzione processuale, con l'effetto di definire il luogo del compimento, da parte del giudice, di singole attività (Cass. Lav., 19 agosto 2022 n. 24978). L'art. 348-ter c.p.c. nulla osserva sulla circostanza se il giudice possa pronunciare l'ordinanza di inammissibilità anche d'ufficio, indipendentemente da una istanza proposta in tale senso dall'appellato. L'art. 348-ter, comma 2, c.p.c. stabilisce che l'ordinanza di inammissibilità è pronunciata solo quando sia per l'impugnazione principale che per quella incidentale tempestivamente proposta di cui all'art. 333 c.p.c. – non essendo richiamato l'art. 334 c.p.c. per le impugnazioni incidentali tardive – ricorrono i presupposti di cui all'art. 348-bis, comma 1, c.p.c.. giacché, in mancanza, il giudice procede alla trattazione di tutte le impugnazioni comunque proposte contro la sentenza. L'art. 348 ter, comma 3, c.p.c., prevede che il termine per l'impugnazione, riferito alla sentenza di primo grado, decorre dalla comunicazione o dalla notificazione, se anteriore, dell'ordinanza che dichiara l'inammissibilità e, quindi, solo per il caso di mancanza dell'una e dell'altra formalità, prevede l'operatività del c.d. termine “lungo” di cui all'art. 327 c.p.c. In base all'art. 176, comma 2, c.p.c., le ordinanze pronunciate in udienza si ritengono conosciute dalle parti presenti e da quelle che dovevano comparirvi, e, quindi, soggiunge che quelle pronunciate fuori dall'udienza sono comunicate a cura del cancellerie entro i tre giorni successivi. Pertanto, nell'ipotesi in cui l'ordinanza sia stata letta in udienza, si applica il termine breve previsto dall'art. 325, comma 2, c.p.c., decorrente dall'udienza stessa, atteso che la lettura del provvedimento e la sottoscrizione da parte del giudice del verbale che lo contiene non solo equivalgono alla pubblicazione, ma esonerano la cancelleria da ogni ulteriore comunicazione, ritenendosi, con presunzione assoluta di legge, che il provvedimento sia conosciuto dalle parti presenti o che avrebbero dovuto esserlo all'a stessa udienza (Cass. VI, n. 17716/2018; Cass. VI, n. 25119/2015, in cui si è affermato che la previsione della comunicazione come possibile dies a quo del termine per il ricorso per cassazione di cui all'art. 348-ter c.p.c., fa sì che allorquando l'ordinanza di cui all'art. 348-ter, comma 1, c.p.c., sia stata pronunciata in udienza, il termine di sessanta giorni, di cui all'art. 325, comma 2, c.p.c., decorre dall'udienza stessa per le parti presenti in udienza e per quelle che avrebbero dovuto essere presenti, in quanto l'ordinanza si intende loro comunicata dalla cancelleria per effetto della percezione o della possibilità di percezione della pronuncia del provvedimento, emergente dal suo inserimento nel verbale dell'udienza). Inoltre, non costituisce vizio proprio dell'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 348-bis c.p.c., deducibile come motivo di ricorso per cassazione, la circostanza che il giudice d'appello abbia motivato diffusamente le ragioni per le quali l'appello non aveva ragionevole probabilità di accoglimento, dal momento che l'eccesso motivazionale non può mai dirsi causa di nullità di alcun provvedimento giudiziario e tanto meno dell'ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. sia perché non nuoce al soccombente sia perché non impedisce il raggiungimento dello scopo (Cass. VI, n. 4870/2019). L'impugnazione dell'ordinanza ex art. 348-bis c.p.c. è infatti consentita quando questa sia affetta da vizi suoi propri, vale a dire quando sia stata pronunciata al di fuori dei casi in cui la legge la consenta, oppure quando sia affetta da vizi processuali, mentre non è invece, mai impugnabile l'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art. 348-ter c.p.c., da parte di chi prospetti unicamente un errore sul giudizio prognostico negativo circa la fondatezza nel merito del gravame (Cass. VI, n. 4870/2019; Cass. S.U., n. 1914/2016). 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